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Autore: AsanoLight    12/09/2014    1 recensioni
«Hirato ed io aspettiamo un figlio»
Intercorse un silenzio di tomba. I presenti si scrutarono uno ad uno, cercavano risposte nei vicini di tavolo, e si davano vicendevolmente pizzicotti. Era un sogno; tutti ora se lo auguravano.
Ma quel pancione non poteva essere un cocomero.
Genere: Demenziale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Un po' tutti
Note: OOC | Avvertimenti: Mpreg
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Akari rimase incollato al cellulare, ancorato come se il mondo stesse per crollare e altro appiglio non avesse avuto se non quel marchingegno.

La bocca fievolmente aperta, le labbra secche e la testa che girava come una palla da discoteca coi vetrini luccicanti, e prima che i presenti se ne potessero accorgere, il dottore era già precipitato sul pavimento, senza sensi, incapace di produrre stimoli positivi o negativi alle parole della persona all’altro capo del telefono.

 

«AKARI-SENSEI!»

 

La chiamata si interruppe quando Tokitatsu si slacciò la cintura di sicurezza ed accorse al moribondo nel tentativo di rinvenirlo. I ruoli oramai s'erano scambiati ma non era sicuro che un paio di ceffoni sarebbero bastati a riportare al mondo dei viventi il ricercatore. Le sue guance di rosa s'erano sbiadite, scemava il colore verso cineree tinte. Non si sarebbe azzardato a toccarle per il timore che potessero andare in frantumi come un set di pregiate tazzine vittoriane tra le mani di Nai.

Il niji si gettò d'istinto sul dottore per soccorrerlo e si propose di andare a chiamare Tsukumo-chan, ancora rintanata nel giardino interno.

«Meglio tenere Tsukumo fuori da questa faccenda», bofonchiò Gareki grattandosi il mento con fare saccente, «Diamole il tempo di riprendersi dallo shock»

«Dici che ce la farà, Gareki-kun?», domandò Yogi, che aveva abbandonato il “timone” –o meglio, il volante, e si era avvicinato con meno timore all'inerme Akari, il cui scrutarlo gli suscitava un intimo sadico piacere quasi quanto vedere l'uomo che da troppo lo tiranneggiava pagare per le sue angherie con tanto di interessi.

«Ce la deve fare», Tokitatsu si rialzò, dal cruscotto della nave/zubat si potevano vedere le nuvole diradarsi sempre più velocemente e le case e i monti e i colli e i fiumi ingigantirsi con rapidità, «Proprio come tutti noi. Deve farcela»

Gli occhi di ammirazione di Yogi parlarono per lui.

Tokitatsu era insolitamente serio e professionale, ora che perdeva le iridi d'acquamarina tra le enormi colline che la nave stava per approcciare, sempre più vicino, sempre più vicino...

«Scusate, sono l'unico a sentire questo strano vuoto allo stomaco?», si portò una mano alla pancia e sorrise con ingenuità, osservando come Yogi stesse cercando di improvvisare assieme a Nai un massaggio cardiaco –e pregava dentro di sé che il prossimo passo non fosse stato la messa in pratica di una versione rivisitata de 'Il piccolo chirurgo', con tanto di bisturi.

Gareki, che aveva seguito sino ad allora l'operare del biondino senza sollevare obiezioni, orientò l'attenzione verso il paesaggio che la nave abbracciava. «Aspetta un attimo...», disse altalenando lo sguardo tra il biondino e la professionale figura di Tokitatsu, ora così balordamente perso nello scrutare il paesaggio, «Ma se Yogi è lì...»

«Allora...», la sensazione di vuoto crebbe esponenzialmente nello stomaco dei presenti e le pupille del ragazzo si fecero piccole come briciole dallo spavento:

 

«ALLORA CHI STA GUIDANDO LA NAVE?!»

