Chapter
Thirteen- Monster
If
I told you what I
was,
Would you turn your back on me?
And if I seem dangerous,
Would you be scared?
<<
Questo
posto non mi piace. >> Commentai, con il naso rivolto
all’insù.
L’edificio che ospitava il casinò Lete
era
enorme e sfavillante. Migliaia e migliaia di insegne luminose
inondavano
l’oscurità della notte, facendo sembrare il
grattacielo un enorme albero di
Natale di vetro e cemento armato. Non avevamo impiegato molto tempo a
trovarlo,
data la grandezza, ma era diverso dagli altri casinò di Las
Vegas. Innanzitutto
era decisamente sovraffollato, e poi sembrava che persino i senzatetto
potessero entrarci.
<<
Già, mio padre ha un pessimo gusto in fatto
di decorazioni. >> Lux si strinse nelle spalle, facendomi
l’occhiolino.
Il casinò Lete era gestito da- rullo
di
tamburi- Lete, il dio del fiume infernale. Non si poteva
certo dire che il
padre della ragazza brillasse per originalità, ma perlomeno
era dalla nostra
parte, o almeno speravamo. La divinità aveva contattato sua
figlia quel
pomeriggio, dicendole che era disposto ad aiutarci. Non sapevamo
esattamente in che
modo avrebbe potuto aiutarci, dato che in quel periodo
avremmo avuto bisogno
di un’intera squadra di medici e psicologi al seguito, ma non
eravamo nella
condizione di rifiutare una mano.
<<
Beh, prima ce ne andiamo meglio è. Dite che
possiamo entrare conciati così? >>
Domandò Adrian, squadrandoci da capo a
piedi. Mi grattai la nuca, dubbiosa. Eravamo decisamente in tenuta da
combattimento. Nico con gli anfibi e la maglietta nera, io e Lux con i
pantaloncini e i capelli raccolti, mentre il figlio di Nyx indossava la
maglietta arancione del campo. Ognuno si teneva ben stretta la propria
arma.
Sentire l’elsa di Gioiosa premere
contro le ossa del mio bacino mi infondeva sicurezza.
<<
Non ho alcuna intenzione di infilarmi uno
stupido smoking, quindi andiamo e basta. >> Nico mise
fine alle nostre disquisizioni
con tono sbrigativo, e si diresse verso il grande ingresso
dell’edificio.
Superammo un’Idra che sputava acqua nella vasca sottostante,
camminando spediti
sul tappeto rosso, stile Hollywood. Alcuni turisti in visita ci
lanciarono
occhiate stupite, probabilmente perché sembravano quattro
ragazzini strafatti
che andavano in giro vestiti da clown.
<<
Benvenuti al casinò Lete, signorine e
signorini. >> All’ingresso fummo bloccati da
due donne dall’aria molto
cordiale, che secondo il mio modesto parere non erano umane, proprio
per niente.
I loro capelli fluttuavano come mossi da una corrente marina, e la loro
pelle
assumeva una sfumatura leggermente bluastra quando tutte le lampadine
cambiavano colore, circa ogni venti secondi.
<<
Siamo le ancelle di Lete. Vi chiediamo
gentilmente di consegnarci le vostre armi. La politica del
casinò è molto
chiara a riguardo. Niente violenza, o sarete sbattuti fuori.
>> Sorrise
gentilmente l’altra. Lanciai un’occhiata a Lux. Era
lei la figlia del dio in
questione, perciò era lei che avrebbe dovuto ricorrere alla
sua parlantina in
caso di bisogno. La ragazza aprì la bocca, ma fu interrotta
da una delle due
ancelle.
<<
Oh, sappiamo chi sei, cara… Ma tuo padre ha
deciso che la politica del casinò va applicata a tutti i
suoi ospiti. Perciò…
>> Tese le mani verso di noi, in un gesto eloquente.
Estrassi Gioiosa dal fodero, con
titubanza. La
donna me la strappò di mano senza troppi complimenti, e fece
la stessa cosa con
la spada di Nico e quella di Adrian. L’operazione fu un
po’ più complicata con
Lux, dato che dovette consegnarle arco, frecce e faretra, ma alla fine
ne
uscimmo tutti pulitissimi.
<<
Le vostre armi vi saranno riconsegnate
all’uscita dal casinò, speriamo che il vostro
soggiorno sia piacevole. Buona
serata. >> Dissero all’unisono, poi si
spostarono, lasciandoci entrare.
L’ingresso era enorme. Al centro c’era
un’altra fontana scultura rappresentante
Idra , soltanto cinque volte più grande di quella esterna, e
dieci ascensori
caricavano e scaricavano tutti i visitatori ad una velocità
impressionante.
Lete aveva messo su un bell’affare, non c’era che
dire. Dovetti aggrapparmi
all’orlo della maglietta di Adrian per non essere travolta
dalla calca.
<<
Non perdetevi! >> Esclamò Nico,
cercando di sovrastare il vociare rimbombante. Alzai gli occhi al
cielo,
cominciando a spintonare la gente. Non sopportavo i luoghi affollati.
