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Autore: Immyprincess    12/09/2014    2 recensioni
Ciao a tutti! In questa storia Ikuto è un angelo nero, ed Amu un essere umano, ma ci sarà Tadase, l' angelo bianco a contrastare il loro amore.
Leggete e scoprirete !
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Lui.  Mio padre!
Non era cambiato molto dall’ultima volta che l’avevo visto, a parte la barba che gli era notevolmente cresciuta e un piccolo accenno di capelli bianchi. Nonostante tutto conservava sempre quella sua aria da ragazzino.
Era dimagrito di almeno cinque chili, portava i capelli tirati all’indietro, una polo blu e un paio di jeans.
Non c’era da meravigliarsi se mia madre lo aveva sposato. Si erano amati a lungo, anche se non era andata a finir bene. In certi casi è proprio vero che l’amore non dura per sempre.
- Ciao, papà.
Mi sorrise. Era un sorriso spontaneo quello. Non gliene vedevo di così, dalla separazione con la mamma.
Non capii perché, ma quel gesto mi aveva addolcito un po’ l’umore, divenuto troppo amaro negli ultimi giorni.
Mi limitai a ricambiare con un sorriso accennato.
Il fatto di averlo, lì in casa, dopo molto tempo, certo mi preoccupava un po’, ma non potevo nascondere a me stessa, che un po’ mi rendeva felice. Avevo avuto sempre un rapporto conflittuale con lui, del resto come con mia madre. Non riuscivamo a trovare un punto d’incontro, ma dal giorno in cui papà se ne andò, avvertii subito la mancanza di una figura paterna e fui costretta a farmene una ragione per il bene della famiglia.
Negli ultimi mesi non eravamo riusciti a sentirci o a vederci molto in quanto non solo mio padre era tornato a vivere dai miei nonni paterni che vivevano dall’altra parte del Giappone, ma era un imprenditore di una delle marche italiane più importanti, Gucci, quindi era sempre in giro per lavoro, in Italia come in altri paesi stranieri, ma non so cosa l’avesse condotto proprio a Tokyo.
Solo dopo quella lunga riflessione mi accorsi che mi stava guardando con un’espressione di chi non riusciva a trattenere le risate, a quanto pare era rimasto sempre il solito burlone.
Poi scoppiò a ridere.
Un istinto omicida si fece strada in me: - Perché stai ridendo così di gusto?
Non avevo la benché minima intenzione di assecondare le sue battute.
- Perché hai fatto una faccia troppo buffa! Ahahahaha… soprattutto considerando che sei rimasta lì impalata da quando sei tornata! Sei incredibile!
- Ti ringrazio papà! Non solo hai scelto un bel modo per iniziare un dialogo, per di più è la giornata meno indicata in assoluto!
Detto ciò lo fissai con sguardo truce ed iniziai a salire le scale, quando mi bloccò il polso:
- Ehi, Amu! Ti prego non trattarmi così!
Feci un respiro profondo.
Ora ci mancava solo il padre in vena di coccole e la giornata poteva anche dirsi conclusa per me.
Mi girai e gliene dissi quattro: - Dovevi pensarci prima, non ti pare? Te ne vai dall’altra parte del Giappone e sparisci per più di due mesi, poi appari magicamente dal nulla e ti accontenti di sentirci per circa cinque minuti al massimo? Questo per te significa essere presenti nella vita delle tue figlie? Non mi pare proprio.
Cercai di divincolarmi dalla stretta e notai che il suo sguardo ero diventato malinconico.
- Almeno lasciami spiegare i fatti e poi sarai libera di decidere.
Alzai gli occhi al cielo in segno di arresa e ci sedemmo sul divano.
Iniziò: - Vedi bambina mia… - odiavo quando mi chiamava bambina mia- Subito dopo la separazione sono andato dai tuoi nonni per ritrovare me stesso e un nuovo equilibrio. In più’, è stata l’azienda di Tokyo a trasferirmi dall’altra parte dello stato. Non dovendo provvedere alle spese di una casa nuova e contribuendo solo parzialmente alle loro spese, ho risparmiato e mandato a voi più denaro del necessario.
- Che mi dici delle poche telefonate o visite?
