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Autore: FairLady    11/09/2014    2 recensioni
Una persona può cambiare totalmente per un'altra? Può annullarsi per un'altra?
Questa è la storia di Mark e Marta, gentilmente concessomi da Ohra_W, e del percorso che, in qualche anno, li porterà a capire cosa realmente vogliono e di cosa hanno veramente bisogno.
Dal primo capitolo:
"E, a un tratto, quella donna si era trasformata nella sua ossessione personale. Era possibile che fossero stati sufficienti cinque minuti, in cui, per altro, non era successo assolutamente nulla di anche solo lontanamente rilevante, per farlo impazzire? "
Genere: Drammatico, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Mark Owen, Nuovo personaggio, Quasi tutti
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Triangolo
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Aveva una gran voglia di uscire da quello studio e correre più veloce del vento, lontano, dove quegli occhi azzurri non avrebbero più potuto farla sentire disarmata, senza protezione, nuda. Ne aveva davvero una gran voglia e per un breve istante si sentì quasi in grado di farlo.
Il problema non era mettere un piede dopo l’altro diretta chissà dove, il vero problema era che Marta non riusciva a distogliere lo sguardo da quello di Mark, che l’aveva incatenata a sé dal primo momento in cui si era accorto di lei, e non accennava a lasciarla andare. C’erano solo brevi istanti in cui, per esigenze lavorative, si vedeva costretto a guardare altrove, ma in quelle rare occasioni Marta si sentiva così sopraffatta da avere giusto il tempo di riprendere fiato prima di essere di nuovo risucchiata da quel vortice che erano i suoi occhi azzurri.
Non respirava. Non si muoveva.
 
***
 
Gli mancava il fiato. Non riusciva ad articolare un pensiero che fosse uno.
Fortuna che Gary aveva preso il sopravvento nell’intervista, spinto da quello slancio di amicizia che li aveva sempre legati. Evidentemente non solo Mark si era accorto di Marta al di là della vetrata, e sebbene non conoscessero nel dettaglio ciò che era successo tra lei e il loro amico, gli altri tre si erano da subito resi conto – da quel primo giorno a Londra –, che l’Owen si era preso una bella cotta; e sapevano tutti dove andavano a finire quelle cotte: in un mare di guai.
Quando finalmente l’intervista fu terminata e le prime note di “Shine” si diffusero nell’aria, quello studio già piccolo iniziò a farsi terribilmente stretto per Mark. Sentiva il bisogno di uscire da lì e raggiungere Marta. Doveva parlarle, doveva fare qualcosa o lo avrebbe rimpianto per tutta la vita.
Ormai era palese che senza di lei non sarebbe riuscito ad andare avanti; era chiaro come il sole che loro due – in un modo assurdo che faticava a comprendere –, si appartenevano.
Mark sorrise ai padroni di casa e ai suoi compagni, sfoggiando la sua solita espressione serafica – che però Gary e gli altri due non si bevvero neanche un po’ –, e approfittando della pausa musicale si alzò.
«Scusate, ho bisogno della toilette» si congedò, uscendo velocemente dalla stanza.
Aveva il cuore in gola e le mani che formicolavano pericolosamente e appena fu di fronte alla porta della regia strinse immediatamente le dita intorno alla maniglia, pronto a riprendersi la sua vita, ma qualcosa lo bloccò. Abbassò lo sguardo e ripensò all’ultima volta che avevano parlato. Lei aveva sofferto così tanto per lui. Cosa era cambiato? Cosa poteva darle di diverso da allora?
Lasciò penzolare il braccio e fece dietro front verso i bagni.
«Aspetta!» quanto aveva sognato di sentire ancora quella voce. «Mark, aspetta un secondo…»
 
***
 
Quando lo aveva visto uscire dallo studio con quell’aria assente, pensierosa, per un momento Marta si sentì sollevata: non averlo più davanti agli occhi le avrebbe permesso di riprendere il controllo di se stessa e scappare via a gambe levate.
Eppure, in un angolino dentro sé si ritrovò a sperare di vederlo spalancare la porta della regia, entrare e stringerla tra le braccia con un’intensità tale da fondere i loro corpi uno nell’altro.
Da quando lo aveva rivisto, le sensazioni che si erano susseguite – paura, desiderio, angoscia, dolore, amore… ancora desiderio – l’avevano così confusa che non era stata in grado di riflettere su cosa avrebbe voluto davvero, su cosa realmente provasse, ma quando, dopo qualche istante, si rese conto che non sarebbe mai arrivato da lei, si sorprese nel sentire nel cuore un’inspiegabile frustrazione.
“Lui avrebbe dovuto venire a parlarmi!”
Perché lo desiderava? Perché si sentiva ferita dal suo disinteresse? Perché era così stupida da volersi autoinfliggere dolore psicofisico così intenso? Perché?
Ma non c’erano risposte a quelle domande. C’era solo la sua mano che si alzava sulla maniglia e con vigore inaspettato l’abbassava per poi tirare la porta verso di sé.
Mark era lì dietro, a pochi passi, girato di spalle. Stava andando da qualche parte che non fosse da lei e questo la spinse ad aprire la bocca.
«Aspetta!» sussurrò con il cuore in subbuglio. «Mark, aspetta un secondo…»
Fece un passo, e poi un altro, nella sua direzione. Lui si era fermato, ma non accennava a voltarsi.  