Tutto
quel contatto, sconosciuti che invadevano continuamente il tuo spazio
vitale…
No, decisamente non faceva per me. Alla fine riuscimmo ad arrivare
indenni al
bancone della reception. Il mio piede sinistro pulsava
ininterrottamente, dopo
essere stato pestato almeno una decina di volte, però ero
tutta intera.
<<
Posso fare qualcosa per voi, ospiti
mezzosangue? >> Un’altra donna con i capelli
fluttuanti picchiettava
sulla tastiera di un computer ad una velocità incredibile.
Non alzò nemmeno lo
sguardo mentre ci parlava. Urlò alla sua collega di
rispondere al telefono, poi
ci sorrise.
<<
Ehm… Dovremmo incontrare mio padre.
>> Rispose Lux, giocando nervosamente con la sua lunga
treccia argentea.
L’ancella alzò un dito, facendoci segno di
aspettare. Tornò concentrarsi sul
fisso di ultima generazione, con sguardo attento. Passò
qualche secondo, poi le
sue labbra si dischiusero in un sorriso a trentadue denti. Denti
bianchissimi,
dovevo dire.
<<
Oh, sì. Vi stava aspettando. Purtroppo per
raggiungere l’attico non è possibile prendere
l’ascensore. >> Si rabbuiò
per un attimo.
<<
Ma ovviamente ci sono le scale! >>
Trillò, felice. Oh, no. Per
favore,
assolutamente no. La mia gamba era ancora piuttosto malconcia, per non
parlare
poi del dolore pulsante alla spalla, che continuava a peggiorare ogni
volta che
facevo qualche sforzo.
<<
A che… A che piano è? >> Chiese
Adrian, cauto.
<<
Al cinquantesimo. Una passeggiata, no?
>>
<<
Già, cose da niente. >> Ringhiò
Lux,
sarcastica. Nico le afferrò il braccio prima che potesse
sbatterlo sul bancone
della reception, poi la trascinò via. Adrian ed io ci
affrettammo a seguirli,
non volendo rimanere indietro. Certo, quel posto era soltanto un
casinò… Però era
gestito da una divinità, pur sempre il padre di Lux, ma non
mi fidavo comunque.
Gli dei aiutavano molto raramente i mezzosangue, per qualche strano
motivo.
Probabilmente si ritenevano superiori ai mortali,
e preferivano vivere nella loro finta e fragile bolla di
perfezione, che
prima o poi sarebbe scoppiata. Dritta in faccia a loro.
<<
Sverrò prima di arrivare in cima. >>
Borbottai, accasciandomi contro la parete, nonostante non avessimo
nemmeno
salito un gradino. Per quale motivo non potevamo usare gli ascensori?
Volevo
farci venire un infarto? Eravamo troppo giovani per morire. Non sarei
rimasta
sorpresa se lungo il percorso ci fossero stati degli ostacoli. Stile
gioco
dell’oca.
Ops!
Sei caduto nella trappola. Vieni ucciso da un branco di Gorgoni e torni
al VIA.
Dei, stavo
impazzendo. Anche se l’idea di
considerare l’intera impresa come un gioco da tavolo mi
faceva spuntare il
sorriso sulle labbra. Ero sempre stata brava con i giochi in scatola.
Soprattutto a Cluedo. Di solito riuscivo sempre a capire chi era
l’assassino
prima degli altri. Chissà se in quel frangente la mia
abilità da detective mi
avrebbe aiutata a scovare la Cassandra Scarlett della situazione.
<<
Genesis? >> Sentii la mano di Nico
sulla schiena. Il suo sguardo si soffermò sui miei
pantaloncini. Sapeva che
stavo pensando alla mia gamba, e il fatto che certamente fare cinquanta
piani
di scale a piedi non mi avrebbe di certo guarita. Comunque avevo del
nettare
d’ambrosia nello zaino, e non è che un paio di
gradini mi avrebbero ammazzata… Giusto?
D’accordo, in realtà avrei
preferito mille volte combattere contro un’Empusa arrabbiata,
ma soltanto
perché ero piuttosto pigra. I miei migliori amici erano gli
ascensori.
<<
Ce la faccio. >> Risposi. Adrian e
Lux stavano già iniziando a salire a passo sostenuto, ma con
calma.
<<
Lo so. >> Rabbrividii, percependo il
suo respiro sul collo.
<<
Volevo solo sapere se stai bene. >>
Mi affiancò. Sembrava molto nervoso senza la sua fedele
spada al seguito. Beh,
non lo biasimavo. Io avevo Gioiosa da
pochi giorni e già mi mancava. Mi chiesi cosa sarebbe
successo se ci fossimo
imbattuti nei mostri. Non avremmo avuto via di scampo, a parte
scappare. Una
fortuna che fossi una maestra nell’arte della fuga.
