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Autore: Kiki87    12/09/2014    4 recensioni
Sebastian e Kurt sono coinquilini da quasi un anno e la loro quotidianità è una piacevole routine a cui il primo non è tanto disposto a rinunciare. Soprattutto quando Kurt annuncia il suo inaspettato fidanzamento con Blaine.
Tra machiavellici tentativi di sabotaggio e sporadiche sbronze al solito pub, Sebastian si lascia andare ai ricordi della loro convivenza. Ma sarà disposto ad ammettere che i sentimenti di Kurt non siano i soli in gioco, prima che sia troppo tardi?
“Kurt si sposa”, si sentì dire, dopo aver rilasciato il respiro.
Non era stato volontario, ma bastò pronunciare quelle parole perché fluttuassero tra loro così perentorie. Dannatamente reali. E definitive.
Genere: Fluff, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Kurt Hummel, Sebastian Smythe
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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6
Sono di nuovo qui.
A migliaia di chilometri da te.
Un disordine interrotto, solo pezzi sparpagliati
di ciò che sono.
Ho provato così tanto.
Ho pensato che avrei potuto farcela da solo.
Ho perso così tanto lungo la strada.

Sono qui annullato.
Ma tu dai un senso a ciò che sono.
Come pezzi di puzzle nelle tue mani.

Quando vedo il tuo viso,
so che sono finalmente tuo.
Trovo tutto ciò che ho creduto di aver perso.
Pronunci il mio nome,
vengo da te a pezzi,
così puoi completarmi.
(Pieces – Red1).


Settembre
(meno sei mesi al matrimonio)

Capitolo 6

Schiuse gli occhi con un mugugno e si passò una mano tra i capelli. Ci vollero diversi istanti perché si potesse abituare alla penombra, abbastanza da accorgersi di essere a casa di un perfetto sconosciuto. O almeno lo conosceva abbastanza da aver stabilito che poteva rappresentare una valida compagnia per una notte senza pensieri.
Si sfiorò la tempia, laddove il sangue pulsava ad una maniera quasi violenta. La penombra sembrava suggerire che il sole non era ancora sorto e fu rapido a sgusciare fuori dalle coperte per rivestirsi.
Gesti meccanici e abituali, un copione comune in quell'ultimo mese: dopotutto la fine dell'estate era stata più che gradevole.
Si abbottonò i pantaloni, insinuò la maglia e raccolse la giacca di pelle.
Il ragazzo ancora immerso nel torpore, si volse appena e ne sentì il lieve respiro, mentre abbracciava il cuscino su cui era appoggiata la sua testa pochi istanti prima. L'ennesimo volto che avrebbe dimenticato.
Sgattaiolò senza alcuna intenzione di incontrarne di nuovo lo sguardo e leggervi il biasimo o il giudizio. Dannati occhi azzurri.
Scosse il capo, storse il naso al percepire un profumo estraneo addosso e desiderò soltanto poter rientrare presto, lavarselo via ed iniziare l'ennesima giornata uguale alle altre.
Cercò di ignorare, ancora una volta, il pensiero che una notte di piacere non avrebbe annullato quella sensazione pungente. Anche quando il suo corpo fosse stato perfettamente lindo, avrebbe continuato a sentirsi sporco. Nel profondo. Laddove nessuno sguardo umano sarebbe mai riuscito a coglierne l'essenza.
Insinuò la chiave nella toppa ed entrò nell'appartamento addormentato. Lasciò cadere la giacca sul divano, ma lo sguardo fu attratto all'uscio chiuso della camera di Kurt, come se fosse qualcosa di naturale, non appena varcata la soglia di quello che a lungo aveva considerato il loro mondo.
Coprì rapidamente la distanza e indugiò di fronte alla superficie di legno, attendendo di percepire il suono ovattato del suo respiro. Con cautela, schiuse la porta a controllare, ma fu un letto vuoto quello che gli restituì lo sguardo.
Restò immobile per diversi istanti.

Quasi di comune accordo, non avevano più parlato di quella notte a Parigi.
Dopo molteplici chiamate ignorate, aveva risposto al telefono e all'angosciata ed esasperata domanda: “Perché mi hai ignorato? E' da ieri sera che provo a chiamarti”, aveva replicato in modo bieco.
Non volevo che fosse il telefono a vibrare, mentre stavo con uno”.
Kurt aveva trattenuto il fiato e quel lungo momento di silenzio, Sebastian lo avrebbe ricordato probabilmente per tutta la vita. Era stato quello l'istante che aveva cambiato tutto e aveva innescato quella distanza tra loro.
Probabilmente, e il pensiero non era consolatorio, ciò sarebbe comunque accaduto ed inevitabilmente, ma non avrebbe mai desiderato potersene dire il responsabile e tanto meno poter stabilire quale fosse stato l'inizio.
Scusa il disturbo”, era stata la seccata replica di Kurt. “Sono lieto che tu sia tornato a casa”, era certo che si riferisse alla promiscuità che tanto gli era oggetto di biasimo.
Aveva ignorato il nodo in gola, Sebastian. “Non credo di essermene mai andato”, aveva detto con estrema formalità, prima che Kurt riagganciasse.
Non aveva quasi più visto Mezza SegAnderson da allora, ma Kurt sembrava divenuto un ospite abituale del suo (loro) appartamento.
Ogni mattina apriva quell'uscio e si diceva di essere pronto a scorgere una camera vuota e tutti i suoi oggetti scomparsi, come se il suo mondo fosse stato soffiato via. Probabilmente sarebbe stato preferibile alla vuota cordialità di cui erano pregne le loro parole, in quei momenti in cui si sorprendevano a casa contemporaneamente.

Si guardò attorno e si lasciò cadere sul letto dell'altro. Rimirò lo stupido piano affisso al muro: lesse il numero impresso al countdown dei giorni e lo attanagliò una sensazione di nausea persino più intensa di quella percepita al proprio risveglio.
Si drizzò quasi bruscamente.
Non era più affar suo se Kurt voleva rovinarsi la vita in quel modo o se la sua sola missione di vita fosse diventare la mogliettina fedele e devota di Blaine Anderson.
Avrebbe soltanto dovuto continuare a ripeterselo, fino a quando non fosse stato più necessario e avrebbe finalmente tradotto quel pensiero in azione.
~

