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Autore: whitemushroom    11/09/2014    6 recensioni
Una serie di storie brevi dedicate ai protagonisti della serie Dissidia Final Fantasy spaziando in tutti i generi ed rating, un ciclo di avventure attraverso la lotta senza fine tra l'Armonia e la Discordia, il Bene ed il Male, l'Amicizia e l'Odio. Tutto secondo la volontà di un dado e la voglia di scrivere qualcosa insieme ad un amico.
Genere: Fantasy, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Missing Moments, Raccolta | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Sephiroth370




Personaggio: Sephiroth
Genere: Introspettivo, Malinconico, Missing Moments. Canon.
Rating: Verde
Avvertenze: Sforati i limiti della decenza. E doveva essere ancora più lungo ... Ci sono personaggi che stanno zitti ed altri che tendono a sproloquiare.


Chain of Memories

Inizio del XIII ciclo

Jenova. Il cuore del pianeta. Cloud.
Hojo. La villa di Nibelheim. Cloud. Hojo. Cloud.
L’aria che gli riempiva i polmoni puzzava di zolfo. Dei tubi e delle grate correvano sopra di lui, e proprio quando aprì gli occhi un condotto quasi arrugginito vomitò un getto di vapore e fiamme. Si prese qualche secondo per riflettere, chiudendo di nuovo le palpebre per acchiappare quelle immagini e quei nomi che gli invadevano la mente come un fiume arginato per migliaia di anni.
Cloud. La patetica fioraia. SOLDIER. Cloud.
Tutti i tasselli erano finalmente nelle sue mani. Si passò una mano sul torace, proprio nel punto in cui aveva affondato la Masamune: come prevedibile, nemmeno un graffio. Ed anche se vi fossero rimaste mille o tremila cicatrici non avrebbe avuto importanza. Ne sarebbe valsa la pena. Aveva sfidato la sorte, ma aveva vinto.
Si mise lentamente a sedere, ma si alzò di scatto quando si accorse di non trovarsi in un luogo qualsiasi, bensì in uno di quei posti che aveva sempre cercato di evitare, e adesso che tutti i ricordi si stavano radunando come tasselli di un mosaico riusciva a capire il perché. I pezzi di macchinari disposti uno sull’altro per simulare delle scale rendevano metallico il suono dei suoi stessi passi mandandoli a rimbombare fino ai piani più alti della torre: per un attimo si preoccupò, poi decise che in fondo non aveva tanta voglia di passare inosservato agli occhi del padrone dell’edificio. Un viso si affacciò dalla capsula trasparente alla sua destra, un volto deforme, grottesco, una creatura che poteva esistere soltanto negli incubi, con una testa mostruosamente più grande del resto del corpo e due prolungamenti nel luogo dove vi sarebbero dovuti essere gli occhi. Accanto vi era un rettile giallastro che galleggiava nel suo liquido nutritivo. Girò lo sguardo, disgustato, solo per notare una figura vagamente umana agonizzante in un’altra capsula dalla parte opposta della stanza; l’essere si contorceva in preda a dolori indicibile, ma nemmeno un suono attraversava la sottile lamina di vetro.
L’unico rumore erano i suoi passi e il rombare della magia nei tubi di mantenimento.
Il volto del dottor Hojo per un attimo gli sorrise in un angolo della mente.
Se il signore di quel luogo non era ancora arrivato era molto probabile che lo stesse osservando da qualche parte, e se c’era una cosa che Sephiroth non sopportava era fungere da divertimento per chicchessia. Evocò la sua spada, sicuro che la mente dietro a quegli abomini sarebbe comparsa pur di evitare che le sue preziose bambole venissero danneggiate, ma un delicato luccicare d’argento catturò la sua attenzione.
La capsula era in bella vista, al centro di quel luogo dismesso, ma per qualche strano motivo i suoi occhi erano passati oltre senza indugiare sulla figura piegata su se stessa che galleggiava, la testa quasi nascosta nella chioma argentata che fluttuava e creava dei giochi di luce ipnotici con i fluidi ed il vetro. Le gambe erano raccolte contro il petto, e chiunque avrebbe potuto credere che dormisse. Chiunque ma non lui, ovviamente.
“Ma guarda, l’Angelo da un’Ala Sola è disceso dal cielo per mescolarsi con noi comuni mortali!”
Da dietro la colonna di vetro comparvero prima un braccio, poi una gamba ed infine la detestabile testa di Kefka. Purtroppo tutti e tre saldamente attaccati al busto. “Ce ne hai messo di tempo per risvegliarti! Temevo ti servisse il bacio del tuo principe azzurro … che attualmente è non è proprio reperibile, passami il termine!”
SOLDIER. Progetto Jenova. Cloud. Il sorriso di Genesis e il loro duello.
Una strana sensazione gli attraversò la schiena. “Dov’è Cloud?”
Si erano sempre risvegliati insieme. Alcune battaglie in quello strano mondo gli sfuggivano dalla memoria, ma c’era un particolare che accomunava quegli istanti congelati nel tempo da due bizzarre divinità: loro non erano mai stati soli. Avrebbe potuto perdere quei ricordi un’altra volta, ma la sua unica certezza era quella che sotto qualunque cielo lo avrebbe trovato alla propria destra. Tranne in quel momento