<<
Mai stata meglio. >> Sbuffai. Non
avevamo ancora avuto l’occasione di parlare di tutto
ciò che era successo la
sera prima… In realtà stavamo entrambi evitando
quell’argomento. Lui non mi
sembrava arrabbiato, ma ripensando alle mie braccia attorno al suo
collo e al
profumo della sua maglietta contro la mia pelle cominciava a battermi
il cuore
a mille e mi sentivo la gola secca. Nico aprì la bocca per
rispondere, ma fu
interrotto.
<<
Ragazzi, volete sbrigarvi!? >>
Sbraitò Lux, ormai giunta alla seconda rampa di scale. Alzai
gli occhi al
cielo. Speravo che arrivati all’attico di Lete ci sarebbe
stato offerto almeno
uno spuntino, dato che avevo già fame.
Sempre
ammettendo il fatto che saremmo sopravvissuti
a cinquanta piani.
<<
Non mi sento più le gambe. >>
Ansimò
Adrian, accasciandosi contro l’unica porta che avevamo
trovato al cinquantesimo
piano. Sorprendentemente non c’era nessuno ad accoglierci. Mi
sarei aspettata
come minimo una decina di guardie armate, e le ancelle con la pelle
blu, ma
l’anticamera dell’attico era deserta. Strinsi i
denti, immobilizzandomi la
spalla con la manica della maglietta. Ad ogni passo che facevo il
dolore
peggiorava; non era niente in confronto a quello alla gamba.
<<
Ci abbiamo messo venticinque minuti. Un
record. >> Nico si passò una mano sulla
fronte, asciugandosi il sudore.
Estrassi la bottiglietta dell’acqua dal mio zainetto, praticamente finendola
senza nemmeno
respirare. Avrei voluto versarmela in testa, ma non ne rimaneva molta.
In quel
momento mi sarei stesa sul pavimento per dormire, ma purtroppo Lux era
già
passata all’azione. Bussò un paio di volte alla
porta dell’attico, con aria
piuttosto tesa. Del resto quando un dio proponeva il suo aiuto non
c’era da
fidarsi. Avrebbe potuto tenderci una trappola, o cose del genere.
Magari era
dalla parte di Chaos. Tutti quei dubbi cominciarono a farmi pensare che
forse
la missione non si sarebbe svolta come previsto. Per fortuna eravamo
riusciti a
convincere Emma a restare al Campo. Non potevamo permetterci che le
succedesse
qualcosa di brutto.
<<
Lux, figlia mia! >> Lete era un uomo
sui quarant’anni, con i capelli argentei e un paio di iridi
azzurro liquido,
che sembravano galleggiare placidamente attorno alla pupilla bluastra.
Il dio
abbracciò sua figlia con trasporto, come se non la vedesse
da mesi e mesi. Per
un momento mi sentii triste. A Lete importava di Lux, le voleva bene.
Mia madre
non mi aveva nemmeno sfiorata quando ci eravamo incontrate per la prima
volta
nella radura. Per lei probabilmente ero soltanto un peso, oppure uno
strumento
d’intermediazione con gli dei. Senza di me nessuno le avrebbe
mai creduto,
nemmeno Apollo.
<<
Vedo che ci sono anche i tuoi amici. Mi
dispiace che la piccola Emma non sia potuta venire. Prego, entrate!
Fate come
se foste a casa vostra. >> L’uomo ci
mostrò un sorriso candido, scostandosi
dall’uscio. Varcammo la soglia uno alla volta, con titubanza.
Quando mi trovai
davanti l’attico rimasi a bocca aperta. Era una specie di
loft enorme, con una
piscina gigantesca proprio al centro del salone. Dal lato opposto della
stanza,
a circa venti metri di distanza, c’erano i fornelli e un
tavolo ultramoderno,
dall’aria leggera. Le ancelle di Lete spolveravano qua e
là, con velocità e
maestria. Un grande letto matrimoniale dava sulla vetrata del
cinquantesimo
piano. Da lassù la vista era mozzafiato.
<<
Bella catapecchia. >> Commentò Adrian
a mezza voce. Si passò una mano tra i capelli, come in
trance.
<<
Carino, vero? La piscina è riempita con
l’acqua del mio fiume. >> Spiegò
Lete, con un gesto teatrale.
Effettivamente l’acqua della piscina si muoveva placidamente,
scossa da una
forza misteriosa, che sembrava provenire dalle particelle stesse.
<<
Perché? >> Domandò Nico,
incrociando
le braccia sullo stomaco. Non dava l’impressione di essersi
particolarmente
stupito, ma sapevo che odiava mostrare i suoi sentimenti,
perciò aveva addosso
la solita maschera impenetrabile che lo caratterizzava.
<<
Ho promesso che vi avrei aiutato, e così
farò. Prima però mi serve un volontario. Non
potete entrare tutti nella vasca.
>> Lete ignorò il figlio di Ade, facendosi
improvvisamente serio. Perché
diamine stava chiedendoci di fare il bagno? Non avevo nemmeno il
costume. Ci
lanciammo uno sguardo preoccupato.
<<
Perché? >> Fu Lux a chiederlo.
Avevamo deciso che sarebbe stata lei a fare da mediatrice, del resto
era sua
figlia.