Ci sarebbe probabilmente voluta una scopata da record per smaltire la lezione di diritto di famiglia di quel pomeriggio: il fatto che si parlasse di matrimoni non ne aveva certamente giovato l'umore, almeno fin quando non si era introdotto il tema del divorzio.
Controllò l'orologio: c'era tempo di cambiarsi e mettere qualcosa sotto i denti, prima di avviarsi al pub e cercare un intrattenimento piacevole per scrollarsi di dosso l'ennesima pessima giornata.
Lo percepì appena varcò la soglia: il suono attutito dei movimenti dalla camera di Kurt. Nessuna giacca da hobbit in giro, lo constatò guardandosi attorno.
Si chiuse l'uscio alle spalle e ogni rumore cessò, come se Kurt si fosse congelato al sentire quel suono attutito.
Si fermò a sua volta, Sebastian, quasi nell'attesa di qualcosa. Qualcosa che facesse cessare quel silenzio insopportabile.
Sembrarono istanti lunghissimi di vana aspettativa, prima che scuotesse il capo.
Si avvicinò alla credenza per prenderne un bicchiere. Schiuse il frigorifero, quando i passi di Kurt ne attirarono l'attenzione.
Si volse: la pacata indifferenza (che Sebastian ostentava in quei casuali incontri domestici) era stata sostituita dall'inarcata delle sopracciglia, quando ne scorse il volto.
Sembrava tremare per l'agitazione, Kurt, ma gli occhi erano arrossati, come quando era vicino alle lacrime: che si trattasse di una crisi di nervi o un litigio col fidanzato, non avrebbe saputo dirlo.
La mascella era serrata, gli occhi lucidi, ma le labbra erano strette. Con un gesto secco, depositò sul bancone le riviste da sposa che nascondeva sotto il letto.
La mente di Sebastian parve spegnersi: ricordò perfettamente quel giorno di due mesi prima, quando si era premunito di pennarello e si era divertito a sfregiare visi di modelli in abiti nuziali.2
Non sembrarono necessarie parole: il bicchiere che aveva avvicinato alle labbra, fu presto depositato sul bancone e Sebastian trattenne il fiato.
Occorsero diversi istanti perché riuscisse a stirare le labbra nel suo sorriso più impudente, malgrado sentisse la gola secca.
“Abiti da sposa, Kurt, mi nascondi qualcosa?”, aveva gettato un'occhiata alla cinta con espressione allusiva, ignorando quell'improvvisa incapacità di sostenerne lo sguardo e le lacrime che sapeva che l'altro stava trattenendo a stento. Probabilmente per Blaine che avrebbe avuto l'ennesima prova del fatto che avrebbero dovuto cominciare a vivere insieme ed attendere non sarebbe servito a nulla. Soltanto, al contrario, a distruggere ciò che di buono avevano vissuto in quell'anno di convivenza, prima che lui ricomparisse nella vita di Kurt.
Strinse i pugni, Kurt, quasi a volersi dominare: avrebbe preferito che urlasse con la sua solita voce stridula o persino che abbandonasse la sua naturale attitudine per colpirlo fisicamente.
“Come hai potuto?”, lo sentì dire, la voce gutturale pregna di collera e di puro e semplice dolore. Nuovamente non riuscì a trattenersi dal rispondere con la medesima arroganza, quasi il suo parlare, per difendersi e schermirsi dall'esprimere i propri sentimenti, fosse indipendente dal vorticare confuso dei propri pensieri o da quei battiti convulsi.
“Semplice, una penna e un pennarello, trovi il viso che ti ispira e-”.
“Sono stanco, Sebastian”.
Sembrava esserlo davvero, al di là dell'indignazione per quell'episodio specifico, sembrava celarsi tutto ciò che non era mai stato detto. Tutto ciò che Sebastian non credeva di essere in grado di sopportare.
Si era stretto nelle spalle: “Devi pagare fino alla fine del mese, se vuoi andartene”.
Neppure sbatté le palpebre, Kurt, quasi quelle parole non fossero neppure state pronunciate, quasi non fosse stato interrotto, mentre lo guardava con viso mortalmente serio.
“Sono stanco che nonostante tutto, tu non abbia ancora il benché minimo rispetto per me e sono stanco di provare a giustificarti o ignorarti, sperando che tutto si risolva, quando finalmente ti deciderai a parlare con me”, si era allontanato dopo aver sollevato le mani in un gesto di resa.
Lo vide avvicinarsi all'attaccapanni per insinuare il soprabito, ma le dita gli tremavano troppo per riuscire ad abbottonarlo.
“Almeno adesso mi parli ancora”, si sentì dire con voce sferzante. Circumnavigò il bancone per avvicinarsi in rapide falcate, perché non se ne andasse così facilmente.
Lo vide irrigidirsi e aggrottare la fronte. “Io non ho mai smesso”, replicò con tono accusatorio, voltandosi bruscamente per osservarlo con le sopracciglia aggrottate.
Sorrise amaramente, Sebastian. “E' la prima vera conversazione che abbiamo da quella notte”, gli fece presente, il viso inclinato di un lato, a voler sondare tutto ciò che il solo ricordo sarebbe riuscito ad innescare.
Parve sbiancare, Kurt, ma ne sostenne lo sguardo. “Non ne hai diritto, non dopo che hai rovinato il mio weekend!”, fu la stridula risposta, additandolo con il viso arrossato per la rabbia e quel tremore diffuso.
Boccheggiò, Sebastian, i cui occhi s’ingrandirono in una frazione di secondo. Il suo cuore parve fermarsi e lo guardò incredulo, mentre cercava di cogliere il vero significato di quelle parole. Quanto la propria presenza, allora, fosse stata di troppo e come il ricordo di un momento tanto intenso fosse stato corrotto. Il solo pensiero era intollerabile.
Sentì qualcosa rompersi dentro di sé e se anche quell'epilogo fosse inevitabile, non era pronto ad accettarlo.
Cercò nuovamente di approntare il suo sorriso sarcastico, ma strinse i pugni lungo i fianchi, fin quando non sentì le unghie conficcarsi nel palmo della mano, quasi quel dolore fisico potesse mantenerlo lucido. “Se cenare e ballare con me-”.
Aveva scosso il capo, Kurt e parve altrettanto ferito alla sola idea che fraintendesse il suo pensiero.
“Non sto parlando di quello!”, fu l'aspra precisazione, prima che scuotesse il capo, cercando di ripercorrere quella serata.
“Non rispondevi alle mie chiamate, non ti sei neppure preoccupato del fatto che abbia passato un'intera notte angosciato per te”, cominciò con voce tremante, a rivelare quanto fosse stata terribile quella sua dipartita e tutto ciò che ne era seguito. “E poi sentirmi dire, con tanta arroganza, che te ne eri andato, lasciandomi tutto addosso”, terminò con pari angoscia ed incredulità.
Ignorò quel desiderio di ricoprire le distanze, stringerlo tra le braccia e lasciare che guardasse dentro di sé e potesse comprendere, quanto lo avesse ucciso trarsi indietro nel momento più importante della propria vita.
Scosse il capo. “Senso di colpa?”, lo incalzò con espressione trionfante. “Per non essere stato accanto a Blaine a sollevargli la fronte, mentre vomitava?”, indagò con le sopracciglia inarcate perché, per quanto si stesse odiando in quell'istante, non poteva non pensare che da allora si fosse allontanato ancora di più.
“Non si tratta di Blaine!”, era stato l'ennesimo urlo esasperato, le braccia che ricadevano lungo i fianchi.
Un verso d’incredulità e scosse il capo, additandolo. “Tutto riguarda Blaine, da quando hai quell'anello al dito”, si sentì dire e a stento riconobbe la sua stessa voce amareggiata e distorta. Cercò di ignorare quel nodo in gola. Ignorare quel bisogno di trattenerlo, ma continuando ad inondarlo della propria rabbia e risentimento, soltanto in parte destinate proprio a lui.
Che lo intuisse o meno, Kurt parve più indifeso che mai, ma scosse il capo. “N-Non tirarlo in ballo”, pareva una supplica.
“Sia mai che la coppia felice debba avere contatti con il mondo esterno e uscire dal proprio idillio”.
Si irrigidì, Kurt: sembrava sull'orlo del pianto, ma scosse il capo aspramente. “Non hai mai avuto il benché minimo rispetto per me”, la voce era ormai roca e quel velo di lacrime era in sospeso sulle lunghe ciglia, ma nessuna scivolò sul volto diafano. “E sono stanco di fingere che questo non mi ferisca”.
Aveva scosso il capo, aprendo la porta, quasi non riuscisse più a sostenerne neppure la vista.
Sentì la mascella contrarsi, Sebastian, ma ne osservò le scapole: “Quindi adesso scappi?”.
Si volse appena, Kurt, un ultimo sguardo colmo di rassegnazione, di esasperazione e di delusione. Scosse il capo: “Magari ho imparato dal migliore”, sussurrò soltanto e la porta si richiuse con un lieve tonfo alle sue spalle.
Qualche attimo di silenzio nel quale cercò di respirare normalmente. Si allontanò dall'ingresso e si lasciò cadere sullo sgabello, continuando ad osservare un punto indefinito.
Le ultime parole di Kurt continuarono a riecheggiare nella sua mente ma, con un gesto pigro, prese la prima rivista dalla pila abbandonata sul bancone, le sopracciglia aggrottate.
Il suo cuore sembrò fermarsi, quando lesse la firma in calce sulla prima pagina che non aveva mai visto prima.
Elizabeth Hummel,
Wedding Planner.
Sentì il respiro mancargli e dovette sostenersi il viso, ravviandosi i capelli, mentre la nausea lo assaliva nuovamente.