 

«Oh! Ecco perché!», esclamò sollevato Tokitatsu, dando le spalle al cruscotto e a quella che a tutti gli effetti pareva una montagna, e riprese a massaggiarsi lo stomaco con noncuranza, «Quindi non sono io ad avere problemi di digestione! Phew!, meglio così! Era solamente Yogi che ha abbandonato il posto guida... niente di cui preoccupars–»

Gareki sgranò gli occhi, la montagna era sempre più vicina, sempre più grande, e anche se il detto vuole che se la montagna non va all'uomo, allora è l'uomo ad andare da lei, Gareki non aveva questo grande interesse nell'approcciare le innevate cime dei rilievi montuosi, né tantomeno tentare la scalata del K2 o dell'Everest quando da qualche parte, a non troppi chilometri da lì, c'era chi aveva bisogno di loro, e a bordo, l'unico dottore che avevano, era in fin di vita –e chissà quando si sarebbe ripreso.

Infilzò le unghie nel volante quasi perforando i guanti ancora unti di olio per motore che indossava e nel momento stesso in cui occupò il posto di Yogi urlò come un lottatore di sumo giapponese che si schianta sul marciapiede dall'ottavo piano di un grattacielo. Era davanti a lui, gli stambecchi lo guardavano come avessero visto un alieno, la montagna gli sorrideva e le caprette gli facevano “ciao” ma– dannazione!

Lui non era Heidi!

Strinse i denti, era come stare sull'ottovolante, la situazione era tanto paradossale da fare invidia ai film di Mel Brooks e ai suoi principali successi; per le leggi della fisica, lo schianto sarebbe dovuto avvenire oramai da troppi secondi, ma il tempo della storia differisce sempre da quello della realtà, quindi cerchiamo di convincerci che Gareki sia stato attraversato da un enorme quantitativo di pensieri che chiameremo ‘x’ nell'arco di neppure un frammento di secondo.

Effettuò una magnifica virata, una sterzata tale da far invidia ad Alonso e a tutti i piloti di Formula Uno.

La nave invertì la rotta lasciando quasi una fiancata sulla montagna e il ministro dai castani capelli non poté che dolersi per il fatto che le spese non fossero coperte dall'assicurazione ma sarebbero ricadute interamente su CIRCUS –e, inevitabilmente, su di lui.

Il corpo incosciente del dottore rotolò come un salame dall'altra parte della nave e il niji, assieme al biondino –che fino ad allora non aveva sentito il peso delle accuse di Gareki addosso, troppo impegnato a familiarizzare con l'inerme individuo, gli corsero dietro nel tentativo di recuperarlo.

Akari rotolò per alcuni metri e Nai si gettò perfino a terra nel tentativo di frenare la sua caduta libera, ma per quando gli aveva preso la caviglia, il ricercatore aveva già sbattuto la testa contro lo scaffale in noce e uno ad uno, i pregiati libri del comandante della seconda nave e i depliant di botanica che gli aveva regalato Jiki gli battezzarono il capo.

«Che diavolo è successo?!», berciò voltandosi Gareki, impossibilitato a fare altro, che ora non aveva la più pallida idea di dove andare per la torre di ricerca. Premeva uno ad uno i mille pulsanti del pannello di controllo, led e luci colorate senza neppure una spiegazione scritta sotto. Tokitatsu era già accorso da Akari, ma all'ennesima sterzata azzardata di Gareki, finì anche lui per terra e le vittime della mancata licenza di guida del corvino salirono vertiginosamente a due.

«Ministro!», Nai, la cui utilità rasentava quella di un accendino sott'acqua, cercò di avvicinarglisi, ma quando gli sollevò il viso e notò gli occhiali rotti, non poté che rabbrividire e ricordare le parole intrise di saggezza del sommo suo compagno, e il suo noto suggerimento. Cominciò a piangere a fiotti, con delle lacrime di coccodrillo che non s'erano mai viste manco alle nomination del Grande Fratello, la Talpa e l'Isola dei Famosi, tutti e tre messi assieme ed elevati all'ennesima potenza. La situazione stava precipitando e con loro la nave, anche se in genere una nave dovrebbe affondare –ma queste questioni linguistiche non dovevano preoccuparli poi un granché data la faccenda.

