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Autore: GirlWithChakram    14/09/2014    7 recensioni
Cinque amici, compagni di liceo, alle prese con l'ultima vacanza insieme; un viaggio in Europa nel magico paesaggio della Spagna del nord; lo zampino del destino, che sa sempre come far incontrare le anime destinate a stare insieme.
"... E allora pensai che quella sarebbe rimasta nella mia memoria come la peggior vacanza di sempre."
Genere: Commedia, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: FemSlash | Personaggi: Brittany Pierce, Santana Lopez, Un po' tutti | Coppie: Brittany/Santana
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
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CAPITOLO VII: Bella Notte
 
Il pessimo umore di Quinn era decisamente migliorato grazie alla giornata di cure da parte Noah, così quella notte potei riappropriarmi del mio posto nel letto. La bionda arrivò addirittura a scusarsi per essere stata scortese. La considerai una vittoria su tutta la linea.
Il mattino seguente sperai invano di poter incrociare la comitiva diretta alla spiaggia, infatti quando noi uscimmo erano ormai le nove passate e loro erano certamente già impegnati nella competizione.
Ci dirigemmo con calma al parcheggio sotterraneo per andare a recuperare la nostra Renault, rimasta tanti giorni a prendere polvere.
«Prepariamoci ad un altro bel viaggetto» annunciò Finn, ormai divenuto mappiere ufficiale, mentre ci avvicinavamo al veicolo «Dobbiamo seguire questa autostrada» continuò facendo scorrere il dito lungo la cartina «E non sbagliare ad imboccare l’uscita, se no finiamo chissà dove.»
«Rilassati Frankenteen» dissi, senza neppure rendermi conto di aver utilizzato il soprannome coniato da Santana «Sarà indicato, no?»
«Come lo hai chiamato?» mi domandò Rachel basita.
«Ma sì, è un nomignolo innocente» mi difesi «Me lo ha suggerito San.»
Tutti e quattro sbuffarono e Puck aggiunse: «Se la nomini più di tre volte nel corso della giornata, giuro di lasciarti a lato dell’autostrada.»
«Su» gli mormorai facendo gli occhi dolci «Non vorrai abbandonare un triste piccolo panda, vero?»
Lui si sciolse in un sorriso e mi scompigliò i capelli con fare amorevole, come se davvero fossi un cucciolo. «Hai ragione, anche volendo non riuscirei mai a liberarmi di te.»
Prendemmo i nostri posti consueti e partimmo.
Ci vollero quaranta minuti per uscire dalla città, non perché ci fosse molto traffico o altro, semplicemente sbagliammo strada una dozzina di volte, finendo con il girare in tondo, ma alla fine imboccammo la giusta via, arrivando al casello di entrata dell’autostrada.
«Cinquantanove centesimi di pedaggio? Ma sono seri?» ridacchiò Puck «Questi europei sono davvero esilaranti.»
Durante il tragitto mi resi conto di quanto fosse bella e mutevole quella terra. Dalle ampie spiagge sabbiose di San Sebastian passammo alle verdi colline circostanti e in lontananza riuscii persino a scorgere i Pirenei. Quello non era certo il paesaggio che mi aspettavo di trovare, mi sembrava di trovarmi nelle fredde terre del Nord di qualche videogioco fantasy, certa di vedere spuntare da un picco qualche pericoloso drago sputa fuoco. Per fortuna io potevo ricorrere al potere della Voce, come ogni vero Dovahkiin.
Ci volle un’ulteriore ora di viaggio per arrivare a Bilbo, meglio nota come Bilbao. Io ovviamente cercai di fare una battuta su quel nome che risvegliava i miei sensi di nerd, ma Rachel mi tappò la bocca con forza, prima che potessi condividere con loro il mio umorismo.
Dopo aver abbandonato la macchina in un parcheggio vicino ad un grande mercato floreale, iniziammo il giro turistico. Passammo il celeberrimo ponte dell’architetto Calatrava che ci avrebbe condotti fino al fulcro turistico della città: il Guggenheim Museum, omonimo del museo newyorkese.