~


Non aveva sentito Kurt rientrare: la musica pulsava ad un volume assordante. Reggeva in mano l'ennesima bottiglia di birra ed osservava con un ghigno gli invitati sbronzi, tra i quali spiccava Santana Lopez letteralmente avvinghiata a Sam Evans, a cui piedi vi era un tipo coi capelli alla Justin Bieber (chi era a proposito?) che stava facendosi trascinare, attaccato alla sua caviglia.
Soltanto quando si sentì picchiettare alla spalla, si volse, già pronto a respingere l'ennesima avance di Dave, quando incontrò lo sguardo ricco di disappunto di Kurt. Aveva incrociato le braccia al petto in quella proverbiale attitudine di rimprovero e sarebbe stato comico l'espediente del vederlo muovere le labbra senza coglierne le parole, se non fosse stato certo che il melodramma era imminente.
Non ti ho sentito”, cercò di sovrastare la musica e le minacce spagnole di Santana ai danni del terzo incomodo.
Alzò gli occhi al cielo, Kurt, e quando gli allungò la bottiglia di birra con evidente significato, si allontanò senza più guardarlo. Sospirò, Sebastian, che si affrettò a seguirlo, mentre camminava impettito verso la sua camera. Si sarebbe sicuramente chiuso tra quelle pareti, se non avesse trovato la coppietta, più che impegnata sul suo letto.
Scattò all'indietro, Kurt, con un urletto da donna isterica, che riscosse i due amanti. Le guance rubiconde, con un gesto imperioso, indicò il salotto: “Fuori”.
Come hai detto, amico?”, fortunatamente lo sconosciuto spaccone indossava ancora i boxer, quando gli si avvicinò per torreggiarlo.
Fuori dal mio letto”.
Al sorriso sferzante dell'altro, fu Sebastian a frapporsi tra i due e ripetere l'ordine. Scosse il capo, il ragazzo, sollevando le mani e facendo un cenno alla giovane che, le guance in fiamma, si era ricomposta abbastanza in fretta per uscire.
Come hai potuto?”, lo additò Kurt con voce ancora incredula, fissando il proprio letto con aria nauseata.
Non sapevo che fossero qui”, si giustificò, cercando di non lasciarsi sfuggire un sorrisino.
Dovrò... disinfettare tutto, anzi, no, sarò costretto a bruciare le mie lenzuola di seta e tutto per colpa tua!”, lo additò con aria esasperata.
Alzò gli occhi al cielo, Sebastian, ancora una volta sembrava evidente che Kurt Hummel non aveva idea di cosa significasse essere giovani e spensierati. “Te le comprerò nuove, rilassati”.
Il consiglio parve stizzirlo persino maggiormente. “Rilassarmi?”, ripeté con voce grondante di sarcasmo e di incredulità. “Ho trovato due a fornicare sul mio letto!”, gridò con voce stridula.
Inarcò le sopracciglia, quasi non cogliesse l'implicazione per poi sollevare le mani, con aria pacata. “Puoi dormire nel mio, senza me dentro”, un sorrisino voluttuoso nell'osservarlo. “Anche se il bonus è molto a tuo favore”.
Un'occhiata sprezzante, le braccia incrociate al petto: “E rischiare un numero maggiore di fluidi corporei?”.
Molto lusinghiero”, gli sorrise affettato. “Ma dovresti saperlo che non amo condividere il mio materasso”.
Scosse il capo, Kurt, evidentemente esasperato da quello scambio d’opinioni irrilevanti, rispetto alla questione principale. “Come ti è saltato in testa?”.
Era una festa, Kurt”, ripeté, sollevando gli occhi al cielo. “Ti farebbe bene rilassarti, sempre che tu ne sia capace”, commentò ironicamente, pensando alle molteplici attività che gli riempivano la giornata, dai corsi alla Nyada, al tirocinio fino al lavoro in caffetteria.
Gente ubriaca, che fa sesso in ogni antro, sporca la casa, fa rumore e rischia di distruggere le nostre suppellettili ballando, tu lo chiami relax?”.
Un sorriso soddisfatto. “Vedo che apprendi rapidamente”.
Avresti dovuto chiedermelo!”, fu l'esasperata replica di Kurt, ormai tremante per la rabbia.
Cioè avrei dovuto chiederti di fare quello che voglio nel mio appartamento, ho capito bene?”, gli domandò con la baldanza di un futuro avvocato alle prese con un soggetto al banco dei testimoni, incapace di difendersi.
Pago l'affitto e ho diritto di dire la mia, contribuisco alle spese, senza contare che sono sempre io che mi assicuro che sia tutto in ordine e pulito”.
Se hai manie ossessivo-compulsivo per la pulizia, non puoi accusarmi di-”.
Tu non mi rispetti! E andiamo oltre il non fare la spesa o lasciare lo specchio sporco di condensa, non asciugare la doccia, lasciare i tuoi abiti sporchi sul pavimento del bagno e-”.
Sospirò, Sebastian e sollevò gli occhi al cielo, con aria evidentemente annoiata per il prolungarsi della conversazione e con simili toni polemici. “Non essere melodrammatico”.
Fremette, Kurt, le cui labbra tremarono, ma si incupì. “Va' via”, sussurrò soltanto, indicando il soggiorno.
Sbatté le palpebre, Sebastian, sorridendo incredulo. “Kurt”, lo richiamò, sollevando le mani.
Fino a prova contraria questo è il mio spazio: torna alla tua festa e nel resto della tua casa”, continuò con voce ancora più stridula, ma lo sguardo dardeggiante.
Strinse la mascella, Sebastian. “Bene, chiamami quando il tuo ciclo sarà finito”, lasciò cadere le braccia sui fianchi ed uscì rapidamente.
Non rispose, Kurt, ma si sedette sulla poltrona di fronte alla scrivania, le braccia incrociate al petto e lo sguardo accigliato.
Sebastian sbuffò e si chiuse la porta alle spalle.
Sorseggiò la birra, più che deciso a riprendere la festa. Anche se tutto il suo buon umore si era appena dissolto. Anche se una parte di sé continuava ad osservare la stanza da cui era appena uscito.

