Più che
un vero capitolo, questo è una specie di riassunto prima della guerra =) In
alcune parti, come già successo in precedenza, ho preso spunto da Eldest
originale, quindi non stupitevi se troverete frasi simili XD
E ora,
buona lettura!
Nar Garzhvog
Dopo alcuni giorni furono nuovamente convocati nel
padiglione di Nasuada.
L’aria era tesissima, si percepivano benissimo
venti di guerra, e l’attesa era snervante. Per questo motivo Arlin passava
tutto il tempo o nell’arena ad esercitarsi con la spada, o a pulire Garjzla e
rifare la punta alle belle frecce regalatele da Islanzadi, oppure rinchiusa nella sua
tenda a fare pozioni curative da consegnare poi ai curatori del campo. Le sue
doti erano molto migliorate da quando era stata addestrata da Daryn.
Poteva fare
qualsiasi cosa, basta che non si fermasse. Se lo faceva,
tutti i problemi e pensieri più tristi le ritornavano alla mente. Dalla
scoperta della sparizione della sorella a quella che Eragon non stava mai con
lei, anche se ci aveva fatto l’abitudine a Ellesméra, a Murtagh… al fatto che
fra poco ci sarebbe stata una guerra.
Ancora peggiore
rispetto a quella nel Farthen Dûr.
Sospirando, la ragazza continuò ad avanzare verso il
padiglione. Intravide l’enorme sagoma di Saphira, Eragon che stava per entrare
nella tenda di Nasuada. Il Cavaliere si accorse dell’amica e la salutò. Arlin
sforzò un sorriso, diretto anche alla dragonessa, e senza guardare in faccia
nessuno, entrò per prima nel padiglione.
Nasuada riferì che un gruppo di Kull, una specie
di Urgali ancora più potenti, richiedevano un’udienza con lei, portando una
bandiera bianca.
Eragon era contrario, preferiva sterminarli,
poiché era pericoloso. Anche Jörmundur, ufficiale di Nasuada, era d’accordo con
Eragon, ma la regina dei Varden restava della sua idea.
Arlin taceva. Restava in disparte, seguendo il
discorso come un incontro di volano. Sentiva lo sguardo di Elva, la bambina la
cui benedizione impostale da Eragon si era rivelata essere una maledizione, su
di lei, ma faceva finta di esserne indifferente.
Alla fine della discussione ebbe la meglio
Nasuada.
Le guardie sollevarono i lembi dell’ingresso,
mentre il capo dei Varden si sedeva sull’alto scranno. Jörmundur e altri
comandanti si disposero in due file parallele davanti a lei, Eragon restò alla
sua destra ed Elva alla sinistra. Arlin accanto ad Eragon.
Poi comparve un Kull solitario, che teneva la
testa alta mostrando le zanne gialle. Alto più di otto piedi, dai lineamenti
forti ed orgogliosi, ma nello stesso tempo grotteschi. Le corna si ritorcevano
ai lati del capo, la muscolatura era possente.
Il Kull disse di chiamarsi Nar Garzhvog,
della tribù dei Bolvek. Iniziò a raccontare la sua storia,
del voltamento di spalle da parte di Galbatorix. Nar Garzhvog chiese di potersi
unire ai Varden, in cambio del sangue di Galbatorix.
Dopo alcuni minuti il dibattito finì. Gli Urgali
vennero fatti accampare lungo il lato orientale dell’esercito e per ordine di
Nasuada, chiunque avesse attaccato uno di loro sarebbe stato punito come se
avesse attaccato un compagno. Il Kull si allontanò, e nel padiglione fece il
suo ingresso Re Orrin, tutto trafelato. –Nasuada! E’ vero che ti sei incontrata
con un Urgali? Che cosa intendevi fare, e perché non sono stato avvertito
prima? Io non…-
Fu però interrotto da una sentinella. –Un uomo a
cavallo, mandato dall’Impero!- gridò.
