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Autore: Non ti scordar di me    15/09/2014    6 recensioni
Può un amore fraterno trasformarsi in altro? In passione? In un’ossessione? In amore?
Damon dopo vent’anni d’assenza ritorna a casa dal padre, dal fratello Stefan e dalla piccola Elena che ormai non è più tanto piccola.
Elena lo odia, lo odia per i suoi modi di fare, lo odia per essere il fratello peggiore al mondo e lo odia perché prova per lui un’attrazione illecita.
E se Damon si stesse spacciando per qualcun altro? Elena è invaghita di un misterioso ragazzo di cui non sa neanche com’è il volto e s’incontra con lui ogni giorno alla biblioteca del college. E se i due, in realtà, fossero la stessa persona?
I due sono veramente fratelli? O sotto si cela un segreto più grande?
Dalla storia:
Le sue labbra erano troppo soffici. Era sbagliato. Noi eravamo sbagliati, quella situazione era sbagliata. I loro sentimenti erano sbagliati.
Si era innamorata di suo fratello. Può una vittima innamorarsi del suo aguzzino? Può una persona innamorarsi di un ricordo? Può una sorella innamorarsi di suo fratello?
“Siamo sbagliati…” Sussurrai.
“Siamo le persone sbagliate al momento sbagliato, eppure non mi sono mai sentito meglio con un’altra persona e in un altro momento.”
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Un po' tutti | Coppie: Damon/Elena
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo nove.
He is my drug
 
Avevo un mal di testa pazzesco quel pomeriggio. Niente era riuscito a migliorarlo. Ora ero in cucina e stavo bevendo una tisana che aiutava a distendere i nervi. Avevo preso un’aspirina un’ora prima, ma non aveva fatto effetto.
Da oggi in poi ero libera. Completamente libera dalla punizione. Ieri era l’ultimo giorno di punizione, quindi oggi potevo fare qualsiasi cosa volessi con Caroline.

L’aspettavo da circa dieci minuti, ma lei non si era ancora fatta viva. In casa c’eravamo solo io, papà e Stefan. Damon era via, in giro per Mystic Falls probabilmente cercando di abbordare qualche ragazza.
A quel pensiero il mio stomaco fece diverse capriole. Era insopportabile quella sensazione che mi attanagliava il petto e lo stomaco ogni volta che sentivo Damon portare in casa – o meglio in camera da letto – una ragazza.

Da quando ci eravamo detti in un certo senso ‘Addio’ ogni sera c’era una ragazza diversa. Una settimana equivaleva perciò a sette ragazze diverse ogni sera. Papà non si accorgeva di niente col sonno pesante che aveva e Damon le cacciava via all’alba probabilmente.
Avevo scoperto quella tresca solamente dopo un paio di giorni che ci eravamo… “lasciati”.

Erano le 5.43 della mattina ed ero in cucina per prendere un bicchiere d’acqua. Camera mia oltre ad essere la più spaziosa era anche la più calda di tutta casa. Finii il bicchiere d’acqua, sbattei più volte le palpebre e mi avviai verso la porta per ritornare in camera mia. Mi bloccai non appena sentii due voci, di cui una l’avrei riconosciuta sempre in qualsiasi circostanza.

Damon indossava solo i boxer ed accompagnava alla porta una ragazza. Era alta e slanciata, i lunghi capelli rossi scendevano in una pettinatura scompigliata – ma al contempo le donava un’aria maliziosa – e i due occhi verdi erano la cosa più spettacolare che avesse. La odiavo. Non solo perché lei era – tecnicamente – cento volte meglio di me, ma la odiai perché stava baciando avidamente – il mio – Damon.

Indossava solamente una gonna gialla canarino inguinale e sopra un top striminzito. Finito – finalmente – quel bacio, la ragazza presa dall’attaccapanni il suo capotto e sorrise complice a Damon.

Non ci impiegai molto a fare due più due e capire cosa quei due avessero fatto nella camera del corvino. Trattenni a stento un conato di vomito, pensando che una settimana prima avevo baciato appassionatamente Damon in cucina!
«Mi è piaciuto.» Disse la ragazza complimentandosi. Si morse sensualmente il labbro, aspettando una risposta di Damon. Non disse una parola: emise solamente un grugnito. Aveva il volto stanco, però si era divertito a giocare con quella finta rossa.

