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Autore: A li    29/09/2008    4 recensioni
Dopo Death Note 12.
Una seconda possibilità.
L'ultima, per riscattare le proprie colpe.
- Allora, l’unica risposta…
Una reincarnazione? –
In una delle rare volte, mi sorrise. – Esattamente ciò che pensavo. – disse.
Genere: Malinconico, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: L, Light/Raito, Ryuuk
Note: OOC, What if? (E se ...) | Avvertimenti: Spoiler!
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Over The Mu

Grazie MILLE a:

Matta_Mattuz (per la splendida e immediata recensione, cinque minuti dopo che avevo postato)

BlackMoclips

SakuraSsj

cicoria

che hanno commentato! XD

E a:

Matta_Mattuz

BlackMoclips

ila_sabaku

che hanno messo questo mio parto nei loro preferiti! XD

 

Ed eccomi di nuovo qui, con questo secondo capitolo.

In questo passaggio mi sono dedicata anima e corpo al mio figlio preferito, Mihael, caratterizzandolo e donandogli quanto più potessi l’anima del mio adorato Elle.

Fatemi sapere se vi è piaciuto e cosa invece magari non torna!

Buona lettura…

 

Over The Mu

- Oltre Il Nulla -

 

Prima o poi, tutti gli esseri umani muoiono.

Dopo la morte, non vi è nulla.

 

II. Life and Memories (Vita e Memorie) 

 

Per tutta la sera, ripensai alle parole di Mihael.

Paura della morte. Dopo una breve riflessione, avevo capito che era esattamente quello che provavo anch’io. Non era solo paura del buio. Era il terrore di rimanere intrappolato nelle tenebre per l’eternità, essere avvolti dall’oscurità e rimanervi per sempre.

Mi chiesi perché soffrissi di una paura del genere. Non era normale per un bambino di dieci anni avere paura di morire.

Forse nel passato che non ricordavo ero stato un ragazzino inquieto e sensibile, che si poneva domande troppo grosse per avere una risposta soddisfacente e completa.

Scacciai dalla mente quei pensieri, ma non ci riuscii del tutto.

Quando mi addormentai, era passato molto tempo.

Mi svegliai alle prime luci dell’alba. Aprii gli occhi con il viso scaldato dai raggi del sole, che invadevano anche i miei sogni, popolati da precipizi, laghi, montagne e ragazzini coi capelli neri.

Spostai l’attenzione sulla sedia nella stanza e notai che era ancora davanti alla finestra. Sopra era seduto Mihael, lo sguardo lontano e i capelli ancora davanti agli occhi scuri. Immobile, totalmente, sembrava un uomo sorpreso e pietrificato dal sole nascente.

Cercai di non fare rumore mentre sbadigliavo contro la mia volontà e restai a fissarlo, incantato dalla sua figura sottile.

Ma mi sentì e si girò di scatto verso di me, interrompendo la quiete silenziosa dell’alba.

- Nate… - sussurrò.

- Ciao, Mihael. – risposi, con la voce roca e impastata dal sonno.

Mi stirai, ormai libero di muovermi e cercai di tirarmi in piedi. Non fu un’impresa facile: sembrava che il lungo tempo di immobilità avesse danneggiato i miei muscoli.

Mugolai sottovoce per lo sforzo che dovevo fare. Ma alla fine riuscii a mettermi seduto con la schiena appoggiata al muro dietro di me. Sospirai rilassato, poi tornai a guardare Mihael, che aveva osservato tranquillamente i miei movimenti. Ora era sceso dalla sedia e in piedi sembrava molto alto: il giorno prima non lo avevo notato.

- Riesci ad alzarti? – mi chiese.

La sua voce atona mi infastidì: mi sentivo trattato come un estraneo. E anche se non avevo motivo di sentirmi uno di famiglia, la cosa non mi piacque molto.

- Spero di sì… - risposi, con una smorfia.

Senza preavviso, mi si avvicinò e mi prese con un braccio dietro la schiena, tentando di sollevarmi. Ci riuscì e, quasi senza difficoltà, sfruttando anche un po’ della mia energia, dopo un attimo ero in piedi di fianco al letto.