~

Entrò nella confusione generale, ignorando volti noti e qualche sorrisino malizioso. Scansò, con un gesto secco, chiunque avesse cercato di cingergli il braccio, alludendo ad una notte trascorsa insieme nell'ultimo mese.
Si diresse verso il bancone: la vista del dottorino impegnato a cicalare, munito della sua migliore (peggiore) espressione flirtante, con la biondina appollaiata sulla superficie di legno, gli fece stringere le labbra.
Si sedette di malagrazia sullo sgabello, facendoli sussultare entrambi.
“Dammi un whisky”, sbottò in direzione del barista a mo' di saluto.
Sbatté le palpebre, Hunter, sorridendo alla giovane con aria di scuse, prima di rivolgersi all'altro, dopo che sembrò scendere nuovamente nella terra dei comuni mortali. Inarcò le sopracciglia, con aria stranita, nell'osservare il proprio orologio: “Sono appena le 20”.
“Non ti ho chiesto l'ora, SfinterHunter: dammi quel cazzo di whisky”, scandì ogni parola con voce secca e lo sguardo truce.
Trasalì, Brittany, che assunse un cipiglio scandalizzato, le mani appoggiate sui fianchi, nella pallida imitazione di una mammina o di un'insegnante d'asilo. “Non si dicono le parolacce: chiedi scusa”, lo ammonì come avrebbe fatto con un bambino scapestrato.
Socchiuse gli occhi, Sebastian, emettendo un sospiro pesante, ma si limitò a gettarle un'occhiata sprezzante, le sopracciglia aggrottate: “Non hai un costume succinto in cui strizzare quel poco che hai da offrire? E non sto certo parlando della tua carente materia cerebrale”, aggiunse con un sorrisetto perfido.
“Sebastian!”. Fu il richiamo di Hunter, la mascella serrata e lo sguardo irritato.
Sbatté le palpebre, Brittany, ma scosse il capo e scese dal bancone con un sorriso gentile nei confronti del barista. “Non fa nulla”, ribatté in tono tranquillo, pur guardando Sebastian con aria mortalmente offesa. Sospirò e scosse il capo.
“Sembra Lord Tubbington, quando è stitico da una settimana”, commentò con leggerezza, quasi gli stesse facendo una grande confidenza. Ondeggiò la mano in segno di saluto e si allontanò.
Attese qualche istante, Hunter, perché la ragazza raggiungesse l'amica latina, prima di rivolgere un'occhiata glaciale al nuovo arrivato. “Passi prendersela con me, ormai ci sono abituato”, si era stretto nelle spalle, ma il cipiglio era più furioso che mai. “Ma potresti usare un minimo di tatto almeno con Brittany”.
Lo fissò con aria persino più schifata, Sebastian. “Risparmiami la morale: saresti il primo a deriderla, se non volessi scopartela”, fu la secca risposta.
Si contrasse pericolosamente la mascella di Hunter, la carnagione assunse una tonalità rosata e parve doversi controllare, a giudicare da come strinse i pugni e parve voler sbriciolare la bottiglia che teneva ancora tra le mani. Con un notevole sforzo, l'appoggiò sul bancone e trasse un profondo respiro, ma incrociò le braccia al petto e lo guardò accigliato.
“Che cosa è successo?”, domandò con voce più rigida.
“Le tue psicanalisi puoi infilartele su per il culo, dammi un bicchiere di whisky e torna ad amoreggiare con la capoclasse della quarta elementare”.
Era stato un gesto fulmineo quello con cui Hunter lo aveva preso bruscamente per il colletto, i lineamenti del suo volto parevano granitici e lo sguardo era animato di un'inusuale ira che lo rendeva stranamente inquietante. Improvvisamente la vista dei bicipiti nudi non era più soltanto un pretesto per considerarlo omosessuale.
“Cominci a stancarmi, Sebastian”, lo avvertì in tono glaciale.
“Mi sto quasi eccitando, vuoi colpirmi?”, lo provocò con un sorrisetto di sbieco.
“Sarebbe farti un favore”, lo lasciò andare con una smorfia, ma prese una bottiglia dallo scaffale alle sue spalle e l'appoggiò sul bancone con un calice vuoto. “Serviti pure: non ho intenzione di farti da complice o tanto meno da psicologo. Buona sbronza”.
“Fottiti”.
Lo ignorò, Hunter, la mascella ancora serrata.