Le lenti in frantumi di Tokitatsu fecero tremare i presenti procurando un potenziale, nuovo tiranno per Yogi, che avrebbe presto potuto rimpiazzare il morente Akari.

«Yogi!», urlò Gareki cercando di richiamarlo ai suoi doveri, «Stiamo precipitando! Non c'è più benzina!»

«Gareki-kun... mi dispiace!!!»

«Non me ne faccio niente delle tue scuse!», gridò il corvino, «Chiama Kiichi ed avvertila di venire in nostro soccorso! Avrete un radar, un GPS... qualcosa, dannazione, per indicare le coordinate!»

«Beh– ecco... abbiamo–»

«Avete sfiga», convenne amaramente Tsukumo, entrando nella cabina di pilotaggio, la faccia esaltata e gli occhi lucidi, come un SuperMario appena andato a funghi, «Quella tanta, grazie a Gareki-kun». Diede una spinta al corvino, gli si sostituì al posto guida e con una sgommata da Rally invertì ancora una volta la rotta e diede a tutto gas nonostante il serbatoio fosse tanto vuoto quanto il cervello di Tsukitachi e la sua geniale trovata, che aveva messo a repentaglio la vita dei presenti.

Ancora una volta, per effetto della forza centrifuga e qualche altra forza di cui si intendono i professoroni di fisica e sulla quale non si intende discutere per il bene intellettuale dei lettori, tutti eccetto Tsukumo si ritrovarono sballottolati come barili e accatastati ad un lato della cabina, ammassati come stracci da pavimento. Tokitatsu fu il primo ad impattare contro il muro di faccia, dando il colpo di grazia agli occhiali, Yogi gli si schiantò addosso e subito dopo vennero Nai e Gareki. Quando la condizione della nave si stabilizzò e la direzione di volo si fece diritta e stabile come un'autostrada (a meno che l'autostrada in questione non sia la Salerno-Reggio Calabria) il quartetto, che era per rialzarsi e ritornare alla vita, si vide piombare addosso con un ritardo ingiustificabile perfino dalle leggi della fisica (prontamente sospese per volere di Gareki e la sua famigerata bottiglietta dell'acqua) il corpo del dottore, che, rotolando nella loro direzione, avvolto nel camice come uno strudel, mandò in frantumi quel poco che rimaneva del suo cellulare.

«Stiamo procedendo a 1200 km/h. Ci troviamo a settemila metri di altezza. La condizione metereologica è serena. La temperatura esterna è di trentasette gradi»

«Come fanno ad esserci trentasette gradi a quest'altezza?!»

Gareki fece spuntare la testa tra i corpi accatastati dei suoi compari, come stesse ritornando in superficie dopo un'immersione, e cercò di venirne fuori disperatamente.

Una pacca in luoghi non meglio definiti lo fece trasalire dallo sconcerto e in un riflesso condizionato, gli partì una ginocchiata contro la fronte di Yogi.

«YOGI, BASTA CON LE MOLESTIE!»

«Era solamente il sedere, Gareki-ku–»

«Lo disse anche quel dannato quattrocchi di Hirato-san e ora guarda com'è messo!»

Tokitatsu si trascinò come un verme rintronato fuori dalla mischia, strisciando come reduce da uno scontro tra giganti nel Wrestling (in Giappone, diversamente noto come Shingeki no Wrestling; ma questa è un'altra storia), e con lenti oramai in frantumi, cercò di avvinarsi al primo essere vivente disponibile perché gli facesse da guida. Afferrò la maglietta di Nai per aiutarsi a rialzare ma a quella presa il niji, atterrito e devoto all'intelletto superiore del ragazzo in giallo, proclamato erede della nota Jessica Fletcher, ultra premiato nobel per la sfiga e ufficialmente riconosciuto pari di Candy Candy, Conan e Georgie, rammentò la pericolosità del soggetto senza occhiali, e lo colpì senza pietà servendosi della bottiglietta dell'acqua che Gareki, come un dromedario, aveva prosciugato fino all'ultima goccia.