Nasuada corse all’avanguardia dell’esercito,
seguita da un centinaio di soldati, senza badare alle proteste di Orrin. Eragon
montò su Saphira, poi guardò Arlin. –Sbrigati!-
La ragazza montò agile dietro al Cavaliere.
Saphira volò a destinazione e fermandosi vicino al terrapieno, le trincee e le
file di pali acuminati che proteggevano la prima linea dei Varden, i tre videro
un soldato su di un destriero nero avanzare al galoppo nella terra di nessuno,
fermandosi a una certa distanza dai Varden. Costui riferì che, siccome i Varden avevano rifiutato la proposta di resa di
Galbatorix fatta alcuni giorni prima, non ci sarebbero più stati negoziati.
Nessuno sarebbe sopravvissuto, nonostante il re fosse molto dispiaciuto. Poi
estrasse dalla sacca che portava al fianco una testa mozzata. La lanciò fra i
Varden, poi tornò sui suoi passi.
Eragon era infuriato e chiese a Nasuada se potesse
ucciderlo, ma il capo dei ribelli non glielo permise. All’improvviso Saphira
s’impennò piantando le zampe davanti sulla terra. Eragon dovette aggrapparsi al
suo collo per non cadere di sella, Arlin si strinse a lui. La dragonessa lanciò
un profondo e potente ruggito: un segno di sfida ai suoi nemici.
Il suono della sua voce giunse persino alle
orecchie del messaggero dell’Impero, il cui cavallo si spaventò, scivolando sul
terreno bollente. Il soldato, sbalzato a terra, finì su una vampa di fuoco
verde che eruttava proprio in quel momento. Il grido che lanciò, orribile, fece
accapponare la pelle a tutti.
Ma Arlin si lasciò sfuggire un
sorrisetto.
I Varden poi acclamarono Saphira, e anche Nasuada
sorrise. Battè le mani. –Attaccheranno all’alba, suppongo. Eragon, riunisci il
Du Vrangr Gata e preparati all’azione. Ti farò avere ordini entro un’ora.-
disse. Poi si allontanò con re Orrin per discutere sul piano.
Arlin tornò a fissare la terra di nessuno. Presto
quel luogo sarebbe stato coperto da tanti cadaveri. E solo allora si accorse di
quanto fosse cambiata la sua vita. Mentre viveva a Teirm, o a Carvahall, mai
aveva immaginato che si sarebbe unita ai Varden, dei quali avevano fatto anche
parte i suoi genitori. Ed ora si ritrovava invischiata in quella storia.
Sarebbe potuta andare via da lì quando voleva e dimenticare tutto e tutti. Ma
non poteva. Lodark e Ialia l’avevano protetta e addestrata, erano morti per non
tradire un loro ideale. Lei era destinata a diventare una spia Varden.
Ma è
davvero quello che voglio?
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Arlin non riusciva a prendere sonno. Era riuscita
a riposare per un’ora, poi le era sembrato che la tenda fosse una prigione,
così si alzò dal giaciglio e decise di prepararsi per la guerra. Indossò le
stesse vesti che aveva portato anche nella battaglia nel Farthen Dûr: i
pantaloni in pelle neri con gli stivali marrone scuro e il corpetto nero che
lasciava nude le braccia. Ai polsi aveva dei bracciali in metallo leggero, che
l’avrebbero protetta da alcuni colpi. In vita indossava la spessa cintura con
il fodero di Garjzla che pendeva dal fianco sinistro, mentre da quello destro e
accanto alla spada portava i Sai regalati da Daryn, e nascosto nello stivale destro portava lo
stiletto di Litiën. I lunghissimi capelli erano legati in un’alta coda di
cavallo, solo due ciocche più corte ricadevano in morbide onde ai lati del
pallido viso.
Aveva rifiutato qualsiasi armatura le era stata
offerta: quando combatteva doveva essere libera nei movimenti, in più doveva
tenere sotto controllo la sua capacità di leggere nei pensieri altrui.
All’inizio le dava fastidio, le dava l’impressione d’invadere l’intimità della
gente. Ora stava imparando a controllare quell’abilità.