Il mondo sembrava diventare molto più piacevole dopo qualche bicchiere: decisamente era tutto più divertente e bello. Non sapeva esattamente quando la bottiglia fosse finita (e aveva provato più volte a reclinarla per farne uscire le ultime gocce), ma era la testa non era mai sembrata così leggera. Forse di quel passo avrebbe anche cominciato a galleggiargli in aria. L'idea lo fece sorridere persino più divertito. Avrebbe potuto persino pensare di unirsi agli altri e sculettare sulle note di Lady Gaga o qualsiasi altra cosa stesse facendo a gara con le sue tempie per pulsare qualcosa simile ad un costante “tunz tunz tunz”.
Almeno fino a quando non si ritrovò chino sul bancone, la nausea ad attanagliarlo e il mondo che cominciava a diventare in 3D a giudicare dalla tripla visione di ogni oggetto. Cercò di rimettersi eretto, quasi cadendo di peso sulla superficie.
Stava ripulendo il bancone, Hunter Clarington, l'aria placida nel rimuovere il boccale e gettare la bottiglia vuota nel cestino del vetro. Gli scoccò appena un'occhiata in tralice: “Dovresti svenire entro un'ora”, lo informò dopo aver controllato l'orologio da polso.
Rise, Sebastian, sollevando lo sguardo e cercando di capire quale dei tre volti fosse quello giusto. Allungò il braccio sotto lo sguardo scettico dell'altro. “Ha a che fare con Kurt, vero?”, gli chiese, scostandosi per non essere sfiorato dalla mano protesa.
Rise ancora, Sebastian: “Lo so che vuoi sbottonarmi... sei un porco”, aveva commentato con voce più languida, sporgendosi in sua direzione.
Sospirò, Hunter, sollevando gli occhi al cielo con l'aria di chi aveva sentito ben di peggio e probabilmente non soltanto da lui. “Sei venuto in auto?”.
L'imitazione del motore (“Bruuuuum, Bruuummm, Bruuuuuum!”) parve una risposta eloquente e il barista allungò la mano vuota.
“Dammi le chiavi”, lo esortò con lo stesso tono incoraggiante con cui un genitore avrebbe convinto il figlio che la vaccinazione fosse qualcosa di positivo e persino di salutare.
“Cercale da solo”, rispose con voce ridente. “Lo so che non vedi l'ora di frugarmi tra le tasche”, aggiunse con la stessa aria maliziosa, ammiccando voluttuosamente.
Sembrò a stento trattenere l'espressione di puro disgusto, Hunter, ma sospirò e circumnavigò il bancone, borbottando qualcosa come: “Se lo fermano o si schianta, sarai licenziato e dovrai vivere sotto il ponte di Brooklyn”. Sembrò ripeterselo come un incentivo per completare la sua buona azione quotidiana.
Lo studiò come se fosse un caso clinico, prima di cercare nella giacca che aveva lasciato su uno sgabello vuoto.
Rise, Sebastian, scoccandogli un'occhiatina languida: “Acqua”.
Strinse le labbra, Hunter, ma sospirò e, con l'aria di chi si stava preparando ad esaminare la prostata di un perfetto estraneo, allungò la mano verso la tasca dei jeans. Sospirò con aria disperata, probabilmente invocando qualche divinità, prima di insinuarla all'interno.
“Oh, sì, più a fondo, così!”, non si curò neppure di abbassare la voce, socchiudendo gli occhi ad imitare l'appagamento in ben altro contesto.
“Smettila, coglione”, borbottò con voce contraffatta dall'imbarazzo, le guance visibilmente colorate. “Non ti sto neppure toccando!”, specificò come se l'altro fosse in procinto di eccitarsi per qualche film mentale nel quale non voleva essere una sgradita comparsa.
Rise più forte, Sebastian, dimenandosi e costringendolo a cingerne il fianco.
“Sta fermo un dannato secondo”.
“Mhm... sì, sei vicino”, aggiunse con voce enfatica.
“Quanto vorrei spaccarti la faccia”, ringhiò per risposta.
“Ti piace violento, lo sapevo”, sussurrò al suo orecchio, schivando il colpo che aveva mirato al suo viso.
Sorrise, Sebastian, l'aria voluttuosa, prima di incrociare lo sguardo della biondina che si era avvicinata alla postazione del bar con aria allegra. Si era immobilizzata alla visione dei due ragazzi, gli occhi sgranati nel guardare Sebastian contorcersi, mentre l'altro era ancora chino a cercare di tastarne l'altra tasca.
“Non credi che quel neo sia sexy?”, le chiese Sebastian con aria confidenziale, alludendo alla macchiolina sulla porzione di collo nudo, sotto la nuca. “Lo sai? Ne ha parecchi altri, ma non ti dico dove”, ammiccò con aria complice.
“Finalmente!”, mormorò trionfante, Hunter, un mazzo di chiavi tra le mani e l'espressione compiaciuta di sé.
Sebastian sogghignò. “Questo dovrei dirlo io, non credi?”.
Non lo stava ascoltando, Hunter. Gettò un'occhiata a Brittany, quasi avesse notato soltanto in quel momento d’essere oggetto della sua sconcertata e confusa espressione. Alternò occhiate da Sebastian a Brittany, da Brittany a Sebastian per almeno trenta secondi.
“Cazzo”, commentò, per poi affrettarsi a scostarsi dal ragazzo. “Non è come sembra!”, esclamò per poi inorridire delle sue stesse parole. “Oddio, è la frase peggiore che si possa dire in queste situazioni”.
Gli sorrise dolcemente, Brittany, l'aria candida e serena nel sollevare le mani. “Non devi dire nulla: scusami Sebastian, non avevo capito che non sei uno scorbutico cattivo. Sei solo uno scorbutico innamorato”, aveva sospirato con aria trasognata. Uno sguardo intenerito nell'osservarli come se li scorgesse solo in quel momento, battendo le mani con aria serena.
Dall'altra parte del salone, sul palco, Santana Lopez imprecò in spagnolo nel bel mezzo del suo assolo, suscitando non pochi sguardi interdetti tra gli astanti.
“Io non sono innamorato”, sembrò ridestarsi Sebastian, appoggiandosi a Hunter nel tentativo di rialzarsi e il viso si contrasse in una smorfia. “Smettetela di dirlo!”, aggiunse in tono lamentoso. Si appoggiò alla spalla dell'amico per non cadere riverso sul pavimento.
“Non lo è”, si era affrettato ad aggiungere Hunter che cercò di scrollarselo di dosso perché si appoggiasse al bancone. “Cioè, lo è, ma del suo coinquilino, è una storia lunga”.
“Me la racconterete, ora devo tornare sul palco”, lo indicò, senza evidentemente notare che Santana Lopez era a stento trattenuta alla vita dal fidanzato (una fortuna che fosse un giocatore di football professionista) e si stava sbracciando, quasi volesse raggiungere il bancone e intervenire violentemente.
Ciao delfini”, trillò come saluto finale.
Si levò dal bancone, Sebastian, ridendo con aria sguaiata.
Hunter si volse, il viso rubicondo ma la mascella serrata. Incrociò le braccia al petto con aria impettita che lo rendeva stranamente più infantile. “Che cazzo hai da ridere?”, borbottò in sua direzione, la testa che sembrava gonfiarsi come un buffo cartone animato, rendendola sproporzionata rispetto al corpo.
“Ti ho fottuto”, replicò Sebastian. “Senza fotterti: ti ho fottuto senza fotterti”, rise lui stesso del suo gioco di parole di scarsa intelligenza, quasi inciampando. “L'hai capita, eh?”.
Cadde di nuovo con la faccia sul bancone e un gemito di dolore per l'impatto della mano del barista sulla propria nuca.
Si pulì le mani con aria chirurgica e compiaciuta, Hunter, prima di stringersi nelle spalle. “Ne valeva la pena”, commentò tra sé e sé per poi gettare uno sguardo disperato in direzione della biondina e strofinarsi una mano sulla fronte.
Avrebbe dovuto rimandare il proprio dramma personale. Ancora una volta.
“Stillman”, richiamò il ragazzo impegnato a cicalare con il buttafuori e gli indicò il bancone. “Sostituiscimi”.
Sgranò gli occhi il ragazzo che non si era mai avvicinato, se non per qualche ordinazione. “Ma-”.
“Fallo e basta”, gli ringhiò contro e l'altro lo guardò interdetto, evidentemente non avvezzo ad una simile espressione truce, ma neppure volenteroso di sfidarne la pazienza.
Prese il braccio di Sebastian per appoggiarselo dietro al collo e lo issò con la mano sul suo fianco, lieto che fosse ancora privo di sensi. “Andiamo, wiskeycomane”.
“Kurt”, mugugnò Sebastian tra la veglia e il sonno.
“E poi ti stupisci se vuole sposare Blaine”, borbottò con aria polemica, sollevando gli occhi al cielo e facendosi largo tra la persone in pista da ballo.
“Ehi, ti ho sentito”, mugugnò con tono puerilmente offeso, gli occhi socchiusi.
Si strinse nelle spalle, un vago sorriso compiaciuto per la piccola soddisfazione. “Mi hai fottuto con Brittany”, sussurrò.
Il viso di Sebastian si contrasse. “Ho avuto threesome migliori”, borbottò con aria disgustata. “Ahia!”, piagnucolò di nuovo.
“Sì, ne valeva ancora la pena”.

