Serie TV > Squadra Speciale Cobra 11
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Autore: Maty66    10/09/2014    9 recensioni
E’ passato un anno dai fatti di Berlino che hanno trascinato i nostri due eroi nell’incubo peggiore della loro vita.
Tutto sembra scorrere di nuovo nei binari della normalità.
Ma verità mai dimenticate e desideri mai sopiti di vendetta minacciano di nuovo un rapporto che sembrava inossidabile.
Orgoglio e paura, fiducia incondizionata e piccole ripicche, passioni violente e desideri di vendetta si alterneranno in questa storia, sino al finale drammatico che rischia di mettere la parola fine ad una amicizia profonda e capace, sino ad ora, di superare ogni ostacolo. Nella buona come nella cattiva sorte.
Questa FF è il seguito di "Incubo".
E’ consigliabile, ma non indispensabile, leggere la prima parte.
Genere: Avventura, Azione, Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Sempre più giù
 
“Ho paura Susanne, una paura terribile. Tu non puoi immaginare in che stato è. Non lo riconosco più”
La voce di Andrea era rotta dall’emozione.
“Andrea bisogna capirlo, è sconvolto dal dolore… anche noi lo siamo in fondo” rispose la bionda segretaria cercando di consolarla.
“No, non è  solo questo. Ha negli occhi una… una rabbia omicida quasi. Al punto in cui  è credo sia capace di tutto, credimi” La voce di Andrea  era poco più di un sussurro.
“Tutti noi proviamo desiderio di vendetta credimi”
“No Susanne. E’ più di questo. E’ come se volesse punirsi. E crede che  vendicandosi di tutti i responsabili di quello che è successo potrà trovare pace…”
Susanne rimase in silenzio.
“Le bambine sono ancora con tua madre?” chiese poi.
“Sì e Aida non sa ancora nulla. Non so proprio come dirglielo. La cosa che temo di più è che ritenga in qualche modo Semir responsabile di quello che è successo”
Susanne prese la mano di Andrea nella sua.
“Andrà tutto bene, vedrai si aggiusterà tutto” provò di nuovo a consolarla.
“No Susanne, non andrà tutto bene. Non senza Ben”  
 

“Ottocento” disse l’uomo guardandosi intorno con aria sospetta.
“Avevamo detto seicento” rispose Semir con aria stizzita.
“Questo prima che sapessi che eri uno sbirro. Uno sbirro che compra una pistola al mercato nero… questa cosa mi porterà solo guai”
“Quello che sono non ti deve interessare” rispose Semir  prendendo dalla tasca le banconote.
L’uomo gli consegnò il fagotto avvolto in un panno lercio.
“Ehi,  non farmi pentire di avertela venduta” gli disse mentre si allontanava di corsa.
Semir risalì in macchina e tenendolo nascosto aprì l’involto.
Controllò accuratamente l’arma prima di metterla nella tasca interna della giacca.
 

“Semir…” balbettò Andrea vedendo entrare il marito dalla porta di ingresso.
La donna rimase lì a guardarlo, senza avere il coraggio di andargli incontro.
Susanne l’aveva appena chiamata, dopo aver lasciato da poco la casa, per dirle cosa era successo nella villa di Düsseldorf. 
E lei, anche se razionalmente non riusciva a credere che  l’uomo buono, onesto e rispettoso che aveva sposato fosse davvero riuscito a ferire una donna intenzionalmente, nel profondo del suo animo sapeva che era vero. Che l’essere in cui si stava trasformando era capace di questo ed altro.
“Dove sei stato?” chiese con voce debole, quasi impaurita.
“Credo che tu già lo sappia” rispose Semir.
Susanne l’aveva certamente chiamata per informarla di quanto era successo alla villa di Dusseldorf
“Perché non ti siedi un po’  qui vicino?” Andrea cercò di essere conciliante. Non poteva lasciare che la sete  di vendetta del marito le portasse via quel poco che le era rimasto.
Sospirando Semir si sedette sul divano.
Era stanco, tanto stanco, doveva riposare per essere lucido e portare a termine il suo piano.
“Le bambine?” chiese con voce atona.
“Ancora da mia madre. Aida non sa ancora nulla, ma non possiamo tenerle nascosta la verità ancora a lungo”
Semir rabbrividì al pensiero della reazione che avrebbe avuto la bambina. Come poteva dirle quello che era successo? L’avrebbe odiato per  l’eternità.
“Decidi tu quello che vuoi dirle, mi fido di te…” disse vigliaccamente alla moglie.
 Andrea lo guardò mentre le lacrime le salivano agli occhi.
“E’ vero?” chiese all’improvviso.
“Cosa?” rispose il marito pur sapendo già a cosa si riferiva.
“Che hai sparato a bruciapelo alla Marcus”
Semir la guardò freddo.
“Ha tentato di uccidermi” si giustificò.
“Non intendevo quello. Ti ho chiesto se è vero che le hai sparato a bruciapelo nella coscia” continuò Andrea questa volta senza guardarlo in faccia.
Semir non rispose per molti secondi.
“Ti posso solo dire quello che ho detto alla Kruger. Ho fatto quello che dovevo fare. Niente di più e niente di meno”
Andrea guardò il marito come se lo vedesse per la prima volta.
“Non guardarmi così. Vuoi sapere se sono dispiaciuto per quello che è successo? Se sono dispiaciuto perché è morta? No! Non lo sono, anzi se proprio lo vuoi sapere ne sono felice. Sono felice che lei abbia preso quella pistola dalla cavigliera, sono felice di averle sparato…” Semir ormai urlava.
“Ti devi far aiutare Semir, non stai bene. Dobbiamo trovare qualcuno che ti aiuti…” balbettò Andrea, ormai terrorizzata.
“L’unica persona che poteva aiutarmi non c’è. Non c’è più” fece Semir furibondo mentre saliva le scale verso la stanza da letto.

