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Autore: syontai    12/09/2014    3 recensioni
Un mondo diviso in quattro regni.
Un principe spietato e crudele, tormentato dai fantasmi del passato.
Una regina detronizzata in seguito ad una rivolta.
Una regina il cui unico scopo è quello di ottenere sempre più potere.
Un re saggio e giusto da cui dipendono le ultime forze della resistenza.
Una ragazza capitata per il volere del destino in un mondo apparentemente privo di logica, e lacerato dai conflitti.
Una storia d'amore in grado di cambiare le sorti di una guerra e di tutto questo magico mondo.
This is Wonderland, welcome.
[Leonetta, accenni Pangie, LibixAndres e altri]
Genere: Avventura, Fantasy, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Leon, Un po' tutti, Violetta
Note: AU, Cross-over, OOC | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza
Capitoli:
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Capitolo 53
Tuffi nel passato

Leon affondò il viso sul cuscino, ansimando. Sentiva l’affanno e la stanchezza, eppure sebbene fosse appagato non gli sembrava mai abbastanza. Rosicchiò e baciò con dolcezza il collo di Violetta, sovrastandola con il suo corpo. Le mani fragili della ragazza che gli percorrevano le schiena, soffermandosi alll’altezza delle scapole, gli provocarono dei sospiri infranti dal respiro irregolare. Il ventre di Violetta tremò leggermente al bollente contatto con il suo addome e gli uscì un mugolio indistinto, un miscuglio di amore e desiderio che prendeva una forma concreta con il suono della sua voce.
“Leon...” sussurrò Violetta, incastrando le dita tra i suoi capelli e tirandoli leggermente. Come se si fosse trattato di un richiamo, Vargas seguì il profilo del mento, per poi raggiungere le sue labbra e impadronirsene con furia. Qualcosa di bagnato raggiunse la sua punta del naso e si scostò confuso. Socchiuse la bocca, stupito di fronte alle lacrime che le bagnavano il viso. Era stata colpa sua? Le aveva fatto male incoscientemente? Le baciò le guance umide una ad una e il sapore salato si addolcì mescolato a quello della sua pelle. Poi fece scorrere le mani intorno al suo corpo, stringendola rassicurante. “Non”. Le scoccò un bacio sulla fronte. “Piangere”. Il suo tono era autoritario, ma a mala pena nascondeva l’angoscia che provava. Violetta gli sfiorò una guancia e annuì: come aveva finito per innamorarsi a quel punto? Fino ad allora aveva sempre pensato a fuggire da quella gabbia che la teneva intrappolata e invece proprio lì dentro aveva trovato una persona a cui si era scoperta legata indossolubilmente. Non poteva rinunciare a Leon, non ci riusciva. Quello era il momento giusto per dirgli la verità, per spiegargli che lei non era di quel mondo, ma allo stesso tempo sentiva di appartenere a lui, solamente a lui.
“Non voglio perderti”. Leon sorrise di un sorriso gioviale, quasi quello di un bambino. Sentirle dire quelle parole nonostante tutto gli provocava una gioia immensa. Nessuno gli aveva mai fatto capire che la possibilità di essere amato non era solo un’utopia. Quelle parole non gliele aveva mai detto nessuno. “Lo so” sussurrò con voce roca. In realtà non era vero: aveva sempre la costante paura di perderla, pensava che un giorno lo avrebbe allontanato per quello che era. Continuava a sentirsi una persona orribile nonostante tutto. L’amore lo aveva sì cambiato, ma insieme ai miglioramenti aveva riportato a galla il rimorso seppellito. Sfiorò le sue labbra con ardente desiderio: era l’unico modo che conosceva per alleviare ogni dolore e dimenticare chi era. Quando era con lei gli incubi gli stavano a debita distanza, come se ne avessero paura. Si avvicinò incerto al suo orecchio, lasciando dietro di sè una scia di languidi baci. “Voglio amarti ancora”. Mosse il bacino verso di lei, facendole socchiudere gli occhi. “E ancora” gemette, ottenendo il consenso per le sue intenzioni dal modo in cui Violetta gli graffiava la nuca.
Violetta aveva le gambe raccolte e strette al petto osservando attentamente due spade di legno che giacevano l’una sopra l’altra, incrociandosi. Aveva sentito il bisogno di chiudersi in quella stanza, sulla sommità della torre, perchè in quel modo Leon le sembrava meno lontano. Altri incubi, altri risvegli inquietanti, e sempre la stessa scena. Solo che ogni volta si arricchiva di dettagli che le rimanevano impressi nella mente: una mano emergeva dell’ombra e infilzava con la spada Leon, facendolo stramazzare a terra. Del sogno ricordava questa volta anche un paio di occhi castani lucenti, che somigliavano terribilmente ai suoi. Era rannicchiata nell’unico posto che potesse aiutarla a tranquillizzarsi, una stanza semicircolare in cui erano ammonticchiati svariati giocattoli. Represse un singhiozzo cercando di cancellare l’immagine degli occhi verdi di Leon privi di vita, macchiati dal sangue del delitto. Tentò di rimettersi in piedi, ma le gambe le tremavano e la vista era appannata a causa delle lacrime trattenute. Sperava solo che Lena stesse ancora dormendo, non voleva farla preoccupare. Un po’ esitante raccolse una delle due spade di legno, stringendola al petto, come se fosse un amuleto prezioso e uscì dalla stanza, chiudendola a chiave. Gliene aveva procurata una copia Leon, perché le aveva detto che quel posto sarebbe stato sempre e solo loro, di nessun altro. Era il rifugio da tutte le cattiverie perpetrare in quel castello, era l’unico modo per sopportare le ingiustizie che subivano in continuazione. Scese le scale al buio, tastando con il piede lo scalino in basso prima di scenderlo. Proprio per quell’operazione così complessa, per cui ad aiutarla c’era solo la luce fioca della luna che trapassava le feritoie,  ci mise parecchio a raggiungere il corridoio noto che portava anche alle stanze di Leon. Nessun cigolio di armature. Questo significava nessuna sentinella; all’andata aveva rischiato di essere scoperta ed era riuscita a scamparla solo all’ultimo secondo per miracolo. Nel buio non si rese conto però di un’altra persona che si aggirava circospetta quanto lei.
