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Autore: Magali_1982    12/09/2014    2 recensioni
"Per questo correva sempre così tanto, così veloce. Per rendere indefiniti i contorni di una realtà aliena, dove non aveva punti saldi di riferimento. Per questo annotava tutto ciò che valeva la pena di apprendere, sentire, vedere, assaggiare, leggere. Per trovare il vero significato da dare alla sua seconda possibilità." Mai come dopo una distruzione totale servono punti di riferimento. Persino a un uomo definito "Leggenda Vivente". Steve e Captain America ora sono due entità divise, in conflitto. Sole. Alla ricerca di un modo per convivere e di un nome creduto perso in una tormenta di neve. A volte, l'unico modo per andare avanti è tornare indietro, a casa e scoprire di non essere stati i soli a farlo perché esiste un altro Soldato dilaniato tra due nomi. La loro guerra è la stessa e ciascuno cerca di punti fermi per non precipitare; un viaggio lungo e allo stesso tempo brevissimo, scandito da una lista.
Genere: Avventura, Drammatico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: James 'Bucky' Barnes, Natasha Romanoff, Nuovo personaggio, Steve Rogers, Un po' tutti
Note: Movieverse, What if? | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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16


 

La camera di Andy faceva parte dell’ala del grattacielo adibita ad abitazione privata del suo proprietario e costruttore. Si affacciava sul lato Nord, le cui vetrate guardavano verso Lower Manhattan.
Per accedervi bastava salire di un solo piano e attraversare un corridoio. Pochi passi.
A Steve sembrò di dover affrontare a piedi una traversata di centinaia di miglia.
Che il diavolo si portasse quel maledetto di Tony Stark. Era ovvio, prima o poi, che sarebbe andato a trovare Andy.
Da solo.
Senza sollecitazioni esterne. E allusioni, ovvio.
Il motivo per cui ora stava fissando le porte ancora chiuse dell' ascensore gli sfuggiva. Stava per decidersi a premere il bottone di chiamata quando qualcosa lo fece voltare di scatto; un fremito, un percepire una nuova ombra, più che vederla.
“Complimenti per i riflessi, Capitano.” James emise un basso fischio di ammirazione.
“Hai bisogno di qualcosa?”
La domanda avrebbe potuto vincere l’infame concorso di “Richiesta più stupida dell’ anno”. Eppure, contro ogni previsione, Il Soldato scosse il capo con fare sinceramente afflitto; si tolse il cappello da baseball, rivelando quanto fossero arruffati i capelli sommariamente raccolti con un elastico.
James indossava ancora gli stessi abiti del loro primo incontro. Dalla lampo della felpa portata sotto il giaccone, s’intravedeva la piastra pettorale della sua divisa in kevlar e carbonio. Le guance scavate erano coperte dalla barba di diversi giorni; in un tempo perduto per sempre, il vero Bucky Barnes non avrebbe passato più di un’ ora con quel cespuglio incolto sulla faccia. Persino al fronte era stato particolarmente fiero del suo aspetto e la prima cosa chiesta dopo il loro ritorno al campo base di Azzano e un momento di festa, era stata una bacinella d’acqua calda e un rasoio affilato.
Forse quella era una delle prime caratteristiche del suo amico destinate a non venir ritrovate mai più.
Non correre. Non adesso, non con lui.
“In realtà ti sto seguendo.”
“Pensavo che Stark ti avesse assegnato un alloggio.”
“Trovo più curioso sapere cosa farai, che trovarmi nell’ennesima stanza che non mi dirà nulla.”
Steve Rogers era l’unico che potesse dare risposte. Tutte quelle di cui aveva un disperato bisogno e anche quelle da non voler mai conoscere. Un istante prima il cuore del Capitano si era stretto per la tristezza e il rimpianto di sensazioni andate distrutte, adesso si aprì il più possibile per accogliere la richiesta di aiuto del Soldato. Aveva sempre pensato di essere stato lui, quello aiutato da Bucky: da bambini, da adolescenti, da ragazzi.
La prospettiva di poter ricambiare una simile mole di favori non si era esaurita in una base dell' HYDRA oltre il confine austriaco.
“Ti va di parlare?”