Mihael continuava a sorreggermi, come se potessi cadere da un momento all’altro. E, considerando la mia forza, non potevo essere certo di affermare il contrario.

Parve leggere i miei pensieri, perché mi fissò un attimo in più del solito.

- Ce la fai a stare in piedi da solo? – chiese, testando un’altra volta le mie capacità.

Mi morsi un labbro e poi cercai di staccarmi da lui. Incredibilmente le mie gambe non cedettero sotto il mio peso e riuscii a fare qualche passo senza bisogno dell’aiuto del ragazzino.

- Bene. – fu il suo commento – Ora vieni, ti ho preparato la colazione. -

- Oh… -

Mi aprì la porta, lasciandomi passare per primo, forse per controllare che non cadessi. Mi seguì subito e mi guidò attraverso il corridoio in cui eravamo, fino alla cucina. Le pareti continuavano a sfoggiare vanitose il loro color pesca, ma i quadri cambiavano: a volte erano campagne verdeggianti, altre fiordi immensi che svettavano verso il cielo in ipotetica ricerca di salvezza.

La cucina era piccola, ma calda e accogliente. Al centro vi era un tavolo coperto da una tovaglia di stoffa a fiori, verde e gialla. La osservai un secondo e mi sentii strano, senza sapere perché.

Sulla tavola erano poggiate una tazza bianca e un cucchiaio di metallo; di fronte una scatola di cereali.

- E’ per me? -

Mi pentii subito della domanda. Doveva sembrare davvero stupida.

Ma Mihael non fece commenti, né con lo sguardo, né con le parole.

- Sì. – rispose semplicemente.

Mi sedetti al tavolo e lui mi versò nella tazza del latte appena scaldato. Poi si accomodò sulla sedia di fronte alla mia, dall’altra parte del tavolo e restò a guardarmi. Cominciai subito a mangiare, anche se il suo sguardo mi metteva a disagio.

- Quindi non ricordi nulla… - iniziò, mentre addentavo un biscotto.

Deglutii e scossi la testa.

- Dov’è Deborah? – domandai all’improvviso.

Lui mi fissò un secondo e una volta ancora pensai che stava soppesando la sua risposta rispetto alle mie intenzioni.

- E’ andata al lavoro. Siamo da soli. -

- Dove lavora? -

La mia curiosità andava ben oltre le sue aspettative, probabilmente, ma la sua espressione non mutò di una virgola. Continuò a sfoggiare il suo equilibrio e la sua calma, senza scomporsi.

- Lavora in un negozio poco distante da qua. Fa la commessa. Se vuoi possiamo andarci all’ora di pranzo, mentre fa un po’ di pausa. -

Annuii distrattamente. All’improvviso avevo davvero voglia di sapere qualcosa in più su di lui. Non sapevo perché mi interessasse così tanto la sua vita, ma c’era qualcosa che mi diceva che quel ragazzino somigliava molto a me.

- Mihael… - cominciai, studiando le sue espressioni – Tu sei figlio di Deborah? -

La domanda forse stupì anche lui, ma di certo non lo diede a vedere. Ci fu un attimo di silenzio, mentre mi guardava pacato.

- No. – rispose – Lei mi ha trovato, esattamente come te. -

Senza che avessi bisogno di fargli altre domande, si mise a raccontare. Forse aveva capito che volevo conoscere un po’ il suo passato, o molto più probabilmente gli andava semplicemente di raccontarmelo.

- Mi trovarono davanti all’orfanotrofio all’età di tre anni. Il motivo per cui mi avevano lasciato è che la mia intelligenza era troppo sviluppata per la mia età. Mi presero senza pensarci. Non mi servì andare a scuola, né avere lezioni private: tutti si stupirono di come io sapessi già fare tutto. Conoscevo persino la storia: quando gli insegnanti cominciavano a spiegarmi un argomento, la mia memoria si accendeva e lo completavo io stesso, pur senza aver mai aperto un libro.

Non mi sono mai chiesto il perché. E’ una cosa irrazionale che io conosca delle cosa senza averne mai sentito parlare. Ma non mi importa.