“Ahi!”. I due finirono l’uno contro l’altro, dando una capocciata. Violetta si tastò la testa dolorante, sperando con tutto il cuore di non essere incappata in uno dei tirapiedi della Regina di Cuori. Rapidamente estrasse la spada di legno e la puntò al petto dello sconosciuto. L’ombra di fronte a lei però rimase in silenzio: sembrava sorpresa, quasi sconvolta. “Violetta?”. Riconobbe subito la voce di Maxi e non riuscì a trattenere un singhiozzo al pensiero di quello che era successo al padiglione vicino al lago. Il ragazzo le sfiorò il braccio: “Va tutto bene, Violetta?”. Forse fu solo per la disperazione, per la paura del buio che la circondava, per il bisogno che sentiva di piangere, ma a Violetta quel contatto fece bene davvero. Sentiva di poter riversare su di lui quel fiume in piena di paure e sogni angoscianti. Lasciandosi guidare dalla sua mano le sembrò assolutamente naturale il modo in cui Maxi la abbracciava e le accarezzava il capo e la schiena.
“Non preoccuparti, ci sono io”. Violetta alzò il capo di scatto, sicura di aver sentito la voce di Leon e per un secondo si illuse di riconoscere un baluginio verde, ma fu solo una produzione della sua mente, desiderosa che quell’abbraccio gliel’avesse dato il principe Vargas. Non aveva la forza di pensarci, semplicemente affondo nuovamente la testa sopra la sua spalla, trattenendo le lacrime. “Lena si è preoccupata tantissimo per te...”. Quel nome la fece riscuotere e si rese conto che quella notte aveva commesso una sciocchezza: non solo aveva messo in pericolo se stessa, ma aveva fatto preoccupare la sua amica che tanto aveva fatto per lei. Non si spiegava comunque come mai Maxi si fosse messo alla sua ricerca. Decise di non chiederglielo, perché la risposta avrebbe potuto essere scontata o mal interpretata. Aveva paura del suo modo di muoversi con Maxi, perchè aveva ormai capito che quel giovane avesse per lei un debole. Le sembrava di essere tornata al periodo in cui Marco era al castello, costantemente a disagio. Ma questa volta era anche peggio, perchè sembrava che i sogni volessero legarli indissolubilmente. Lui credeva in quel legame, mentre lei non ci riusciva. Tendeva a sminuirlo, perché sebbene la sua mente tentasse di convincerla che qualcosa avrebbe potuto nascere tra di loro, il cuore rimaneva fermamente legato a Leon. Mentre camminavano solo i loro passi erano udibili e nonostante la strada non fosse molta le parve che la stessero percorrendo a rallentatore. Maxi non diceva una parola e guardava fisso di fronte a sè, ancora scombussolato da quell’abbraccio che mai si sarebbe aspettato venisse ricambiato.
“Niente?” chiese Dj mentre Andres scendeva gli scalini con il capo basso. Più passava il tempo più Lena si disperava ed era difficile cercare di trattenerla dal cercare l’amica. Solo il rispetto che nutriva nei loro confronti la frenava, unito alla gentilezza nel volerla aiutare. “Non possiamo permettere che la Prescelta scompaia sotto il nostro naso” sibilò Andres all’orecchio del mago, che in tutta risposta scrollò le spalle. “Eccoli” strillò Lena in preda all’euforia, portandosi subito dopo la mano alla bocca e sperando che nessuno l’avesse sentita. Si catapultò addosso a Violetta, strappandola con uno strattone da Maxi. La stritolò talmente tanto che la ragazza diventò rossa per mancanza di circolazione sanguigna. “Non farmi più preoccupare in questo modo! Ma si può sapere dove eri finita? Violetta, queste cose non si fanno!”. Violetta inventò una scusa, a cui tutti credettero tranne la sua compagna, che si limitò a scuotere il capo in silenzio. Mosse un passo in avanti e si sentì come inghiottita dal sonno e dalla stanchezza, tanto che per poco non cadde a terra, sorretta all’ultimo da Andres e Dj, mentre Maxi la guardava allarmato. E fu proprio il suo sguardo preoccupato l’ultima cosa che vide prima di chiudere gli occhi.
