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Autore: Yutsu Tsuki    13/09/2014    3 recensioni
Dal primo capitolo:
“Osservando il suo volto, si accorse di una cosa. Tutti quegli anni passati dietro a due spesse lenti rotonde gli avevano fatto dimenticare di quanto belli fossero i suoi occhi. Erano di un verdeacqua chiaro, ma intenso, quasi luminoso. Si avvicinò ancora allo specchio e allungò la mano, come per poter afferrare quel colore che era un misto fra il cielo azzurro senza una nuvola ed un prato fresco d'estate.
Voleva toccarli, sfiorare quella luce e immergersi in essa, ma venne bruscamente interrotto dalle urla di sua sorella: — Keeeen! Vieni a cena, è prontooo!
Si allontanò in fretta dalla sua immagine riflessa. Per un attimo restò senza parole. Era rimasto affascinato dal suo stesso volto. Poi scoppiò a ridere, rendendosi conto dell'assurdità della cosa.
Aprì la porta della stanza gridando: — Mi chiamo Kentin!! — e corse in cucina.”
Genere: Introspettivo, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Dolcetta, Kentin, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 13


Verità







Era una giornata limpida. La donna stava attraversando la strada insieme al figlio per dirigersi verso il parco, mano nella mano. Il cinguettio degli uccellini ed il dolce tepore dell’estate creavano un’atmosfera di gioia, di armonia. All’improvviso la quiete fu rotta da un rumore in lontananza. Il bambino si allarmò, mentre il suono cresceva, si faceva sempre più forte e assordante. Perse il contatto con la mano della madre. Corse per strada, piangendo. Il frastuono era sempre più vicino e copriva le urla della donna. L’ultima cosa che ricordò fu il paraurti dell’automobile a pochi centimetri dal suo naso.
Un brusco sobbalzo fece rinvenire Kentin. Di fianco a lui medici ed infermieri si mobilitavano attorno ad una lettiga, passandosi bende ed altri oggetti di primo soccorso. Capì di essere svenuto sul sedile dell’autovettura. Gli balenò nella mente quello che aveva appena sognato: la volta in cui lui da piccolo rischiò di venire investito da un’auto, a causa della sirena di un’ambulanza. Aveva sempre avuto paura di quel rumore. Ma ora quel timore era stato sostituito da uno ben peggiore. Guardò verso la barella: Candy giaceva ancora priva di sensi. Cercò di ricostruire quello che era successo. Stava scendendo le scale, quando improvvisamente qualcuno da dietro lo aveva spinto con violenza su di lei. Il suo primo istinto era stato quello di girarsi indietro e vedere chi fosse stato, ma l’unica cosa che scorse fu l’immagine veloce ed immediata di una lunga chioma bionda...
Ambra!
Era stata senza dubbio lei, chi altro? Purtroppo, però, non c’erano le prove. Avrebbe potuto accusarla a priori, dato quello che gli aveva fatto in passato. Inoltre, caso vuole che, proprio qualche istante dopo la caduta di Candy, su per le scale stessero salendo la Preside ed alcuni professori, i quali avevano visto la ragazza a terra e Kentin ancora in cima, quasi come se l’avesse spinta lui.
Nei dieci minuti seguenti ricordò solo che fu preso dalla più completa disperazione. Aveva pianto così tanto sul corpo di Candy, che non gli erano rimaste neanche più lacrime. Anche quando arrivò l’ambulanza, dovettero schiodarlo a forza dall’amica, per permettere agli infermieri di caricarla sul veicolo. Nonostante il divieto, aveva così tanto insistito per salire, che si era pure finto ferito, pur di stare accanto a lei.
Ora era lì. Ad aspettare con ansia l’arrivo in ospedale. Aveva ancora in mano la maschera di Alexy, ma desiderava solo disfarsene. Se non se la fosse messa, Candy non l’avrebbe confuso con Castiel, non sarebbe corsa fuori dall’aula e non sarebbe caduta dalle scale. In altre parole, tutto era successo per colpa sua.
Volle sparire. Anziché proteggerla, era riuscito solo a farle del male. Che cosa avrebbero detto i genitori, i compagni? Altro che presa in giro per la storia dello specchio: sarebbe stato isolato a vita dal resto dell’umanità.
Mentre si affliggeva con questi pensieri, finalmente l’ambulanza si fermò. In quattro e quattr’otto Candy venne trasportata in sala di rianimazione e Kentin dovette rinunciare a starle accanto.
Decise che avrebbe passato la notte in ospedale assieme ai genitori della ragazza, arrivati poco dopo di lui. Non passarono due minuti, però, che dalla sala uscì il medico, che andò a parlare con loro delle condizioni della figlia. Da quello che Kentin riuscì ad udire, Candy si era ripresa, ma aveva subito un trauma alla gamba destra: avrebbe quindi dovuto fare una radiografia per stabilire se si fosse trattato di una frattura o di una lesione meno grave.