«Non provarci, cattivone!», gridò con aria eroica.

Yogi cominciò a considerare seriamente l'idea di cambiare lavoro e a fare dei corsi per diventare un crocerossino. O, in alternativa, un croceverdino.

O perché no... un croceVARUGA-ino.

L'essenza era che quella faccenda lo stava mettendo in croce.

 

 

«A me pare che funzioni», Hirato girò tra le varie applicazioni del cellulare e testò più volte le sue funzionalità chiamando il numero di Tsukitachi, «Non è rotto. Sei sicuro che non sia caduta la linea? Hai per lo meno provato a richiamarlo?».

Il rosso contorse la bocca in una smorfia, riflettendo intensamente, manco dovesse ricordare la soluzione all'enigma della Sfinge o l'anno della scoperta della Patagonia.

«Non mi hai detto di richiamarlo», aggiunse dopo una pausa così lunga e snervante che aveva fatto perdere ogni speranza perfino al comandante della seconda nave, ora troppo intento a massaggiare il pancione nel suo acquisito istinto materno per curarsi delle opinioni dell'uomo al suo fianco. Si stava scomodi sulla dura sedia di plastica del corridoio della torre di ricerca, senza potersi sdraiare su un qualche letto o tirare un respiro di sollievo e lasciare che la natura (quale natura?) facesse il suo decorso. Le contrazioni continuavano ad essere ravvicinate e sebbene il suo lato virile non tardasse a manifestarsi davanti alle prove di idiozia di Tsukitachi, era altrettanto inevitabile che, al minimale contatto con la gonfia pancia, non gli sfuggisse un sorriso –e un brivido di paura su cosa gli sarebbe potuto succedere.

Dunque, in conclusione, non sapeva se vivere quella gravidanza con tranquillità o terrore.

Ma da quando il telefono di Akari aveva smesso di squillare, irraggiungibile, la seconda opzione lo stava già facendo tremare.

«Perché non mi risponde...», mormorò con voce bassa e nefasta, «Perché non alza quella dannata cornetta?!»

Tsukitachi rabbrividì.

Quegli occhi da fiera non erano un buon segno.

«E-Ehi... calmati Hirato. P-Probabilmente ha altro da fare...–»

Le iridi d'incendio del comandante gli fecero ritirare ogni parola.

«O-Okay. Probabilmente non ha altro da fare»

«Sto per partorire e lui neppure mi risponde al telefono! Maledetto bastardo egoista!»

“Merda! E' di nuovo diventato ‘donna’!”

«Non mi guardare con quella faccia come se fossi uno psicopatico affetto da disturbi della personalità! Io non sono come mio fratello!»

«F-Fino a prova contraria... metà dei suoi geni sono tuoi–»

«Vuoi morire?!»

No.

Voleva arrivare vivo almeno al giorno seguente.

Almeno per andare in qualche discoteca e rimorchiare qualche bella donna e dimenticare l'accaduto. O affogare i suoi problemi e i ricordi di quella vicenda nel brandy. O entrambi–

Trasalì quando qualcosa gli ritornò vagamente alla mente.

«Posso fare una chiamata, Hirato?»

La bestia lo incenerì con un'occhiata e nell'arco di nemmeno un'ora Tsukitachi aveva incassato più minacce di morte di Bill Gates ogni volta che un computer Windows va in tilt. Per un effimero secondo, gli sfiorò il cervello l'idea di desistere, inventare una macchina del tempo e tornare indietro a tre secondi prima per ritirare la richiesta fatta ma il collega incinto gli aveva già schiaffato il cellulare sul palmo, ordinandogli di spicciarsi, e non poteva lui certo lasciarsi sfuggire quell'occasione d'oro.

