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Autore: sonofabeach    10/09/2014    0 recensioni
Heiri ha 19 anni in un' Inghilterra occupata da dittatura ed oppressione. Amahin è il figlio del capo della dittatura e la fame non sembra esser mai stato un suo problema.
Genere: Avventura, Azione, Drammatico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Niall Horan
Note: AU, Cross-over | Avvertimenti: nessuno
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'vediamoci nei giardini del palazzo alle 23. non perderti. 
Amahin.'
che altro voleva da me? magari avrei trovato un esercito di sentinelle ad aspettarmi. 
magari, invece, si sarebbe rivelato comodo avere il figlio della dittatura dalla mia parte. dalla parte della resistenza, addirittura. 
forse voleva aiutarmi? 
ripensai ai suoi occhi quando mi aveva dato il libro. erano così limpidi, non c'era traccia di cattiveria. 
rimaneva comunque il figlio di Ath, capo della dittatura.

***

quando i bambini arrivarono, io ero ancora raggomitolata nelle coperte, completamente immersa nella storia. avevo deciso che li avrei tenuti all'oscuro di ogni mia azione da questo momento in poi, quindi nascosi il libro sotto al cuscino ed andai da loro. non avrei saputo come spiegargli dove avevo preso il libro. 
mangiammo tutti insieme e le gemelle mi raccontarono quello che era successo a scuola. 
ogni giorno mi dicevano le stesse cose, ma ascoltare le loro voci rimaneva piacevolissimo.
a Rochi piaceva un bambino di un anno più grande che frequentava la classe accanto alla sua, Dilès continuava a litigare con la sua compagna di banco, mentre Iorach aveva fatto pace con il suo migliore amico. 

dopo aver cenato ci addormentammo tutti insieme nel mio letto. 
senza di me, dicevano, testuali parole, che 'il sonno non arrivava'.
in quanto a me, adoravo dormire. passavo molto tempo a dormire quando ero a casa. più che per il fatto del piacere nel riposarsi, adoravo sognare. 
sognare è una conseguenza inevitabile del dormire. 
nei miei sogni i miei genitori c'erano quasi sempre. il sogno più bello che feci fu poco più di un mese fa. 
sognai me, mamma, papà ed i miei fratelli, navigare in pace delle acque calme ed approdare in una costa piena di verde. 
ricordo le loro voci cristalline mentre guidavano l'imbarcazione. le gemelle ridere e cercare di buttarsi in acqua e Iorach a sgridarle per la loro imprudenza. 
ricordo l'attracco su questa costa sconosciuta, le distese infinite di prati verdi e le case piccole e colorate sullo sfondo.
si dice che i sogni belli spesso tornino, ma questo non era mai tornato. l'avevo sognato una volta sola. 
di frequente mi sono ritrovata a svegliarmi nel pieno della notte in un bagno di sudore. anche gli incubi spesso ricorrevano. 
tra i più brutti ricordo quello in cui ero uno spettatore della morte di mio padre. 
nel sogno mio padre stava camminando in un campo, quando un gruppo di tre sentinelle lo raggiunse cominciando a picchiarlo fino allo stremo e poi a riempirlo di pallottole e scariche elettriche. 
nel sogno potevo vedere ogni cosa, ma nessuno notava la mia presenza, come se in realtà non ero davvero lì. 

mi alzai dal letto quando notai l'orario. mancavano pochi minuti alle 23. 
mi alzai dal letto, nel biglietto Amahin aveva scritto di vederci nel giardino, quindi presi il libro da sotto al cuscino, infilai le scarpe ed uscii veloce. 
a quell'ora per strada non c'era assolutamente nessuno. si era instaurato una specie di coprifuoco del tutto non istituzionale, ma dato il fatto che non ci fosse alcun tipo di vita notturna in città, la gente si ritirava presto e non aveva motivo di uscire. 
camminai verso il giardino del palazzo e scavalcai la recinzione. 
fortunatamente non trovai sentinelle e prima di cercare Amahin, mi fermai ad ammirare le piante che mi circondavano. 
davanti a me c'era un albero possente, non molto alto, con una chioma molto grande ed i rami spessi e scuri. 
la luce fioca dei lampioni illuminavano le foglie ed il tronco di un pallido giallo. 
a volte avrei voluto essere un albero, uno di questo genere. forte e ben radicato. sembrava che niente avrebbe potuto smuoverlo. 
