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Autore: Gnana    12/09/2014    1 recensioni
Vivo milioni di vite da spettatore e la cosa fa male. E’ una droga che ti prosciuga, ti fa ammalare, ti danna l’anima, ma è la cosa più bella del mondo. E’ maledettamente divino. E leggo all’infinito.
All’infinito…

Clara é una ragazza intelligente e capace, ma molto triste e sola. I suoi genitori sono morti quando lei era molto piccola, nel Grande Incendio, l'evento che ha distrutto l'umanità intera. L'unico che ha potuto salvarla e insegnarle a vivere é stato suo fratello, morto anch'egli pochi anni dopo la scomparsa dei suoi. E' stato lui a farla innamorare dei libri e proprio i libri la salvano dall'inevitabile pazzia. Ma non per molto perché la sua vita, fatta di solitudine e desolazione, sta per cambiare.
Genere: Avventura, Science-fiction | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Mi chiamo Clara e vivo qui da ormai… non ricordo, ho perso la cognizione del tempo. Saranno mesi o anni, non saprei, ma non mi importa. Mi sono persa, mi hanno abbandonata, credo.
Mi trovo in una biblioteca, una delle tante biblioteche sopravvissute al grande incendio. E’ la piu’ grande che abbia mai visto, in effetti non ricordo di averne viste altre.
Cazzo, odio questi  esercizi mnemonici! Ricominciamo.
Mi chiamo Clara, ho 18 anni, sono venuta qui per la prima volta da piccola. C’erano anche mamma e papà e sorridevano, mi tenevano per mano mentre ridevo. Non eravamo ancora entrati, però…

Una profonda angoscia mi attanaglia il cuore e un flashback mi fa accasciare a terra facendo cadere anche la sedia su cui mi ero poggiata. Fiamme, tante fiamme, lacrime e fra di esse mia madre mi grida di andare dentro.

“Vai dentro, Clara, scappa!”
“Mamma! Non mi lasciare, mammina!”
Continuavo a piangere e guardavo i miei genitori prendersi per mano e andare in mezzo alla folla impaurita. Ero su uno dei tanti scalini che portavano alla biblioteca, erano sporchi e molto scomodi, ma non mi importava e neanche delle lacrime che offuscavano la mia vista. Potevo, però, distinguere palazzi in fiamme e gente stesa sull’asfalto, inerme, donne che piangevano in ginocchio con i loro bambini insanguinati in braccio, qualcuno gridava “La morte! E’ arrivata la morte!” e poi arrivò qualcuno in divisa che lo trascinò via.

Una mano mi si posò sulla spalla e un braccio mi cinse la vita, mi sollevò e urlai con tutta me stessa con l’illusione di poter spaventare il mio aggressore, invano. Non ebbi il tempo né la forza di girarmi e guardarlo in faccia e intanto ci inoltravamo sempre piu’ nell’edificio pieno di libri e in cui si sentivano solo i suoi passi e la mia voce. Il casino di fuori era diventato solo un rumore sordo ed era assolutamente peggio, perché sentivo di allontanarmi ancor di piu’ da mamma e papà. Ogni tanto si sentivano dei botti seguiti da un leggero tremolio del pavimento e tutto intorno a me diventava piu’ scuro. Non andava bene per niente. Rivolevo il sole, rivolevo il vento, rivolevo la mia mamma.
Il mio aggressore, finalmente, mi mise a terra e mi serrò le spalle con le sue possenti mani, si inginocchiò e piantò i suoi occhi luminosi dritto nei miei.
“Sorellina. Adesso calmati, ci sono io.”
Mi sorrise e smisi di piangere all’istante.