Si risvegliò con una terribile fitta alla testa, ma nonostante tutto era in grado di distinguere la stanza in cui si trovava. Non le era affatto familiare: era grande e ben arredata, con mobili pregiati. Alla sua destra vedeva una piccola branda: poco sopra di essa c’era una finestra arcuata con delle grate di ferro che sembravano dei rami intrecciati. Alzò di poco la testa, abbastanza per vedere una grande cassapanca di legno intarsiato ai piedi del letto. Sul muro di fronte era addossato un comodino con due candelabri d’argento a otto bracci. Vicino c’era anche un tavolino dalle più umili origini su cui era appoggiata una bacinella di bronzo. Nessun indizio però di chi abitasse la stanza. Si mise a sedere con le gambe incrociate, avendo così una visuale completa. Non si era accorta che seduto ad un angolo c’era uno dei tre ragazzi da poco arrivati al castello. Per la precisione era il medico, che la guardava intensamente. “La bella addormentata è sveglia” scherzò, alzandosi con uno scatto e massaggiandosi la schiena. “A differenza di quanto si crede per quanto possano essere di lusso le sedie di legno rimangono di una scomodità indescrivibile” borbottò, facendola inevitabilmente sorridere.
“Maxi e Lena avevano insistito per rimanere con te...ma ho preferito prendermi io questo compito. Sai quanta angoscia ti avrebbero trasmesso al tuo risveglio?” ridacchiò. “Maxi soprattutto. Gli voglio tanto bene ma a volte sa solo peggiorare le situazioni delicate”.
“Sto bene, grazie” mormorò Violetta, seguendo attentamente ogni mossa di Dj, che era felice di aver avuto un’altra occasione per studiarla meglio. Era lei la Prescelta, doveva avere qualche particolare abilità, forse era in grado di usare magie sconosciute e potentissime. Ma perché non avvertiva nulla di magico in quel corpo fragile e minuto? “Bene. Erano tutti molto preoccupati per te...”. Rimasero a lungo in silenzio, consapevoli che la conversazione avrebbe potuto anche finire lì. Violetta però continuava a fissare la sua mano destra e indicò l’alluce.
“Quell’anello è di una persona che ti sta aspettando a casa?”. Dj arrossì e scosse la testa: un’ombra malinconica gli attraversò lo sguardo. “No, è un regalo di mio padre”.
Suo padre. Aveva sperato di incrociarlo al Palazzo di Fiori per essere sicuro che stesse bene sebbene fosse sotto l’influsso del Pactio, ma dopo aver accantonato quel desiderio si era reso conto che era stato meglio così: quanta delusione avrebbe provato Domingus nei suoi confronti sapendo che per anni aveva vissuto come un ladro qualunque? Rivedere Ana gli aveva ricordato il giuramento che avevano fatto prima di intraprendere gli studi e il dono che gli era stato fatto dai propri genitori: Ana aveva ricevuto una piuma d’oca incantata, in grado di far allargare i propri orizzonti e la propria saggezza, lui aveva avuto quell’anello. Era di ferro, pesante, con delle lettere antiche incise a fondo. Un anello per guidarlo sempre nella giusta direzione. A pensarci bene nel periodo in cui truffava le persone l’anello doveva essersi fatto una vacanza, perché non gli aveva suggerito proprio niente. Ma nessuno lo aveva mai notato, era perfino di poco valore...come mai invece era saltato subito all’occhio di Violetta? Era come se sapesse che per lui era importante, che aveva un significato profondo.
“E tuo padre non è più con te?” chiese la ragazza, sfiorandosi una guancia apprensiva. Dj scosse la testa: “Diciamo che ci siamo dovuti separare”.
“E’ successo anche con il mio. Ma non preoccuparti, lo ritroverai, ne sono sicura”.
“Sei molto fiduciosa, Violetta...ma non per tutti c’è un lieto fine”. Sospirando si sedette ai piedi del letto, con lo sguardo basso. La ragazza gli sfiorò la spalla, cercando di consolarlo. Chissà che peso opprimeva il povero medico. La porta venne aperta lentamente e fece capolino Maxi, che aspettò un cenno di assenso di Dj per entrare. Tra le mani portava un mazzolino di fiori di campo, sicuramente raccolti di nascosto nel giardino del castello.
“Quanto ho dormito?” chiese Violetta al medico, rendendosi conto che la luce del giorno era troppo fievole per essere mattutina.
“Un bel pò, a dire il vero. Ma è meglio così, prima eri troppo pallida, adesso sembri molto più in forze. Non che prima tu non fossi altrettanto bella, ma adesso...insomma...si, adesso stai meglio” farfugliò Maxi, sistemando i fiori su un vaso di vetro soffiato. Le mani gli tremavano per l’emozione, ma riuscì comunque a compiere quell’operazione delicata senza schizzare con l’acqua o far finire il recipiente in pezzi. Poggiò il vaso tra i due candelabri e la guardò speranzoso, sperando che il regalo fosse di suo gradimento e la sistemazione fosse piacevole. “Sono molto belli” rispose Violetta in un sussurro, alzandosi lentamente. Il ragazzo si precipitò da lei prima che Dj potesse muovere un passo, chiedendole se avesse bisogno di un appoggio per camminare, ma Violetta stava bene e continuava a credere che il gesto della notte prima fosse stato folle e stupido. Con quell’abbraccio non aveva voluto incoraggiare le speranze di Maxi ed era chiaro che lui nutrisse un forte sentimento per lei, che però non ricambiava.