Alla notizia del suo risveglio, tirò un lungo sospiro di sollievo e camminò verso i suoi genitori. Dopo che gli ebbero riferito le stesse cose che aveva sentito poco prima, la madre di Candy gli disse: — Ken, non è meglio che avvisi i tuoi che sei qui?
— Ah, è vero, me ne sono dimenticato! — esclamò lui.
Li chiamò per raccontargli cos’era successo e per chiedergli il permesso di restare lì per la notte.
— Non se ne parla — fece sua mamma.
— Ma mamma, sono insieme ai genitori di Candy.
— Appunto, ci sono già loro a tenerle compagnia. Ora dimmi in che ospedale sei, che ti veniamo a prendere.
Kentin rinunciò ad opporsi al suo volere, e, dopo averle detto dov’era, aspettò il loro arrivo di malumore. Di tornare alla festa non se ne parlava proprio. Non aveva voglia di vedere nessuno e tantomeno di divertirsi. La maschera l’avrebbe restituita ad Alexy in un secondo momento.
Una volta a casa, andò direttamente a letto senza mangiare, pervaso da un’angoscia incontenibile.
La mattina dopo, era già in ospedale per vedere come stesse Candy.
— Siamo appena usciti dalla stanza. Sta bene. Noi ora dobbiamo andare via per un impegno, ma se vuoi puoi entrare a farle compagnia — gli disse la mamma di Candy, poggiandogli una mano sulla spalla. Dopo averlo salutato, i genitori dell’amica si incamminarono verso l’uscita dell’edificio.
Finalmente avrebbe potuto incontrarla: prese coraggio ed entrò con cautela nella camera. Candy era a letto, che guardava fuori dalla finestra. Era triste, il suo sguardo sembrava perso nel vuoto; quando si accorse di lui, evitò di incrociare i suoi occhi.
— Come ti senti? — le domandò Kentin, avvicinandosi lentamente.
Sforzandosi di non guardarlo, rispose debolmente: — Il dottore ha detto che ho avuto una commozione cerebrale e che dovrò stare in ospedale ancora qualche giorno, però... il vero problema è che ho subìto una lieve frattura al femore...e dovrò tenere il gesso per almeno quindici giorni.
Kentin ringraziò che non fosse capitato qualcosa di più grave, poi andò a sedersi su una sedia accanto a Candy.
— Ma… che cosa è successo esattamente? I miei mi hanno detto che sono caduta, però...io non ricordo niente. So solo che eravamo alla festa... — disse poi, voltandosi verso di lui.
— È stata Ambra. Stavi scendendo le scale, quando mi ha colpito e…
— E…?
— Io…Ti sono andato addosso, facendoti cadere... È tutta colpa mia.
Candy tacque. Dopo una pausa di riflessione, riprese: — Sì, adesso mi ricordo: stavo fuggendo via... Però, se dici che Ambra ti ha spinto, non è stata colpa tua. — Detto ciò, tornò a fissare la finestra.
Kentin la guardò pieno di pietà. Non avrebbe potuto esprimere quanto fosse dispiaciuto per lei, eppure... C’era ancora una questione aperta: ciò che gli aveva detto per errore nell’aula di inglese. Avrebbe voluto a tutti i costi sapere la verità, ma quello non era certo il momento adatto. Nelle condizioni in cui Candy era, con una domanda simile l’avrebbe messa solo più in difficoltà.
Pensò a qualcosa di più gradevole di cui parlare. Poi gli venne in mente.
— Sai, quand’ero venuto a casa tua, avevo visto su un tavolo una foto di noi due da piccoli... — le confidò.
Lei divenne improvvisamente rossa, e farfugliò: — Sì, avevo detto a mia mamma di toglierla, ma…
— A me ha fatto piacere vederla — intervenne Kentin. Candy ammutolì. Poi lui esclamò sorridendo: — Beh, devo ammettere che da piccolo ero troppo appiccicoso. Chissà come facevi a sopportarmi!
— In realtà non desideravo altro — rispose inaspettatamente la ragazza, fissando la fine del letto.
— Come? — Kentin non capì. Di che stava parlando, Candy?
— Ecco...se devo essere sincera, tu sei l’unico che si sia mai preoccupato sul serio di me. A parte, forse, i miei genitori. E magari i miei nonni — disse diventando tutto a un tratto triste. — Ma basta. A parte i miei parenti e te, a nessun altro importavo veramente.
— Non dire così. Hai sempre avuto un sacco di persone che ti volevano bene — fece lui.
— Non è vero! Erano tutti pronti a dirsi miei amici, ma quando ne avevo davvero bisogno, diventavano degli opportunisti. Tutti. Tu invece mi apprezzavi per quello che ero, e...io non me ne sono mai resa conto... Eri sempre accanto a me per aiutarmi, e...e io ti respingevo solo per non fare brutta figura davanti agli altri... — Pesanti lacrime cominciarono a scendere dagli occhi di Candy, che si portò le mani sul viso e cominciò a singhiozzare. A Kentin venne istintivo allungarsi per abbracciarla. Lei rimase un attimo bloccata, poi lentamente si avvicinò di più a lui e infine lasciò affondare il volto fra il suo collo e la sua spalla.