“Ehm … come spiegartelo … mentre TU hai avuto la brillante idea di ci sono stati dei piccoli … cambi del personale. Per farla breve, il tuo amichetto ha deciso di piantarTI in asso per una tizia CON UN PAIO DI TETTE GROSSE COSI!”. La cosa doveva sembrargli esilarante, perché per poco non si capovolse sui suoi stessi piedi. “Sono sicuro che nemmeno Exy avrebbe detto di no a tanta abbondanza …”
Non lo stava più ascoltando.
Cloud. I ricordi della sua vecchia vita erano ancora sparsi davanti ai suoi occhi, come i frammenti di un bicchiere di cristallo. Toccarli voleva dire ferirsi. Ma poteva sopportare qualche graffio. Era da quando aveva aperto gli occhi che il castello di carte era iniziato a crollare: aveva dimenticato chi fosse il ragazzo dai capelli appuntiti e la spada gigante, la stessa persona con cui si era ritrovato a combattere spalla a spalla contro gli ostinati guerrieri di Cosmos, l’unico con cui non c’era bisogno di parole. Se mai si stava delineando qualcosa di simile all’amicizia, quella era sparita nell’istante in cui i ricordi erano riaffiorati. Perché Cloud era la sua nemesi, la sua ombra. Colui che si era votato ad ucciderlo. Questo cambiava tutto. Tutto.
Anzi, forse rendeva la questione incredibilmente più semplice. Per avere indietro i ricordi del proprio passato, lui e Cloud avevano dovuto combattere con quella ragazza perché proveniva dal loro stesso mondo; ma i frammenti erano sempre troppo esigui, dunque aveva tentato la sorte conficcando la Masamune nel proprio petto. Non era riuscito a sfuggire ai cicli, ma adesso i tasselli erano tornati tutti nelle sue mani e per unirli aveva bisogno di un unico duello.
“Kefka … cosa sono i ricordi?”
“Oh, che bello, qualcuno si ricorda che IO sono l’esperto in materia!” disse, e Sephiroth quasi si pentì della domanda quando il pagliaccio improvvisò un balletto intorno alla sua preziosa capsula per poi picchiettare tutto soddisfatto sul vetro della creatura addormentata. “I ricordi sono solo una stupida catena. Credi di potertici aggrappare e poi … ZACK! Ti si stringe intorno al collo e ti trascina sul fondo dell’abisso … chiedilo a Kujie-coo, che per inseguire i suoi felici ricordi ha avuto un tragico incidente di percorso” disse facendo una linguaccia alla figura nella capsula. “Ma adesso, grazie al mio speciale trattamento, Kujie-coo sarà libero da tutte quelle idiozie sdolcinate come l’amicizia e si dedicherà con passione alla caccia alla scimmia che è certissimo di odiare. E la smetterà di canticchiare, una cosa su cui tutti siamo stati d’accordo. A proposito, non è che posso dare un’occhiatina ina ina alla tua memoria? Posso levarti un sacco di cose inutili che …”
La Masamune comparve prima ancora che potesse finire la frase. Kefka fece un salto all’indietro, e Sephiroth osservò che la lama non era mai stata così affilata. Nella luce del laboratorio sembrava una fiamma viva. I deboli ed i perdenti potevano benissimo marcire nella capsule del pagliaccio, ma non lui. Aveva pagato un carissimo prezzo per riavere la memoria, dunque aveva già vinto il gioco. Barando, ovviamente.
Dopotutto i giochi non gli erano mai piaciuti.
Prima che l’altro potesse ricorrere a qualche trucco avanzò rapidamente nella sua direzione e fermò la punta della spada ad un palmo dalla gola del buffone; quello mandò un secondo gridolino ed alzò subito le mani in aria. “Ok, ok, ok, ok, lo prendo per un no”.
Aspettò ancora qualche istante, sicuro che il silenzio facesse la sua parte. Con gente come Kefka le parole erano sprecate. Quando fece svanire la lama l’altro finalmente nascose il suo sorriso idiota ed appoggiò i piedi da terra. “Questa è la battaglia finale, Sephy. Non un ciclo qualsiasi, ma IL ciclo. Chi vince questo, vince tutto. Bye bye ai perdenti, bye bye agli dei, bye bye anche a te se ti metti dalla parte sbagliata!”
“Quello che è giusto o sbagliato …” l’odore di zolfo era diventato insopportabile. E non solo quello. “… lo decido io”.
Kefka esplose in un’esplosione di improperi, risate e frasi senza senso che non aveva più voglia di ascoltare. Le scale erano alla sua destra, e le scese senza voltarsi verso il pagliaccio e la sua collezione di esperimenti. Isolò un’ultima volta la mente, lasciando che a quella torre spettrale si sovrapponessero le immagini che aveva strappato all’oblio: quella storia era iniziata con Cloud, e con Cloud doveva finire. Era iniziata con uno scontro nel cuore del Pianeta, ed era solo con due lame incrociate che doveva giungere alla conclusione, indipendentemente da quella falsa amicizia che avevano creato nel corso dei cicli e che di certo il suo compagno aveva dimenticato dopo la sconfitta di Cosmos. Non aveva senso continuare a seguire una divinità debole come Chaos e le sue patetiche pedine.
Quando uscì da quella torre provò un senso di piacevole sollievo, accompagnato dalla brezza notturna. E anche da un inquietante silenzio.
Nessuno avrebbe più cantato alla luce della luna.
  
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