  
Aveva dormito sì e no tre o quattro ore prima che l’incubo terribile lo svegliasse mentre urlava fradicio di sudore.
Aveva rivissuto al rallentatore tutte le immagini della sera dell’incidente, ogni singolo istante, ogni singolo momento di terrore e dolore.
Guardò l’orologio. Le tre del pomeriggio.
Era tardi, aveva perso già troppo tempo a riposarsi.
Mentre si rivestiva dopo la rapida doccia sentiva le voci nel soggiorno. Le bambine erano tornate.
Lily parlava con la madre e la sua vocina sottile risuonava allegra.
Semir non poté fare a meno di volare con il pensiero a tutte le volte che aveva sentito quelle stesse voci risuonare allegre insieme a quella di Ben.
“Nascondetevi… ora arriva il mostroben” faceva lui con la vociona per far paura, travestito nei modi più bizzarri con le cose che era riuscito a trovare in casa. E le risate delle bambine si alzavano e risuonavano nel salotto.
Era l’unico adulto che Semir avesse mai incontrato in perfetta sintonia con il mondo infantile; ciò che i genitori dovevano chiedere più volte e spesso imporre alle bambine, Ben otteneva con un sorriso ed una parola detta al momento giusto.
“Chi sa parlare con i bambini sa parlare con Allah” diceva sempre sua nonna paterna.
Quanto sperava fosse vero. Che lui potesse davvero parlare con Dio.
Quanto gli mancava.
La nostalgia lasciò subito  il posto alla rabbia che riprese a dominarlo come un fuoco perenne.
Rabbia contro chi aveva fatto questo, contro chi l’aveva privato di quell’affetto così importante.
Morti, li voleva vedere tutti morti.
Solo così poteva cacciare i demoni che si erano impadroniti della sua anima.
Tirò fuori dalla tasca della giacca l’arma che aveva acquistato.
Morti… non in prigione, morti. Li voleva vedere morti. Solo questa era la giusta punizione per ciò che avevano fatto.
Perso nei suoi pensieri di folle vendetta Semir udì dei passi dietro le sue spalle.
In quel momento le sue reazioni furono di puro istinto.
Istinto e vendetta si impadronirono della sua mente, ormai priva di razionalità.
Fulmineo si girò di scatto puntando la pistola, con tutta la rabbia ed il furore che aveva dentro di sé.
Puntò la pistola ansimando e solo dopo alcuni secondi si accorse di chi aveva davanti.
Sua moglie Andrea.

 
 “Dio mio…” Andrea non ebbe la forza di dire altro, mentre con le lacrime che le salivano guardava la canna della pistola che suo marito le stava puntando addosso.
Semir la abbassò subito, terrorizzato dal suo stesso comportamento.
“Andrea io… io non volevo… sei entrata all’improvviso… io…”
Ma la moglie ora non lo guardava più.
Guardava la porta su cui, impietrita, c’era Aida che li fissava con lo sguardo allucinato.
 
