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Autore: Benio Hanamura    13/09/2014    1 recensioni
[Mademoiselle Anne/Haikara-san ga toru]
“Il mio nome è Kichiji Hananoya… o meglio, questo è il mio nome dall’età di 15 anni. Fino ad allora ero Tsukiko, la sesta figlia della famiglia Yamada...”
Nel manga originale della Yamato è detto ben poco del passato della geisha Kichiji, che fa la sua prima comparsa come causa inconsapevole di gelosia della protagonista Benio nei confronti del fidanzato Shinobu, ma che poi si rivelerà essere solo una sua ottima amica e stringerà una sincera amicizia con Benio stessa, per poi segnare anche l’esistenza del padre di lei, vedovo inconsolabile da tanti anni.
Per chiarire l’equivoco e per spiegarle quale rapporto c’è davvero fra lei e Shinobu, Kichiji racconta la sua storia del suo passato a Benio, dei motivi per cui è diventata geisha, abbandonando suo malgrado il suo villaggio quando era ancora una bambina, ma soprattutto del suo unico vero amore, un amore sofferto e tormentato messo a dura prova da uno spietato destino…
Dato che questa storia è solo accennata nel manga, ma mi è piaciuta e mi ha commossa molto, ho deciso di provare ad approfondirla e di proporvela come fanfiction!
Genere: Drammatico, Romantico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
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   Benio-san aveva tentato l’impossibile per impedirlo, si era addirittura avventurata in un solitario assalto alla sede dell’armata imperiale per protestare contro quel provvedimento tanto ingiusto quanto inatteso. Il generale Okochi, che come aveva avuto modo di riferirmi Shinobu era  un uomo giusto e comprensivo, l’aveva ricevuta per ascoltare ciò che  lei aveva da dirgli ed aveva ben compreso le sue ragioni, ma poi le aveva spiegato che anche se era certo che tutto era stato frutto di una macchinazione di Innen indotta esclusivamente da una sua personale antipatia lui non poteva farci più nulla perché l’ordine di trasferimento del sottotenente Ijuin era stato ormai ufficializzato: non solo quell’orribile individuo aveva ben pianificato la sua assurda vendetta, ma aveva anche fatto in modo di muoversi tanto rapidamente da mettersi al sicuro contro chiunque avesse potuto ostacolarlo.
   Così anche la povera Benio-san avrebbe sperimentato la mia stessa sofferenza, con l’aggravante che stava accadendo tutto così in fretta che la situazione fra lei e Shinobu non era nemmeno definita come quella fra me e Koji!    In seguito, quando la incontrai casualmente poco tempo dopo, ebbe modo di confidarmi che non si perdonava per il fatto di non essere riuscita a rivelargli apertamente i suoi sentimenti in quel triste giorno della sua partenza, anche se al contrario Shinobu le aveva aperto completamente il suo cuore; in ogni caso lo avrebbe aspettato con fiducia, impegnandosi al massimo per diventare una buona moglie per lui, pronta a gridargli tutto il suo amore appena sarebbe tornato a casa sano e salvo, magari vincitore, per restare con lei per sempre.
  Inizialmente giungevano buone nuove da Shinobu. Per un po’ pareva persino che la guerra non lo riguardasse davvero, ed una volta mi scrisse che si trovava in un luogo tranquillo, dove al massimo si tenevano esercitazioni più impegnative del solito, tanto per tenersi pronti per ogni evenienza. Ma poi seppi che era stato inserito in un gruppo che sarebbe stato spedito in Siberia, e quindi non ebbi più alcuna sua notizia, se non indirettamente, attraverso alcuni accenni da parte dei clienti sul gruppo che gli era stato affidato.  Avrei voluto incontrare Benio-san, poterla confortare, farle comprendere che la sentivo vicina, ma non ne ebbi occasione, essendo lei molto presa dai suoi impegni sempre maggiori ed io da un periodo ricco di appuntamenti. Finché riuscii a prendermi un giorno di libertà e decisi di avventurarmi nei pressi del castello Ijuin, nella speranza che lei ci fosse e potessi scorgerla in giardino per parlarle. Ed invece di lei trovai Ushigoro, l’uomo che quella volta l’aveva accompagnata in rishò all’okiya. Pareva molto diverso da allora: camminava un po’ curvo, come sfiancato sebbene fossimo all’inizio della giornata, ed aveva gli occhi umidi, con uno sguardo quasi assente, tanto che dovetti chiamarlo più volte prima che si accorgesse di me.