A dieci anni, era il 2004, un giorno, all’ora di pranzo, non mi presentai in mensa. Al contrario di te, però, mi ricordo cosa successe: è il mio unico ricordo di prima dei miei dieci anni.

Ero in camera mia e stavo bevendo qualcosa con un cucchiaino, di questo sono sicuro. Forse del tè. Ad un tratto ho sentito un male insopportabile al petto, come se mi stesse scoppiando. Mi sono messo a tremare e sono caduto a terra.

Poi, non so come, ho aperto gli occhi davanti a questa casa. Ho bussato e Deborah mi ha aperto, facendomi entrare. Non ricordavo nulla del mio passato, se non quell’atroce dolore al petto, che non ho mai scordato.

Deborah mi ha adottato, dopo aver scoperto chi ero. Mi ha preso con sé nonostante non avessi più memoria. Le devo molto. –

Tacque come aveva fatto la donna il giorno prima.

Non tentai di chiedergli altro, forse non voleva condividere con me i cinque anni passati con Deborah in questa casa.

- Anche tu non ricordi nulla del tuo passato? – chiesi, distratto.

- Esatto. -

Avevo finito la colazione, perciò mi alzai e posai le stoviglie e la tazza nel lavandino. Mentre le sciacquavo ripensavo al racconto di Mihael e all’accenno alla sua straordinaria intelligenza.

- Usciamo? -

Quella voce interruppe i miei pensieri e mi costrinse a smettere di sprecare acqua rilavando per l’ennesima volta la stessa tazza. Misi tutto a posto velocemente, poi annuii in direzione di Mihael  e lo seguii mentre varcava la porta.

Passammo per l’ingresso, dove era posizionato un grande specchio dalla cornice in legno. Mentre lo sorpassavo, diedi un’occhiata alla mia figura: ero un bambino relativamente alto per la mia età, i capelli castano chiaro e gli occhi di un’indefinibile sfumatura scura. Osservai i miei tratti gentili per un momento, cercando di immaginare se fossi attraente oppure no, ma non ne avevo la minima idea.

Mi affrettai a seguire Mihael fuori di casa e ci ritrovammo subito in un vialetto acciottolato, che serpeggiava in salita tra due file di casette alte e colorate.

Il panorama cambiò arrivati in cima alla stradina: di fronte, in discesa, si apriva una piazza anonima e, oltre, una distesa di un incredibile verde brillante, che si gettava dritta in un lago scuro, dalla superficie piatta. Il sole lo sfiorava premuroso come un padre che veglia da lontano sul proprio figlio.

Dall’altra parte della piccola piazza, Mihael si fermò di fronte ad un negozio di alimentari abbastanza frequentato, che era probabilmente l’unico della sua specie nel villaggio. S’intrufolò svelto all’interno e si diresse deciso verso la cassa.

Dietro il bancone stava Deborah, che prendeva il resto da un’anziana signora.

- Oh, Mike! – esclamò, sorridendo. – Nate! – aggiunse, quando mi vide.

- Ciao, Deborah. – la salutammo entrambi, con un leggero senso di distacco che lei sembrò non notare, o forse ignorò deliberatamente.

Mentre preparava la borsa per un uomo di mezz’età, ci rivolse la sua attenzione.

- Allora, come mai siete venuti? -

Mihael rispose per entrambi. – Volevo far vedere a Nate il villaggio. –

- Hai fatto bene… -

Poi fu assorbita da una cliente che non trovava quello che stava cercando e non poté proseguire. Quando si liberò fu solo per dirci che non poteva proprio stare qui a parlare con noi.

- Non importa – sussurrò Mihael, tranquillo, - Tanto veniamo a mezzogiorno. -

Lei sorrise e si allontanò.

Mihael mi fece strada tra la gente nel negozio, per raggiungere l’uscita, e sbucammo fuori in un attimo. Continuando per la strada, cominciammo a scendere verso il lago.

Ad una certa distanza dalla piazza centrale, potei osservare le alture verdeggianti che si stagliavano, come una mano protettrice, dietro il paesino arroccato di Loch. In un certo senso, era come se questa mano lo spingesse verso il lago, senza però farlo tuffare.

Arrivammo alla riva del lago in pochi minuti: le case si diradarono a poco a poco, finché non ne rimase nessuna. Il sentiero si fece sterrato e poi sparì.