Quando stava per uscire, lei si girò nuovamente.
«Mi chiamo Mandy.» Chiarì. Potei giurare a me stessa che nei suoi occhi c’era un pizzico di acidità così come nel tono di voce. Aggrottai le sopraciglia e mi chiesi il perché di quella specificazione.
«Mm…E con ciò?» Rispose duro Damon. La rossa infastidita di quel comportamento – senza un apparente motivo – gli alzò il dito medio. Né io né lui capimmo perché diventò tutt’un tratto più schietta.

Si girò di spalle e io sperai con tutto il cuore che quella se ne andasse al più presto da casa mia. Proprio nel momento in cui mise il piede fuori dalla porta, Damon la prese per un polso obbligandola e girarsi.
«Perché hai specificato che ti chiami Mandy? Me l’avevi già detto.» Il tono duro che usò mi procurò un po’ di sollievo. Quello che avevano fatto per lui non era importante, era solo piacere.

«Perché l’ho specificato?» Fece ironica. «Perché mi ha dato fastidio che non hai usato il mio nome. Io non mi chiamo Elena.» Sbatté i piedi a terra e se ne andò.

Quella fu una doccia ghiacciata non solo per me, ma anche per Damon. Scoprire che lui aveva chiamato quella ragazza col mio nome mi faceva piacere, però da un lato era inquietante.

Pensava a me quando aveva scambiato il nome Mandy con Elena, però mi faceva uno strano effetto. Dopo quella sera, decisi di non scendere più per nessun motivo nel cuore della notte per qualcosa. Preferivo morire di sete che incappare in un altro siparietto del genere.
Ero disgustata. Damon faceva…Anzi, no. Damon usava – perché lui usava – quelle ragazze senza un minimo di riguardo. Trattenni un conato e bevvi un altro po’ di tè.

Finii di berlo e presi il mio smartphone. Erano le 4.53 del pomeriggio e Care sarebbe passata a prendermi da un momento all’altro.

Non credevo ancora alla grande stronzata che avevo fatto. Avevo veramente deciso di andare ad un gruppo di supporto per cercare di migliorare questa mia “dipendenza” verso Damon? Mi chiedevo ancora da cosa invece fosse affetta Caroline.
Non c’era niente di cui dovevo preoccuparmi, giusto?


Io e Caroline eravamo in una stanza d’attesa con diversi divanetti rossi, ben arredata ma un po’ piccola. Inizialmente insieme a noi c’erano diversi ragazzi – uno più strano dell’altro – che sono stati chiamati uno per volta per entrare dentro.

Dopo i primi dieci minuti di attesa avevo iniziato a diventare più nervosa. Non capivo perché dovessimo aspettare tutto questo tempo e non avevo più intenzione di rimanere in quella mini stanza ancora per molto!
«Caroline, perché siamo ancora qua?» Sbottai, dondolandomi sulla poltroncina rossa. Lei roteò gli occhi e mi lanciò un’altra occhiataccia. Da quando eravamo entrate lì non facevo altra che riempirla di domande su domande.

Stavo per ribattere, ma un signore col camice bianco con sopra una targhetta su cui c’era scritto ‘Dottor MaxField’.
Aveva una faccia strana…quasi inaffidabile. Ci sorrise incoraggiante e salutò Care come se già la conoscesse. Da quanto tempo la mia amica frequentava quel corso?

«Caroline entrerai prima tu.» Iniziò il medico. Lo interruppi sul nascere e mi alzai dalla sedia per raggiungere a grosse falcate quei due.
«Non ho intenzione di aspettare qui un altro minuto. Chiaro?» Ringhiai inferocita, mettendomi una mano nei capelli. Non avrei aspettato più, se quel tipo non mi avesse fatto entrare insieme a Caroline me ne sarei andata via. E già che c’ero l’avrei mandato a quel paese.

«Non è questa la procedura. Vedi signorina è una procedura diversa, più complicata…» Iniziò lentamente a spiegarmi la procedura, anche se sinceramente non me ne poteva fregare di meno.
«Io non voglio seguire la procedura. Non ho alcuna intenzione di aspettare un minuto di più.» Continuai. MaxField mi fissò incuriosito pochi istanti per poi porgere sia a me che a Care due mascherine di quelle che si trovavano nei saloni di bellezza.

Cosa ci faceva lei con una mascherina? Fortunatamente, non era la sola ad avere quell’espressione sconcertata anche Caroline guardava il medico di sottecchi.
«Indossatele.» Disse semplicemente. Strabuzzai gli occhi e lanciai uno sguardo alla mia amica bionda. Lei si fidava di quel tipo? Sicuro che aveva una laurea? Una vera laurea?
Lei alzò le spalle e s’infilò la mascherina. Sospirai e la indossai.