Ci prendemmo il resto della mattina per visitarlo con calma, passando con ordine da una sala all’altra per dare all’ebrea la soddisfazione di leggerci ogni notizia sulle singole opere. Dopo un’ora e mezza Puck, esasperato, le strappò la guida dalle mani e la tenne sotto chiave, per evitare che riprendesse a blaterare a vanvera.
«Gente, è quasi ora di pranzo» osservò il quarterback quando abbandonammo il museo «Abbiamo qualche posto dove gustare un pasto in pace?»
«Sì» annunciò Quinn, che nel frattempo si era fatta passare da Noah il libro con le informazioni della città «Per la gioia di Brittany propongo un bel picnic nel parco visto che il tempo è buono. Potremmo appostarci qui» continuò indicando un punto in mezzo al verde «Vicino allo stagno delle papere.»
Io saltai dalla gioia, ma ad un tratto frenai l’entusiasmo. «Non è una fregatura come quella dell’altra volta?» chiesi, cercando di tornare seria.
«Me lo auguro, ma non posso prometterti nulla» mi rispose la bionda «Dopotutto è anche per me la prima volta qui, non possiamo che fidarci della guida.»
Passeggiammo sul lungofiume, fino ad arrivare in vista del famigerato parco. Era ovviamente molto più grande di quello di Donostia ed anche più curato. Da lontano si scorgevano bianche strutture in stile greco con colonne decorative e numerosi alberi sotto la cui ombra avremmo potuto riposare tranquilli.
«Cerchiamo lo stagno» imposi al gruppo, una volta immersi nel verde. Quella volta non rimasi delusa: un delizioso laghetto abitato da diverse specie di volatili dominava il centro del parco. Ci accomodammo lì vicino, tanto da permettermi di avere un’ottima visuale sui movimenti degli animali, che, pigri, sguazzavano nell’acqua bassa.
«Oh, che anatroccoli adorabili…» squittii, vedendo tre piccoli paperotti gialli zampettare dietro la loro mamma «Posso adottarli?»
«Direi che abbiamo la casa già abbastanza piena senza aggiungere i tuoi amichetti» commentò Puck, sdraiato sull’erba accanto a me.
«Ma ad Ashley piacerebbero tanto!»
Quando pronunciai quella frase mi resi conto di una cosa: non avevo praticamente più contattato casa da quando eravamo atterrati in Spagna. Certo, ogni sera mandavo un messaggio a mia madre per darle conferma che fossi viva, ma mi mancava la voce squillante della mia sorellina e il tono rassicurante dei miei genitori.
Feci un rapido calcolo dei soldi che avevo sulla scheda del telefono e dell’ora che doveva essere in Ohio, ovvero mattina presto, prima che i miei uscissero per andare al lavoro e portare Ashley da qualche sua amica. Allora presi la mia decisione: «Io chiamo a casa giusto due minuti, per farmi sentire di persona.»
A quel punto anche gli altri decisero di fare altrettanto. Ci allontanammo leggermente, per non interferire l’uno con la telefonata dell’altro.
Composi rapida il numero di casa e quando iniziai a sentire gli squilli a vuoto prese a battermi forte il cuore.
«Praaantooo?» mi rispose la piccola Ashley, citando il suo eroe Megamind.
Io sentii una lacrima pungermi gli occhi e mi presi un attimo prima di parlare. «Ciao, principessa» mormorai, soffocando un singhiozzo. Mi mancava terribilmente.
«BriBri! Sei tu?»
«E chi pensavi che fossi, scusa?»
La sentii urlare lontano dalla cornetta: «Mamma, papà, c’è Brittany!» poi tornò da me «Ti stai divertendo? È bella la Spagna?»
«Bellissima, ma sarebbe molto più divertente se ci fossi anche tu.»
«Prometti che mi ci porterai un giorno!»
«Sai che non posso fare queste promesse, ma ti assicuro che ti porterò un mucchio di cose belle. Ora mi passi velocemente Mà e Pà? Non posso dilungarmi troppo.»
«Ehi tesoro!» gridò mia madre, rischiando di assordarmi.
«Ciao mamma» le risposi, massaggiandomi l’orecchio colpito.
«Come va al di là dell’oceano?» si aggiunse mio padre.
«Tutto bene, ci stiamo divertendo molto tutti quanti. Abbiamo anche fatto amicizia con un altro gruppo di americani.»