   A chiunque a volte capita  di svegliarsi al mattino e di non volerne sapere di alzarsi, ed in tali situazioni si prova l’intenso desiderio di richiudere gli occhi e di riaddormentarsi fino all’indomani, come per annullare totalmente una giornata che si preannuncia in qualche modo insopportabile: quel giorno mi era proprio capitato questo, ma io l’avevo attribuito all’eccessiva stanchezza causata dagli ultimi ozashiki e dall’intensificarsi delle lezioni di Shitaji, perciò mi ero imposta di alzarmi e di approfittare di un po’ di tempo libero per prendere una boccata d’aria, sicura che mi avrebbe del tutto rinfrancata. Ushigoro mi salutò velocemente, poi si scusò e proseguì per la sua strada, senza accelerare la sua andatura e senza avermi dato alcuna spiegazione. Ma non trovai il coraggio di insistere, anche perché quell’orribile presentimento che avevo avuto fin dal mio risveglio diventava sempre più ossessivo e mi limitai a seguirlo a distanza: mi mancò il respiro appena realizzai che era tutto vero, era andato a prendere accordi per un funerale per la famiglia Ijuin, e non riguardava il conte o la contessa!
   Era accaduto di nuovo, un dramma affatto inusuale per le donne giapponesi in un’epoca come la nostra: mogli, figlie, sorelle, madri, fidanzate: quante avevano già versato abbondanti lacrime per i loro congiunti a loro brutalmente strappati della guerra e quante altre ancora ve ne sarebbero potute essere in futuro nella stessa situazione! Pensai agli anziani nonni di Shinobu, chissà se alla loro età avrebbero potuto reggere al dolore di sopravvivere al loro adorato nipote, unica loro ragione di vita; pensai ai tanti amici che certamente un ragazzo dall’animo nobile come lui aveva; ma soprattutto pensai a Benio, resa tanto simile a me da quella disgrazia…
  Ovviamente quella notte non potei chiudere occhio, mi giravo e rigiravo nel futon, prima piangendo e poi tormentata dall’indecisione sul da farsi: avevo saputo che i funerali erano stati fissati per l’indomani, conoscevo il luogo e l’ora ed i miei impegni della giornata non mi impedivano di poter essere presente come avrei voluto, ma d’altra parte sapevo che vi sarebbero intervenuti tutti gli aristocratici parenti della famiglia Ijuin, che sicuramente non avrebbero potuto accettare di avere fra di loro, anche se per il breve tempo di un ultimo saluto, una geisha come me.
   La mattina anche le mie compagne avevano saputo, e Kiyoko fu tanto gentile da dirmi, senza che le facessi alcun cenno alla cosa, che avrei potuto assentarmi dall’okiya per qualche ora nel pomeriggio se avessi voluto, perché in serata non era previsto altro che qualche probabile cliente dell’ultimo minuto, non vi erano prenotazioni per feste o altro tipo di incontri importanti, perciò sarebbe bastato rientrare prima che facesse sera per non creare alcun problema. Anche la okasan, presente alla nostra conversazione, aveva concordato con lei, così dopo una lunga indecisione decisi di approfittare della situazione ed uscii poco dopo pranzo, ringraziandole per la loro gentilezza.