- Cerca di capirmi Amu. In questi mesi tra pratiche da chiudere, nuove collezioni da aggiungere, modelli da presentare alle riunioni, l’assicurarsi che ci fosse tutto il materiale non ho avuto un momento libero.  Nell’ultimo paio di mesi ho lavorato in media 12 ore al giorno, compresa la domenica. Certe volte arrivavo così esausto a casa, che andavo a letto senza cena.
Aspettò qualche istante e poi mi chiese : - Allora mi darai una possibilità ?
Il mio cuore si sciolse ancora un po’. Gli sorrisi.
“Urrà. Primo sorriso spontaneo della giornata.”
- Vieni qui piccola- mi disse allargando le braccia per accogliermi in un suo abbraccio.
Senza esitazioni ricambiai.
Avevo bisogno di affetto, anche se non lo dimostravo o mi presentavo agli occhi della gente come una ragazza forte. Sapevo di non esserlo.
- Piccola mia - disse con una voce dolce e dandomi un bacio sulla fronte.
Sciolti da quell’ abbraccio mi venne da chiedergli se mamma  fosse al corrente di questa sua visita inaspettata.
- Certo che  ne è al corrente! Secondo te come ho fatto ad entrare in casa? Mica sono Spiderman? Comunque tua madre è a lavoro. Dopotutto è una donna impegnata in una grande rete di ristoranti! Tua sorella è all’asilo. Che ne dici se la passiamo a prendere più tardi, io e te?
- Certamente.
- Ah prima che mi dimentichi – disse improvvisamente e frugando nella borsa. - Ho un regalo da parte dei nonni. Uno per te, uno per la piccola ed uno per tua madre.
Mi meravigliai non poco di quel gesto, di solito i nonni mi mandavano qualcosa solo nelle occasioni importanti, quindi pensai dovesse essere il regalo di compleanno anticipato di una settimana.
Papà notò che lo guardai stranita.
-Se ti può consolare questo non è il tuo regalo di compleanno, bensì un piccolo pensierino che ha voluto fare alle donne di casa, non vedendole da tanto tempo.
Avevo sempre saputo che la nonna era molto legata a noi, poiché aveva avuto solo nipoti maschi dai fratelli di papà e avendo solo figli maschi, era ovvio che si legasse a ogni nuora, ma in particolar modo si era affezionata a mia madre. Infatti, non aveva mai sopportato la loro separazione.
Finalmente ne estrasse un pacchetto con un biglietto su cui c’era scritto “Ti vogliamo bene”. 
Lo aprii. Conteneva un Carillon che intonava una meravigliosa melodia. Sarei rimasta ad ascoltarla per ore se solo avessi potuto.
- E’ bellissimo !- esclamai stupita.
- Hai visto? Sapevo che ti sarebbe piaciuto.
Dopo aver contemplato ancora per qualche minuto quel meraviglioso oggetto, mi congedai per qualche minuto e andai a sistemarmi prima di pranzo. 
Quando scesi in cucina lo trovai in procinto di mettere una teglia sotto al forno. Lo guardai sbalordita, poiché sapevo che mio padre a differenza di mia madre non sapeva proprio cucinare.
- Si può sapere che cosa stai facendo?- gli chiesi.
Saltò dallo spavento: - Amu! Mi hai spaventato! Un altro colpo del genere e morirò di crepacuore.
- Addirittura, neanche ti avessi confessato di essere incinta.
Si girò di soppiatto: - Ti prego dimmi che stai scherzando- replicò.
- Certo che sto scherzando!
- Uh… meno male.
- Comunque che stavi facendo? - Gli chiesi incuriosita.
- Sicuramente non stavo cucinando, altrimenti a quest’ora la cucina non sarebbe ancora in piedi. Stavo prendendo la lasagna che tua madre ha messo in frigo e le ho messe a riscaldare.
- Per fortuna non sento ancora puzza di bruciato.
Scoppiammo a ridere.
Fu lui a riprendere il discorso: - Amu, allora raccontami qualcosa di te.
Aggrottai un sopracciglio.
- Perché fai quella faccia? Non ci sentiamo da tempo, non passiamo una giornata insieme da altrettanto tempo, è normale che voglia sapere mia figlia come sta?
Mi faceva tenerezza quella sua spontaneità, che sicuramente io non possedevo.
Comunque decisi di rimanere sulle mie, l’ultima cosa che doveva sapere era il mio rapporto con Ikuto se si poteva definire così.
Gli dissi la prima cosa che mi venne in mente:
- Abbiamo un nuovo insegnante di geografia!