<<
Un volontario… >> Cantilenò Lete,
scuotendo la testa.
Un volontario
per cosa? Sinceramente per la
settimana ne avevo avuto abbastanza di
missioni suicide. Non volevo entrare in quella stupida piscina. Magari
il dio
desiderava soltanto i miei ricordi, oppure ci stava prendendo in giro e
mi
avrebbe annegata, o cose del genere. Portai una mano al fianco,
dimenticandomi
che Gioiosa era rimasta al piano
terra. Con la coda dell’occhio osservai la porta. Due ancelle
si erano
posizionate davanti all’uscio, impedendoci la fuga. Era come
se Lete avesse
voluto intrappolarci all’interno. Guardai Nico, accanto a me.
Aveva la bocca
serrata in una linea sottile, ma dalla sua espressione capii cosa stava
per
fare. Voleva offrirsi come volontario. La sua scelta sarebbe stata
piuttosto
sensata, dato che era il più grande e il più
potente tra noi quattro. Senza
nulla togliere ad Adrian, ma quel ragazzo era figlio di Ade. Le sue
abilità
erano sconfinate, ed era abituato a combattere, a differenza nostra.
Però… No.
<<
Io. Voglio
essere io. >> Dissi, prima che Nico potesse
parlare. Percepii quattro
paia di occhi puntati verso di me.
<<
Non… >>
<<
Perfetto! >> Lete interruppe il
diciottenne, prendendomi per mano. La sua pelle era cada e asciutta, in
modo
quasi rassicurante. Non era un uomo cattivo. Non aveva l’aria
da moglie arcigna
come Era, né l’aspetto isterico di Zeus. Sembrava
semplicemente un ricco,
gentile ed attraente proprietario di un grande casinò.
<<
Se non ti dispiace, dovresti spogliarti.
Funzionerà meglio se sei senza vestiti. >>
Sorrise il dio.
La mia mascella
toccò terra. Cosa!? Non
avevo alcuna intenzione di immergermi nuda- davanti a
ben due ragazzi- in quella
stupidissima piscina. Lanciai uno sguardo di supplica a Lux, ma lei
scosse la
testa, come per scusarsi. Sbuffai. Ero stata io a fare quella scelta,
perciò
sarei andata fino infondo. Mi liberai dello zainetto, lasciandolo
cadere sul
pavimento. La mia spalla protestò a gran voce mentre mi
sfilavo la maglietta,
buttandola da qualche parte. Sentii lo sguardo di Adrian e Lux
perforarmi la
schiena. Si stavano sicuramente chiedendo perché fosse piena
di graffi. Nico
non aveva detto a nessuno di ciò che era successo la notte
prima. Non voleva
che nessuno si preoccupasse, dato che avevamo già abbastanza
problemi di cui
occuparci. Le mie mani tremavano mentre sbottonavo i pantaloncini di
jeans,
facendoli scivolare lungo le gambe. Poi scalciai via scarpe e calzini,
stringendomi le braccia attorno alla gabbia toracica.
<<
Adesso? >> Domandai, con voce
incredibilmente ferma. Ringraziai il cielo di non essermi messa il
reggiseno
con gli ippopotami. Sarebbe stato davvero imbarazzante.
<<
Ti spiegherò brevemente cosa succederà.
>> Cominciò il dio, nel silenzio
più assoluto. Ordinai al mio cuore di
battere più lentamente; avevo paura che gli altri
riuscissero a sentirlo.
<<
Come sai, il fiume Lete è il fiume
dell’oblio, della dimenticanza. Ma ha anche
un’altra… funzione. >>
Continuò.
<<
Svariati millenni fa, sono stato incaricato
dagli dei di conservare i loro ricordi più preziosi, in modo
che non fossero
mai caduti in dimenticanza. Ebbene, te ne mostrerò uno. Un
ricordo in
particolare che sarà utile per la vostra impresa.
>> D’accordo, fino a
quel punto niente di preoccupante.
<<
Ti immergerai nell’acqua. Dovrai riuscire a
trattenere il fiato per un po’, perché non appena
tornerai fuori le immagini si
fermeranno, e andranno perdute per sempre. >> Ecco.
Mi sembrava un
po’ troppo facile. Non ero mai stata
ad un corso di sub, e- nonostante mi piacesse l’acqua- non
avevo mai battuto il
record mondiale di apnea. Se solo Percy fosse stato lì, in
quel momento… Non ci
saremmo trovati in quella situazione molto rischiosa. Annuii. Non
potevo
permettermi di avere paura. Dovevo concentrarmi, e pensare a cosa
sarebbe successo
se non avessi resistito abbastanza. Non potevo fallire, ne andava della
riuscita dell’impresa. Non volevo che il mondo andasse a
pezzi a causa mia. Non
volevo che Chaos si risvegliasse perché non ero abbastanza
forte. Gli avrei
dimostrato che sotto la ragazzina impaurita si nascondeva un eroe. Fu quella parola ad infondermi
coraggio.
Scesi lentamente i gradini che portavano sul fondo della piscina.
