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Autore: Akemi chan    14/09/2014    2 recensioni
Dopo aver visto il film mi è rimasto un po' di amaro in bocca per un semplice motivo: Pitch.
Normalmente i cattivi come lui li odierei, ma questa volta è stato diverso.
Alla fine del film mi dispiaceva per lui, perché in fondo voleva solo essere amato.
Fu in quel momento che pensai "Perché non farlo?".
Ed è così che è nata questa storia...
Genere: Fluff, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Pitch
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo 5- Nel sogno

“Annie!”
Si svegliò di soprassalto, ma una fitta alla nuca lo fece ridistendere. Imprecò mentre si massaggiava il collo ancora dolorante e si ricordava del colpo infertogli da Nord. Eppure non si diede il tempo di far passare quella fastidiosa pulsazione, corse subito verso la porta della sua prigione e iniziò a prenderla a pugni. Era successo qualcosa ad Annie, ne era sicuro.
La porta si aprì quel poco che bastava per far scorgere parte del muso stizzito di Calmoniglio.
“Perché cavolo ti sei messo a fare tutto questo casino?!”
“Annie sta bene? Le è successo qualcosa?”
“Lei sta benissimo, ma tu devi metterti in testa che non hai più niente a che fare con lei. Ora sta zitto.”
Il Guardiano non spese altre parole con lui e chiuse nuovamente la porta lasciandolo da solo ad urlare. Si sgolò insultano quello stupido canguro e i suoi stupidi compagni fino a quando non gli fece male alla gola, dopo di che si lasciò cadere sulla brandina e tentò di convincersi che Annie era al sicuro.



Arrivò al palazzo di Nord come un uragano e corse subito dagli altri che stavano discutendo allegramente.
“Ragazzi è successo qualcosa di terribile! Annie è…”
Fu interrotto dall’arrivo improvviso di Calmoniglio che aveva deciso di far comparire una galleria proprio sotto i suoi piedi, rischiando di farlo cadere.
“Chi mi da il cambio per sorvegliare Pitch? Ne ho le scatole piene di farmi insultare. Continua ad urlare cose senza senso, come “Annie è nei guai!” e simili. Quel tipo sta tentando di scappare, ma non è molto furbo.”
A quelle parole Jack si sentì mancare, come faceva Pitch a saperlo?
Doveva avere un aspetto orribile in quel momento, forse era addirittura sbiancato, perché tutti lo stavano fissando preoccupati.
“Tutto bene ragazzo?” gli chiese gentilmente Nord, mentre si avvicinava per controllarlo meglio.
“Annie è stata appena portata all’ospedale, possibile trauma cranico. Come ha fatto Pitch a saperlo…”
“Quel bastardo! Sono sicuro che lo sapeva perché è stato lui a farle del male!”
Calmoniglio sembrava così sicuro di quello che aveva detto che fu quasi tentato di dargli ragione, ma alla fine si disse che doveva dire la verità.
“Non è così…” sussurrò.
“Lo stai per caso difendendo Jack?”
“No! Io so che non è stato Pitch perché c’ero anche io in quel momento.”
Raccontò agli altri Guardiani tutto quello che era successo, ma in cuor suo sapeva che quella sarebbe stata la parte più facile, il vero problema sarebbe giunto solo dopo.
Per tutto il tragitto sull’ambulanza la ragazza non aveva fatto altro che chiamare Pitch, chiedendogli di tornare. Quel suo comportamento aveva stupito Jack come non mai e gli aveva fatto decidere di non dire niente all’uomo nero, ma dopo aver sentito le parole di Calmoniglio la sua determinazione vacillò. Non capiva perché, ma sentiva che Pitch dovesse venire a sapere dell’incidente di Annie, il Guardiano aveva come l’impressione che lo spirito fosse l’unico in grado di aiutarla.
“Ti do il cambio io Calmoniglio. Sono due giorni che non mi muovo dall’ospedale ed ho bisogno di distrarmi.”