Mi fissò, studiandomi attentamente. Poi mi disse: - Ho la netta sensazione che ci sia qualcos’ altro che tu mi voglia dire.
Arretrai. “Perché tutti pensano che ci sia qualcosa che non vada. E’ così evidente?” domandai a me stessa.
Mentre mio padre continuava a esercitare le sue pressioni su di me, il timer suonò.
Fu la mia salvezza.
- Speriamo che la lasagna di mamma non si sia bruciata! Non mi meraviglierei…
Mi fulminò con lo sguardo.
Appena iniziammo a mangiare, notai il silenzio, alquanto imbarazzante, che si era formato tra di noi, così decisi di interromperlo:
- Papà, ma come mai sei qui a Tokyo?
- Penso che sia intuibile. Ho degli affari da sbrigare e … beh, si insomma … ci sono alcune pratiche da chiudere con il mio avvocato che è di qui, per quanto riguarda il divorzio.
- Ah – dissi rattristandomi.
Calò il silenzio, poi mi venne in mente di chiedergli dove aveva pensato di sistemarsi per la notte. A questo rispose: - Beh, in realtà non ho ancora deciso.
Mi venne in mente un’idea: - Che ne pensi di fermarti qui da noi?
Mi guardò contrariato.
- Lo sai che la mamma non sarebbe d’accordo. Altrimenti non ci saremo separati piccola. – si fece serio.
- Basterà solo chiederlo con gentilezza.
- Proviamoci allora – replicò.
- Perfetto! Allora è deciso.
Appena finito di pranzare, sentii girare la chiave nella toppa.
Doveva essere la mamma.
Ne ebbi la conferma quando vidi la sua borsa di lavoro e le buste della spesa. Appena entrò in casa, salutò ed io ricambiai dandole un bacio.
Mi guardò stranita.
- Che cos’è questo cambiamento repentino di umore?
Guardò prima me e poi papà.
- A ora ho capito - disse con il sorriso sulle labbra ed entrando in casa.
- Beh, questo significa che dovresti farci visita un po’ più spesso. Faresti la gioia delle nostre figlie-
Si scambiarono un sorriso, tra il cordiale e l’imbarazzato.
- Mamma, volevo chiederti una cosa.
- Si cara, fammi pure tutte le domande che vuoi. Magari ti vedessi così allegra tutti i giorni.
- Si, beh … papà può restare da noi questo fine settimana?
Mi scrutò perplessa.
- Amu, senti … così su due piedi …
- Ti prego ! – esclamai io.
- Dovrei prima parlarne con l’avvocato…
- Ma mamma…
Rimase ancora un po’ in dubbio, ma alla fine accettò.
Saltai dalla gioia e l’abbracciai al collo, poi mi ritrassi.
Mia madre guardò l’orologio appeso sopra il mobile in cucina erano quasi le tre e mezza.
- Sarà meglio sbrigarsi – dissi incitando mio padre – Ami uscirà tra mezz’ora e c’è almeno un quarto d’ora di strada da fare a piedi, a meno che tu non sia venuto in automobile, ma ne dubito giacché ti sei sempre rifiutato di prendere la patente. Sei un fifone- dissi io.
Mise il broncio e scoppiammo a ridere di gusto.
Mia madre non smetteva di guardarci mentre svolgeva le solite faccende in cucina.
- Ehi, voi due … muovetevi, altrimenti Ami aspetterà.
- Signor si capitano!- esclamò mio padre.
Anche a mia madre venne da ridere: - Sei sempre il solito sbruffone! Adesso andate. Vi voglio fuori di qui – disse con il sorriso sulle labbra.
Avevo la netta sensazione che quello fosse il quadro della famiglia del mulino bianco, ma per quanto sarebbe durato? Cercai di scacciare quell’idea dalla mia mente. Era giunto il momento di vivere alla giornata. Non importava tanto quanto sarebbe durato in fondo, l’importante era godersi ogni istante fino in fondo.
“ Carpe Diem”, giusto?
Non appena uscimmo di casa, svoltammo la prima a sinistra, in quanto da lì sarebbe stato più comodo raggiungere l’istituto.
Durante il tragitto, parlammo di argomenti di vario genere. Dalla scuola, ai compagni di classe a cosa facevo nel tempo libero.
Alla fine fu lui a pormi delle domande decisi di accettare quell’interrogatorio altrimenti l’avrei solo insospettito troppo.