~

Il vortice della festa era ormai dimenticato: Sebastian osservò il biondo dalle labbra di scorfano (ma pettorali notevoli, come aveva appurato, quando Santana Lopez aveva cercato di spogliarlo), portare via la fidanzata, coricandosela in spalla. Soltanto allora lasciò vagare lo sguardo sul caos del soggiorno, ma fortunatamente nessuno degli oggetti di Kurt era stato oggetto di un'improvvisata partita di football tra ubriachi, organizzata dal buttafuori del locale.
Osservò la camera del giovane con le sopracciglia aggrottate, impiegò qualche istante a trovare la giusta risoluzione ma, finalmente, si avvicinò all'uscio. Sollevò la mano per bussare: sai mai che fosse motivo di un'altra melodrammatica reazione da donna mestruata.
Puoi entrare: è casa tua”, fu la polemica autorizzazione di Kurt.
Sogghignò, Sebastian, ma fu lesto a mascherare il divertimento ed assumere un'espressione indifferente.
Non era preparato, tuttavia, a ciò che vide, appena schiuse l'uscio: Kurt aveva riordinato tutte le suppellettili in una mezza dozzina di scatole e stava tuttora piegando degli abiti da riporre nelle valigie.
Sbatté le palpebre, le sopracciglia inarcate: “Vai in vacanza?”.
Non lo guardò neppure, Kurt, continuando ad occuparsi dei vestiti, stringendosi nelle spalle. “Me ne vado, ma tranquillo: pagherò l'affitto del mese”.
Un verso di divertimento e scosse il capo, con aria incredula. “Un po' melodrammatico”.
Voglio evitare i veri drammi: abbiamo fatto il nostro periodo di prova ed è evidente che non siamo compatibili”, sancì Kurt senza neppure guardarlo, continuando ad ordinare i propri abiti con aria evidentemente stanca.
Torni a fare il figlioletto prediletto di Rachel?”.
Sollevò il capo solo per riservargli lo stesso sguardo glaciale del giorno in cui si erano conosciuti. “Se anche fosse, non sarà più un tuo problema”.
Sbuffò, Sebastian, prima di avvicinarsi e togliergli di mano un pullover. Ne scrutò i disegni geometrici e gli orli ridefiniti, inarcando le sopracciglia come a chiedere: “Sei serio?”.
Incrociò le braccia al petto, Kurt: “Chi di noi è l'esperto di moda?”.
Scrollò le spalle, Sebastian, che gettò il maglione sul letto, prima di rovesciare la valigia già colma d’abiti.
Cosa... Sebastian!”, strillò con quell'odiosa voce in falsetto. “Lascia le mie cose: è evidente che non mi vuoi con te, perché dovrebbe importarti?”, gli chiese, recuperando il proprio bagaglio.
Incrociò le braccia al petto, Sebastian: “Tu non andrai da nessuna parte”.
E' evidente che mi consideri un coinquilino solo quando si tratta di cucinare, fare la spesa e non far sesso con me”, l'ultima istanza l'aggiunse a chiarire che, tuttavia, era dovuto alla propria imposizione in merito.
Sorrise, Sebastian, il viso inclinato di un lato: “Ti sei appena descritto come mia moglie”.
Arrossì, Kurt, ma con uno sbuffo recuperò i propri abiti già piegati.
Sebastian lo cinse, attirandolo a sé. Gli occhi azzurri di Kurt erano sgranati, le labbra schiuse, il ridicolo anello a forma di papillon al dito3 e la fragranza stucchevole alla vaniglia parve inondarlo. Ma non lo lasciò.
Non voglio che tu te ne vada”, sussurrò guardandolo dritto negli occhi.
Perché?”, domandò Kurt a mo' di sfida, malgrado ancora le sue guance fossero di un colorito più acceso a quell'intima vicinanza.
Sapeva che da quella risposta sarebbe dipeso tutto. Altrettanto bene che non avrebbe mai pronunciato parola su come tutto di lui fosse divenuto... familiare. Quanto avesse condiviso con lui in poche settimane, come mai con nessun altro, da che aveva lasciato Parigi.
Quanto, pur non avendolo mai sfiorato, conoscesse di lui: i rituali prima di dormire, il modo in cui si allacciava la cravatta con sguardo perso, già cercando di fare una lista mentale delle cose da fare. Il suo canticchiare sotto la doccia o in cucina, quando era particolarmente di buon umore. Lo scegliere gli abiti a seconda dello stato d'animo, il criticare le sue abitudini alimentari, il suo stile di vita e il suo gusto nel vestire.
I commenti pungenti di fronte ad un lavello pieno di stoviglie sporche o i vestiti abbandonati sul pavimento del bagno.
Tutto ciò che era divenuto casa. Il sapere che avrebbero discusso sulle stesse stupide cose, che lo avrebbe trovato a piangere il Venerdì sera su qualche film, in attesa che il fidanzato lo contattasse su skype. O i momenti in cui dormiva e quel sorriso ne sfiorava le labbra.
Mi sono abituato a te”, ribatté in tono sferzante, stringendosi nelle spalle. “Sei il peggio che mi potesse capitare”.
Sollevò gli occhi al cielo, Kurt e strinse le labbra con espressione risentita. Più per il fatto che non potessero affrontare seriamente una discussione, che per la risposta di per sé.
Lasciami andare”.
Ma non voglio nessun altro”, aggiunse Sebastian con sguardo più intenso, quasi volesse fermarlo e farlo desistere dalle sue intenzioni iniziali.
Lo guardò sospettoso, Kurt, quasi aspettandosi un'altra frase a trabocchetto. Parve non trovarla, ma sospirò: “Organizzerai un'altra festa a mia insaputa?”.
Non potrei comunque scopare nessuno per il tuo udito delicato”, replicò in tono incurante, ma il sorriso che già ne increspava il viso alla realizzazione che non se ne sarebbe davvero andato.
Rispetterai i turni di spesa, lavaggio e-”.
Non esageriamo”.
Sbuffò, Kurt, facendo per scostarsi, ma Sebastian lo trattenne: “Lo sai che ti mancherei troppo”. C'era un'incrinatura più dolce nella piega delle labbra. Un modo del tutto personale di fargli comprendere che sarebbe stato lui per primo a non sentirsi più a casa, in sua assenza.
E ciò che era paradossale, era che Kurt sembrava capirlo. Sospirò, infatti: “So già che me ne pentirò... di nuovo”.
Bene, disfai tutto: fingerò di riordinare il salotto e poi andremo a cena fuori”, sorrise tra sé, per poi chinarsi a baciarne la guancia. Un modo più semplice e meno goffo di porgergli delle silenziose scuse. Un ottimo pretesto per inspirarne nuovamente il profumo e saggiare con le labbra la sua pelle soffice e delicata.
Visto? Abbiamo appena fatto pace senza sesso: come marito e moglie”, sussurrò, indugiando contro il suo orecchio.
Lo spintonò via, Kurt, ma sostava un sorriso sulle sue labbra, prima che assumesse un'espressione risentita: “Mi hai stropicciato il pullover”.
Credevo fosse una camicia da notte”.
Pervertito”, lo ammonì.
Rise divertito in risposta, prima di scrollare le spalle:“Travestito”.
Arrossì con aria sdegnata, Kurt:“Idiota”.
Assunse una finta espressione esasperata e stoica: “Sì, amore”.