Lena era convinta che avrebbe dovuto rifiutare in modo più decisivo gli approcci maldestri di Maxi. “Qualcuno dovrebbe dirgli che sei già promessa...insomma, che sei già impegnata. E non con uno qualunque, stiamo parlando di un principe!” esclamò, strappando con forza e decisione un’erbaccia vicino alle siepi. Si sfilò il guanto di pelle marrone e si passò il dorso della mano sulla fronte sudata. Violetta non potè fare a meno di annuire alle parole di Lena, particolarmenta presa dal suo lavoro di giardiniera. Quando si impegnava così tanto le ricordava la sua domestica, Olga, che non solo faceva continuamente avanti e indietro per la casa occupandosi di tutto, ma lo faceva sempre con il sorriso. Si chinò anche lei per togliere delle foglie secche e alcune radici, ma intanto pensava alla sera prima: Lena si era preoccupata così tanto per lei e non le aveva nemmeno dato uno straccio di spiegazione. “Non fare sforzi eccessivi, sei ancora debole” la ammonì l’amica, scostandola gentilmente e riprendendo il suo lavoro.
“Ieri sera ho avuto un altro di quegli incubi” iniziò a raccontare e subito ottenne l’attenzione di Lena, che si tirò in piedi, guardandola con comprensione. “Non sapevo come fare. Non volevo svegliarti, sei già troppo buona con me. Così sono andata in un posto che era solo mio e di Leon”.
Nel sentire quel nome l’amica abbassò lo sguardo, come se anche solo quello bastasse a infondergli un timore reverenziale. Quando lo rialzò nei suoi occhi limpidi si rispecchiava la dolcezza di una madre. “La paura di perderlo ti sta divorando e non è questo che vorrebbe per te. Dovresti pensare invece al vestito bianco per quando vi sposerete”.
“Non scherzare, Lena, io sto parlando di cose serie!”.
“Non scherzo, Leon ha intenzione di chiedere la tua mano non appena sarà tornato. Vi sposerete e vivrete per sempre felici e contenti...come è giusto che sia” si lasciò scappare Lena, pentendosi subito dopo di aver rivelato quel segreto: aveva promesso al principe che non ne avrebbe fatto parola con nessuno, e invece ancora una volta la sua bocca larga aveva parlato più del dovuto.
“Di cosa stai parlando? Lena, che cosa non so?”. Era ormai troppo tardi per rimangiarsi tutto, quindi fu costretta a riferire della conversazione avuta con Leon, della promessa fatta, dei suoi propositi. Ecco perché gli aveva chiesto di aspettarla, ecco perché aveva sempre ribadito quella reciproca appartenenza tra di loro. Leon voleva passare il resto della sua vita con lei, e quindi in un modo o nell’altro gli avrebbe spezzato il cuore.
“Non posso crederci...” . Cadde sulle ginocchia, prendendosi la testa tra le mani. Le tempie pulsavano e se non fosse per il fatto che aveva pianto già troppo in quei giorni probabilmente altre lacrime sarebbero scese in quel momento. La cosa peggiore non era che Leon volesse sposarlo, ma la consapevolezza che dentro di sé sentiva qualcosa smuoversi e sussurrarle all’orecchio ‘Lo vuoi anche tu’. Ma lo conosceva da così poco, non poteva volerlo sposare davvero!
‘Mai dare confidenza ai ragazzi. Gli dai una mano e quelli si prendono tutto il braccio’. Le parola di German per il suo sedicesimo compleanno risuonavano nella sua testa. A lei sembrava successo il contrario: in quel mondo assurdo e fuori da ogni schema si era aggrappata a Leon e lo aveva fatto suo, senza preoccuparsi delle ovvie conseguenze.
“Perchè ti disperi così tanto? Leon ti ama e nulla potrebbe esserci di più bello se non amare ed essere amati”. Lena si inginocchiò di fronte a lei, togliendogli le mani una ad una.
“Non posso sposarlo!”.
“Violetta, non ti capisco, come puoi non volerlo sposare? Insomma, mi sembrava di capire che foste felici insieme, tu stessa me l’hai detto. Ti ha detto qualcosa che ti ha ferito? Hai cambiato opinione di lui?”.
Violetta scosse la testa: non era così facile da spiegare. Non è vero, era lei che cercava di nascondere la verità a tutti, anche quando era ormai evidente.
“Io non sono di questo mondo e prima o poi dovrò abbandonarlo”. Lena si portò una mano alla bocca sconvolta. Non era la risposta che si sarebbe aspettata. Quante bugie c’erano state dietro le sue parola? Avrebbe potuto alzarsi ed andarsene via, lasciandola sprofondare nel dolore, perchè odiava essere ingannata. Ma a volte l’affetto sapeva essere più forte dell’orgoglio ferito.