“Mi dispiace, io non volevo” provò a giustificarsi ancora una volta Semir.
Andrea aveva portato le bambine dalla vicina di casa ed ora stava seduta, immobile, come congelata, sul divano.
“Dove hai preso quella pistola? Sei sospeso dal servizio, non può essere l’arma di ordinanza ” chiese poi con un filo di voce, recuperando un minimo di lucidità.
 Semir non rispose, ma l’occhiata che le lanciò era più eloquente di qualsiasi parola.
“Semir… ti prego… ti devi far aiutare… ci dobbiamo far aiutare, altrimenti tutto questo rischia di distruggerci…” balbettò triste la donna.
“Non ho bisogno di farmi aiutare. Io li devo prendere, lo devo a Ben. Non posso aver pace sino a che non li ho presi tutti. Solo così potrò…”
“Mi  hai puntato la pistola addosso Semir. Alla presenza di tua figlia!!  E  cosa vuoi fare eh?” Andrea lo interruppe furiosa.
“Vuoi ucciderli tutti  così potrai calmare il tuo senso di colpa?  Questo vuoi fare? Credi che servirà? Che ci farà riavere Ben?” continuò urlando.
“Io lo devo fare… come fai a non capire??? Io li devo prendere!!” urlò a sua volta il marito.
“Dammi quella pistola! Ora!” intimò Andrea.
Ma Semir rimase immobile con aria quasi di sfida.
“Ti avverto Semir, se non mi consegni la pistola e non racconti quello che sai alla Kruger, quando torni non ci troverai qui. Non posso assistere indifferente alla tua distruzione…” urlò la donna  mentre il marito le voltava la schiena per uscire.

Appena salì in macchina Semir spense il cellulare.
Era più che certo che Andrea stava già telefonando alla Kruger e lui non poteva permettersi  di essere scoperto.
Non prima di aver portato a termine il suo compito.

 
Hartmut tirò un respiro profondo e cercò di calmarsi mentre tirava fuori la giacca e le altre cose che avevano trovato nell’auto di Ben.
Quanto avrebbe voluto che  i rilievi li facessero quelli della Delta, ma non era riuscito a convincere la Kruger. Lei l’aveva chiesto con le lacrime agli occhi e lui, nonostante il dolore che provava nel maneggiare quelle cose, non aveva saputo dire di no.
“Resta razionale Hartmut, sei uno scienziato, fai quello che devi fare e contribuisci all’indagine. Lo devi a Ben” si disse mentre stendeva la giacca sul tavolo da laboratorio.
Per un attimo chiuse gli occhi vedendo le macchie di sangue, ma poi prese ad esaminare l’indumento con cura.
Quasi subito si accorse della chiavetta nascosta nella tasca interna della fodera.
La tirò fuori e subito dopo aver rilevato le impronte la infilò nella porta USB del pc che aveva sul  tavolo.
“Cavolo” imprecò prendendo il telefono per chiamare la Kruger.
 
“Sono tutti contratti per l’acquisto dell’ esclusiva sulla produzione del  vaccino contro il vaiolo” fece Hartmut mostrando i documenti alla Kruger e a Burke, seduti nell’ufficio della prima.
“E sono tutti intestati alla Enterprise Farmaceutica, una piccola impresa con sede a Nassau, nelle Bahamas.  Susanne ci ha messo un po’ di tempo, ma ha scoperto che la maggioranza delle azioni di questa società è detenuta da Victor Klones, attraverso un sistema di società collegate” relazionò ancora Hartmut.
“Ecco cosa hanno in mente… un attentato con armi biologiche. E dopo la diffusione del virus vendere a peso d’oro il vaccino” ragionò sbarrando gli occhi Burke.
“Bisogna trovare quel bastardo…” disse Kim rendendosi conto che raramente diceva parolacce come in quella occasione.
Burke annuì e prese il suo cellulare.
“Marie… contatta il Procuratore. Fai emettere un ordine di arresto su tutto il territorio  federale per Victor Klones”
“Ancora non riesco a credere di  essermi fidato di Tanja Marcus. Se solo avessi accertato prima che aveva manomesso il rapporto di Gerkan, se avessi esteso l’ordine di perquisizione ai computer della sede della Klones… Ben deve aver dubitato anche di me, per aver tentato di fare tutto da solo…”
Kim avrebbe voluto consolarlo, ma proprio non se la sentiva. In fondo i suoi sensi di colpa erano giustificati.
“Non sarà facile rintracciare Klones. E non sappiamo neppure dove e come El Marough ha intenzione di agire” rifletté ancora Burke
“Dove lo sappiamo. Alla stazione di Colonia, ce lo ha detto Ben…” rispose  Kim triste.
“Sì, ma non sappiamo quando e come, e la stazione è praticamente un posto impossibile da controllare. Ci passano centinaia di migliaia di persone al giorno e basta un attimo per diffondere il virus… senza una pista precisa è impossibile intercettare l’attentatore”
La conversazione fu interrotta dallo squillo del cellulare della Kruger.
“Andrea… che succede?” fece preoccupata rispondendo alla chiamata.
 