Sì; parlare gli sembrò un ottimo inizio. James annuì stancamente e gli indicò un paio di poltrone di una piccola, moderna area soggiorno ricavata nello spazio che faceva da anticamera all'ascensore. Steve notò che sedendosi, il Soldato tenne premuta la mano sana sul fianco sinistro. I suoi occhi grigi si abbassarono per una manciata d'istanti e tornarono pigramente su di lui.
“Helicarrier” disse in tono ovvio. “Ti ricordi? Volevamo ammazzarci a vicenda, o qualcosa di simile.”
Bucky era sempre stato il tipo da cominciare una schermaglia. Aveva avuto un allievo riottoso all'inizio ma negli anni, Steve era migliorato.
Tu volevi ammazzarmi” ribatté puntellando i gomiti sulle ginocchia; una posa rilassata per contrastare con le parole dure pronunciate.
“Eri la mia missione.”
“Cosa è cambiato, adesso?”
In guerra, Steve aveva visto diversi campi minati. I nazisti si premuravano di crearne diversi, per difendere su ogni lato i territori delle loro basi.
Per fortuna in squadra avevano Jacques Dernier. Smilzo, mingherlino, baffetti sempre impeccabili e una dote innata: quella di saper dialogare con qualsiasi sostanza potesse divenire esplosiva. Anche se era uno dei migliori artificieri dell' esercito francese, il Capitano lo aveva sempre seguito in prima fila quando si trattava di procedere con la bonifica di un terreno utile per gli spostamenti degli altri Howling Commandos.
La fatica, la tensione forte come acciaio che stritolava i nervi, la paura di avvertire lo scatto d'innesco, l'ultimo rumore prima della fine, erano niente in confronto a quanto stava provando ora. Niente era più fragile di Bucky, in quel momento. E più pericoloso.
Più importante.
“Sono stato allo Smithsonian...dopo.”
La bomba non si attivò. Divenne un oggetto inerte, reliquia di un passato impossibile da cancellare.
James sentì le spalle così leggere da doverle appoggiare meglio contro il soffice schienale della poltrona in pelle; la vertigine non doveva distrarlo. Fece scivolare lo sguardo sul suo amico, rimanendo immobile.
“Allora saprai tutto.”
“No, non è vero.” Sbottò in modo contrariato. “Io non ricordo quei toni da elegia: “Amici dai tempi della scuola, compagni d'armi”. In quanto ho visto e letto c'erano epicità, gloria, onore, gesta eroiche. La mia mente è piena d'altro.”
Condividerlo sarebbe stata fonte di nuova pena. Le ferite andavano spurgate, se si voleva la possibilità di guarire.
“Sai qual é stata la prima cosa che ho ricordato, dopo averti tirato fuori dalla baia del Triskelion? Il laboratorio di Zola, a Krausberg. E la tua voce che mi chiamava, le tue mani che strappavano senza fatica imbragature di cuoio spesse diverse centimetri. Eri diventato più forte, più alto. Più alto di me!”
Il racconto di James si spezzò, così come la sua voce. Steve rimase fermo sul ciglio di quella rottura; la strada si era interrotta nel buio ma sapeva, con la fede indomita degli sciocchi, che Bucky l'avrebbe illuminata di nuovo.
“Sei venuto a trovarmi, dopo avermi riportato al nostro campo base.”
“Sì, ti avevano portato in infermeria.”
“La...” un'esitazione, colma di contegno e timidezza “...torta di mele di tua mamma. Era buona come la ricordo?”
“Era il suo dolce che amavi di più, Buck. La mangiavamo sempre insieme quando-”
“Lo so. Dopo esserci salvati dall' ennesima punizione.”
Non ci fu bisogno d'altro per far alzare la mano del Capitano verso quella del suo amico. Gli diede il tempo di vederlo compiere il gesto, disposto a lasciarlo a metà se lui non se la fosse sentita, come era successo poco prima. Il Soldato non si mosse e ad accogliere quella stretta fu James. Nell'attimo che intercorse tra l'accettarla e il ricambiarla entrarono tutti quei settant'anni mai vissuti, strappati via, immersi in due diverse foreste di ghiaccio e gelo.
Erano due uomini, ormai, perfettamente coscienti di aver fatto solo un passo, minuscolo e traballante, verso una riconquista ancora senza contorni definiti. Ma era il passo giusto e in quella consapevolezza c'era tutta la differenza del mondo.
“Adesso che hai la certezza non farò esplodere nulla in un momento di follia, puoi andare da lei.”
“Come?” Steve sbatté le lunghe ciglia chiare.
“Andy. Non stavi andando a trovarla?”
“Sì, certo...un momento; Stark non l' ha chiamata per nome.”
“Lo hai fatto tu, ieri pomeriggio a Central Park. Mi sono limitato a fare due più due. Mi sembra si dica così, no?”