 
La notte del Coniglio. Questo era il nome che Jade aveva dato all’unica volta al mese in cui doveva donare il proprio sangue per rinvigorire il serpente nascosto nella biblioteca. Rabbrividiva al solo pensiero di doversi inoltrare lungo il corridoio. Poi c’era il prelievo che gli procurava un dolore atroce per tutto il corpo e lo faceva stare male per giorni...sbalzi di umore, malessere, nausee continue. Era un incubo che durava da ben due anni e si stupiva di come fosse riuscito a non impazzire del tutto. A testa bassa ripercorreva le tappe della sua prigionia: era un caldo pomeriggio di maggio, quando suo padre gli stava mostrando il campo di carote coltivato da loro. Il loro avo, il primo Bianconiglio, per anni al servizio della Regina Rossa, aveva deciso di ritirarsi e la sua richiesta era stata approvata da Alice in persona, ottenendo una casa e un terreno non troppo distanti dal castello di cuori. Quello che doveva essere un tranquillo pomeriggio si era però trasformato in un incubo. Alcuni soldati di cuori avevano fatto irruzione nella loro terra, riferendo dell’ordine di Jade di portare al castello un Bianconiglio. Non entrambi, uno solo. Il padre ci aveva riflettuto a lungo e alla fine si era proposto volontario. La notte sarebbe stato scortato al castello.
Ci aveva pensato a lungo e aveva deciso che il padre era troppo debole e affaticato per compiere quel viaggio. Afferrò alcuni capi di abbigliamento, delle provviste per il viaggio e le infilò in uno zainetto di iuta. La regina di Cuori voleva un Bianconiglio, non le interessava chi fosse quindi avrebbe potuto prendere il posto del padre. In punta di piedi si diresse verso l’uscita; il silenzio tutto intorno era spezzato unicamente dal russare proveniente dal piano di sopra. Raramente usciva di notte e non aveva mai lasciato quel piccolo appezzamento, per cui solo il viaggio che avrebbe dovuto compiere gli metteva addosso paura ed eccitazione allo stesso tempo. Il padre si sarebbe preoccupato tantissimo non vedendolo più, ma aveva lasciato un biglietto sul suo comodino prima di uscire. Strinse forte l’orologio a cipolla dorato, simbolo della nobile casata dei Bianconigli, fedeli unicamente al volere di Alice, e saltellò fuori, annusando con incertezza l’aria umida tutta intorno. Si diresse nel luogo dell’incontro stabilito e mentre camminava si sentiva osservato. Raggiunse l’albero cavo, sotto il quale lo aspettavano le guardie. Le contò mentalmente e si rese conto che ne mancavano due.
“Non doveva venire tuo padre?” disse senza troppe cerimonie un uomo, togliendosi l’elmetto. Era chiaro che aveva paura di fallire la sua missione e non voleva rischiare di aver fatto un viaggio a vuoto. Dai racconti dei viandanti e del padre aveva saputo che l’attuale regina di Cuori era nota per la sua spietatezza nei confronti non solo dei nemici, ma anche dei suoi stessi sudditi. Deglutì a fondo e alzò gli occhi azzurri, sfidando lo sguardo aspro e diffidente del soldato. “Avete detto che avete bisogno di un Bianconiglio, e io lo sono” sussurrò Thomas con decisione. La spiegazione sembrò convincere l’uomo, che fece cenno agli altri di scortarlo fino ad una carrozza vicina. Per un momento rimase sorpreso di fronte a quel lusso, inconsapevole che sarebbe stato anche la sua rovina. Era affascinato da tutti i particolari di quella carrozza, non era mai salito su una di esse. Distolse lo sguardo dai cavalli, che avevano iniziato a nitrire a disagio, e venne invitato a salire. I sedili erano comodi e imbottiti. Ad un cenno il cocchiere fece scocchiare la frusta e iniziarono a muoversi. Nonostante fosse notte e si sentisse stanco non esitò ad affacciarsi dal finestrino entusiasta. In fondo quella chiamata a corte non era nemmeno tanto male, aveva aiutato il padre e allo stesso tempo avrebbe fatto un viaggio fantastico. Quanto oro si celava dietro le mura del castello di Cuori? Quante ricchezze? Non vedeva l’ora di scoprirlo. Guardò indietro per salutare un’ultima volta la sua casa, nascosta ormai da un fitto manto di alberi. Un nuvola di fumo però si ergeva poco sopra le punte delle chiome silvestri. Il sorriso spensierato morì, sostituito da un terribile sospetto. Ne volevano solo uno, non avevano specificato quale sarebbe stata la sorte dell’altro. Cercò di forzare lo sportello, in preda al panico, ma venne tenuto a bada da uno degli uomini al servizio di Jade. “Qualcuno ha appiccato un incendio! Torniamo indietro, salvate mio padre!”.
“Mi dispiace, ragazzino, ringrazia piuttosto che quella sorte non sia toccata a te”. Tentava di divincolarsi con più forza, ma non c’era nulla da fare. Ad un segnale del capo quello che lo tratteneva lo lasciò andare ma solo per colpirlo in testa con l’elsa della spada, facendolo accasciare, svenuto. Stretto nella mano l’orologio che ticchettava inesorabile.