'ti piace? è uno dei miei esemplari preferiti, una quercia abbastanza antica. è stata portata qui dall'Europa occidentale. è perfetta per sedercisi sotto e leggere.' disse Amahin alle mie spalle continuando ad ammirare la pianta. 
mi girai di scatto. 
'ti ho spaventata? scusami, ma mi era sembrata un'entrata abbastanza scenica.' continuò, ora guardandomi curioso. 
'si un po', ma non fa niente. comunque era davvero scenica, molto, ammetto.'
rise ed io mi aggregai. 
'sono felice che tu sia venuta. oggi in biblioteca siamo stati interrotti, avrei voluto avere più tempo. ecco il perché del biglietto nel libro.' cominciò a camminare, avvicinandosi all'albero e sedendosi alla base.
'puoi sederti qui. tranquilla, non ci sono sentinelle nel raggio di mezzo chilometro.' sorrise. 
mi avvicinai, sedendomi accanto a lui, ma non troppo vicina. poggiando la schiena sul tronco, proprio come aveva fatto lui. 
'tieni il tuo libro. te l'ho riportato.' gli porsi il libro che non ero riuscita a finire quel pomeriggio, ma che mi stava piacendo da pazzi. 
separarmene non sarebbe stato piacevole, ma non era mio. 
'oh, no, voglio darlo a te, voglio che tu lo legga.' 
'davvero?'
'certo.'
'grazie, è il primo libro, degno di questo nome, che leggo. l'ho cominciato questo pomeriggio. è splendido.'
'si lo è. è il mio preferito, mia madre me lo leggeva spesso prima che imparassi a leggere da me.'
le sue parole rimasero sospese perché non trovai una risposta da dargli. 
rimanemmo in un silenzio scomodo per dei minuti. 
lui a fissare il cielo ed io a fissare l'erba sotto di me. 
'ti starai chiedendo perché ti ho fatta venire qui, credo.' sorrise. 
'beh, si.' 
'hai pensato a qualche ragione? sono certo che tu l'abbia fatto.'
'beh, si, l'ho fatto. prima ho pensato che avresti voluto uccidermi, o farmi catturare dalle sentinelle. poi ho pensato che volessi semplicemente il libro indietro, o che volessi vedermi per aiutarmi o continuare il discorso della biblioteca.'
'beh, un paio di queste sono vere, ma di certo non quella dell'omicidio. come hai potuto pensarlo?'
'hai ragione, scusa.' risi. 
'mentre eravamo in biblioteca mi hai detto il tuo vero nome, Heiri, ed io ti ho detto che conosco il tuo nome.' disse Amahin. 
aveva spostato il suo sguardo, che ora era fisso sul mio viso. 
'si, come io conosco il tuo.' dissi. 
Amahin sembrò sorpreso. 
'il tuo nome ha un'origine irlandese, significa 'ribellione'.'. 
'esattamente. è stato mio nonno a darmelo. il tuo invece significa 'solo'.'.
'giusto.' disse Amahin, riportando lo sguardo alle sue mani, poggiate sull'erba. 
'perché non ti ho mai visto fino a questa mattina?' mi azzardai a chiedere. 
'beh, sono arrivato da poco qui. non sono mai uscito dal palazzo, Ath non me lo permette. per questo passo tanto tempo in biblioteca, sai, i libri ti tengono compagnia in un certo senso.' disse con un leggero tono di amarezza. 
non sapevo esattamente cosa rispondere. sapevo che se avessi scelto male le parole avrei potuto ferirlo. 
mi limitai ad annuire ed a posare lo sguardo sulle sue mani, esattamente dove si era posato il suo. 
le sue lunghe dita si muovevano tra i fili d'erba verdi. 
'heiri.' disse piano Amahin. 
'si.' risposi. 
'qual'è il tuo colore preferito?' 
'cosa?'
'il tuo colore preferito. qual'è?' 
il mio colore preferito? nessuno me lo aveva mai chisto, credo che a nessuno sarebbe mai importato il mio colore preferito. 
in una situzione come quella in cui io, la mia famiglia, i nostri conoscenti, e chiunque in inghilterra da sette anni a questa parte, l'importanza del tuo colore preferito, o dei colori in generale, è pari a zero, se non meno.