~

Il mondo sembrava moooolto più leggero, anche se aveva una vaga sensazione di nausea. Tutta colpa del dopobarba di SfigHunter. Oh, che carino quel nuovo nomignolo, doveva aggiungerlo alla lista. Rise tra sé, ignorando l'occhiata tra lo scettico e lo schifato dell'altro.
Era riuscito ad estrargli l'indirizzo e stava cercando di orientarsi nella zona residenziale, per trovare il suo appartamento.
Quello sembrò rianimare Sebastian che guardò l'edificio familiare: “Kuuuuuurt”, cominciò a piagnucolare, cercando di scostarsi dall'altro, barcollando in quella direzione come uno zombie sbronzo. “Le luci sono spente!”, piagnucolò con voce risentita, tirando su con il naso, come se si fosse appena profuso in un lungo pianto. “Deve essere da Sega, Seghetto, Seghobbit”.
Hunter si lasciò sfuggire un sospiro di sollievo, pur tornando a sostenerlo, per evitare che si spalmasse contro il muro di una delle case circostanti. “Ti scarico a letto e torno al pub, sempre che non mi abbiano licenziato nel frattempo”, aggiunse tra sé. In realtà una parte di sé cominciava seriamente a sperarlo.
“Solo le zoccole scappano prima che sia giorno: come me”, s’indicò e riprese a ridere.
Sospirò per l'ennesima volta, Hunter. “Vieni qua, zoccoletta”.
“Sono la tua sporcacciona”.
Alzò gli occhi al cielo, Hunter, ma riuscì ad afferrarlo nuovamente e trascinarlo fino all'ingresso. Studiò con aria clinica la serratura e cominciò a cercare tra il mazzo di chiavi, imprecando di fronte all'esagerata quantità: “Sono le chiavi di tutti gli amanti dell'ultimo mese?”, gli abbaiò contro.
“Kuuuuurt”, riprese a lagnare, Sebastian, appoggiando il capo contro l'uscio e bussando.
“Fossi in lui cambierei serratura”, borbottò l'altro, sistemandosi meglio gli occhiali e provando ad inserire la terza chiave.
Fu in quel momento che l'uscio si schiuse e Kurt apparve in vestaglia: evidentemente risvegliatosi, aveva gli occhi ancora gonfi di sonno e i capelli scarmigliati.
“Kurt!”, si rianimò, Sebastian, che barcollò verso di lui con le braccia tese.
Inarcò le sopracciglia, Kurt, quando si appiattì contro la porta, continuando ad invocare il suo nome.
“Tu devi essere Kurt”, commentò il barista con aria ironica, osservando Sebastian che stava ancora cercando di avvicinarsi all'altro, senza accorgersi che il proprio piede era d’ostacolo all'apertura totale della porta. “Hunter Clarington, piacere”, allungò la mano e gli porse il mazzo di chiavi.
“Mi inquieta che uno dei suoi amanti conosca il mio nome”, lo accolse Kurt con le sopracciglia inarcate e l'aria tacita di rimprovero per aver tratto vantaggio da un ragazzo sbronzo. “Ma sei anche il primo che almeno lo riporta a casa”, aggiunse a mo' di concessione.
“Io non sono gay!”, sbottò Hunter, le guance colorate. “E probabilmente da stasera non sarò più neppure un barista per colpa sua”, fu la scandalizzata replica, prima che Sebastian trovasse il Kurt giusto per affondare contro la sua spalla, continuando a ripeterne il nome, come fosse indispensabile per sentirsi nuovamente in pace con se stesso.
Sospirò quest'ultimo, quasi schiacciato contro il suo peso morto, le labbra contratte in una smorfia per l'odore che emanava, tutt'altro che piacevole. Si rivolse all'altro: “Ti dispiacerebbe aiutarmi?”.
Lo condussero alla sua camera e Sebastian si gettò sul proprio letto, abbracciando il cuscino e restando immobile, probabilmente dopo aver perso nuovamente i sensi.
“Posso offrirti un caffè?”, chiese Kurt con insolita dimestichezza, considerando le circostanze tutt'altro che usuali nelle quali si erano trovati invischiati.
“No, grazie”, ribatté il barista che pareva ansioso di uscire. “Non vederlo fino a domani sarà già una ricompensa”, aggiunse con un sorriso ironico.
Ne ricambiò il sorriso, Kurt. “Beh, grazie ancora, Hunter: sei stato molto gentile”, l'aveva accompagnato all'ingresso, trattenendo i lembi della vestaglia con la mano.
“Non ti conosco, ma da quel poco che so di Sebastian o sei un santo-”.
“Sto rivalutando la mia immagine”, ribatté Kurt vagamente divertito.
Non ne ricambiò il sorriso, Hunter, ma lo scrutò con espressione pensierosa, le sopracciglia inarcate e le braccia incrociate al petto: “O sai ciò che prova davvero per te”.
Parve senza parole, Kurt. Doveva essere particolarmente shockante essere giudicato da una persona estranea che, tuttavia, sembrava conoscere molto di sé.
Distolse lo sguardo, le guance più rosate, ma l'espressione rigida nel fissare la camera in cui avevano abbandonato il ragazzo ubriaco.
Hunter si affrettò a sollevare le mani, con atteggiamento neutrale, dopo aver occhieggiato una sua foto con Blaine, affissa alla parete. “A proposito, auguri per il fidanzamento”, aggiunse in tono gentile.
Si sforzò di sorridere con la stessa naturalezza, Kurt. “Grazie e... Hunter?”.
“Sì?”, ancora sulla soglia, si era voltato ad osservarlo, con aria colma d’aspettativa.
Probabilmente sperava in un ulteriore e accorato ringraziamento, magari persino la proposta di rimborsargli il disturbo, le bibite che Sebastian aveva bevuto a scrocco (con tanto di mancia per la sua sopportazione storica), o una confessione con cui avrebbe potuto ricattare Sebastian a vita.
“Per esperienza personale: negare di essere gay non aiuta, specie con una canottiera del genere”, la indicò con un cenno del mento e scosse il capo. Un ultimo sorriso di ringraziamento e aveva chiuso l'uscio di fronte ad uno shockato barista.
“Io non sono gay!”, sbottò di nuovo contro la porta, prima di scuotere il capo e abbandonare le braccia lungo i fianchi.
Per quella sera aveva decisamente sopportato fin troppo.