L’acqua non
era caldissima, ma nemmeno troppo fredda. Rabbrividii quando il liquido
cristallino arrivò a sfiorarmi le costole. Presi un respiro
profondo, e poi mi
tuffai. L’acqua si richiuse sopra la mia testa, e divenne
tutto nero.
Mi
trovo nella sala del trono. Gli intarsi dorati alle pareti non sono
cambiati,
ma le poltrone sono sparite, lasciando spazio a lunghi tavoli per i
banchetti. I
piatti sono stracolmi di pietanze prelibate; risa e chiacchiere si
diffondono
nell’aria, rendendo l’ambiente caldo ed
accogliente. Gli dei e le ninfe sono
riuniti attorno ai tavoli, e mangiano con eleganza e compostezza,
parlando tra
loro e con i propri vicini. Sono tutti rilassati, e felici. Atena e
Poseidone
si lanciano occhiatacce da lontano, ma l’astio reciproco non
sta rovinando la
festa. Un uomo e una donna che non ho mai visto si tengono per mano,
guardandosi negli occhi. Sono amanti.
<<
Sono davvero molto offesa, Teti. >> Nella sala del trono
cala il
silenzio. Mia madre ha spalancato il portone. E’ bellissima.
I capelli rossi le
ricadono sulla schiena, e il peplo bianco le fascia il corpo perfetto,
mettendone in risalto ogni curva. Ai piedi indossa un paio di sandali
chiari.
In mano tiene una mela. Una mela d’oro.
<<
Eris. >> E’ stato Zeus a parlare. Si alza in
piedi, riducendo gli occhi
blu a due fessure.
<<
Ma, nonostante reputi questo mancato invito una grave mancanza di
rispetto,
sono venuta per porgere i miei omaggi agli sposi. E consegnare il mio
regalo.
>> Il ghigno sulle labbra di mia madre fa quasi paura. Si
avvicina con
passo baldanzoso fino ai tavoli del banchetto. La mela che ha in mano
non passa
inosservata. La posa esattamente al centro della tovaglia, vicino ad un
piatto
pieno di frutta prelibata.
<<
η πιο
όμορφη >>
Dice, a voce alta.
Alla
più bella.
<<
E’ stato un piacere passare a salutarvi. Buon proseguimento.
>> Poi
lancia un’occhiata ad Atena, Era ed Afrodite, e scompare.
Nella
sala del trono si levano esclamazioni indignate, ma non presto molta
attenzione. Vicino ad un focolare c’è una bambina.
E’ piccola, ma nei suoi
occhi si legge la saggezza di una dea. Tiene in mano un calice dorato,
molto
simile a quello degli altri dei. La bambina sta piangendo. Ha capito
cosa ha
scatenato Eris. Sa che a breve scoppierà la guerra di Troia.
Una lacrima
risplendente cade nel calice d’oro, e improvvisamente capisco.
L’ho
trovato.
Ho
trovato il calice della vita
Quando riaprii
gli occhi ero ancora sott’acqua, e la
testa mi stava scoppiando. Riemersi velocemente, cominciando a tossire
e
sputacchiare. I polmoni mi facevano male, ma ero riuscita a resistere.
Finalmente sapevo cosa era il calice della vita. Non sapevo che le
lacrime di
una dea bambina sarebbero state così importanti, ma restava
ancora da scoprire
dove diamine fosse stato nascosto. La terra della morte…
Cosa c’era di più
mortale del Tartaro? Salii di fretta i gradini, desiderosa di poter
uscire da
quell’acqua così strana, ma me ne pentii subito.
L’aria dell’attico era fredda,
ed io completamente bagnata. Un’ancella di Lete si
materializzò accanto a me,
avvolgendomi un asciugamano attorno alle spalle.
<<
Oh, per gli dei… >> Lux mi
abbracciò,
rischiando di stritolarmi. Ricambia la stretta, sorpresa. Non avevo mai
avuto
una vera amica, eppure lei si comportava come tale.
<<
Ehi, sto bene! >> Esclamai, evitando
di farle notare che mi aveva distrutto la spalla dolorante. La figlia
di Lete
era pallidissima. Nemmeno il colore ambrato della sua pelle riusciva a
nascondere il bianco delle guance.
<<
Non ti muovevi… Sembravi morta. >>
Borbottò, con gli occhi spalancati. Ah.
Mentre avevo la
visione
mi ero completamente dimenticata di essere in acqua. Soltanto quando mi
ero
svegliata avevo capito che ero lì sotto da troppo tempo, e i
miei polmoni
avevano un disperato bisogno d’aria. Mi strinsi nella
salvietta, mentre ai miei
piedi- sul lussuoso parquet- si formava una grande pozza trasparente.
Lanciai
uno sguardo di scuse a Lete, ma lui si limitò a sorridere.
Se lui custodiva i
ricordi degli dei non poteva semplicemente dirci cosa era il calice
della vita,
invece di farmi quasi affogare? Lasciai da parte quel pensiero. Infondo
gli dei
erano tutti uguali. A loro piaceva far dannare i propri figli
mezzosangue.