Arlin uscì dalla tenda, e iniziò a vagabondare per
l’accampamento.
Vide Eragon impegnato a trasferire l’energia nella
cintura che gli aveva donato il suo maestro Oromis, circondato da alcuni nani e
Urgali. La ragazza proseguì nel suo vagare, ma il Cavaliere la vide e la
chiamò. Arlin si voltò lentamente.
Mentre Eragon forzava un sorriso, lei non ci
provava nemmeno. Il suo volto restava serio.
-Arlin! Non dovresti essere a dormire?- chiese
lui.
-Non ci riesco. E poi, nemmeno tu ti stai
riposando.- ribattè l’altra, sedendogli vicino.
Eragon sogghignò. –Per il tuo stesso motivo.- la
osservò. –Stai bene?-
La ragazza non volle incrociare il suo sguardo.
–No, come tutti penso. Fra poche ore ci sarà una guerra.-
Il Cavaliere annuì e guardò il cielo notturno.
Capiva che c’era qualcos’altro turbava l’amica, ma non insistette. Se si fosse
mostrato preoccupato, Arlin si sarebbe infuriata. Ormai la conosceva talmente
tanto bene da poter prevedere le sue reazioni.
Devi
essere paziente, Eragon. Ha saputo che sua sorella è sparita, e fra poco ci
sarà una guerra. Ha i nervi tesi, come tutti, gli disse Saphira, dietro di lui.
Già. Ma
mi sento impotente. Non so come aiutarla, e mi sento anche in colpa. Non avrei
mai dovuto permetterle di
venire con me quella notte a caccia… non avrebbe visto il tuo
uovo e non si sarebbe messa a far ricerche. Non sarebbe stata coinvolta.
Non dire
così piccolo mio. Senza di te, Arlin non avrebbe mai
incontrato Areais.
Ma non
avrebbe conosciuto nemmeno Murtagh, non sarebbe mai venuta in guerra, non le
avrei fatto correre rischi mortali inutili…
Non
avrebbe studiato da Daryn e non sarebbe diventata quello che è ora…
Eragon esitò un attimo. Tu vedi sempre la faccia migliore della medaglia.
E tu
sempre quella peggiore.
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Arrivò l’alba, e con essa le urla di dolore che
Angela e Arlin aspettavano. Dopo che l’indovina ebbe spiegato ciò che avevano
fatto con il permesso di Nasuada, Orik s’infuriò con le due. Non lo riteneva un
gesto leale, avvelenare cibo e acqua degli avversari.
-Perché non me lo hai detto?- chiese Eragon
all’amica. Ora capiva il motivo della freddezza di lei.
-Era una missione segreta. Se l’avessimo rivelata
a qualcuno avremmo corso il rischio che la notizia giungesse alle orecchie
delle spie.- spiegò lei.
-Nasuada non si fida di me forse?- domandò il
Cavaliere.
-Non è questo il punto. Se te lo avessi detto, qualche spia avrebbe potuto sentirci. Capisci?-
-Sì, ma Saphira avrebbe potuto controllare che
fossimo soli.-
Arlin sbuffò. –In ogni caso, quel che è fatto è
fatto. Angela mi ha chiesto se ero in grado di preparare diversi veleni, e mi
ha spiegato il piano che aveva elaborato con Nasuada. Così l’ho fatto. E la
notte scorsa…-
-Quando abbiamo visto lei arrivare
dall’accampamento dell’Impero?- chiese il nano indicando col capo Angela.
-Esatto. Poco prima ero andata io ad infiltrarmi.
Ho somministrato la belladonna e altre tossine agli ufficiali perché abbiano
delle allucinazioni in battaglia.-
-E perché non ti abbiamo vista?-
La giovane sorrise. –Ho i miei metodi per non farmi vedere.-
Eragon e Orik non dissero nulla.
I lamenti dei soldati crescevano, e le Pianure
Ardenti echeggiavano delle grida penose degli uomini morenti.
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