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Autore: Yukiko_chan    29/09/2008    6 recensioni
Ci sono due cose che ho sempre odiato.
Mia madre e la neve.
Due cose legate a me indissolubilmente.
Che sia stato il tuo Demone Celeste a farmi questo scherzo, Hachi?
Se penso a me stessa, d’altronde, come posso non tornare con la mente anche a queste due cose?
Yukiko. Figlia della neve.

E se qualcun altro irrompesse nella vita dei Blast e dei Trapnest?
Genere: Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altro Personaggio, Nobuo Terashima, Nuovo personaggio, Shinichi Okazaki
Note: OOC, What if? (E se ...) | Avvertimenti: nessuno
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Neve capitolo 1

Disclaimers: Nana appartiene ad Ai Yazawa, non a me (purtroppo >.<), dunque tutti i diritti sono di sua proprietà. Questa storia è stata scritta senza scopi di lucro.

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 “La neve è una poesia. Una poesia che cade dalle nuvole in fiocchi bianchi e leggeri.
Questa poesia arriva dalla labbra del cielo, dalla mano di Dio.
Ha un nome. Un nome di un candore smagliante.
Neve.”

[Maxence Fermine]

 

Ci sono due cose che ho sempre odiato.
Mia madre e la neve.
Due cose legate a me indissolubilmente.
Che sia stato il tuo Demone Celeste a farmi questo scherzo, Hachi?
Se penso a me stessa, d’altronde, come posso non tornare con la mente anche a queste due cose?
Yukiko. Figlia della neve.
Questo fu il nome che scelse per me la donna che mi mise al mondo, ma che non mi insegnò mai ad affrontarlo.
Come avrebbe potuto se nemmeno lei riusciva a farlo?
Però io non sono magnanima. Non provo pietà, né compassione per quella donna.
Avrei preferito che non mi avesse mai messa al mondo che farlo solo per avere qualcun altro con cui condividere il suo destino.
Non è forse un grande atto di egoismo? Forse questo è l’unico tratto che ci accomunava.
Ma questo non potrei mai dirlo a te, Hachi. Non voglio essere ancora la causa delle tue lacrime.
Ma non pensare, Hachi, che il mio odio verso la neve sia collegato a questo.
Non sono così sensibile da essere segnata da ciò. Forse un tempo sì, ma ora no.
Solo.. la neve è stata troppo spesso spettatrice della mia insulsa vita. Senza mai intervenire.
Senza mai fermare questo continuo circolo.. crudele.. spietato.. che troppe volte ha rischiato di spezzarmi.
Ecco perché odio la neve.
Ma tu non pensarci, Hachi. Continua a vedere la bellezza in quel bianco splendente.
Continua a rimanere nella tua campana di vetro ed a sorridere.
Nonostante ciò che hai vissuto, continua a rimanere pura.
Avrei tanto voluto essere come te..
Per questo.. ti chiedo perdono.

 

Quando mia madre morì, mi lasciò con un’eredità pesante: il passato.
Orfana quindicenne di una prostituta e di un cliente occasionale di cui si conosceva solo la sua origine straniera, dati gli occhi verdi che mi aveva lasciato come ricordo, seguii l’unica strada che credevo possibile per quelli come me:  chiesi alla donna che procurava appuntamenti a mia madre, Okuda-san, di cercarmi dei clienti.
Essendo io tanto esotica a causa dei miei occhi, accettò velocemente e mi fece tingere i capelli di biondo, spacciandomi per un’occidentale e vedendovi un profitto maggiore, tanto che già quella sera.. la mia vita cambiò.
Mi sporcai per la prima volta.

Vivendo in quel mondo sin dalla nascita, mi abituai in fretta e riuscii a “fare carriera”, questo fu il termine usato da Okuda-san, pretendendo ormai solo clienti di una certa estrazione sociale.
Percepii quasi una certa invidia da parte sua nei miei confronti ma, finché le davo il denaro, era più che soddisfatta.
Chissà cosa credesse. Come se osservare un mondo irraggiungibile per una notte fosse un privilegio.
Per quegli uomini, io ero il piccolo vizio, l’ombra che rendeva più splendente la luce.
Ma poco mi importava. Quando sei abituata al dolore, una ferita superficiale non fa male.
Notte dopo notte, letto dopo letto, tra lenzuola sconosciute e amori occasionali.. la mia vita passava, scorreva. Anche se dire vita non è esatto.
Sopravvivevo, e la sopravvivenza è per gli animali. Gli animali non hanno sentimenti, non hanno pensieri.
Ed io ormai ero divenuta una bestia. Un animale esotico che, ogni notte, fingeva di farsi addomesticare.
E forse era un bene che non provassi più nulla, apatica del tutto al mondo che mi circondava.
Altrimenti… non so se avrei sopportato l’orrore ed il disgusto per me stessa.