James piegò la testa verso la spalla sinistra, in un cenno buffo e concentrato. Gli ricordò il comportamento di un gatto.
“Ti devo ringraziare, dal momento che l'hai salvata.”
“Credo proprio tu lo debba fare, visto che ti piace.”
“Cos-NO!” obiettò l'amico, afferrando i braccioli.
Chi aveva premuto l'acceleratore? Si era aspettato di ricominciare a riavere Bucky in modo lento e ponderato: un ricordo alla volta, un episodio alla volta. Era impossibile stessero parlando di ragazze come non fossero mai stati separati per tutto quel tempo!
“Mi sembra che tu sia stato sempre così; le tue reazioni ti hanno sempre tradito.”
“Tu e Tony vi siete messi forse d'accordo?” domandò Steve sprezzante, pronto a chiudersi a riccio pur di dare un solo centimetro di vantaggio al suo migliore amico.
Ancora quel piegare il capo. E uno sguardo perplesso.
“Mi sono forse sbagliato? Sarebbe strano.”
Io non sbaglio mai, su di te.
“Ci conosciamo da tre giorni.”
“Mi sembra che in queste...settanta due ore ne siano successe di cose. Specie a lei. E per quello che ho potuto vedere, ha il fegato sufficiente per reggerle.”
“Come hai fatto a ritrovarla?”
“E' una storia lunga. Quando l'ho salvata mi ha seguito senza dubitare.”
“Era...molto spaventata?” Steve fece seguire la domanda da un'occhiataccia eloquente: non stava ammettendo nulla.
“Citandola, aveva una paura fottuta. Ma non si è mai tirata indietro, nemmeno quando è scoppiata a piangere.”
Il senso di possesso, che se ne era tornato buono buono sul fondo dello stomaco insieme ad altre emozioni, si svegliò di colpo. Finché fosse stato vivo, nessuno le avrebbe fatto del male.
“E’ tutta colpa mia. E’ rimasta coinvolta perché ci hanno fotografati insieme.”
“Steve.” Era la prima volta che lo chiamava per nome. “Io so che non è vero; vi ho visti, ieri ed è stata lei a venirti a cercare. Non so cosa l’abbia spinta a farlo ma se proprio vogliamo scaricare la responsabilità su qualcuno, stai sbagliando persona.”
Il Capitano si sentiva sempre più messo alle corde. Questa volta non c’entravano bulli, risse, pugni. I colpi che stava subendo erano di ben altra natura e di quel genere non ne avvertiva- beh. Decisamente da un discreto numero di anni.
Non si trattava di Natasha e del suo affettuoso pungolare per fargli capire di doversi guardare intorno, di concedersi la possibilità di provare sensazioni anche stupide, generate magari dal sorriso di un’ infermiera sua vicina di casa. Sensazioni stupide ma legittime, anche se indirizzate a qualcuno che per una missione da compiere gli aveva mentito.
Andy l’aveva semplicemente trovata. Non gli era stata indicata. Un giorno la ragazza dal trench rosso fragola e un berretto con le orecchie da gatto, aveva fermato la sua corsa e restituito il motivo per cui si stava appassionando al nuovo tempo a cui era stato destinato. La sua agenda.
La sua lista.
“Era preoccupata per me.” Il modo in cui lo confessò rese chiaro a James che si stava parlando di Steve Rogers e non di Captain America.
“Avremo tutto il tempo del mondo per parlarne. Adesso scollati da lì e vai da lei.”
“Perché tanta fretta, si può sapere?!”
Perché se ti fossi accorto di come ti ha guardato nel parcheggio, io non dovrei perdere tempo a spiegarti qualcosa in cui dovresti essere più ferrato di me.
Uno strano brivido distorse quel pensiero. Lo appannò con un velo di brina.
Gli tornarono alla mente gli occhi verdi di Andy, fissi su di lui, mentre si metteva in piedi tenendo una mano premuta sul ginocchio.
Non l’aveva uccisa perché era chiaramente una civile disarmata e innocente. E conosceva Steve.
Il suo sguardo aveva portato a galla un altro volto, dalla nebbia compatta e mortale stretta attorno al suo passato. Il pensiero di quella pelle color neve e di capelli rossi da pettinare con le dita lo fece ammutolire a tal punto che Steve si preoccupò della sua espressione assente.
“Bucky?”
“Sei ancora qui? Vattene, sto bene.”
“Ma-“
“Ci vado io? Mi sembra di ricordare che con una donna ci so fare più di te.”
Aveva trovato la formula magica corretta, finalmente. Steve si alzò di scatto e imprecando contro amici insensibili, lasciò solo il Soldato a cercare e carezzare un’ ombra danzante dietro le palpebre chiuse.
Natalia…