'sei la prima persona a farmi una domanda del genere. il verde, comunque. adoro soprattutto le tonalità chiare del verde, anche se non conosco i nomi dei colori. il tuo?'
'il bianco. anche se nessuno lo calcola come un colore, secondo me lo è. è bellissimo, non credi? poi ha miliardi di sfumature e cambia a seconda delle ombre. lo adoro.'
'io credo che il bianco sia un colore vero e proprio, invece, e lo adoro anch'io.'
'ho sempre pensato al bianco come un colore che rappresenti fragilità. se ci pensi ci vuole meno di una goccia di rosso per alterare un bianco e farlo diventare un pallido rosa. il verde è tutta un' altra storia: una goccia di rosso lo può  semplicemente aiutare a diventare una tonalità di un verde marcio.'
'hai ragione, assolutamente. non mi ero mai fermata a pensare a cose del genere.'
'a quanto pare io ho tanto tempo da riempire.' sorrise, spostando lo sguardo, di nuovo al mio viso.
questa volta i suoi occhi sembravano scrutare ogni aspetto con attenzione.
non si fermò ai miei occhi. il suo sguardò si posò su ogni particolare del mio viso.
'sai, puoi fidarti di me, Heiri.' disse Amahin, avvicinando piano la sua mano alla mia,  che era occupata a districare un groviglio di fili d'erba.
quando la raggiunse, credo per poterla stringere, era la ragione più plausibile, la ritirai velocemente. 
'non credo, mi dispiace, ma non lo penso affatto.' dissi scuotendo la testa. 
'perchè?  non mi  conosci neanche. come puoi dirlo?'
'condividi lo stesso sangue di Ath, questo mi  basta. per giunta vivi nel suo palazzo, mangi alla sua stessa tavola e sono quasi certa che i vostri pensieri si somiglino abbastanza.'
'sinceramente, non sai niente di me. non posso controbattere sul fatto che io viva nel suo stesso palazzo, è inevitabile. per quanto riguarda il resto, potrei lasciartelo pensare, se è quello che vuoi, ma non è così.'
'che intendi?'
'non credo tu voglia saperlo, a nessuno importa davvero.'
rise, poggiandosi una mano sulla fronte e poi passandola tra i capelli. 
decisi di non rispondere. sinceramente non sapevo davvero se avessi voluto saperlo. 
ero sempre stata ostile nei confronti della dittatura, e sempre ne sarei rimasta. non che questa conversazione avesse cambiato la mia opinione, o l'avesse minimamente addolcita. 
il muro che avevo stabilito tra me ed Amahin, pur se invisibile, si poteva ben notare.
non avrei mai potuto perdonare la dittatura ed Ath, in quanto esponente massimo, per avermi portato via mio padre e mia madre.

Amahin era immobile dove era da una ventina di minuti a questa parte, era illuminato dalla sola luce della luna che rifletteva l'azzurro dei suoi occhi ed il biondo dei suoi capelli. 
era davvero bello, anche se la sua discendenza non me lo lasciava notare. 
il fatto che suo padre fosse il capo della dittatura mi veniva in mente ogni volta che lo guardavo. 
vedevo in lui come una copia di Ath. 
nel suo sangue scorreva meschinità, crudeltà, ingiustizia. 
mi girai, rivolgendo lo sguardo al palazzo della dittatura, che si ergeva ad un centinaio di metri dal giardino. 
la poca luce, diffusa dalle varie fonti, rifletteva i fregi in oro sparsi sulla facciata. 
tutte le finestre erano chiuse e l'unica luce accesa era quella della seconda finestra di destra, al primo piano, che credo fosse una delle stanze delle sentinelle, di guardia per la notte. 
sentii Amahin avvicinarsi piano ed allungare un braccio verso il palazzo, ostruendo, in parte, la mia visuale. 
indicò una delle tante finestre sul lato sinistro. 