Oh… Ora ricordo…

Questi stupidi esercizi. Li faccio ogni giorno, perché ogni fottutissimo giorno mi dimentico dell’orrore che è stato e ogni volta che riacquisto la memoria mi maledico, perché avrei preferito vagare senza ricordare e continuare ad essere cullata dalle mie storie senza angoscia.
Lui mi ha insegnato a leggere, lui mi ha insegnato a sopravvivere. E’ morto tre anni fa, è caduto e una costola gli ha perforato un polmone. Che morte figa, eh? Lo trovai accasciato scompostamente in una specie di buca piena di fango. Aveva tutta la faccia sporca e i vestiti stracciati, come se avesse lottato, e notai un bel ematoma gigante sul petto e la bocca era sporca di sangue rappreso. Bello spettacolo.

Erano stati gli Stupak, ne sono sicurissima ancora oggi. Uccelli molto scorbutici e molto veloci. Se ti trovavi nel loro territorio eri morto, se ti trovavi nel territorio in cui stavano cacciando eri morto, se facevi troppo rumore ed erano affamati, ti sentivano da molto lontano. Ed eri morto.
Una bella gatta da pelare per una ragazza di sedici anni, appena compiuti, a cui è appena morto il fratello. Infatti non uscii per settimane e mi cibai esclusivamente delle schifezze dei distributori automatici nell’area ristoro. Quando c’era mio fratello si andava a caccia degli Stupak. Io non ne sono mai stata capace, ma poi fui costretta ad uscire quasi ogni giorno e procurarmi un uccello gigante. Ehm, no. Non quello.

Ho paura che un giorno possano estinguersi, visto che non c’è molto da mangiare per loro, a causa delle nubi. Gli altri animali si riproducono molto meno di prima, a causa delle nubi. Gli umani sono tutti morti, a causa delle nubi, tranne io. E col cazzo che avrei dato il mio culo a un uccello gigante. Oh, di nuovo.
Le nubi vagavano dai tempi del grande incendio. Apparivano innocue, sembrava nebbiolina, ma era un miscuglio di gas che molto lentamente faceva effetto su qualunque forma di vita ne fosse a contatto.
La mia fine sarebbe stata il cancro, ma era ancora molto lontano. Gli animali invece erano un po’ piu’ deboli e diventavano sterili.

Prendo la mia divisa da caccia molto imbarazzante e mi dirigo verso il tetto. Esco dalla grande sala e tramite una porta di servizio accedo ad uno spazio troppo piccolo per contenere quella rampa di scale. Salgo a fatica, perché sono rimasta a leggere nella stessa posizione per ore e ora ho tutti i muscoli indolenziti. La rampa di scale é molto lunga, la biblioteca ha molti piani, ma finalmente arrivo alla “soffitta”. E’ davvero una soffitta, ma l’ho messo tra virgolette perché non la uso da tale. La chiamo ‘la stanza delle storie spezzettate’. Ci metto tutte le pagine perdute che trovo sparse nei corridoi immensi e quando trovo un libro con pagine mancanti in qualche scaffale, vengo qui e mi metto a cercare.

E’ molto grande e dal soffitto basso e non è molto luminosa. La luce entra da un paio di finestre e dall’immensa botola sul soffitto che dà sulla cima, la lascio sempre aperta perché è davvero pesante e mi scoccia ogni giorno aprirla per uscire fuori. Proprio sotto la botola c’è un grosso contenitore pieno di acqua piovana, lo sposto ed esco fuori facendo attenzione che non ci siano Stupak a passeggiare.
Raccolgo le bacinelle piene d’acqua e una ad una le porto in soffitta e faccio attenzione a non far cadere neanche una goccia. Tutte le volte che lo faccio mi sento lo sguardo di mio fratello sulla nuca e ho paura di sbagliare e di prendermi un rimprovero. Fortunatamente non accade nulla e le ripongo al fianco del muro libero dopo aver fatto grandissimi sorsi da una delle bacinelle.