Quando giungemmo nei pressi della scuola materna impietrii alla scena che mi trovai davanti.
Desiderai non essere mai nata o sprofondare in quell’istante: vidi Ikuto che stava parlando animatamente con quella che doveva essere l’insegnante. In un primo momento mi domandai cosa ci facesse in un posto del genere, poi mi ricordai che lui aveva una sorellina più’ piccola e guarda caso veniva nella stessa scuola di Ami. Mio padre non vedendomi più’ a fianco a lui si voltò di scatto e mi venne incontro.
Notò il mio improvviso pallore sul volto e pensò che stessi avendo un calo di pressione, quindi iniziò a urlare il mio nome, pensando che stessi  per svenire.
Gli pregai di abbassare la voce, ma nulla.
E accadde proprio quello che avevo temuto.
Ikuto si girò proprio nella mia direzione e fu inevitabile che i nostri occhi s’incontrassero.
Mi persi di nuovo in quel paio di occhi color ametista.
Difficilmente avrei retto quello sguardo dopo quello che era successo, ma ero legata a lui. E quella fu la prima volta che me ne resi conto davvero. Abbassai lo sguardo prima che lui distogliesse l’attenzione su di me.
Fu una ferita dritta al cuore.
Mi sentii gelare.
Mi voltai verso mio padre e lo ammonii: - Papà Sto benissimo. Non c’era bisogno che facessi una scenata del genere! Guarda ci stanno fissando tutti!
- Amu, mi dispiace tantissimo- replicò.
Sembrava sincero.
- Ah, lascia perdere. Andiamo da Ami.
Mi incamminai, senza neanche prestargli attenzione.
Il mio unico obiettivo era interrompere quella conversazione idillica tra i due piccioncini.
Avevo il volta stomaco e mi girava la testa.
Mi intromisi senza neanche guardarlo in volto e mi rivolsi direttamente all’insegnante: - Buongiorno signorina! Come sta?
Glielo si leggeva in faccia, che alla giovane maestra non le aveva fatto piacere essere interrotta.
- Bene – si limitò a dire poi stava per continuare, ma io non le detti neanche il tempo di replicare: - Oh, mi scusi signorina. Mi dispiace interrompere la vostra interessante conversazione, ma sono venuta a ritirare Ami e sa … vado anche abbastanza di fretta.
Mi guardò truce, sorrise ad Ikuto e si allontanò per andare a chiamare Ami.
Sapevo che avevo il suo sguardo addosso.
- Amu, si può sapere che cosa ti è saltato in mente?
Sbottai: - E me lo chiedi pure? A quanto pare ti sei consolato subito! Ed anche con una più grande di te! Non ti facevo così audace!
- Aspetta … non mi dire che questa è una scenata di gelosia!
- Che? Io gelosa? E per quale motivo?
Il suo viso si corrucciò come un gatto indifeso.
-Ti ricordo che siamo stati insieme anche se per poco.
Mi feci seria.
- Siamo stati appunto – mi rattristai e raggiunsi Ami che stava uscendo in quel momento. Mi venne incontro e mi abbracciò: - Ciao Shorellona!
- Ciao piccola, c’è una sorpresa per te! Guarda chi c’è laggiù – le dissi indicando papà.
La piccola corse incontro a papà.
- Beh, allora ci vediamo a scuola - detto questo me ne andai, con una stretta al cuore.
“ Fermami e baciami. Sei ancora in tempo. Perché non lo fai?”  pensai tra me e me.
Poi decisi di raggiungere papà e mia sorella, che si tenevano per  mano.
Sorrisi.
Almeno nella mia famiglia per i prossimi giorni si sarebbe respirata un po’ di serenità.
- Amu?
- Si papà?
- C’è qualcosa che posso fare per te?
Lo guardai interrogativa.
-Ti chiedo questo perché prima sei impallidita e poi hai avuto una discussione piuttosto vivace con il tipo dinanzi al cancello, con cui mi sembravi in confidenza.
“Ci mancava solo la scenata del padre geloso ed eravamo al completo.”
- Non preoccuparti papà. Va tutto bene.
- Se lo dici tu … ma sappi che se anche non viviamo più assieme io ci sarò sempre per te.
- Lo so papà - e detto ciò ci incamminammo verso casa.
Non vivevamo più assieme ma almeno ci provavamo ad essere una famiglia felice.
  
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