<<
Hai trovato quello che cercavi, Genesis
Hale? >> Domandò Lete, facendosi
improvvisamente serio.
<<
Sì. >>
Rimaneva
soltanto da scoprire dove diamine si nascondesse.
<<
Mi fanno male i piedi. >> Borbottò
Lux, rovesciando i suoi scarponcini scuri, che cominciarono a vomitare
sabbia
dorata e sottile. Le luci di Las Vegas illuminavano
l’ingresso del deserto del
Nevada, il luogo perfetto per fare un viaggio nell’ombra e
non essere visti dai
mortali, a detta di Nico. Purtroppo per raggiungerlo eravamo stati
costretti a
camminare per un’ora intera, schivando turisti spaesati e
gente che rincorreva
i ladri di portafogli o i truffatori. Sbuffai, lasciandomi cadere su un
masso
relativamente piatto, perfetto per riposarsi qualche istante. Avevo
ancora i
capelli fradici, per non parlare delle mutande e del reggiseno, che
avevano
inzuppato anche i pantaloncini di jeans e la canottiera scura. Non che
l’acqua
mi desse particolarmente fastidio, ma la sensazione di viscido sulla
pelle mi
faceva venire i brividi. Nel deserto non c’erano gli
scorpioni? Per non parlare
poi dei serpenti velenosi, e…
<<
Possiamo riposarci per qualche minuto e poi
tornare al campo. >> Suggerì Adrian. Gli
lasciai un po’ di spazio, e lui
si accomodò accanto a me, poggiando i gomiti sulle
ginocchia. Annuii, ma ero
inquieta. Era stranissimo che nessun mostro ci avesse attaccati.
Eravamo in
quattro semidei, per di più tutti insieme nella stessa
città. A detta del
figlio di Ade eravamo come un razzo segnalatore per le creature del
tartaro,
eppure non avevamo ancora ricevuto visite indesiderate. Poggiai Gioiosa sulle mie gambe, facendo passare
le dita sulla lama fredda, perfettamente lavorata. Il bronzo celeste
scintillava nel buio della notte, infondendomi una sensazione di
sicurezza.
<<
Io muoio di fame. Chi vi ha dato il
permesso di prendere i posti migliori? >> Si
lamentò Lux, intenta a
rifarsi la treccia, ormai completamente disfatta. Quella massa di
capelli non
doveva essere di certo facile da controllare. Erano tanti, e
lunghissimi.
Ripensandoci anche io avrei dovuto tagliarmeli. Ormai mi arrivavano
alla vita,
e il sudore me li faceva appiccicare al collo. In quel momento avrei
voluto
essere un maschio. Adrian ridacchiò, ma non era affatto
intenzionato ad
alzarsi. Gli lanciai una lunga occhiata di sottecchi. I suoi occhi
erano
identici a quelli di Emma, per non parlare della curvatura delle labbra
e la
forma del naso. Si sarebbe visto anche ad un chilometro di distanza che
erano
fratelli.
<<
Li ha visti prima Genesis. Invece di
lagnarti potevi darti una mossa. >> Sorrise il figlio di
Nyx. Lux gli
fece la linguaccia, incrociando le braccia sotto il seno. Era riuscita
a
pettinarsi con le mani, e la treccia che le ricadeva sulla spalla era
perfetta.
Come diavolo aveva fatto? Io ci avrei impiegato come minimo
mezz’ora. Mi legai
i capelli in una coda sbrigativa, scostandomi dagli occhi delle
fastidiose
ciocche che mi ostruivano la visuale.
<<
Dovremmo andarcene. >> Commentò Nico.
Si era deciso ad aprire la bocca? Era dalla nostra breve visita da Lete
che non
parlava. Si era chiuso in uno strano mutismo, e rispondeva alle domande
con
grugniti o sguardi scocciati. Quel ragazzo era decisamente ingestibile.
Se ne
stava in piedi a fissare un punto indefinito. Sembrava preoccupato,
come se
aspettasse qualcosa con ansia. Forse aveva paura che un mostro ci
attaccasse.
<<
Sei sicuro di farcela, amico? Ci è avanzato
del nettare. >> Disse Adrian, sventolando in mano una
boccetta di
ambrosia. Non c’erano stati problemi con il viaggio
nell’ombra per arrivare a
Las Vegas, perché Nico non era stanco. Ma in quel
momento… E poi avrei
preferito di gran lunga farmela a piedi fino a New York. Al solo
pensiero di
quel tunnel oscuro mi vennero i brividi.
<<
Sto bene. Soltanto… Speravo che Lete ci
avrebbe rivelato qualche informazione più utile.
>> Scrollò le spalle,
scuotendo la testa.
<<
Ci ha rivelato un’informazione utile. Ora sappiamo
cos’è il calice della vita. >>
Risposi, stringendomi nelle spalle. Poi mi
alzai in piedi, allungando le braccia verso l’alto, cercando
di sciogliere i
miei muscoli doloranti.