Nessuno replicò né per il suo repentino cambio di discorso e nemmeno per la sua decisione, sapevano tutti che erano i sensi di colpa a spingerlo.
Nord gli consegnò un portale e lui raggiunse in poco tempo la prigione di Pitch. Arrivò davanti alla porta al di là della quale si trovava la stanza convertita in cella ed esitò. Fu solo per un secondo, ma in quel piccolo lasso di tempo desiderò lasciar perdere con tutto se stesso, ma si costrinse ad entrare.
“Cosa volete adesso da me? Sono zitto ora no?”
Jack rimase colpito nel vedere l’uomo nero buttato nella brandina e completamente vulnerabile.
“Annie è all’ospedale…”
Ecco, l’aveva detto. Poteva anche andarsene ora che il suo lavoro era finito, ma fu bloccato da uno scatto improvviso di Pitch che lo afferrò per il colletto della felpa e lo alzò da terra.
“Cosa le è successo?!”
“Mi dispiace, io…io avevo fatto di tutto per prestare attenzione, ma…”
“COSA LE HAI FATTO?!”
Il Guardiano fece l’errore di guardare lo spirito, mentre quello lo stava incenerendo con gli occhi color ambra che parvero bruciare. In quelle iridi gialle lesse una marea di emozioni: odio, tristezza, risentimento, ma anche preoccupazione. Per la prima volta da quando conosceva l’uomo nero, Jack ebbe modo di vederlo veramente preoccupato e non per se stesso o per il suo piano, ma per qualcun altro. Si chiese come avesse fatto un tipo come Pitch a cambiare così tanto, ma alla fine riuscì solo ad attribuire i meriti di tutto quello a quella ragazzina.
“Non volevamo farle del male, è stato un incidente. Avevo creato una strada di ghiaccio per far giocare Jamie come al solito, ma Annie è comparsa dal nulla e…e le siamo andati addosso. Deve essere scivolata sul ghiaccio, perché è caduta per terra ed è svenuta. Poi è arrivata l’ambulanza e sono andato anche io. Poi i medici l’hanno accerchiata e…e...ora sta riposando, ma non si è ancora svegliata. Mi dispiace, mi dispiace veramente tanto…”
Gli occhi di Pitch ardevano ancora, ma era chiaro che l’uomo nero si stesse sforzando per mantenere il controllo e non colpirlo. La cosa peggiore di tutte fu la calma perfetta con cui lo spirito gli rivolse la parola poi.
“Portami da lei.”
Non era stata una richiesta, ma un ordine. Jack si chiese se Annie si fosse mai trovata in una situazione simile: alle prese con un Pitch palesemente arrabbiato, ma che si comportava in un modo spaventosamente calmo e calcolato.
“Come?”
“Hai capito benissimo invece. Voglio che tu mi porti da lei, ti giuro su quello che vuoi che non scapperò, ma io devo vederla.”
“No! Non è giusto… sarebbe troppo pericoloso per lei!”
Pitch si esibì in una risata amara, quasi disperata.
“Vuoi prendermi in giro Frost? Sei tu quello che l’ha mandata all’ospedale! Sei tu quello che non dovrebbe neanche azzardarsi a pronunciare il suo nome!”
Il Guardiano stava per rispondergli di no, che non l’avrebbe mai fatto uscire di lì, ma si accorse che all’uomo nero stavano tremando le mane, ma non solo quelle. Solo in quel momento riuscì a scorgere pienamente quanto profondamente Pitch tenesse ad Annie, anche se forse l’uomo  nero non lo avrebbe mai ammesso. Fu così che, forse a causa del senso di colpa o per pietà, fece comparire un i.”portale.
“Non più di dieci minuti.”