S'alzò dalla sedia e prendendo le caute distanze da Hirato, compose rapidamente il numero di Kiichi, che conosceva e recitava ogni mattina e sera a memoria come un mantra.

Il telefono non cessava di squillare e ogni istante di attesa era un attimo di morte incombente per lui.

Finalmente, qualcuno rispose.

«Che vuoi?»

Che grazia

«Kiichi. Dov'è Akari-chan?»

«Dovrei dirtelo?», domandò l'azzurra con noncuranza.

Tsukitachi si voltò, Hirato lo stava lapidando con il solo sguardo e nel sottofondo risuonava la colonna sonora del film ‘Lo Squalo’. Rispose a quella occhiata con un mezzo sorrisino ma dopo avergli dato le spalle, si aggrappò al telefono con un desiderio mai tanto forte di voler piangere, come se avesse avuto Jack lo Squartatore alle calcagna: «Devi dirmelo! Ne va della mia vita! Sono in pericolo!»

Kiichi storse il naso e continuò a limarsi le unghie mentre accomodava lo schiacciato sedere sulla schiena di Jiki, che da quando aveva ripreso i sensi era stato costretto a fungere da sgabello per la viziata quattordicenne, «Lei pensa che io, che mi trovo a più di dieci centimetri di distanza da lei, in un paese diverso... abbia voglia di dedicare il mio preziosissimo tempo ad ascoltare le sue lamentele e farle un piacere? Proprio lei, che ci ha lasciato a piedi?».

«Fino a prova contraria...», bofonchiò Jiki, sostenendo con i gomiti tremolanti il peso della ragazzina sulla schiena, «A-Abbiamo i braccialetti. Potremmo anche volare e raggiungere la seconda nave e Ts-Tsukumo-chan senza problemi se volessimo...»

«Non è da un maniaco delle piante che me lo voglio sentire dire», distese lo smalto sul pollice e ne osservò l'intenso colore verde. Come se avesse avuto voglia di scomodarsi per loro. E lei avrebbe dovuto volare, con quel freddo che faceva, fino alla torre di ricerca scompigliandosi l'acconciatura appena fatta, per assistere nel momento del parto il comandante di una nave di deficienti? Meglio restare al sicuro nella sua postazione e lasciare il quartetto di dementi marcire nella loro quarantena, con tutti quei germi infetti. Avesse anche dovuto evitare Tsukumo-senpai per almeno una settimana –l'avrebbe sopportato. Almeno con Jiki, poteva contare di non annoiarsi e di avere sempre qualcuno su cui sfogare la rabbia.

Con la frusta, possibilmente.

«Smettetela di bisticciare!», Tsukitachi si impose con autorità e con altri dieci passi si allontanò da Hirato; approfittando del suo stordimento dopo una contrazione, e parlò quanto piano possibile per non farsi udire, «Akari-chan sta venendo alla torre di ricerca ma il collegamento con il suo cellulare si è interrotto mentre parlavamo!»

«Dove sta il problema, scusa?», Jiki prese la chiamata per Kiichi, e Tsukitachi non si fece troppe domande; la ragazzina doveva essersi già stufata di conversare con qualcuno del calibro del suo comandante e doveva aver lasciato l'onere di gestire la situazione e le ansie del superiore all'unico ragazzo con un po' di cervello nella prima nave, «Se Akari-sensei sta per arrivare alla torre di ricerca, non vedo cosa tu abbia da preoccuparti. Se dovesse succedere qualcosa, noi ce ne accorgeremmo»

“Dopo mezz'ora, dato che ci troviamo dall'altra parte della nave, a duecento metri dalla cabina di pilotaggio –ma ce ne accorgeremmo”

«Il problema è che Akari-chan pensa che Hirato abbia già partorito!»