Solo più in là aveva compreso perchè avevano eliminato suo padre: volevano che non avesse nessuno da cui tornare. Doveva rimanere legato a quel castello di sua volontà, doveva arrivare a considerarlo la sua famiglia, l’unico posto in cui poteva essere al sicuro. E per tanto tempo era stato così, fino all’arrivo di Violetta. Si, l’amava, ma non lo tormentava più il fatto che il suo amore non venisse corrisposto; grazie a lei aveva compreso il senso del voler essere liberi, di poter scegliere sempre il proprio destino. Non chiedeva altro se non la libertà. Non aveva mai smesso di pensare al suo piano di fuga e finalmente rovistando tra vecchie piante dell’edificio di tanti anni fa era arrivato a qualcosa di concreto: aveva trovato un modo per evadere da quella gabbia. Forse Violetta non sarebbe venuta con lui, ma sentiva il dovere di informarla dei suoi progressi, poi lei stessa avrebbe deciso cosa fare. Chiuse un quadernino nero su cui aveva preso velocemente degli appunti, facendo schizzi di alcuni punti del castello e uscì dalla sua stanza. Non appena mosse un passo incrociò il medico appena arrivato, Dj, si chiamava. Aveva subito pensato che si trattasse di un nome buffo, ma non aveva mai fatto commenti a tal proposito, per non inimicarsi nessuno. Quel ragazzo non gli piaceva affatto: non solo era troppo giovane per avere esperienza nel campo della medicina, ma poi si aggirava sempre con l’aria di chi stava macchinando qualcosa. Ad esempio, anche adesso si chiedeva cosa ci facesse proprio fuori dalla sua stanza, come se lo stesse aspettando.
“Buonasera” salutò educatamente Dj con un gesto della mano appena accennato. Thomas annuì ma non disse nulla. Non si fidava: lo stava forse studiando? Aveva capito il suo segreto? Non poteva esserci riuscito, i sintomi dell’instabilità di verificano solitamente i primi giorni dopo il prelievo, che sarebbe dovuto avvenire quella notte, anche se aveva progettato la sua fuga prima che accadesse. “Desideravate qualcosa?” chiese con tono incolore.
“Assolutamente...ma penso che tu possa essermi utile in qualche modo” spiegò Dj, avvicinandosi e guardandosi intorno.
“Non vedo com...”. Non fece tempo a finire la frase che cadde a terra privo di sensi. Dietro Andres reggeva uno dei candelabri della loro stanza, con cui aveva messo il Bianconiglio KO.
“Dovevi proprio essere così diretto? Insomma, stavamo parlando! E poi ti avevo detto di aspettare il mio segnale” sbuffò il mago, schioccando le dita. Delle funi invisibili sollevarono Thomas, facendolo finire a mezz’aria.
“Manca poco al tramonto...se stanotte vogliamo tornare in quella stanza e tu credi che abbiamo bisogno di questo coniglio, non c’è tempo per le chiacchiere”.
Dj lo guardò con ironia, quindi scosse la testa con un sorrisetto: “Come devo fare con questi rivoluzionari! Tutti muscoli e niente cervello. Piuttosto vai avanti a controllare che la via sia libera. Ci manca solo che mi vedano mentre faccio levitare un roditore in camera nostra”. Mentre osservava Andres avanzare rapidamente con il volto inespressivo, teso per il fatto che di lì a poco avrebbero potuto fare ritorno dal serpente. Gli aveva chiesto di fidarsi del suo istinto di mago e lui gli aveva semplicemente riferito della strana sensazione che avvertiva anche adesso: quel ragazzo emetteva una strana energia, la stessa che aveva avvertito nel serpente. Se dovevano fidarsi dei suoi poteri, allora dovevano portarsi dietro Thomas, perché era sicuro sarebbe stato in grado di svelare il segreto del custode della spada. Ma prima avrebbero dovuto farlo cantare.
Thomas si risvegliò legato ad una sedia come un salame. Di fronte a lui il medico con i suoi due assistenti lo guardavano attentamente. Tentò di divincolarsi, ma i nodi erano stretti e finiva solo per farsi del male. “AIUTO!” provò ad urlare, ma a quella richiesta Dj scoppiò a ridere. “Amico ho insonorizzato la stanza con un incantesimo. Fossi in te non mi affaticherei per nulla”.
Thomas impallidì: un mago! Ma cosa ci facevano lì? E cosa volevano da lui? “Siete dei ladri?”.
“Diciamo che non è del tutto sbagliato” rispose il più basso dei tre. “Vogliamo la spada di Cuori”.
“V-voi sapete della spada?” balbettò il Bianconiglio, sempre più confuso.
“E’ il motivo per cui siamo qui...abbiamo bisogno del pezzo dell’armatura” ribatté Andres con freddezza.
“Non posso fare nulla per voi. Sapete meglio di me che è protetta ed è impossibile prenderla”. Thomas batteva i denti per la paura: aveva avuto ragione a sospettare di quei tre, non che ora gli fosse di aiuto in qualche modo. A quelle parole lo guardarono torvo, ma lui aveva detto la verità. La prima volta che gli era stato estratto il sangue per eseguire l’incantesimo gli era anche stato spiegato che non poteva essere spezzato e che era in grado di vanificare ogni magia. Quella notte il serpente doveva essere nutrito, quindi era piuttosto debole, ma sempre in grado di fronteggiare quel gruppetto, perchè la magia non contava nulla.