 
“Credi che Gerkan sappia dov’è Klones?” chiese Mathias Burke vedendo lo sguardo preoccupato che aveva  Kim Kruger  dopo la telefonata con Andrea.
“Quasi sicuramente. Altrimenti non  si sarebbe procurato una pistola. Deve averglielo detto Tanja Marcus. Il che spiega anche la ferita alla coscia… E se Semir lo trova…” ragionò Kim.
“Forse stiamo  esagerando. A quanto posso sapere Gerkan non mi sembra il tipo da cercare vendetta ad ogni costo”
“Tu non lo hai visto. Non hai visto i suoi occhi. E’ sconvolto. E credimi, ora come ora, sarebbe davvero capace di tutto” rispose Kim.
“Klones è l’unico che ci può portare a El Marough. E’ di vitale importanza che lo possiamo interrogare. Tu credi davvero che Gerkan arriverebbe al punto di…”
“Non lo  so davvero. A questo punto non  lo so. Quello che so è che devo trovare Gerkan il prima possibile, ma come? Ha tolto la scheda dal cellulare…” fece Kim sconsolata.
“Forse…” fece timidamente Hartmut.
Tutti si voltarono nella sua direzione.
“Commissario si ricorda il rilevatore che ha fatto installare sulle macchine di servizio? Quello che doveva servire a monitorare il  percorso delle auto…” fece Hartmut.
“Certo, ma non è mai stato attivato…” rispose Kim.
In realtà aveva ordinato il meccanismo per tenere d’occhio le auto di Gerkan e Jager e capire l’oscura ragione per cui quei due erano capaci di distruggerne  una al mese. Ma il progetto era stato accantonato quando Ben aveva lasciato il Distretto.
“Forse  riesco  ad attivarlo da qui, senza operare sulla BMW di Semir…” propose Hartmut.
“Ci può riuscire? Quanto tempo ci metterà?”  disse speranzosa Kim.
“Ci provo. Ma ci vorranno almeno due o tre ore…”
“Che aspetta? Vada!!”
 
 
Semir era arrivato davanti alla villetta di Karolinestrasse di Norimberga ed era rimasto sul marciapiede di fronte a studiare la situazione.
 Sembrava disabitata, ma facendo attenzione aveva scorto una figura dietro le tende.
Chissà quanta gente c’era all’interno.
Non molta, forse oltre Klones una o due persone al massimo.
Doveva cercare un modo per entrare nella villa e arrivare al bastardo.
Mentre pensava e ripensava l’occhio gli cadde su di un piccolo furgoncino parcheggiato poco più in là.
Era della compagnia telefonica ed infatti poco più in là Semir vide degli operai impegnati a riparare una cabina.
Guardandosi intorno, lesto e senza farsi scoprire, forzò  il portellone posteriore e si infilò nel furgone richiudendolo.
Era fortunato, alla luce della piccola torcia  notò subito la pettorina ed il cappello con il logo che erano in una scatola.
Li infilò, poi prese una della tante cassette per gli attrezzi che erano a terra e scese dal furgone, dirigendosi verso l’ingresso della villetta.
 
“Buongiorno. Sono della ditta dei telefoni. Abbiamo avuto problemi con la cabina che serve questa zona, dovremmo fare un controllo sulla vostra linea” disse Semir appena l’uomo, alto e robusto aprì la porta della villetta.
Con lo sguardo cercò di  scoprire quante persone fossero in casa.
E soprattutto dove fosse Klones.
“Non abbiamo la linea fissa qui” fece l’uomo cercando di richiudere la porta.
Ma Semir la bloccò con il piede.
Tirò fuori la pistola e la puntò contro l’uomo.
“Se  emetti un solo  fiato ti pianto un pallottola in mezzo agli occhi” sibilò mentre spingeva la porta ed entrava in casa.
  

 
  
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