Questo era del tutto inaspettato. Come poteva una ragazza tanto dolce come Candy avere così poche persone su cui contare?
A poco a poco si staccò da Kentin e, guardandolo, riprese a parlare.
— Non...te l’ho mai detto perché...cosa avrebbero pensato tutti? — la voce era debole e rotta. — Se non fosse stato per tutte le tue attenzioni verso di me...io non sarei mai stata nessuno. Gli altri parlavano con me, solo perché eri tu a rendermi importante…altrimenti non mi avrebbero mai considerata. E a me faceva comodo questo! — Scoppiò di nuovo a piangere, ributtandosi fra le braccia di Kentin. Lui la circondò accarezzandogli la testa, e pensò alle parole giuste per farla calmare. Ma non sapeva cosa dire. La verità su ciò che aveva sempre provato per lui...non c’aveva mai pensato: lei lo respingeva solo a causa degli altri. In realtà era grata per il suo comportamento...e Kentin non lo aveva mai saputo. Abbassò gli occhi su di lei. Era come un piccolo animale appena nato, indifeso: ogni minimo pericolo poteva esserle fatale. Lui era l’unico che poteva proteggerla.
Solo allora si rese conto che non erano mai stati così vicini. Candy era lì tra le sue braccia, stringeva con le mani la sua maglietta e riempiva di calde lacrime il suo petto. Era così agitata che avrebbe potuto farle qualsiasi cosa, senza che lei potesse avere la forza per opporsi. Stai calmo...Non è questo il momento giusto, pensò, cercando di trattenersi. Anche un semplice bacio poteva rischiare di farla seriamente collassare dall’emozione. E sebbene fossero così uniti, quello che ora sentiva per lei era molto di più di normale attrazione fisica. Era l’affetto doloroso e struggente che si prova per chi è fragile e disperato. E lei aveva solo bisogno del suo corpo, su cui aggrapparsi e sfogarsi.
Kentin la strinse ancor più forte. Tutto quello che aveva sperato, da quando aveva sei anni, si stava realizzando. Ma non era felice. La sofferenza che ora tormentava Candy lo faceva stare ancora più male. Quell’acqua che scendeva dai suoi occhi non stava semplicemente inumidendo il suo torace. Stava penetrando fin dentro la sua pelle ed inondando di tristezza il suo cuore. Non aveva mai conosciuto quel lato malinconico di Candy, e scoprirlo così all’improvviso gli fece provare un’amarezza implacabile e spietata.
— Sono una stupida — disse debolmente lei.
— Non dire così, tutti commettiamo degli errori — reagì prontamente Kentin.
Candy alzò la testa per guardarlo, con gli occhi pieni di lacrime: — Sì, ma il mio errore è andato avanti per dieci anni, e quello che ne ha sofferto sei tu!
— Meglio dieci anni spesi a rincorrerti, che dieci anni senza di te! — Quasi lo gridò. Delle lacrime gli rigarono improvvisamente il viso, senza che lui potesse fermarle. Non gli importava di come lo avesse trattato per tutto quel tempo, non gli importava se ogni volta che era in difficoltà, lei non avesse fatto niente per difenderlo. Non gli importava se ora lo stava vedendo in quelle condizioni, senza alcun contegno. Guardarla soffrire in quel modo, era un dolore troppo immenso da contenere.
Scoppiò completamente a piangere. Lasciò che l’emozione prendesse il sopravvento, e abbandonò la testa sulla spalla di Candy. Ora era lui ad aver bisogno di qualcuno su cui aggrapparsi.
Sentendo la disperazione invadere pure lui, lei gemette ancora di più e lo strinse nell’abbraccio più intenso di sempre. Nessuno di loro ebbe la forza di smettere. Kentin avvertì le braccia delicate ma al contempo salde di Candy circondarlo con fervore; sentì il profumo della sua pelle e dei suoi capelli pervadergli i sensi e di colpo una passione travolgente si impossessò di lui. Si sentì avvampare di un calore mai provato prima. La amava sul serio. Non avrebbe permesso a niente e a nessuno di separarli.





✤✤✤




Ed ecco il capitolo 13 *-* Sicuramente uno dei miei preferiti.
Inizio col dire che spero si capisca tutto... Alcune parti sono state veramente ostiche da scrivere. Ho impiegato anche un’ora per sole cinque righe! Ma alla fine il risultato mi soddisfa. Forse, rileggendolo, avrei aggiunto più dettagli, più particolari, ma non volevo rischiare di appesantire la narrazione.
Ditemi che ne pensate, perché sono davvero curiosa! :D

Grazie a chiunque sia passato di qui. Al prossimo capitolo!
   
 
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