~
Non seppe quanto tempo fosse passato, Sebastian, prima che l'odore di vaniglia lo inducesse a schiudere gli occhi. Era ancora tutto buio, ma riusciva a scorgere il volto di Kurt, mentre lo girava per poi rimboccargli le coperte, dopo avergli tolto le scarpe.
“Kurt”, sussurrò con voce più rauca e, con un gesto impacciato, lo attrasse a sé, trascinandoselo addosso e affondando il viso contro il suo collo.
“Sebastian”, lo sentì agitarsi, in evidente imbarazzo. “Lasciami”.
Ignorò quei tentativi di dimenarsi e continuò a stringerlo: “Non andare”, sussurrò nel primo barlume di lucidità, sfiorandone la gota e godendo della sua pelle fresca e soffice, profumata e pura.
Lo sguardo di smeraldo era striato di un velo di lacrime che non avrebbe mai versato di fronte a lui.
“Puzzi e sono ancora arrabbiato con te”, lo rimproverò Kurt, ma evitandone lo sguardo, quasi volesse continuare a crogiolarsi del proprio risentimento, piuttosto che appurarne il turbamento.
“Odio”, bofonchiò Sebastian, “Odio quando ti allontani”.
Lo strinse più intensamente, quasi disperato, cercando l'anfratto del suo collo, dove il suo profumo era persino più intenso e delicato. Serrò gli occhi e desiderò nascondersi in quell'angolo di beatitudine, allontanando il resto del mondo.
“Sebastian”, c'era una nota impaziente e seccata nella sua voce.
“Non andartene, mi dispiace, non andartene!”. Pareva quasi rauco e sentiva le lacrime pungergli gli occhi, ma nascose maggiormente il viso contro il suo collo, aggrappandosi con le mani alla sua vestaglia, quasi timoroso che gli sgusciasse dalle braccia.
Sospirò, Kurt, scostandosi appena per osservarlo e un sorriso intenerito ne increspò le labbra, malgrado tutto. Come ogni volta che aveva la sensazione di poter entrare in contatto con la parte più sincera di Sebastian, nascosta sotto strati e strati di sarcasmo.
“Sbronza triste?”, domandò in tono quasi divertito, suo malgrado.
“Kurt”, lo richiamò ancora, quasi fosse vitale pronunciarlo, sentirne la presenza.
E le ultime muraglie di Kurt parvero infrangersi, tutto ciò che si erano gridati addosso quella mattina, il risentimento e la rabbia trattenuti in quelle settimane, quel silenzio e quella formalità vuota con cui si erano rivolti l'un l'altro. Lo rimirò con nuova tenerezza.
Sentì la sua mano affondare contro i propri capelli, Sebastian, e sorrise.
“Stai qui”, sussurrò in tono implorante.
Le dita di Kurt ne sfiorarono il viso, in una lenta carezza, quasi suo malgrado, in quel momento, non riuscisse a scostarsi da lui. Quasi disperando, pur nel delirio della sbronza, di riuscire a coglierne i reali pensieri e poterlo trattenere a sé.
“Shhhh, ora dormi”.
Lo avrebbe fatto, se fosse rimasto. Continuò a stringerlo, socchiuse gli occhi al suo tocco sul viso, lasciandosi cullare in quell'ondata di vaniglia e nel soffice calore della sua pelle.
“Sono qui”, lo sentì dire, con voce melodiosa.
Si rilassò soltanto quando fu Kurt a cingerlo, affondando il viso contro la sua spalla, così che potessero perfettamente incastrarsi l'uno contro l'altro, come non avessero fatto altro fino a quel momento. Come se, a dispetto di loro stessi e del mondo esterno, si appartenessero, anche quando le parole e le loro azioni sembravano convergere in direzioni opposte.
Quasi fosse quello il motivo per cui non si sarebbe allontanato da lui, non prima di aver detto “sì” a Blaine.
“Sono qui”, lo sentì sussurrare di nuovo.
Sebastian cadde addormentato, il sorriso finalmente sereno.



To be continued...

Niente come un temporale in corso, ispira meglio l'ultima revisione di questo capitolo. Spero di essermi fatta perdonare l'angst con i siparietti Huntbastian, personalmente questi sono stati tra i miei preferiti tra quelli proposti finora.
Soprattutto laddove la presenza di Kurt è così esigua, ma era necessario che si superasse lo stallo del precedente capitolo, ma ancora dovranno affrontare molto altro, quindi spero che continuerete a seguirmi :D

Non mi stancherò mai di ringraziare tutti coloro che seguono gli aggiornamenti, soprattutto chi mi dedica sempre il suo tempo condividendo i propri pensieri, osservazioni e, perché no?, anche qualche protesta :P

Ma diamo un'occhiata al prossimo capitolo:

Stai davvero cercando di far passare la tua idea come qualcosa di normale?”.
Sembravano molto diversi i tuoi” “Lo erano: lei elegante e sognatrice, lui burbero e grossolano, ma erano anime gemelle”.
Con tutto rispetto, signor Anderson, non credo che lei possa definirsi un esperto”.
Hai finito?” “Non so, se mi gettassi dal ponte di Brooklyn forse riusciresti ad allontanare Kurt da Blaine per cinque minuti”.

Non mi resta che augurarvi buon weekend ma anche buona ripresa delle lezioni scolastiche/universitarie :)
Un abbraccio a tutti :)
Kiki87




1 Per ascoltare il brano e vederne il testo originale: qui
2 Esattamente nel capitolo 3 :)
3Forse è meglio sottolineare che i flashback, rispetto alla narrazione presente, non sono sempre in ordine cronologico, ma ho cercato di descrivere dei ricordi che avessero qualche affinità con il presente. In questo caso, due situazioni nelle quali Kurt non si sente rispettato da Sebastian. Nella fattispecie, qui la convivenza tra i Kurtbastian è iniziata da poco, quindi ancora non era avvenuto il tradimento di Blaine ;)
   
 
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