Una notte, una notte come tante, una notte identica a quelle avute da sei mesi sino a quel giorno.
Camera d’albergo.  Non una qualunque:  lusso, ricchezza, dorature splendenti ma che a me sembravano così sporche.
Il nero della notte stava sfumando ed una nuova alba sorgeva dietro le tende di seta.
L’uomo, di cui a malapena conoscevo il nome, e che di certo era fasullo, dormiva tra le lenzuola candide, ignorando il peso del peccato commesso.
Sul comodino, una fede.
Seduta sul bordo del letto, allacciai le scarpe, ignorando il piccolo peso che sentivo sul cuore. Era sempre così, nonostante tutto.
Infondo, le donne che possedevano il gemello di quel piccolo cerchio d’oro mi facevano pena.
Ma, d’altronde, nessuno aveva avuto compassione di me, perché io avrei dovuto farmi scrupoli?
Veloce, mi alzai, afferrando il lungo cappotto scuro ma, ancor più importante, prendendo i soldi che mi spettavano ed infilandoli delicatamente in una tasca. Il mio giusto compenso, pensavo.
Avanzai nella penombra di quell’inizio di giornata scuro, con un cielo che preannunciava già pioggia, ed uscii dalla camera, chiudendo la porta dietro di me con un lieve click.
Nel corridoio, illuminato da lampadari dai mille rifinimenti, una porta, poco lontano da quella alle mie spalle, era aperta, lasciando percepire le voci di coloro che erano all’interno. Rimasi ferma, sorpresa.
-Shin, ti prego, rimani un altro po’ con me! Vieni, facciamo almeno colazione!
Una voce femminile chiamava, la voce morbida e roca allo stesso tempo, tenera.
-Mi dispiace, Rumiko, ma devo andare. La prossima volta mi fermerò più a lungo, d’accordo?
Ed, indietreggiando, un ragazzo uscì dalla stanza.
Alto, forse di qualche anno più grande di me, il viso pieno di piercing, anche su quelle labbra che sorridevano dolci verso la donna, capelli di un blu chiaro, appariscenti ma, di certo, in perfetta armonia con i suoi abiti, che non passavano inosservati. Punk.
Rimasi a fissarlo per un paio di secondi, poi abbassai lo sguardo, facendo quasi un sorriso amaro, afferrando lo scambio di battute tra i due. D’altronde, quale ragazzo fuggirebbe all’alba da una camera d’albergo?
Sulle mie labbra una parola si era soffermata. Compagno.
Cominciai a camminare verso l’ascensore, superando i due sulla soglia, il viso basso ma, involontariamente, guardando il ragazzo. Incrociai il suo sguardo, sorpreso e curioso come il mio. Ed, in quell’istante, però, percepii la stessa amarezza della comprensione. Distolsi gli occhi, affrettando il passo, che riecheggiava nel corridoio.
-Dormi ancora un po’, Rumiko. E chiamami.
Sentii la sua voce dietro di me e, poco dopo, il chiudersi della porta ed il suo seguirmi.
Chiamai l’ascensore ed entrai, poggiando la schiena contro la parete. Lui entrò con me, premendo il tasto del piano terra.
Non mi guardava, accendendosi una sigaretta e, sul volto, il sorriso che prima aveva rivolto alla compagna era sparito.
L’espressione neutra del colpevole sul viso. Pensai che anch’io, probabilmente, avessi negli occhi la stessa fasulla indifferenza, ed abbassai il volto, fissando il pavimento.

Silenzio. Uno dei silenzi più densi che avessi mai vissuto.
Ancora oggi non riesco a spiegarmi perché Shin avesse attirato la mia attenzione.
Forse, si trattò solo di un sentimento infantile, come quello di una bimba davanti ad un gioco nuovo e speciale.
Shin, così vicino al mio mondo eppure così diverso, aveva un fascino malinconico che.. non so. Sentivo di dover rispettare.
In quei cinque minuti, nessuno dei due disse nulla, ed io ostinatamente tenni il volto chino.
Quando le porte di metallo si aprirono di nuovo, feci in tempo solo ad osservare la sua schiena allontanarsi.
Aspettai qualche secondo, facendo scorrere la giusta distanza tra noi, prima di percorrere i suoi stessi passi ed uscire dall’hotel, mischiandomi con la folla dei pendolari mattinieri, mentre io avevo appena finito di lavorare. Allora pensavo davvero a quelle notti come ad un lavoro.
C’è qualcosa di talmente in disgustoso in questo, però, che a ripensarci ho il voltastomaco..
Mi diressi verso la metropolitana, e mi ritrovai a penare a quel ragazzo.
Che stesse anche lui fingendo, tornando ad una vita all’apparenza normale?
Scesi velocemente le scale, seguendo il flusso di persone, e venni inghiottita dal buio sotterraneo.
Ero convinta che non lo avrei mai più rivisto, anzi, lo speravo. Perché?
Sapere che qualcun altro porta la tua condanna aumenta solo il suo peso.

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Eccomi qui! E' la mia prima fanfiction, siate clementi!
Io sono una fissata, in tutte le storie mentali che mi faccio (dette anche "filmini schizzofrenici".. sì, sono pazza xD) inserisco sempre un nuovo personaggio, più o meno tormentato (di solito tendo sempre al più). Ed ecco che è nata Yukiko!
Diciamo che può sembrare la solita storia (si incontrano, si innamorano, succede qualche casino e tutti vissero felici e contenti) ma, essendo dotata di una mente alquanto contorta, vi avviso che non sarà così XD
Uhm.. vediamo.. che altro aggiungere? Ah, sì: ritenendomi una nullafacente patentata votata alla disoccupazione, penso di aggiornare piuttosto spesso, anche perchè non vedo l'ora di arrivare ai punti salienti *-*
Per il resto, spero vi sia piaciuto questo capitolo e sarà così anche per i seguenti!
Bye ^^
ps: recensite se non volete avere sulla coscienza una carriera di fanfictionista (?!?) stroncata sul nascere!
  
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