<<
Ma non sappiamo a cosa serve, né dove è
stato nascosto. Forse se… >> Il figlio di Ade
si interruppe, lanciandomi
una strana occhiata. Mi piantai le mani sui fianchi, inarcando le
sopracciglia.
Cosa stava tentando di insinuare?
<<
Forse se cosa? >>
Domandai, sulla difensiva. Lui rimase in silenzio
per un secondo. Temetti che non mi avrebbe risposto, e forse avrei
fatto meglio
a sperarlo.
<<
Se avessi lasciato entrare me,
probabilmente non saremmo tornati a mani vuote. >>
Spiegò, con tono
piatto. Fui tentata di scoppiare a ridere e di saltargli al collo al
tempo
stesso. Sapevo che
sarei dovuta aspettarmi
una risposta del genere. Del resto era di Nico Di Angelo che si
trattava.
<<
Perché sai trattenere il fiato più a lungo?
>> Ringhiai, avvicinandomi di un passo. Lui si
voltò verso di me, incrociando
le braccia al petto. Gli lanciai l’occhiata più
cattiva del mio repertorio.
Odiavo quella sua espressione impenetrabile. Riusciva a nascondere
così bene i
suoi sentimenti da essere superiore a tutto e a tutti. Anche io avrei
voluto
riuscirci.
<<
Perché ho più esperienza di te, ragazzina.
>> Ribatté con voce
aspra. Digrignai i denti.
<<
Non chiamarmi ragazzina, idiota
presuntuoso. >>
<<
Io
sarei un idiota presuntuoso? Tu non riesci proprio a capire il ruolo
che hai in
questa storia. >> Mi puntò un dito contro, con
fare accusatorio.
<<
Oh, invece capisco perfettamente! Non sono
versi difficili di interpretare, sai com’è. Devo
morire, punto. >> La mia
voce stava cominciando ad alterarsi. Non ero una che urlava molto
spesso, ma in
quel momento mi sarei messa volentieri a gridare a pieni polmoni.
<<
Devi morire al momento giusto. >>
Ringhiò. Barcollai all’indietro, come se mi avesse
mollato uno schiaffo.
Deglutii, sentendo le lacrime salire agli occhi. Non pensavo che
sarebbe stato
capace di dire una cosa del genere, anche se effettivamente aveva
ragione.
<<
Sono felice che ti importi così tanto di
me. >> Sibilai, con voce gelida. Sentivo lo sguardo di
Lux ed Adrian
perforarmi la schiena. Nico mi afferrò per un polso, prima
che potessi girare i
tacchi e scappare nel deserto a gambe levate, diretta verso
chissà dove.
<<
Non è quello che intendevo. >>
<<
Ah, davvero? Allora cosa intendevi?
>>
<<
Ragazzi. >> Disse Lux. La ignorai.
<<
Sei tu che mi fai dire cose che non voglio.
>> Abbaiò il figlio di Ade, rincarando la
stretta. Mi stava quasi facendo
male. Non provai nemmeno a divincolarmi, tanto sapevo che sarebbe stato
inutile.
<<
Quindi adesso è colpa mia. Cercavo soltanto
di tenerti al sicuro, Nico. Non volevo che tu ti immergessi in quella
stupida
piscina, d’accordo? >> Ok, gli stavo
praticamente sbraitando in faccia.
<<
Non ho bisogno della tua protezione, Hale!
>>
<<
Ragazzi, sul serio.
>> Ritentò Lux. Le lanciai
un’occhiataccia, poi mi
bloccai. Lei ed Adrian non stavano fissando noi. Il loro sguardo era
rivolto
verso l’alto. Erano entrambi piuttosto pallidi. Il figlio di
Nyx aveva
sguainato la spada, mentre la ragazza teneva in mano l’arco,
con una mano
dietro alle spalle, infilata nella faretra. Deglutii. Nico ed io ci
voltammo
contemporaneamente.
Mi trovai di
fronte a due occhi gialli ed enormi.
Anzi, a diciotto occhi gialli ed enormi; perché un drago a
nove teste ci
fissava con aria poco amichevole. La prima cosa che mi venne in mente
fu come
diavolo avevamo fatto a non accorgerci di quel mostro orribile. La
seconda una
serie di immagini di noi che morivano carbonizzati o in modi persino
più
atroci, tipo bruciati a fuoco lento come degli spiedini di carne.
Spalancai la
bocca, incerta se urlare o scoppiare a piangere, ma il diciottenne mi
atterrò
prontamente. Sentii il calore di una fiammata sul volto, poi rotolammo
via
insieme. Mi alzai velocemente, estraendo Gioiosa
dal fodero. La spada dello Stige di Nico roteò a
qualche centimetro dal mio
volto.
<<
Non tagliate le teste! >> Sbraitò
Adrian, prima di nascondersi dietro al masso dove era seduto.
Improvvisamente
capii di fronte a cosa ci trovavamo.
Era
un’Idra. Il drago a sette teste che Ercole era
riuscito a sconfiggere. Il drago che in quel momento ci stava ruggendo
contro,
e di certo non stava tentando di avere con noi una conversazione
amichevole.