 

Da dietro la porta chiusa, proveniva della musica. Steve non era particolarmente ferrato su quel genere ma per una volta la mancanza non era da imputare ai suoi gusti ancora fermi agli anni Quaranta del Ventesimo secolo.
Era un brano per violino solista e a giudicare dalla ricchezza di armoniche, doveva essere di difficile esecuzione. La velocità di alcuni passaggi lasciava posto ad altri più lenti e carichi di malinconia; non avrebbe mai creduto che delle semplici corte strofinate da un archetto potessero dare l'esatta idea dei sentimenti umani.
Bussò e attese che qualcuno rispondesse.
Il violino cessò il suo canto struggente e qualche secondo dopo, il viso di Andy fece capolino dallo spiraglio aperto.
Pepper era stata di parola: mentre lei era stata sotto la doccia, era andata a recuperare dal suo armadietto della palestra una tuta pulita e due paia di magliette bianche. La corporatura della donna era simile a quella della ragazza; anche le loro altezze si equivalevano. Con i capelli puliti appena finiti di spazzolare, il vago profumo di arancia proveniente dalla sua pelle e le labbra che si stavano schiudendo in un sorriso imbarazzato, Steve pensò non ci fosse niente di più bello da ammirare. Persino lo sbaffo di cioccolata sul mento gli sembrò adorabile.
“Ciao, disturbo?”
Andy scosse il capo in un cenno di frenetica negazione e si fece da parte per farlo entrare. Perché se ne stava così in silenzio?
La camera da letto adesso recava chiari i segni di qualcuno che ci viveva: sulla poltrona accanto alla moderna specchiera c'erano piegati sommariamente i pantaloni e la t-shirt con cui Andy era arrivata alla Stark Tower. Sul tavolino apparecchiato sotto le vetrate, stazionava un grande vassoio contenente un abbondante brunch composto da pietanze salate e dolci. L'aroma del caffè si mescolava con quello del bagnoschiuma, che impregnava l'aria attorno alla ragazza.
“Hanno pensato stessi morendo di fame” spiegò Andy, fiaccamente “Mi secca ammetterlo ma avevano ragione.”
Il profumo del cibo appena fatto, ancora caldo, schiuse anche lo stomaco di Steve. I crampi per uno col suo metabolismo erano una vera tortura.
“Come stai?”
Questa volta, la ragazza non aveva alcuna voglia di giocare con le sue schermaglie. “Se si esclude la preoccupazione per la mia famiglia e per i miei amici, con cui non posso comunicare in alcun modo e il tentato rapimento di stamattina, direi abbastanza bene.”
“Faremo in modo che a nessuno di loro venga fatto del male” le promise subito, con una solennità tanto sincera da risultare buffa.
L'imbarazzo tra loro adesso era ingombrante, fastidioso come un pugno di calore che si scioglieva con esasperante lentezza in pancia. Steve si rese conto del muro che ora li divideva; non c'era mai stato e la sua presenza lo infastidiva in un modo strano e inspiegabile.
“Il Sergente Barnes?” domandò Andy con l'urgenza di chi aveva disperatamente cercato un argomento di conversazione alternativo in una testa a soqquadro. Avrebbe fatto qualsiasi cosa, pur di dimenticare l'abbraccio di poco prima, la sicurezza ritrovata nel sentire attraverso strati di stoffa il calore e la solida presenza del corpo di Steve pronto a darle rifugio.
Ma perché diavolo aveva ricambiato quel suo strampalato moto istintivo? Avrebbe dovuto respingerla, ammonirla con lo sguardo: non era il momento per certe effusioni e sicuramente erano inaccettabili dall' ultima ragazzina piombata nella sua vita perché un giorno aveva perso una Moleskine.
“Non penso di poter dire che sta bene ma ci sta lavorando.”
Le mani di Andy si torsero furiose. “Nell' esercito degli Stati Uniti s'insegna a uccidere gente in quel modo?”
“Se devi salvare, se devi salvarti, sì.”
“Sei un bugiardo.”
Quegli occhi verdi erano troppo bravi a leggere, vedere e interpretare.Steve era quasi certo non avrebbe mai dimenticato uno dei movimenti compiuti dal Soldato d' Inverno per liberarla. Era stata una missione scritta col sangue e lo stridere delle ossa prima del punto di rottura; dove la disumanità era divenuta necessità e unica via per il raggiungimento di uno scopo.
“Non sei una bambina. Aveva ragione.”
“Chi?”
“Bucky, il Sergente Barnes. Lui ha sempre capito tutto meglio e prima di me. Anche adesso.”
Un primo sorriso. “Quindi è ancora più complicato di quanto mi avevi detto.”
“Già.”
“Ho il sospetto nulla sia semplice, quando incroci la strada con i Vendicatori.”
Steve dovette dissimulare un nuovo contorcimento alle viscere.