 
 ***
 
Stringeva i pugni in basso, le braccia stese lungo i fianchi.
Mark non aveva la forza di voltarsi per paura di scoprire che quella voce non era che l’ennesima delle sue dolorose allucinazioni. Non aveva avuto il coraggio di forzarla, di obbligarla a guardarlo negli occhi o, peggio, parlargli cercando di essere cordiale con lui, ma solo Dio sapeva quanto avesse desiderato che fosse lei a fare tutto di sua spontanea volontà.
Aveva bisogno di sentire quella voce meravigliosa accarezzare ancora il suo nome. Aveva bisogno di vedere quello sguardo magnetico fissarlo con intensità. Aveva bisogno di sentirsi di nuovo nudo e vulnerabile sotto ai suoi occhi, perché solo lei era in grado di spogliargli l’anima come nessuna prima era riuscita a fare.
E alla fine lei lo aveva esaudito, come mesi prima quando aveva sentito dentro il bisogno di essere amato e Marta era apparsa nella sua vita.
«Mark…» lo chiamò ancora lei. Si convinse a voltarsi lentamente, cercando di non farsi prendere dal pathos correndo verso di lei, per abbracciarla con trasporto come avrebbe voluto fare; come facevano nei film.
Si fissarono per un attimo interminabile, incapaci di trovare la cosa giusta da dire.
 
«Mark, stiamo ricominciando…»
Petra uscì dallo studio, togliendo d’impaccio i due ragazzi rimasti impalati in mezzo al corridoio.
L’uomo alzò lo sguardo e sorrise alla presentatrice, per poi tornare a guardare Marta.
«Io, io dovrei andare. – disse, sperando in cuor suo che quell’interruzione non arrivasse a rovinare la possibilità di poterle parlare – Mi piacerebbe, ecco…»
La sua mente non vedeva altro che loro due abbracciati, e questo gli impediva di riuscire a dire due cose di senso compiuto una in fila all’altra.
«Vorrei trovarti qui, dopo. Avrei, ci sarebbero cose… delle cose da dire.»
Marta si guardò intorno per una manciata di secondi, analizzando la situazione. Mark fece altrettanto, in attesa di una risposta, di un cenno che gli desse la speranza di poterla rivedere.
«Penso che sarebbe meglio se parlassimo altrove, non qui.»
 
***
 
Marta lo sussurrò guardando quasi il pavimento. Forse non voleva che Mark leggesse nei suoi occhi più emozione di quanta desiderasse rivelare. Mentre parlava si dava della stupida, perché ancora una volta stava cedendo alle richieste del cuore che – come le accadeva sempre più spesso – non andava per niente a pari passo con la ragione. Anzi, viaggiavano su due binari completamente diversi.
Ma cosa poteva farci se, nonostante la volontà di stargli alla larga, l’universo sembrava stesse complottando per tenerli uniti? E cosa poteva farci se più lo guardava e più tutto ciò che riusciva a immaginare di bello si trovava tra quelle braccia?
Odiava fare la parte della cattiva, e si era sempre ripromessa che mai avrebbe fatto come alcune delle sue amiche, legate tutte a uomini sposati che non potevano dar loro niente se non regali costosi e sesso “a portar via”.
Eppure, contro ogni sua ideologia, a dispetto di qualsiasi valore lei avesse mai avuto e a cui avesse voluto tener fede, stava dicendo a Mark che si sarebbero visti quella sera in albergo, e avrebbero così avuto l’occasione di parlare con calma.
Il sorriso che spuntò su quel viso angelico e meraviglioso era la prova inconfutabile che quella sera, in hotel, non avrebbero solo parlato. La cosa peggiore era che, per la prima volta dopo tanto tempo, non vedeva l’ora.
 

 
You’re not the one I need
You’re just the one that I want
Makes perfect sense to me

 
 
 
   
 
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