Lux riuscì a mirare all’occhio di una delle teste,
mezzo accecando quel mostro
orribile. In tutta risposta l’Idra sputò una
vampata di fuoco, che la figlia di
Lete riuscì a schivare soltanto per un pelo. Cercai
disperatamente di portare a
galla le poche cose che avevo studiato sulla letteratura greca. Come
aveva
fatto Ercole? Fuoco, serviva del fuoco. Avremmo dovuto bruciare i
moncherini
delle teste, altrimenti ne sarebbero ricresciute due, e allora la
situazione si
sarebbe fatta davvero disperata. Il problema principale era che non
avevo idea
di come saremmo riusciti ad accendere un fuoco di notte, nel bel mezzo
del
deserto.
<<
Dobbiamo scappare. Raggiungiamo Lux ed
Adrian, poi vi porto al campo. >> Comunicò
Nico. Evidentemente era giunto
alla nostra stessa confusione. Provai a fare un passo in direzione dei
due, ma
un muro di fuoco si frappose tra noi. L’Idra non aveva alcuna
intenzione di
lasciarci andare. Vivi, perlomeno. Non potevamo ucciderla, non potevamo
fuggire…
E allora cosa avremmo fatto? Improvvisamente mi venne
un’idea. Era un piano
folle e suicida, ma dovevo tentare.
<<
Distraetela! >>
<<
Devo riuscire a raggirarla senza che mi
veda! >> Sbraitai poi, e partii di corsa. Sentii Nico
imprecare in una
lingua a metà tra il greco antico e lo slang del Bronx,
lanciandosi al mio
inseguimento. Fui tentata di tirargli in testa la spada, ma evitai.
Adrian
cominciò a mulinare le braccia, attirando
l’attenzione del mostro, mentre dalla
direzione di Lux cominciava a partire una raffica di frecce
dall’aria piuttosto
letale. Schivai per un pelo la coda dell’Idra, che mi avrebbe
certamente
mozzato la testa, e continuai la mia corsa.
<<
Cosa vuoi fare!? >> Gridò il figlio
di Ade, allontanando con un fendente l’enorme zampa del
drago, che stava per
spiaccicarlo come una frittella. L’Idra ruggì di
dolore, arrabbiandosi ancora
di più.
<<
Fidati di me! >> E poi arrivai di
fronte al mostro. Avevo il cuore che batteva a mille, e sentivo che
sarei
potuta svenire da un momento all’altro. Lascia cadere Gioiosa sulla sabbia, deglutendo. Poi
urlai, con voce acuta. Il
drago si bloccò, abbassando lo sguardo su di me. Mi trovai
di fronte un’enorme
testa squamosa, e un paio di occhi gialli dalla pupilla allungata.
Occhi
incantatori, brillanti.
<<
Fermati.
Io ti ordino di fermarti. >> Dissi, con tono deciso.
L’Idra emise uno
sbuffo dal naso, confusa. Incatenai i miei occhi con i suoi, sentendo
il mio
potere fluire verso il mostro. Riuscivo a vederlo, come una leggera
brezza
fresca che mi faceva rizzare i peli delle braccia, quasi fosse
elettricità
statica.
<<
Non essere il mostro che vogliano tu sia.
>> Continuai, con voce più dolce. Il drago
socchiuse i grandi occhi,
prorompendo in una specie di lamento. Con un tonfo fragoroso si sedette
a
terra. Sentivo tutti gli occhi di tutte le teste fissi su di me. Io
stavo di
fronte alla più grande, quella velenosissima. Riuscivo
perfettamente a vedere
le file di denti affilati, che avrebbero potuto dilaniare la mia carne
in
qualche secondo. Allungai una mano verso il muso del drago, tremando.
<<
Sei meglio di così. Io ti tratterei bene.
>> Sussurrai, mantenendo il contatto visivo.
Poi accadde
l’impossibile. L’Idra diede un buffetto
alla mia mano col naso enorme, poi chinò la testa, toccando
terra. Accarezzai
la pelle brillante e squamosa, non riuscendo a credere ai miei occhi.
Avevo
appena addomesticato un drago gigante. Nemmeno Ercole ci era riuscito.
Un lampo
di inquietudine mi fece stringere il cuore. Avevo domato un mostro.
Forse ci
ero riuscita perché non eravamo poi così diversi.
Perché forse c’era anche
dentro di me, quel mostro.
<<
Per gli dei.. >> Mormorò Adrian,
mentre io mi lasciavo cadere accanto al mostro, dando buffetti sul
collo lungo
e viscido.
<<
Allora. >> Cominciai.
<<
Chi vuole un passaggio per New York?
>>
NOTE
AUTRICE
Ta-daaaaan!
Allora, innanzitutto mi scuso per il ritardo, ma sono stata molto
impegnata.
Lunedì inizia la scuola e io voglio scappare in
Perù. Giuro che lo faccio. Non
voglio ricominciare a studiare, non sono psicologicamente pronta.
Comunque,
spero che il capitolo vi sia piaciuto, lasciate una recensione! Grazie
mille e
bacioni-oni :3