“Prima cosa stavi ascoltando?” Adesso era lui a cercare un altro diversivo per non pensare alla fame. Aveva dimenticato cosa fosse da quando aveva visto la foto di Andy con accanto il suo indirizzo lampeggiare su uno schermo; adesso era il momento di pagare con i dovuti interessi.
“Ti piaceva?”
“Sembrava musica classica.”
“Jarvis? Per favore, potresti far partire la Ciaccona da dove abbiamo interrotto?”
Cia-cosa?”
“E dire che Johan Sebastian Bach è vissuto ben prima di te! Davvero non la conosci?”
“Non ho gusti musicali tanto raffinati.”
Il brano riprese; la sua fluida tristezza, alternata a scosse di passione, riempì nuovamente la stanza. Andy prese un altro muffin e ne staccò un grosso morso, inconsapevole di cosa aveva appena provocato al povero organismo di un Eroe in debito di calorie.
“I concerti per violino solo di Bach sono tra i miei pezzi preferiti per disegnare” spiegò, lo sguardo che si riempì di un desiderio quieto e disperato “Non ci sono parole, i testi mi distrarrebbero ma non si può certo dire non ispirino. Pepper mi ha spiegato che ho l'autorizzazione necessaria per chiedere al sistema operativo di Tony di sentire qualsiasi cosa voglia; in memoria ha una biblioteca musicale pressoché infinita!”
“...Tony?”
La scalciante e focosa sensazione di possesso pestò a piedi uniti sul suo fegato. Troppo rapida perché potesse tenerla a cuccia.
“Se chiamo la sua fidanzata per nome e le do del tu, mi sembra giusto farlo anche con lui.”
Il muffin finì in pochi bocconi. Con le mani ancora libere, Andy prese a torcerle di nuovo o a picchiettare le dita sulle cosce per tenerle occupate.
“Ti manca disegnare, vero?”
“Da morire. E non è la sola cosa. Mi è stato chiesto di fidarmi e lo farò.”
“Quando tutto sarà finito, ti riporterò a casa.”
“Potrei persino crederci, se me lo dici tu!”
Ridendo, Steve fece per pulirle il mento.
Il suo pollice sfiorò la pelle di Andy con un tocco innocente e leggero ma quanto trasmise a lei e percepì lui aveva i contorni e l'aspetto di un brivido con un peso specifico simile a quello di una scossa. La stessa che aveva fatto muovere Andy verso il Capitano giù, nei parcheggi. Definirla, spiegarla, razionalizzarla era impossibile: era sempre esistita ed era sempre stata destinata a loro due soltanto.
“Avevo qualcosa sul mento?...”
Vero? VERO?
“Un po' di cioccolato.” La voce di Steve proveniva da un posto dove imbarazzo e perplessità andavano a braccetto con l' unico scopo di far star male le persone.
“No” pigolò scattando indietro e smettendo di guardarlo. Quello era decisamente un “no” pieno di molte frasi, una più compromettente e sincera dell'altra.
“Senti, così non va. Prima ti ho abbracciato senza volerlo, è stato una sorta di riflesso, non pensare male!”
Ero distrutta, sola, l'unico appiglio conosciuto eri tu. E sono stata tanto stanca ed egoista da cedervi!
“Potrei mai farlo, su di te?”
“Mi dispiace essermi lasciata andare, ti sarò sembrata una sciocca ragazzina isterica.”
Eccolo, il motivo dell' imbarazzo di prima. Il muro di gomma che non permetteva alla loro complicità di unirli come aveva fatto dal loro primo incontro.
Andy aveva paura.
Dio solo sapeva esattamente cosa temesse ma gli fu chiaro che al momento, il problema fosse il gesto a cui si era abbandonata e Steve aveva trovato così dannatamente piacevole.
“Una ragazza che ieri mi ha guidato per i sentieri di Central Park sconosciuti persino a me per aiutarmi, che ha seguito il mio migliore amico senza esitazioni, la considero solo coraggiosa.”
Il cuore di Andy si sentì preda di un attacco di tachicardia, davanti allo sguardo regalatole da quegli occhi azzurri.
“E' uno dei complimenti più belli ricevuti di recente.”
“Sono contento di avertelo fatto io.”
“Hai fame? Non credo di riuscire a finire tutto.”
La ragazza sapeva che stava usando solo un diversivo per avere la possibilità di passare più tempo insieme; desiderava solo un po' di Steve Rogers, ancora, prima che il mondo fuori dalla porta, là dove la musica non arrivava, reclamasse Captain America.
Andy era molto consapevole che la loro poteva essere una parentesi in un racconto in cui lei non aveva letto le parti salienti e i capitoli importanti.
Non le importava.
Tre giorni prima, aveva conosciuto il ragazzo sotto la divisa e lo scudo e si era accorta di come stesse dimenticando proprio chi fosse. Se poteva ricordarglielo offrendogli cookies e tramezzini, non si sarebbe tirata indietro.