Ricordo che io  e mio fratello un giorno uscimmo per strada e andammo a cercare una casa non ancora crollata, dovevamo cercare qualcosa per contenere l’acqua e le trovammo quasi subito. Le mise nella sua borsa da Mary Poppins e tornammo alla nostra dimora col sorriso sulle labbra. Oh, quanto mi manca…
Bah, via questi pensieri. Ora si caccia.

Scendo di nuovo giu’ nel salone principale, mi sistemo il giubbotto antiproiettile e i miei parastinchi, prendo la mia balestra e spalanco le gigantesche porte. Quell’arma l’aveva costruita mio fratello quando era piu’ piccolo, amava le armi e la meccanica. Come frecce uso delle stecche di legno molto appuntite che ricavo dagli scaffali e dai mobili inutilizzati delle case lì in giro. Agli Stupak danno molto fastidio.
Rimango immobile per un po’ ad ammirare la città silenziosa e la piazza deserta, poi stringo la mia balestra e comincio a correre. Faccio piu’ rumore possibile per attirare l’attenzione degli uccellacci e comincio a ululare, è il mio urlo di battaglia. Il lupo mi rappresenta, è una creatura maestosa e docile, ma se si sente minacciato, uccide. Proprio come me. Purtroppo non esistevano da centinaia di anni, ne aveva visto uno in un libro e ora sapevo tutto su di loro, avrei voluto accarezzarne uno.
Continuo a correre in mezzo alla piazza facendo rumore con le campanelline che avevo attaccato agli stivali e continuavo ad ululare.

Andiamo! Fatevi sottooooo…!”

Ne vedo uno che mi fissa, mi fermo e gli faccio la linguaccia e comincio a ridere. Gli Stupak odiano le risate. Si gettò in picchiata dal palazzo dove giaceva e viene verso di me, io subito punto la balestra e lo colpisco in mezzo agli occhi. Mi piace cacciare ora, mi diverto e poi sono anche brava. Peccato non possa far vedere la mia bravura a mio fratello. Vado verso l’uccello steso in mezzo alla piazza, vicino all’enorme Fontana della Liberazione. Venne costruita un secolo fa, nel 2900 circa, quando i cloni nazisti si ribellarono alla dittatura e scapparono via dalla Terra con le loro navi e lasciarono il povero Ulrich con la faccia da ebete. Lo scemo pensò bene di spararsi dopo un paio di ore, per la gioia di tutti. Che figura!

Mi inginocchio davanti al povero George – Si, davo un nome ad ogni preda – e gli tolgo dolcemente la stecca di legno dal cranio, ma non finisco il lavoro che mi si parano davanti altri due Stupak. Sono a piu’ o meno a cinque metri di distanza e se ne stanno buoni a fissarmi con una specie di ghigno, o almeno pensavo fosse quello. Ma quella specie era senza cervello, non volevano proprio capire che avevo una balestra in mano, però c’era un problema. Se avessi ucciso uno dei due, l’altro mi sarebbe saltato addosso in un attimo. Forse posso lanciare in aria il loro amico, distrarli e scappare, ma no… troppo pericoloso. Intanto si stanno avvicinando e io non so proprio cosa fare. Idea!

Mi alzo e faccio un ghigno anch’io, li guardo avvicinarsi lentamente, poi alzo di scatto la balestra e prendo uno dei due. La getto subito a terra per prendere fra due mani il loro amico, proprio mentre si era infuriato il secondo, e con tutta la forza che ho glielo scaglio contro. Mentre lui cade, stordito, riprendo la mia balestra e miro dritto in mezzo agli occhi.


Silenzio. Sento solo il mio respiro.

  -Eccomi qui con il primo capitolo. Questa è la storia a cui tengo di più, perchè mi rispecchio in Clara completamente. Il Prologo in realtà, doveva essere un semplice sfogo sentimentale, ma poi rileggendolo mi sono immaginata una ragazza che per davvero vivesse quello che ho vissuto io per un po' ed è diventato l'inizio della storia. Spero vi piaccia, baci baci.
   
 
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