Il lago era immenso e, anche se Deborah aveva detto che era uno dei più piccoli, a me sembrava davvero enorme. Si estendeva a perdita d’occhio, fino ad una collinetta del solito verde brillante che lo delimitava.

Giunto sulla riva, corsi verso l’acqua e la sfiorai con le dita, sentendo il gelo percorrermi il braccio. Lo ritrassi subito, impallidendo, con un terribile senso di dejà-vu in tutto il corpo. Quel freddo così intenso mi fece paura e non capii perché.

- Che c’è? -

Mi voltai di scatto verso Mihael che, accostatosi a me silenziosamente, si era seduto e aveva immerso i piedi nel lago.

- Niente – farfugliai, a disagio. Non potevo certo dirgli che avevo paura di quel gelo.

Superando il timore, rimisi una mano nell’acqua e, tentando di tenere a bada la mia insensata inquietudine, mi sedetti di fianco a Mihael. Quello mi fissava senza far trasparire nulla e mi chiesi perché non si stupisse del mio comportamento.

- Anche a me le prime volte dopo la perdita di memoria il freddo faceva paura. -

Trasalii. Ma come aveva fatto a capire? E poi come poteva anche lui provare la stessa cosa?

- E’ così – continuò, prendendo la mia espressione per incredulità. – Non riuscivo a stare con un dito nell’acqua gelata per più di qualche secondo, ma poi ci ho fatto l’abitudine… -

Incoraggiato dalle sue parole, immersi i piedi nell’acqua. All’inizio provai quel senso di terrore, ma, cercando di ignorarlo, questo si attenuò. Alla fine sbattevo i piedi assaporando la freschezza del lago senza problemi.

Sul viso di Mihael mi sembrò di scorgere quasi un sorriso.

- Come mai… – cominciai, interrompendomi alla ricerca delle parole.

- …conosco le tue sensazioni? – concluse lui per me.

Annuii, cercando di nascondere la sorpresa alle sue parole.

Lui sospirò, poi guardò il cielo, mentre parlava.

- Le ho provate anch’io, subito dopo aver dimenticato tutto. E poi credo che ci sia un motivo per cui abbiamo perso entrambi la memoria, alla stessa età. Penso che alla radice di questo ci sia qualcosa che la razionale mente umana non può capire. -

Corrugai le sopracciglia, pensando alle sue parole. – Quindi… Qualcosa di sovrannaturale? –

Per la prima volta, lo vidi sorridere. – Qualcosa del genere… - rispose – Penso che ci sia il 50% delle possibilità che questi avvenimenti siano qualcosa di irrazionale e inspiegabile scientificamente. –

Non replicai, ma soppesai la sua frase. Possibile che le nostre perdite di memoria, le nostre sensazioni identiche fossero qualcosa di…  magico? Non potevo crederci. Eppure come spiegare la nostra affinità?

Cercando di distrarmi, fissai un punto alla mia destra, nel prato verde di muschio che circondava il lago blu di gennaio. Non capivo come in una stagione così fredda potesse esserci così tanta vegetazione.

Ad un tratto un movimento in lontananza attirò la mia attenzione. Guardando meglio, notai una strana figura che veniva verso di noi. Sembrava un vecchio, ma man mano che si avvicinava potei identificarlo meglio e il sangue mi si gelò. Era un mostro, una specie di assurdo essere grigio e ricoperto da strani abiti e pendagli, con un orribile ghigno stampato in volto. Gli occhi grandi e dalle iridi rosse mi fissavano intensamente.

Quando mi fu a pochi metri, si fermò.

- Light Yagami… - sussurrò, poi ridacchiò, come se avesse scoperto una cosa divertente.

Mi girai verso Mihael, ma lui mi guardava interrogativo. Quando tornai a girarmi dalla parte del mostro, quello non c’era più.

Nella mia mente, uno strano nome continuava a tamburellare, ripescato da un abisso di oblio.

Ryuk.

 

Fine II

 

Fine anche di questo capitolo.

Allora… Come vi è sembrato Mihael?

Commentate, ok?

A presto!

 

Aki

   
 
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