 

“Non so quanto sia legale una cosa simile.”
“Strano che a parlare di legalità sia un' ex-agente governativo al soldo di un' agenzia dove si voleva usare un sistema di tracciazione, identificazione e prevenzione su soggetti considerati potenzialmente pericolosi da un algoritmo inventato da uno scienziato nazista.”
Solo Tony Stark poteva, volontariamente e deliberatamente, infilare in una sola frase tre motivi per cui Maria si sarebbe sentita in dovere, oltre che giustificata, ad ucciderlo. La petulanza di quell'uomo era doppiamente umiliante: primo perché era impossibile farla tacere, secondo perché riusciva sempre a dire verità scomode amplificate dal suo tono leggero e strafottente.
L'attico della Torre aveva perso ogni suo connotato di lusso e comodità; ovunque erano aperti schermi virtuali e chi li stava governando e studiando, digitava stringhe di codici su una tastiera proiettata sul ripiano nero della scrivania, facendo pausa ogni tanto con un bicchiere di latte. Sembrava una pigra mattinata di pioggia come molte altre ma nel cervello da milioni di dollari di Iron Man si stava dipanando una progetto messo in piedi nell'ultima mezz'ora.
“Il satellite delle Stark Industries è in posizione...adesso.”
L'ennesimo volo di dita velocissime mandò in rete una serie di comandi criptati. La loro attuazione seguiva la canzoncina senza senso che Tony stava canticchiando.
Maria seguì il procedimento dalla sua postazione; con sommo disappunto, dovette dare al suo capo la notizia che si attendeva.
“Ora siamo in grado di sopperire al canale di trasmissione dello SHIELD.”
“Ho già in mente con chi fare la prima prova.”


 