'quella è la mia stanza. la terza finestra, la vedi? quella accanto è il mio bagno.' disse piano. 
chissà come doveva essere vivere come faceva lui. 
avere una propria stanza, una propria ala di un palazzo, addirittura. 
avere un proprio bagno e delle persone pronte a farti trovare tutto in ordine, vestiti puliti e cibo in ogni momento. 
mi faceva fin troppa rabbia il pensiero dello spreco che era tutta quella sfarzosità, mentre a pochi metri c'era gente a fare la fame, con figli e parenti da dover mantenere. 
il cibo che ci faceva trovare la dittatura non era molto, ed io lasciavo sempre gran parte della mia razione ad i bambini. 
mi limitavo a fare un pasto al giorno. 
non risposi ad Amahin, mi limitai ad alzarmi e ripulirmi le gambe dalle foglie e la terra che ci si erano poggiati. 
'che fai? vai via?' disse stupito. 
'beh, si. è abbastanza tardi, non vorrei che i miei fratelli si accorgessero della mia mancanza. dovrò inventare una buona scusa.' dissi scocciata. 
perché mi aveva fatta venire qui, quando poi non aveva niente da dirmi? 
forse aveva ereditato anche la stupidità dal padre. 
'aspetta, ti ho portato una cosa.' disse, alzandosi. 
mise una mano nella grande tasca della sua giacca e dopo un po' uscì un involucro argentato rettangolare. 
'spero ti piaccia, ho pensato che ti sarebbe piaciuta, ma ora che so che hai dei fratelli, sono certo piacerà anche a loro.'
mi porse il rettangolo e capii immediatamente cos'era. 
non ne vedevo da tantissimo. 
cioccolata. 
ne mangiavo sempre con mio nonno, quando ero piccola. mi sedevo sulle sue gambe e lui mi raccontava della sua vita, di quando era più giovane, e delle sue avventure. 
molto spesso le inventava, giusto per intrattenermi, ma ricordo ancora la sua voce. 
ricordo anche il gusto della cioccolata. la adoravo, letteralmente. 
come faceva ad averne? non sapevo ce ne fosse ancora.
sapevo che tutte le fabbriche di dolci erano state chiuse con l'avvento della dittatura. 
non sapevo cosa dire. tenevo la tavoletta tra le mani. 
potevo sentire l'odore del cioccolato fluirmi nei polmoni. 
'se non ti piace non fa niente, puoi ridarmela, scusami. pensavo ti sarebbe piaciuta.' disse dispiaciuto, portando lo sguardo all'erba sotto ad i nostri piedi. 
'no, affatto, la adoro, in realtà. grazie mille.' 
sorrise e lo vidi rilassarsi. 
'perché mi hai fatta venire qui?' dissi, ancora stringendo la tavoletta ben stretta. 
'mi avevi incuriosito la prima volta. volevo saperne un po' di più, giusto questo.' 
'giusto questo?' risi. 
voleva solamente sapere di più sul mio conto? ora ero certa del fatto che questo ragazzo fosse pazzo. 
'in realtà volevo anche sapere cosa cercavi nella biblioteca.' 
'non credo di potertelo dire, mi dispiace.' dissi. 
'perché?' 
'perché tu rimani Amahin, figlio della dittatura, ed io rimango Heiri, figlia dei miei ideali.'
'capisco, ma io non sono Ath. potrei aiutarti.' disse risentito. 
'non credo.' risi. 
'dimmi solamente cosa volevi dalla biblioteca stamattina.' 
'non ho idea del perché mi sto fidando di te, davvero.' mi fermai.
'sarebbe meglio per entrambi se tu rimanessi all'oscuro delle mie faccende. grazie davvero per la cioccolata, i bambini la ameranno. grazie anche per il libro, te lo farò riavere quando l'avrò finito.' conclusi sorridendo. 
raccolsi il libro da terra e diedi le spalle ad Amahin che rimase zitto ad osservarmi. 
cominciai a camminare verso la recinzione. 
prima di scavalcarla lanciai il libro e la cioccolata oltre e cominciai ad arrampicarmi, poi saltai. 
ero bravissima in queste cose. da piccola mi arrampicavo su qualunque genere di struttura si ergesse a più di un paio di metri. 
mi girai un'ultima volta solo per riuscire a vedere la silhouette di Amahin, fermo dov'era prima, a fissarmi. 
nessuna luce lo illuminava, era un'ombra. 
presi la tavoletta ed il racconto da terra e gli sorrisi, prima di incamminarmi verso casa.
  
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