   Non ero ancora certa che sarei riuscita ad entrare, ma nel caso mi sarei trattenuta  all’esterno della sede della cerimonia, ritirandomi in una solitaria e riservata preghiera. Presi un rishò, ma mi feci lasciare ad un po’ di distanza dalla sede del funerale, non volevo arrivare insieme ai parenti di Shinobu, non mi sembrava opportuno. Avrei aspettato il tempo necessario che si sedessero tutti, concentrandosi solo sul rito funebre; io sarei arrivata silenziosamente alla fine, magari anche restando in disparte in fondo alla sala, mi sarebbe bastato. Mentre camminavo all’esterno della lunga cancellata che costeggiava il giardino del castello degli Ijuin mi resi conto che più avanzavo più rallentavo il passo, le mie gambe si facevano sempre più pesanti. Cosa mi ero messa in testa? Non solo non mi avrebbero accettata, mi avrebbero fatto sbattere fuori: loro erano tutti di nobile ed illustre lignaggio, mentre io, sebbene animata esclusivamente dalla nostra profonda amicizia, ero solo una povera figlia di contadini, ma soprattutto agli occhi della società una persona dalla moralità alquanto dubbia, soprattutto perché chi è estraneo all’ambiente tende persino a confondere noi geishe con le prostitute!!!
    Arrivata davanti al portone mi bloccai, ormai presa dal panico. No, non potevo entrare, ci sarebbe stato uno scandalo,  altro che rendere omaggio a colui a cui volevo tanto bene e che aveva fatto tanto per me! Ma appena mi voltai per rifugiarmi a pregare in un angolo nascosto del giardino per qualche minuto prima di tornarmene all’okiya una voce mi richiamò: Ushigoro. Era felice di vedermi, si scusò per essere stato così evasivo quando c’eravamo incontrati per strada, mi ringraziò per la mia presenza e si offrì di accompagnarmi dentro. Con lui c’era anche Ranko, quella graziosa cameriera alta che avevo conosciuto quella stessa sera all’okiya, ed anche lei pareva d’accordo.
   La loro gentilezza mi commosse e mi dette un po’ di coraggio, perciò li seguii. Ma ovviamente non tutti i presenti erano come loro, anzi, loro erano l’unica eccezione. I nonni Ijuin rimanevano al loro posto, troppo presi dal loro strazio per prendere qualsiasi iniziativa, mentre il crescente brusio di malcontento che avevo involontariamente causato distolse per un attimo anche il celebrante che aveva appena iniziato la cerimonia, ed un uomo che si trovava poco lontano dall’ingresso e che inizialmente non aveva fatto caso a chi era entrato si affrettò a raggiungermi per scacciarmi senza il minimo garbo e senza troppi complimenti. Inutile l’intervento delle uniche persone amichevoli nei miei confronti ed ancora più inutili le mie suppliche, che lo incattivirono ancora di più. Capii che mi avrebbe sbattuta fuori anche sollevandomi di peso se fosse stato necessario.
   Ma poi intervenne Benio-san. Com’era diversa quella ragazza un po’ pallida e con gli occhi gonfi di lacrime da quell’uragano di haikarasan che avevo conosciuto all’okiya, era un’altra persona!!! Ovviamente ora era una donna disperata dalla perdita dell’uomo che solo troppo tardi si era resa conto di amare, ma a parte quello indossava un kimono bianco ed aveva tagliato i suoi lunghi capelli. Una visione tanto sconvolgente per gli altezzosi nobili lì presenti quanto commovente per me, che più di tutti riuscivo anche a comprendere le motivazioni di quel suo abbigliamento. Non prestò la minima attenzione a loro: prendendomi le mani fra le sue mi ringraziò per la mia presenza e mi accompagnò al mio posto, dove avrei potuto pregare e bruciare dell’incenso per Shinobu. Le sue parole mi convinsero una volta per tutte che glielo dovevo, anzi, era il minimo che potessi fare per lui per ricambiare le sue continue attenzioni degli ultimi tempi. Perciò mi sentii finalmente serena, compii i gesti di rito concentrandomi solo sulle mie preghiere, ed anch’io ignorai totalmente i malevoli commenti che immancabilmente erano partiti, col chiaro intento di arrivare fino a me, contro quell’intollerabile  scandalo che Benio-san ed io avevamo causato in una cerimonia ufficiale della famiglia Ijuin.
  
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