“Beh, noi crediamo che tu possa esserci in ogni caso di aiuto...”. Andres venne interrotto da qualcuno che bussava alla loro porta. Fece un cenno a Maxi, che scattò subito, tendendo l’orecchio per sentire di chi si trattasse. Lo distolse dopo qualche secondo. “E’ Violetta, si è presentata all’appuntamento, ma non è da sola, è venuta con la sua amica”.
“Bene, falle entrare” esclamò Dj. Andres prese uno straccio e lo premette sulla bocca di Thomas, perché quando la porta sarebbe stata aperta l’incantesimo insonorizzante non avrebbe avuto effetto. Violetta e Lena entrarono e rimasero sconvolte di fronte alla visione di Thomas legato e imbavagliato. La porta si richiuse dietro di loro con uno scatto e il Bianconiglio fu di nuovo libero di parlare.
“Che cosa state facendo a Thomas?”. Vioetta era sconvolta e si era precipitata dall’amico, con l’intento di liberaro, ma Andres si mise in mezzo, fissandola truce.
“Abbiamo bisogno del suo aiuto per un motivo importante”.
“Niente giustifica il fatto che l’avete legato!”. I due si stavano sfidando con rabbia e nonostante ci fosse da aver paura Violetta aveva tirato fuori un’inspiegabile coraggio. Thomas le era sempre stato vicino, era stato un amico leale, che non aveva mai rivelato i suoi segreti e vederlo ridotto in quello stato la faceva arrabbiare ancora di più.
Dj capì che era il momento di spiegarle il motivo per cui le aveva chiesto di presentarsi nella loro camera. Si era deciso a rivelarle quello che la Regina Bianca gli aveva detto nella grotta. Avevano bisogno che venisse con loro, dovevano portarla sana e salva al Palazzo di Picche.
“Dobbiamo parlare...”. “Da soli” aggiunse guardando nella direzione di Lena, che si sentì un’estranea in mezzo a quel gruppo di persone.
“Non c’è nessun segreto che nasconderei a Lena” ribattè Violetta con fermezza, stringendo la mano dell’amica per infonderle coraggio.
Il mago sospirò: quella ragazza era veramente testarda quando ci si metteva. “La questione è delicata...”. Lanciò un’occhiata ad Andres che annuì senza pensarci due volte. Anche lui era d’accordo: se volevano che collaborasse con loro doveva essere messa al corrente di tutto.
“Già che ci siete, spiegatemi anche cosa volete da me!” ebbe la forza di urlare Thomas, visto che l’attenzione si era spostata da lui a Violetta.
“Abbiamo bisogno di te per superare il serpente!” rispose secco Maxi, senza degnarlo di attenzione. Era completamente coinvolto dalla piega che aveva preso quella conversazione. Violetta avrebbe potuto considerarli dei pazzi e invece aveva bisogno che si fidasse di loro. Di lui. L’avrebbe protetta da tutto e da tutti, perfino dal temibile Leon.
“Durante il nostro viaggio ci siamo imbattuti nello spirito della Regina Bianca” cominciò a parlare il mago. Lena trattenne il fiato, Violetta non sapeva che pensare: la Regina Bianca non faceva parte del racconto che gli aveva fatto Humpty? Ma perché il suo spirito era ancora legato a quel mondo? Aveva talmente tante domande da fare, ma decise di aspettare che avesse finito quello che aveva da dire. “E lei ci ha chiesto di trovare una Prescelta, perché grazie a lei la nostra missione non sarà vana”. Dj non riusciva a continuare, timoroso delle conseguenze che quella rivelazione avrebbe potuto avere sulla ragazza. Fu Andres a completare il discorso al posto suo: “Ha fatto il tuo nome, Violetta”.
 
La carrozza di Quadri sfrecciava tra le verdi praterie del Regno di Fiori, diretta verso Fiordibianco. Ludmilla ancora non l’aveva fatta pagare a Natalia e stava seriamente meditando di toglierle ogni libertà. L’aveva fatta agire di testa proprio ed ecco che aveva perso l’elmo.
“Finché noi avremo lo scudo, nessuno potrà riunire l’armatura, lo sai bene. Smettila di angustiarti”. Diego cercava di confortarla, ma non riusciva a stare tranquilla, non sopportava che le persone commettessero errori. Gli errori erano sinonimo di imperfezione e un suo piano non poteva non essere perfetto. La carrozza si fermò di botto, rischiando di catapultarla in avanti, se Diego non fisse intervenuto afferrandola per la vita.
“Ma come si permette a fermarsi in questo modo!” sbottò la regina, sempre più arrabbiata. Uno dei cavalieri della scorta si avvicinò timoroso. Già aveva sentito le strilla di Ludmilla e non ci teneva proprio a subire una condanna con il solo fine di farle sbollire la rabbia. “Mia signora...sono arrivati dei messi dal fronte capitanati dall’Asso”. La Ferro lo guardò sorpresa e confusa: l’Asso era una delle sue armi segrete, un assassino senza scrupoli, ottenuto dalla fusione delle sue pozioni con la magia più nera. Faceva i lavori più sporchi senza sottrarsi e non aveva bisogno di compiacerlo in alcun modo. Per arrivare a contraddire un suo ordine e prendere l’iniziativa di venirle incontro però doveva essere successo qualcosa di grave. Si fece aprire lo sportello e mise piede nell’erba umida, in cima ad una squallida e vuota collina. Tre cavalli neri galoppavano senza sosta e subito riconobbe lo stendardo del suo Regno portato da quello sulla destra. Nonostante fosse lontano e portasse il cappuccio riconobbe subito l’Asso, che guidava gli altri due. Il suo cavallo era il più grosso e il più forte, era stato anche il più difficile da addomesticare e tuttora dava segni di irrequitezza, per cui tutti gli altri dell’esercito si erano rifiutati di cavalcarlo. In pochi minuti i messaggeri raggiunsero la sommità del colle e scesero dai loro cavalli.