«Perfetto cucciola… Hai trovato qualcuna di interessante?» domandò mia madre, con il suo solito tatto.
«Vivian!» la riprese infatti mio padre «Quello che tua madre voleva dire è se hai trovato qualcosa  di interessante in città.»
«No James, io intendevo proprio: hai messo gli occhi su qualche ragazza carina? Alla tua età dovresti concederti un’avventura estiva.»
Avrei voluto poter arrivare dall’altra parte del telefono per metterle le mani al collo. Purtroppo la mia scelta di rispondere con un silenzio imbarazzante si rivelò pessima.
«Oddio Brittany!» strillò contenta «Chi è? È una spagnola? Come fate a capirvi? Non farmi fare battute sulla questione della lingua…»
«Vivian!» sentii ancora una volta.
«Stai zitto, caro. Se non vuoi sapere come se la spassa tua figlia puoi sempre andare a sistemare gli scatoloni del seminterrato che sono lì da quando mio fratello ce li ha portati.»
Le suddette scatole erano rimaste intoccate per la bellezza di dodici anni, quando mio zio Peter si era trasferito in Nevada e ci aveva lasciato parte della sua roba. “Sbaraccare gli scatoloni di Peter” era la minaccia DOC in casa Pierce.
«Sentite» dissi «Devo staccare o esaurisco il credito. Ci sentiamo presto e salutatemi Lord T.»
Udii mia mamma tentare inutilmente di scoprire qualcosa di più sulle mie imprese romantiche, ma chiusi la chiamata prima che potesse ottenere quello che voleva.
«Tutto ok?» chiesi agli altri ragazzi quando ebbero anche loro concluso le telefonate.
«I miei papà sono andati a farsi una vacanza alle terme» disse Rachel inacidita «Vanno sempre a divertirsi quando non ci sono!»
«Mia mamma è rimasta a casa a lavorare, ma è stata contenta di sapere che ce la stiamo spassando» ci fece sapere Finn.
«I miei non ci sono, così ho chiamato mia sorella Frannie per fare da tramite» rispose Q.
«Io ho fatto una paio di scherzi telefonici» ghignò Noah «Così, giusto per perdere tempo.»
Finiti i saluti a casa, tornammo a goderci la tranquillità del parco, sgranocchiando i panini che i Finchel andarono ad acquistare in un bar vicino.
Concludemmo il giro turistico riattraversando il fiume e visitando la parte vecchia con le sue chiese e le vie acciottolate che ricordavano il centro di Donostia.
«Direi che è ora di rientrare» constatai guardando l’orologio «Sono le cinque e mezza, ormai le gare saranno finite da un pezzo. Voglio sapere come si sono piazzati i nostri amici.»
Ci mettemmo in marcia per tornare al mercato di fiori, dove ci attendeva la nostra fidata vettura.
A metà del rientro ricevetti un messaggio e sorrisi, lasciandomi sfuggire una lacrima. «Sentite qua» dissi di modo che tutti mi ascoltassero «“Tanti saluti pelosi da Lord Tubbington a voi e a i vostri nuovi amici. Spero che passiate una Bella Notte. Baci, Ash” Quante volte le dovrò ripetere che i tizi di “Lilli e il vagabondo” sono italiani e non spagnoli?»
Scoppiammo tutti a ridere e subito dopo cominciammo una maratona di canzoni Disney. Io ero certa di essere la più esperta in materia, ma anche Rachel e Finn se ne intendevano. Puck mi diede più filo da torcere degli altri, a tratti sembrava persino più ferrato di me. «Non è colpa mia se mia sorella Miriam non fa altro che guardare quella roba, alla fine per forza che la imparo anche io!» si difese, ma sapevo che lui trovava quei capolavori entusiasmanti quanto me.
Tornati a San Sebastian il mio unico pensiero era di poter finalmente rivedere i surfisti per farmi raccontare la loro giornata. Salii rapida le scale e capii, dal calzino malridotto, così simile a quello di Dobby, appeso alla maniglia, che i nostri vicini erano in casa.
Bussai mentre il resto del gruppo mi raggiungeva, ancora intento a cantare la hit del giorno. La porta si aprì proprio mentre loro concludevano il pezzo.