Le prime cose che fu in grado di percepire furono la luce fortissima del lampadario a neon e l’odore disinfettante. Quando i suoi occhi si furono adattati alla luce la vide e ci mancò poco che non gli venne un colpo. Annie era distesa sopra il letto dell’ospedale con la nuca fasciata e sembrava che stesse solamente dormendo. La stanza era quasi vuota e gli unici rumori che si sentivano erano il flebile respiro della ragazza e il suono emesse dalla macchina che ne monitorava i battiti cardiaci.
Si avvicinò piano, prese una delle piccole mani della ragazza fra le sue ed iniziò ad accarezzarla. In quel momento se ne infischiava della presenza di Frost dietro di lui, voleva soltanto aiutare Annie. Si sentiva terribilmente in colpa, se non fosse stato per la sua scenata, lei non sarebbe mai tornata a casa prima e avrebbe passato la mattinata a dormire, al sicuro.
“So che mi avevi detto di starti lontano, ma lascia almeno che ti aiuti per questa volta.”
Pitch chiuse gli occhi e si concentrò, in modo da poter entrare completamente nel sogno della ragazza.
Si ritrovò in un luogo completamente buio e silenzioso. Fece un passo in avanti e vide che, al solo contatto con il suo piede, il pavimento formava una piccola area bianca. Avanzò piano in quello spazio infinito, finché non sentì quello che stava cercando: il pianto di una bambina.
Si ritrovò a correre fino a quando non la raggiunse. Una piccola Annie, che non doveva avere più di sei anni, stava piangendo nella sua piccola isola bianca, dentro quell’enorme mare nero.
La bambina si accorse del suo arrivo, così alzò il viso e piantò i suoi occhi grigi in quelli di lui.
“N-non dire alla mamma che sto piangendo! Per favore!”
Che strano…” si disse Pitch “Eppure io questa scena l’ho già vista da qualche parte…”
In un secondo tutto si fece più chiaro, quelle erano state le prima parole che Annie gli aveva mai rivolto.
Come richiamata dalla sua memoria, la stanza della bambina prese il posto dell’enorme stanza nera e lui si guardò attorno spaesato, proprio come la prima volta.
“Tu puoi vedermi?”
La bambina annuì e tirò su col naso.
“La mamma dice sempre che le uniche cose in cui dobbiamo credere sono le nostre paure…”
La scena sembrò tremolare per un secondo e, al posto della bambina di sei anni, ne trovò una di otto sul letto. Era sempre in lacrime, ma nel suo sguardo c’era rabbia.
“Pitch! Lo so che ci sei! Esci fuori!”
“Sono qui. Cosa vuoi?”
Le parole gli uscirono di bocca senza che lui lo volesse, sembrava che il cervello di Annie lo stesse obbligando a seguire passo dopo passo la sua memoria.
“Perché la mamma ed il papà fanno così?! Non fanno altro che rimproverarmi e quando ho un incubo loro non vengono più. Questa mattina mi hanno perfino detto di smetterla di fare la cretina di notte perché Damian deve dormire. Io non sapevo come rispondergli…non so nemmeno cosa significhi la parola cretina…”
“Un cretino è una persona stupida e che non sa fare niente, Annie. Tua madre ti ha insultata per bene, che donna orribile.”
Si mise a ridere controvoglia, ormai quella scena non lo divertiva più.
“Io sono veramente così Pitch? Sono realmente così inutile per mia madre?”
Stava per risponderle che molto probabilmente era vero le sua madre l’aveva chiamata così, ma riuscì a trattenersi. La scena allora tremolò e si ripeté da capo con la Annie del loro primo incontro. Un dubbio si insinuò nella mente dello Spirito.
Fece appello a tutta la sua forza di volontà e riuscì a rimanere zitto, mentre la scena ripartiva all’infinto.
Ci mise fin troppo tempo a capire come funzionava quel sogno e quando ci arrivò si diede dell’idiota.
Aspettò l’ennesimo replay e, quando arrivò, raccolse la sua determinazione.
“N-non dire alla mamma che sto piangendo! Per favore!”