A centinaia di miglia marine dalla costa orientale degli Stati Uniti, dove il giorno stava volgendo lentamente al pomeriggio, Londra si stava preparando all' ora di cena ignara di cosa stava succedendo nel cuore della sua City. Precisamente tra la Blakfriars Lane e l’incrocio con Queen Victoria Street, a pochi passi dalla cattedrale di Saint Paul.
Il responsabile di sala del Cockpit Pub stava aprendo la porta del locale per prepararlo all’ apertura serale, quando vide salire, lungo la St. Andrew’s Hill, una coppia di turisti.
La bellezza della donna dai capelli rossi e i grandi occhiali da sole usati come pittoresco cerchietto era di quelle che non prevedevano “se” o “ma”. Anche se bassa di statura, portava in giro uno dei corpi più armoniosi mai visti con la disinvoltura consumata di chi non fa caso a certi dettagli. Gli occhi verdi da gatta cercavano sempre quelli azzurri e glaciali del compagno, a cui il ragazzo diresse una buona dose d’invidia maschile. Si tenevano per mano, guardandosi intorno in quel modo estatico, un po’ tonto, caratteristico dei visitatori alla loro prima volta a Londra, lui che portava sulla schiena un grosso borsone rigonfio. Rimuginando sulle ingiustizie del mondo, il cameriere entrò e chiuse i doppi battenti di vetro colorato alle sue spalle.
“Alla buon’ ora” sbottò Clint “pensavo volesse radiografarti le tette per altri venti minuti!”
“Invece di sentirti onorato di avermi al tuo fianco mi rimproveri in questo modo? Vedi niente di sospetto in giro?”
“Nessuno sul palazzo della libreria o su quello del Mellon Centre.”
“Allora ci stanno aspettando alla fermata della metro di Blackfriars. Sanno che dovremo per forza passare di lì per allontanarci.”
“Io capisco che le Society inglesi possano essere esclusive ma quella della Inner Temple esagera.”
Il dispositivo di allarme di Occhio di Falco li aveva salvati, permettendo di nascondersi sul fondo della sala operatoria rinvenuta sotto la chiesa e mettere fuori gioco i due guardiani. Sotto l’ uniforme che li aveva identificati come appartenenti a un corpo di sicurezza privato, c’era quella del college con una spilla inequivocabile appesa sul bavero.
Non c’era stato il tempo di installare alcun congegno utile a Natasha per tentare di avere un accesso al server. Erano dovuti scappare cacciando in una borsa provvidenziale portata dietro per scrupolo le loro armi e parte degli abiti, trovandosi bloccati nella City in meno di un’ora; la scomparsa di due associati aveva dato l’allarme e ora tutta l’organizzazione aveva smesso di recitare la parte dell’ elite chiusa in un circolo ristretto per dare loro la caccia. Nel giro di una mattinata, ogni stazione, ogni piazzola di mini cab e fermata di autobus erano state messe sotto presidio, costringendo la coppia di agenti a un frustrante pellegrinaggio. Non senza qualche intoppo.
“Se scopriranno i corpi che abbiamo lasciato sotto il ponte, avremo addosso ogni adepto dell’ HYDRA prima di notte.”
“Vogliono giocare al gatto col topo, Clint. Pensano che prima o poi tenteremo un’ azione disperata.”
Il soldato sogghignò con evidente compiacimento. “Disperata per loro o per noi?”
“Non farà alcuna differenza se non riusciremo a trovare il modo di lasciare la città e contattare Nick.”
“Agente Romanoff, sei troppo pessimista.”
Natasha trattenne Clint per un braccio e si portò una mano all’orecchio. Era escluso stesse avendo qualche allucinazione uditiva; l’auricolare usato per tenersi in comunicazione con lo SHIELD si era attivato.
“Nick?Come?...”
“Abbiamo poco tempo, devo guidarvi fuori dalla City.”
“Come pensi di fare? Siamo senza satelliti o basi di appoggio.”
“E questo canale potrebbe non essere sicuro” aggiunse Clint, riprendendo a camminare e trascinando Natasha in un piccolo cortile in modo da parlare senza essere visti dalla strada.
“Credo che Stark abbia già risolto il problema.”
Vi fu un fulmineo scambio di sguardi perplessi ma le domande nate da quella rivelazione dovevano aspettare.
“A quanto pare, lo SHIELD non è poi così facile da eliminare” constatò Occhio di Falco tornando alla sua flemma britannica.
“A quanto pare, Tony Stark si sta annoiando oppure a New York è successo qualcosa.”
Qualcosa che potrebbe avere a che fare con l’ Inverno.


 

Angolo (tetro e buio) dell' autrice: Jacques Dernier, il soldato francese che parla esclusivamente la sua lingua, si vede in "Captain America: the first Avenger" ed è uno dei componenti degli Howling Commandos. L'idea che lui fosse l'artificiere del gruppo mi è nata vedendo il film e come fa saltare in aria uno dei carri armati dell' HYDRA.
Visto che ho mantenuto la promessa? Sono tornata da Londra ieri sera, col cuore gonfio di nostalgia e gli occhi ancora a forma di cuore per quanto ho visto. E' una splendida coincidenza il fatto che il capitolo si chiuda proprio con questa città! Appena sarò in grado di non crollare addormentata all' improvviso, risponderò alle recensioni.
Un bacio e una tazza di tea appena fatto per tutti!
Maddy.





 





 

 
  
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