…Oh, this is the night
And the heavens are right
On this lovely Bella Notte
«On this lovely Bella Notte» fece eco Sam, invitandoci ad entrare.
«Allora, com’è andata?» non riuscii a trattenermi.
«Come previsto» mi rispose Santana dedicandomi uno dei suoi magnifici sorrisi «Siamo passati tutti senza problemi, anche se per un istante ho temuto per Kurt» continuò scoccando un’occhiata al ragazzo.
«Solo perché mettendomi in piedi sulla tavola ho avuto paura di essermi spezzato un’unghia! La stai facendo troppo grande, San…»
«E i vostri avversari?» volli sapere ancora.
«Alcuni discreti, ma la maggior parte erano principianti» mi disse Trouty «Ma piuttosto raccontateci della vostra gita! Bella Bilbao?»
«Lo sapevate che il nome in basco è Bilbo?» intervenni esaltata prima che Rachel iniziasse col resoconto.
«Mitico!» esultarono all’unisono Anderson e il biondo «C’è anche qualche città che si chiama Gandalf e non lo sappiamo?» proseguì il moro.
«Sapevo che era solo questione di tempo prima che questa battuta venisse fuori» si lamentò Q.
«Adesso che i bambini hanno fatto il loro umorismo nerd, lasciate che vi racconti…» iniziò la Berry.
Non so come fece, ma riuscì a rendere noiosa l’esperienza bellissima che era stata la visita a Bilbao.
Quando ebbe finito di blaterare, ci guardammo l’un l’altro per discutere il piano della cena.
«Mi avete dato un’idea mitica» disse Sam «Ma mi servirà aiuto. Oggi cucina casalinga e poi voglio portarvi tutti in uno dei posti più belli della città.»
Ispirati e incuriositi, accettammo il suo piano.
«Bene» riprese per dare direttive «Puck, Finn e Blaine con me ai fornelli. Voi signorine» proseguì strizzando l’occhio a Kurt «Andate a farvi belle.»
Quinn, Rachel ed io lasciammo “gli uomini” intenti a stilare la lista degli ingredienti e ci ritirammo nel nostro alloggio, mentre la latina e Lady Hummel andavano a rintanarsi in una delle camere.
«Ho già in mente l’abito adatto» gongolò la Fabray aprendo la valigia ed estraendone un delicato vestito verde, perfettamente in tinta con i suoi occhi «Sapevo che avrei avuto l’occasione di indossarlo.»
«Ma se neppure sappiamo dove si va» le feci notare io.
«Senti Britt, ogni scusa è buona per tirare fuori un abito come questo. A cui abbinerò» continuò frugando tra gli altri averi «Questi tacchi vertiginosi.»
«Io andrò sul total pink» preferì l’ebrea «Tu, bella ballerina?»
«Io, per quanto conosco Sam, deciderò di stare comoda.» Afferrai un paio di shorts e una maglietta grigia leggermente larga. Coronai il tutto raccogliendomi i capelli alla bell’e meglio con la bandana rubata a Noah.
«Ma come fai a sembrare sexy conciata come una camionista?» ironizzò Q.
«Tutta questione di atteggiamento. Se ti senti bella allora lo sarai anche con addosso il costume di Lady Gaga che Rach si era fatta per quella settimana al Glee.»
«I miei papà non sanno cucire» ci ricordò l’ebrea, mentre noi eravamo prese a ridere.
«Mi spiace contraddirti Brittany, ma persino Miss Universo sarebbe stata inguardabile dentro quel vestito. Era davvero un attentato all’umana decenza!» continuò Quinn, riprendendo a ridere più forte.
Aiutai le mia amiche ad indossare i loro abiti e, per quanto ne fossi capace, diedi una mano con il trucco e l’acconciatura.
«Ma tu vuoi veramente uscire così?» mi chiese la Berry vedendo che io ero ancora nei miei abiti da “camionista sexy”.
«Ovvio.» Non le spiegai che, per sorprendere Santana, non avrei puntato su fronzoli e merletti, ma avrei semplicemente mostrato me stessa per quella che ero.
Dopo una mezz’oretta sentimmo trafficare in cucina e io sbucai fuori per vedere cosa stesse succedendo.