«Gli ha detto che aveva già partorito?!», la voce di Kiichi si sostituì al misero Jiki nel momento stesso in cui fece per dare una risposta, «Ma è scemo?!»

Tsukitachi esitò.

“Chi tace acconsente”, pensò Jiki, in un'occhiata di totale intesa con la dominatrice azzurra.

«Vi prego! Dovete contattare Akari-chan e dirgli che era tutto uno scherzo!», il comandante della prima nave si aggrappò con disperazione al telefono, manco fosse stato un rametto su un dirupo a precipizio. Il vuoto che sentiva sotto i piedi doveva avere inevitabilmente a che fare con lo sguardo truce e omicida di Hirato dopo l'ennesima contrazione, quelle iridi viola come i lividi che gli avrebbe potuto lasciare il collega una volta che tutto fosse finito –o, in alternativa, se anche si fosse azzardato ad avvicinarglisi troppo in quelle condizioni. Battendo i denti, non si accorse neppure di star urlando dallo spavento e dalla paura, sudato come un campione olimpionico dopo l'impresa del secolo: «Sono disperato! Aiutatemi! Sono il vostro capo! E' un ordine!»

«A parte qualche palese eccezione», ribatté Kiichi di suo canto, «I comandanti non dovrebbero mai abbandonare la nave»

«KIICHI! Non- non lo fare! Non riattaccare! Non riattac–!»

 

 

Chiamata terminata –

 

 

Tsukitachi scorse il messaggio raggelato.

Per quando racimolò il coraggio per fare ritorno dal comandante, si ritrovò la sua ombra alle calcagna, assassina come non mai.

«H-Hirato...?», con una timida vocina, grattandosi innocentemente la nuca, accennò un secondo sorrisino cercando di celare il misfatto, ma la presa del corvino sulla sua giacca non era lontanamente paragonabile alla delicatezza delle sue carezze da chioccia. E non erano amorevoli quelle sopracciglia, la cui piega ricordava vagamente una vallata montana, una 'v' spaventosamente accentuata, e non erano soavi quei canini sporgenti da vampiro.

«Cosa avresti fatto, tu...?», nell'aria c'era odore di sangue, di percosse, e forse anche di una possibile denuncia per tentata aggressione (o effettiva), «Tu avresti mentito ad Akari sul mio stato...?»

«H-Hirato... c-cosa ti fa pensare che io abbia voluto ingannare deliberatamente Akari-chan?», inutile celarlo, la verità era lapalissiana agli occhi d'entrambi, ma Hirato era serio e Tsukitachi era idiota, il che permetteva al primo di individuare le menzogne a colpo d'occhio e impediva al secondo di migliorare la propria condizione.
Anzi, con ogni nuova buffonata inventata, il rosso non faceva che avviarsi verso un punto di non ritorno.

«Gli hai detto che avevo partorito!»

«D-Diciamo che l'ho fatto per aiutarti–»

«AIUTARMI?!», Hirato lo schiaffò al muro, lo stomaco contorto dalla furia che ora gli scorreva al posto del sangue nelle vene, «Quale delle azioni da te compiute rientrerebbero nel concetto di ‘aiutarmi’?! Non riesco a contattarlo, ho bisogno di lui e tu, anziché assicurarti che arrivi qui incolume con quell'equipe di deficienti preferisci piuttosto illuderlo e fargli prendere i colpi?! Il bambino potrebbe nascere a momenti, e ancora non capisci che lui è uno dei pochi che potrebbe gestire la situazione!»

«Ma– Akari-chan si è sempre preso cura di Hearty... c'è una bella differenza tra l'operare un criceto-coniglio lungo dieci centimetri e far venire al mondo un–»

«Di certo è più utile di te!»

P-Perché ho come l'impressione di star incassando tutti gli insulti e la rabbia di un uomo che non sa più con chi prendersela?