“E’ un piacere rivederti” disse Ludmilla, non lasciando trasparire neppure una goccia di quel piacere di cui parlava. Se era arrivato a volerle parlare non dovevano essere buone notizie. L’uomo incappucciato si inginocchiò, tenendo lo sguardo basso e rimase in quella posizione mentre parlava. “Hanno sfondato le linee a nord e siamo stati costretti a retrocedere...Picche non vuole mollare”. La voce era un sussurro infernale e perfino Diego arretrò di qualche passo, innervosito.
“Tutto quello che hai da dirmi è questo?” sbottò Ludmilla.
L’Asso scosse la testa. “Si tratta di una Profezia...ne siamo venuti a conoscenza in un villaggio della Palude di Jolly. C’è una Prescelta in questo mondo, ed è qui per salvarlo”.
“Salvarlo?! Lei non salverà un bel niente, perché sarà tutto nelle mie mani” protestò la Regina, stringendo i pugni e affondando le dita nel velluto pregiato dei guanti color pervinca.
“Abbiamo messo a ferro e a fuoco l’intero villaggio, ma nessuno conosce il nome della Prescelta. Dicono che esso è custodito nei meandri della Grotta delle Profezie. Abbiamo mandato qualche uomo lì dentro, ma sono tutti tornati in preda alla pazzia, parlando di visioni e di fantasmi”.
Questa non ci voleva: un altro contrattempo che ritardava il suo progetto. “Sicuramente saranno voci...non abbiamo le prove di una tale profezia”.
“Dicono di averla incisa nella Grotta. Non penso ci sia da scherzare” ribattè l’Asso, alzandosi lentamente.
“Il libro è custodito al sicuro nel mio castello. Senza quello nessuno sa di ciò che nasconde il Paese delle Meraviglie. La ragazza non costituirà un problema” sentenziò, cercando di tranquillizzare più se stessa che gli altri. L’uomo si tolse il cappuccio, rivelando le sembianze di un giovane, dagli occhi scuri e spenti, immersi nel vuoto. Le labbra erano sottili e piegate in un sorriso sghembo, la carnagione era olivastra. Al collo, dove era allacciata la cappa, nera come i suoi capelli, un filo nero era cucito sulla sua pelle, e risaliva fino al mento e lungo la guancia destra per poi scomparire nuovamente.
“Strano che non conosca nemmeno il nome del mio servitore più fidato. Ormai per me sei Asso e basta” rise Ludmilla. L’Asso scosse la testa, senza interrompere il suo sorriso innaturale.
“Mi chiamo Sebastian, mia regina”.  







NOTA AUTORE: Premetto che sono una persona orribile perché non ho la forza di rileggere l'ultima scena, quindi sicuramente qualcosa mi è scappato perchè con questa nuova tastiera gli errori mi scappano :') Ma fate finta di nulla, tanto c'è la scioccante rivelazione finale, e quindi- ma io devo commentare.
IL FLASHBACK INIZIALE *si accascia a terra* Leon sente sempre di non meritare le lacrime di Violetta, e scopre sempre di più la sensazione del sentirsi amato, mentre Violetta- beh, lei è messa maluccio. Soffre parecchio in questi capitoli, ed è solo all'inizio D: Detto questo, tralascio l'abbraccio di Maxi e Violetta, che per me è un grossissimo no, e passo alla scena tra Dj e Violetta...oddio, ma lo sapete che mi piacciono un sacco come amici? Non avranno molte scene loro due insieme, ma questa è forse la più significativa *^* E poi arriva Maxi -.-" Quello c'è sempre, figuriamoci .-. Che poi non ha capito che Violetta non lo vuole, e anzi, non sa come spezzargli il cuore ù.ù Poi tra Lena e Violetta arriva il momento delle confidenze, e Lena scopre il motivo per cui Violetta non può pensare a delle nozze tra lei e Leon. AHIA D: 
Nel frattempo capiamo qualcosa di più del personaggio di Thomas, che in fondo è tenero dai :D Il suo passato è tutt'altro che allegro...però risulta utile ai rivoluzionari, e infatti...che sia questa la chiave per risolvere l'enigma? 
Andres poi rivela a Violetta che lei è la Prescelta...e nel finale conosciamo un personaggio che non ci aspettavamo di poter conoscere...si tratta proprio di Seba? Ma cosa nasconde quel ragazzo? E come mai Camilla sa di averlo perso? Forse crede che è morto? Io lo so, voi no, ma mi piace sentire le vostre ipotesi, quindi buttatevi :') Grazie a tutti per continuare a seguire quest'intricata storia, e non vi preoccupate, ci avviciniamo sempre di più al gran finale :3 Grazie a tutti, e alla prossima!
syontai :3 
  
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