«Via!» mi intimò Blaine brandendo una schiumarola «Stiamo apparecchiando.»
Io tornai dalle mie compagne, riferendo che avremmo dovuto aspettare che tutto fosse pronto.
«Venite pure, ladies» ci annunciò Sam dopo una decina di minuti.
Io, che già avevo fiutato il buon odore di cibo, mi fiondai a tavola. Ci avevo visto giusto: un enorme piatto di spaghetti e polpette troneggiava su quel piccolo e traballante tavolo.
«Oh, ragazzi, che cosa carina!» ringraziai abbracciandoli.
«Kurt! San!» urlò Puck sporgendosi verso l’altro appartamento.
«Eccoci» rispose Hummel «Non c’è bisogno di gridare così.» Il giovane sfoggiava una camicia rossa, coperta da un golfino color crema, e pantaloni neri. Santana, in tutto il suo splendore, indossava colori simili: una maglietta scarlatta scandalosamente scollata e una minigonna scura, anche se ritenni che il “mini” fosse riduttivo. Non che mi dispiacesse, anzi, il suo outfit mi dava un’ottima panoramica delle sue lunghe gambe perfette, che si concludevano con tacchi ancora più alti di quelli della mia amica bionda.
«Ora che ci siamo tutti, possiamo anche metterci a tavola» confermò Finn.
La Fabray si avvicinò alla tavola imbandita e fece per sedersi, ma il Mohawk la fermò. «Mia signora» disse, tirandole indietro la sedia e facendole un plateale baciamano.
Fischiammo tutti il suo eccesso di galanteria, ma poi anche il quarterback e Blaine fecero lo stesso con Rachel e Kurt.
Io fui tentata di arrischiare la medesima mossa con Santana, ma la mia coscienza mi suggerì che non fosse il caso. La surfista prese comunque posto al mio fianco, ridacchiando per la mia scelta azzardata di non mettermi in tiro.
«A Disney!» brindammo con una bottiglia di vino, comprata al fido Kursaal Market.
«Io avevo proposto di mangiare tutti dallo stesso piatto» ci informò Anderson facendo le porzioni «Per riprodurre quella scena tenerissima, avete presente? Ma poi gli altri hanno bocciato l’idea.»
«Sarebbe stato davvero romantico» sospirai «Mi sarebbe piaciuto far rotolare una polpetta col naso da una parte all’altra del piatto.»
Ricevetti una serie di occhiate stranite, seguite da una risata di comprensione. Dopotutto io ero pur sempre la solita me, con la testa tra le nubi e le frasi strambe.
Mi complimentai diverse volte con i cuochi per essere riusciti a fare una pasta decente, nonostante nessuno avesse qualche parente italiano.
Conclusa la cena, i ragazzi andarono a cambiarsi, vestendosi tutti casual, dimostrando che la mia intuizione fosse corretta: non avevano certo intenzione di andare per locali.
«Potevi avvisarci, testone» si lamentò Rach con il proprio ragazzo «Non voglio sprecare questo abito mozzafiato per una delle vostre stupidate.»
«Ehi, lascia in pace Frankenteen» intervenne San «La colpa è di Trouty Mouth.»
«Suvvia ragazze, calma. Vedrete che nulla andrà sprecato» le rassicurò il biondo «Adesso seguitemi.»
Ci portò ad una fermata dell’autobus, da cui poi venimmo trasportati fino all’altra parte della baia, ai piedi del Monte Igueldo.
«Eccoci arrivati» annunciò il surfista «Quelle sculture laggiù sono i “pettini del vento”, opera di un noto artista locale» ed indicò delle grosse lamiere che ricordavano vagamente le mani di qualche robot malvagio pronto a conquistare la Terra.
«Se ci avete portato qui per questo orrore, giuro di vendicarmi» intervenne Kurt, visibilmente offeso.
«Avevamo immaginato che questo non vi avrebbe colpito abbastanza» si intromise Puck «Quindi tenetevi forte per la vera figata.»
Ci guidarono lungo una strada non molto frequentata fino ad una piccola piazza, su cui affacciava un grosso edificio. Entrando capimmo che si trattava della stazione della teleferica che portava fino alla cima della montagna, da cui, come citava la guida, si aveva la più bella vista della regione.