«Pensavo fossi abbastanza distante da non riuscire a sentirmi al telefono», cercò di deviare il discorso il rosso, bianco di gesso dalla paura.

Hirato allentò la presa su di lui, doveva calmarsi o del comandante della prima nave, presto non ne sarebbe rimasta che una floscia brodaglia maleodorante di sakè e alcolici di dubbia origine o provenienza. Liberò una banshee dalla tuba che, volteggiandogli attorno come una farfalla, cominciò a massaggiargli la schiena e le addolorate spalle: «Non sta scritto da nessuna parte che io non possa utilizzare i miei poteri per scopi puramente personali».

Dovrebbero scriverlo”, pensò tra sé e sé il rosso, “Magari a caratteri cubitali quando si entra nell'Aula Magna di Chrono Mei. Così i giovani ragazzi sapranno come reagire, quando avranno a che fare con uomini incinti

Il corvino contorse il volto in una smorfia e perfino la banshee, osservandolo piegarsi e non di certo a causa del massaggio che gli stava facendo, assunse un aspetto preoccupato prima di svanire e ritornare nel cappello. «L-La pancia–», rantolò tenendosela, e la mole della gravidanza gli cascò addosso tutta ad un tratto, più di prima. Le contrazioni si fecero più intense, i dolori più acuti. Agguantò Tsukitachi per la cravatta e il respiro gli si fece all'improvviso alterato, il ritmo arrancato, e perfino camminare era faticoso, in quella posizione, in quella condizione: «Non penso di potercela fare. Ho bisogno di un dottore–»

«O-Oi, Hirato... Non farmi così! A-Akari-chan arriverà presto, non puoi resistere un altro po'–»

«Tu pensi che la natura possa resistere?!»

«Cosa pensi sia causa di stitichezza?»

«Osi paragonare un problema futile come la stipsi al mio parto?!»

Se non avesse avuto un'altra contrazione e non avesse lasciato lo scettro a bordo della nave, l'avrebbe ucciso.

Lì.

Seduta stante.

Si aggrappò al petto del rosso e gli graffiò la camicia come un gatto che si appiglia con le affilate unghie ad una tenda. «P-Portami un dottore...», con un filo di voce, riuscì a bisbigliare quelle sole parole, la faccia pallida, gli occhi spaventosamente scavati, «Non mi importa chi–! Mandami solamente qualcuno capace di tirarlo fuori di qui!»

Troppo tardi per Tsukitachi per chiedersi ‘perché’.

Uno schianto fuori dalla torre di ricerca rubò per un attimo la sua attenzione, questione di un effimero secondo prima che il comandante incinto gli mollasse un ceffone per richiamarla su di lui.

 

«UN DOTTORE! ORA!»

 

 

Forse la frusta di Kiichi non sarebbe stata tanto male quanto pensava.


 




Gli svenimenti diventeranno un topos letterario d'ora in poi, grazie a questa fan fiction xD
Senza volerlo, mi sono accorta che non passa capitolo dove qualcuno non svenga, escluso il primo.
Cercherò di fare ammenda. Per ora non posso promettere che nessuno perderà (di nuovo) i sensi... però....
diciamo che fra qualche capitolo la condizione dei presenti potrebbe stabilizzarsi (suvvia, ma perché mi sforzo di parlare come un dottore? aahahahahah *beve un sorso dalla tazzina di tè like a lord*)
Orsù!
Spero che questo nuovo capitolo vi sia piaciuto! -i titoli sono sempre frutto di luuuuunghe elucubrazioni *coff coff*
Un enorme bacione e un abbraccio (da non confondere con baci&abbracci ;D) a chi mi segue, mette la storia tra le preferite o semplicemente si diverte e si fa quattro o otto risate leggendola! E ovviamente, un ringraziamento speciale alle magiche recensitrici! (penso si dica così?)

A presto!
Un bacio ;*
AsanoLight

   
 
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