Questa volta però le cose andarono diversamente.
Lui si avvicinò alla bambina e l’abbracciò mentre questa piano piano scompariva, lasciando il posto alla ragazza di sedici anni.
“Stai tranquilla. Tua mamma non verrà mai a saperlo, ci sono io con te adesso.”
“Ti prego non andartene mai più…”
Strinse Annie più forte, assaporando il suo profumo, mentre si accorgeva che il tempo a sua disposizione stava per finire.
“Scusami Annie, ma non posso mantenere questa promessa. Devo andare ora…”
“No! Non puoi lasciarmi di nuovo da sola!”
I loro occhi si incontrarono, mentre lui si sentiva sempre più leggero, segno che la ragazza si stava finalmente svegliando.
Come ultima, disperata, azione accostò le sue labbra a quelle di lei, questa volta dolcemente e, prima di sparire del tutto, le lasciò un messaggio racchiuso in un sussurro.
“Non sei mai stata sola”.
Il ritorno alla realtà fu dei meno piacevoli.



La luce della lampada le feriva gli occhi e la testa le faceva un male assurdo. Ci mise qualche secondo a ricordarsi come potesse essere finita all’ospedale, ma una benda che le scivolò davanti al viso sembrò sbloccarle la memoria. In un attimo rivisse tutto: il litigio con la madre, la corsa, l’impatto con lo slittino ed il bacio di Pitch. Arrossì pensando al sogno che aveva appena fatto e sperò che fosse stato tutto frutto della sua fantasia, altrimenti sarebbe stato troppo imbarazzante per lei. Eppure la sensazione che provava sulle sue labbra era così reale…
I suoi pensieri vennero interrotti dall’apertura della porta, dalla quale fece capolino sua zia.
La donna rimase immobile davanti alla porta a bocca aperta, come se volesse capire se stava sognando o era la realtà.
“Ehi! Ciao zia!” disse lei per farla rinvenire.
Sua zia le venne incontro come un fulmine e l’abbracciò con foga, mentre lacrime di gioia le rigavano il volto.
“Bambina mia sono così contenta che tu ti sia svegliata! Ho avuto tanta, tanta paura per te!”
Annie sentì il cuore scaldarsi, era da tanto tempo che non riceveva un abbraccio del genere.
“Che sciocca! Devo andare subito ad avvisare i dottori!”
“Ehm…zia. Mia mamma dove…”
La donna diventò nervosa e dovette distogliere lo sguardo da lei per poterle parlare.
“Oh…Deborah è tornata a casa mentre eravamo qui al pronto soccorso, mi ha lasciato dei soldi per pagare il debito con l’ospedale…”
“Capisco… è sempre la solita solfa. Non me ne importa più ormai. Jamie come sta invece? Era lui a guidare lo slittino vero? Si è fatto male?”
La zia le sorrise, contenta che la nipote si preoccupasse per il cuginetto.
“Lui sta bene, si è solo spaventato quando sei svenuta. Sono sicura che muore dalla voglia di vederti.”
Annie non capì mai che razza di ragionamento fece il suo cervello in quel momento, ma una cosa le era chiara: se Jack esisteva veramente allora lei poteva ritrovare Pitch.
“Zia, di a Jamie di venire da me appena può. Intesi?”




Angolino autrice: Mi scuso tremendamente per questo capitolo. Non avrei mai voluto troncarlo così, ma rischiava di uscire troppo lungo.
Qui vengono un po’ a galla i problemi con la madre, ma ho appena iniziato a raschiare del passato di Annie.
Questa sarà l’ultima volta che pubblico giornalmente, poiché la scuola mi terrà occupata. Cercherò di aggiornare puntualmente ogni notte tra il sabato e la domenica d’ora in poi.
Grazie per aver letto!
Arrivati a questo punto vi chiedo cortesemente di lasciare un vostro parere sulla storia se volete.
A presto!
 
  
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