«Muovetevi o perderemo la corsa!» ci spinsero Finn e Blaine.
Salimmo su uno sgangherato vagone che iniziò una pericolosa ascesa non appena vi mettemmo piede. Dopo cinque minuti si fermò sulla sommità del monte.
«Ed ecco, signore e Kurt, la vostra unica e personalissima Bella Notte» ci annunciarono in coro.
Quello che vidi fu decisamente inaspettato. Praticamente lo spiazzo che pensavo fungesse semplicemente da punto panoramico, era occupato da una specie di luna park. C’erano baracchini di bibite e dolciumi, una monorotaia, piuttosto malandata, però ancora in funzione, giostre di vario tipo, tappeti elastici e persino una coppia di pony disponibili per essere cavalcati.
«Oddio… Voglio venire a vivere qui…» mormorai.
«Forza, da cosa si comincia?» chiese Quinn.
«Tiro a segno!» gridarono Sam e Puck.
«Io voglio andare sui tappeti elastici» mi opposi.
«Ci andrai dopo» mi disse Noah, afferrandomi un braccio «Adesso vieni a vedermi abbattere tutte quelle lattine.»
I due ragazzi se la cavarono bene, ma ad un tratto intervenne Santana allungando una banconota al gestore, che in risposta le consegnò un fucile.
«Vi faccio vedere io cosa vuol dire “tiro a segno”.» Abbatté tutti i bersagli meno uno, ma l’uomo, colpito dalla sua bravura, le lasciò comunque scegliere il premio migliore.
«Voglio quella» disse indicando una collanina nella vetrina accanto alla cassa. Quando la ebbe in mano, la caccio in borsa senza nemmeno darci il tempo di osservarla e ci sorprese con un: «Andiamo ai tappeti elastici.»
«Ma dove hai imparato a sparare?» le domandò curioso Puckerman.
«A Puerto Rico scaccio così i topi dal cortile.» Nessuno volle indagare oltre.
Mi divertii molto sui tappeti elastici. Dovemmo aspettare una decina di minuti per via di una banda di mocciosi che li stava usando, ma una volta che ne entrammo in possesso pensai che avremmo trascorso lì il resto della notte. Vedere Q. e la Berry saltare tenendosi la gonna così che non si sollevasse in modo sconveniente mi fece sbellicare dalle risate, quella della latina era talmente corta ed aderente che saltando non fece neppure una piega. Passammo da un’attrazione all’altra sperperando gran parte del nostro denaro, ma divertendoci come non accadeva da tempo.
«Adesso è decisamente il momento di una bella granita» concordammo tutti una volta finiti i giri sulle giostre. Ci accomodammo sulle panchine che davano sulla città, illuminata da migliaia di piccole luci, ma la cosa più bella era perdersi nell’osservare l’infinità dell’oceano, che correva maestoso lungo la linea dell’orizzonte.
Eppure qualcosa non mi tornava. Ricordavo chiaramente l’immagine sulla guida: si vedeva solo l’oceano, come se il punto di osservazione non fosse quello dove ci eravamo alla fine assestati noi.
«Vado a fare un giro» dissi evasiva, decisa a condurre un’esplorazione in solitaria. Gli altri non diedero peso al mio abbandono, si limitarono ad annuire, presi dalle rispettive conversazioni.
Tornai al gabbiotto della funicolare. Noi eravamo usciti sulla sinistra, seguendo il richiamo delle luci e dei rumori del parco divertimenti, ma anche a destra c’era un sentiero, certo, meno segnato e apparentemente meno frequentato, ma c’era.
Lo percorsi in fretta, sicura di sapere dove mi stesse portando.
Arrivai sul promontorio, nel punto a picco sul mare. Potevo sentire le onde infrangersi a decine di metri sotto di me e il mio campo visivo era interamente occupato dal bellissimo Atlantico, proprio come lo ricordavo nella foto. Non si scorgeva neppure una barca, era come un infinito deserto d’acqua scura.
Mi chiesi cosa ci fosse di ancora ignoto tra quei flutti inesplorati, quali mistici tesori attendessero ancora di essere scoperti.
Ero talmente presa dalle mie elucubrazioni da non prestare attenzione al rumore di passi in avvicinamento.
«È un posto bellissimo, vero?» sussurrò Santana, portandosi al mio fianco.
«Semplicemente mozzafiato» risposi, senza distogliere lo sguardo dall’orizzonte.
«Già…»
La conversazione piombò in un silenzio meditativo. Non sapevo se fosse venuta per intavolare un reale discorso o semplicemente per pedinarmi, fatto sta che lei era lì con me, davanti ad uno spettacolo meraviglioso.
Pensai alle mille possibilità che in quel momento mi si aprivano: avrei potuto dirle quello che provavo, avrei potuto parlare di come avevo già programmato il nostro futuro insieme, avrei potuto, volendo, darle una spinta ed osservarla cadere fino a schiantarsi contro le rocce al fondo dello strapiombo.
Quando immaginai di essere inseguita dalla polizia spagnola per l’omicidio della bella ispanica, realizzai di stare di nuovo divagando, permettendo alla fantasia di togliermi l’occasione di vivere nella realtà.
Mi tornarono alla mente le parole dette da Blaine due giorni prima: “A volte, se stai troppo a rimuginare sulle cose, va a finire che ti perdi tutto il bello dell’esperienza. Bisogna tirar fuori il coraggio e vivere la vita come fosse un’avventura.”
Quella era la mia occasione per smettere di fantasticare e prendere in mano la situazione.
“Vai, è il momento” confermò la Coscienza.
Mi girai verso la latina e mi beai di quella visione: la sua pelle ambrata baciata dai raggi della luna, le sue labbra sempre così invitanti e i suoi occhi, persi nell’immensità oceanica di cui, in quel momento, avevano il colore.
Semplicemente smisi di pensare.
Quella volta non c’era nessun gioco di potere in ballo, nulla da dimostrare ad altri. Eravamo solo io e lei. Era il momento di scoprire fino a che punto il mio coraggio era in grado di spingersi.
Posi le mani attorno a quel volto perfetto e lo avvicinai, per poterlo fare mio, come se fosse la prima volta.
Fu un bacio estremamente dolce, aggiungerei anche fresco, probabilmente per via della granita alla menta che avevamo finito da poco. Se la colsi di sorpresa non lo diede a vedere, presumibilmente stava solo aspettando che io mi decidessi a fare la prima mossa.
Non appena posai le mie labbra sulle sue, lei si strinse a me, così che potessi sentire il suo cuore battere rapido, all’unisono con il mio. Sembravano dettare il ritmo di una canzone non ancora scritta, ma sulle cui note io avrei potuto danzare fino alla fine dei secoli.
Dopo il primo contatto, decisi di andare oltre, volevo approfondire quel semplice bacio per renderlo qualcosa di nuovo per noi.
Le passai un braccio attorno alla vita, mentre l’altra mano era libera di spaziare tra la sua chioma scura.
Schiuse le labbra, permettendo alle nostre lingue finalmente di incontrarsi.
Mentre ero così persa nello sperimentare miliardi di emozioni nuove, una melodia nota cominciò a risuonare vicino a noi.
Oh, this is the night, it’s a beautiful night
And we call it Bella Notte
Look at the skies, they have stars in their eyes
On this lovely Bella Notte
Cantarono Puck, Finn e Sam sbucando dall’ombra.
Side by side with your loved one
You’ll find enchantment here
The night will weave its magic spell
When the one you love is near
Si unirono i Klaine.
Oh, this is the night
And the heavens are right
On this lovely Bella Notte
Conclusero, con l’aggiunta di Quinn e Rachel.
Mi staccai dalla latina per riprendere fiato e per sbottare: «Questa è una maledetta imboscata!»
La risata sincera di San risuonò nelle mie orecchie e rimbombò contro il mio petto.
«Lo so che avresti voluto assaggiarle tutta la faccia prima di essere interrotta, ma lo abbiamo fatto per il bene di Santana, la stavi divorando» disse il biondo, tirandomi una pacca sulla spalla.
«Oh, ma lei non voleva solo la faccia» insinuò Puck con la sua solita malizia «Ribadisco che io avevo scommesso nella “conoscenza ultra-approfondita” in meno di una settimana. A che giorno siamo?»
«Quinto» gli comunicò Pretty Pony.
«Dannazione, dovevamo aspettare che ci dessero dentro» si lamentò il Mohawk «Possiamo ancora fare in tempo se le riportiamo subito a casa e le lasciamo da sole.»
Non resistetti al desiderio di tirargli un pugno in testa.
«Ecco, adesso è diventata manesca» disse Quinn scuotendo la testa «Come gli animali che vengono disturbati durante il rituale di accoppiamento.»
«Ma volete piantarla!?» gridai infuriata.
«Meglio se le lasciamo riprendere e torniamo quando la gattina avrà ritirato gli artigli» suggerì Hudson.
«Ecco, fuori dai piedi…» commentai a denti stretti.
«Ehi» mi sussurrò San quando tornammo finalmente sole «Non credi che sarebbe ora di fare quattro chiacchiere?»
«Sul serio vuoi sprecare questo prezioso momento di solitudine a blaterare?» la stuzzicai.
«In effetti…»
Questa volta fu lei a prendere l’iniziativa, tornando a baciarmi, mordicchiandomi il labbro inferiore e portando lentamente la mano sinistra sulla mia natica destra.
«San…» mugolai mentre cominciava a lasciarmi delicati baci sul collo «Non volevi parlare?»
«Non adesso Britt…»
La allontanai piano, portandola a fissarmi negli occhi. «Direi che stiamo correndo come treni. Rallentiamo prima di deragliare in un incidente fatale, ok?»
«Va bene» sbuffò mettendo un adorabile broncio «Di cosa vuoi parlare?»
«Beh, non saprei… Dovremmo conoscerci un po’ meglio… Non so nemmeno qual è il tuo film Disney preferito!»
«“Mulan”» mi rispose «Apprezzo il suo coraggio e la sua tenacia, ma se parliamo di canzoni allora “Il re leone” domina.»
«Bene, ottima risposta… Animale preferito?»
«Pantera.» Era decisamente la belva che più le si addiceva: sensuale e letale. «Però non sono un’amante dei gatti.»
«Dong! Risposta sbagliata» la ripresi «Non puoi dire queste cose in mia presenza, soprattutto dato che sai di Lord Tubbington.»
«Mi spiace, cara, ma io faccio davvero fatica a sopportarli. In compenso amo i cani.»
«Meglio che niente…»
«Ora è il tuo turno» mi disse «Film Disney preferito?»
«Non puoi chiedermelo… Io li adoro tutti!»
«Dai, ce ne sarà uno che adori particolarmente» mi incalzò.
«Allora direi “Koda fratello orso” perché ogni volta che lo vedo mi sembra che l’amore per la mia sorellina si rafforzi.»
«Che pensiero carino! Prossima domanda: qualche hobby scandaloso?» chiese.
«A volte, quando ho bisogno di sgombrare la mente, faccio motocross, ma non è una cosa seria.»
«Motocross?» esclamò, anche se non colsi il consueto lampo di sorpresa nei suoi occhi, come se già sapesse.
«Sì» confermai «Mi aiuta a distendere i nervi. So che può suonare strano, ma è davvero rilassante e la mia moto è un vero gioiello quindi mi spiace lasciarla in garage a prendere polvere. Magari tornate a Lima potrei portarti a fare un giro…»
«Per quello ci sarà tempo…» bisbigliò, venendomi nuovamente vicino «Per me ora c’è un po’ troppa chiacchiera e poca azione… Vorrei tanto poter tornare alla nostra precedente occupazione.»
«Oh, di certo non sarò io a mettere freno ai tuoi desideri…»
Ancora non avevo che scalfito appena i segreti che celavano gli occhi scuri di quella forza della natura, ma allora, in quella Bella Notte, tutto era come doveva essere: io, Santana, l’oscurità, l’oceano e quello che, speravo, un giorno sarebbe potuto diventare amore.

NdA: bene, credo che questo capitolo si commenti da sè: pieno di piccole citazioni nerd e momenti di tenerezza. Lascio a voi, miei cari lettori, il resto, sbizzarritevi nelle recensioni. Ringraziamenti sentiti e dovuti a wislava, MartaDelo, HeYa Shipper e ogni altro lettore. Il seguito penso di pubblicarlo settimana prossima quindi non ci sarà da attendere troppo. A presto.
   
 
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