Il dottore ci prese per mano e ci condusse lentamente in un’altra stanza. Sbuffai vistosamente.
La presa sulla mia mano diminuì e lo stridio della sedia mi fece capire che Care si stava sedendo. Non capivo ancora il perché di tutto quel mistero…Insomma perché non poteva vedere in faccia gli altri ragazzi?
«Fai due passi indietro, cara.» Disse il dottore, toccandomi la spalla. Annuii e feci due piccoli passi tastando le mani a vuoto intorno a me, sperando di trovare un appiglio e aggrapparmi ad esso fin quando non avrei avuto un’idea di com’era quella stanza.

«Un altro passo.» Continuò. Seguii il suo consiglio. Il mio piede urtò qualcosa – molto probabilmente la gamba della sedia –.
«Puoi sederti.» Finì. Sospirai e prima di sedermi, tastai con le mani la superficie su cui mi stavo poggiando. Mi sedetti e con stizza mi spostai i capelli da una spalla all’altra.

Maxfield si allontanò da me – o almeno così sospettavo visto il ticchettio delle scarpe sul pavimento –.
«E’ un nuovo metodo. Nessuno di voi sa chi ha accanto, né sa il loro nome. Potete parlare del vostro problema apertamente, senza la paura che qualcuno vi giudichi perché qui nessuno può giudicare l’altro.» Disse il medico. Era ufficiale: Caroline mi aveva portato da uno svitato che doveva – apparentemente – guarirmi da questa specie di ossessione per Damon.

«Qualcuno vuole iniziare?» Insistette. Alzai gli occhi al cielo. A cosa serviva quella mascherina? Quando l’avrei tolta, avrei ugualmente saputo i problemi di quei ragazzi.

«A cosa servono le mascherine, se non per conciliare il sonno? Sa, ho studiato molto in questa settimana e non ho tempo per riposare, se sono qui ci sarà un motivo no?»  Feci schietta, incrociando le braccia sotto il seno. M’immaginai Caroline lanciarmi un’occhiata di fuoco e il dottor Maxfield sorridermi in modo inquietante. Mi ricordava tanto i professori dei film che volevano controllare l’umanità, forse era per la sua faccia e i suoi modi di fare troppo strani che mettevano i brividi.

«Vedi, se qualcuno ti dicesse che ha ucciso sua sorella perché non voleva dargli dei soldi per comprare della cocaina…Come reagireste?» Mi chiese con tono enigmatico. Al sol pensare che fossi in quella stanza con un assassino mi fece venire i brividi.

«Sono in stanza con un assassino? Non lo so. Non ancora, per lo meno.» La mia voce si affievolì man mano. Non volevo sembrare a quei ragazzi troppo scontrosa. A quella mia risposta si levarono diversi vocii e mormorii.
«Vedi, gli occhi di una persona rivelano tutto. Anche se la tua bocca dice a quel ragazzo che non era colpa sua, ma della cocaina che ormai aveva preso il sopravento…i tuoi occhi saranno ugualmente colmi di paura e guarderanno quel ragazzo di soppiatto e con diffidenza. E questo qui, da me, non deve succedere.» Chiarì in tono più duro. Non potevo guardare la sua faccia, ma ero sicura che quell’odioso sorriso che teneva perennemente in volto era scomparso.

«Mm…» Sibilai qualcosa inviperita, mentre mi volevo sotterrare dalla vergogna. Benedii di indossare quella mascherina come gli altri, altrimenti mi sarei sentita un’emerita idiota. Avrei avuto tanti occhi su di me, che mi guardavano sconvolti per il mio modo di interagire col dottore molto brusco.

«Ho capito.» Dissi poi a voce più alta. Come idea non era male. Anch’io non volevo dire a Caroline di quella piccola tresca con Damon, già m’immaginavo lo sguardo spiazzato e la bocca spalancata.

«Quando avrete tolto la mascherina, nessuno dovrà chiedere qualcosa a qualcuno. Dovrete sorridere e uscire con un peso in meno. Qui potete dire tutto ciò che pensate senza aver paura di niente e nessuno.» Chiarì ancora. Fui sollevata. Nessuno mi avrebbe chiesto niente, anche se dubitavo che Care non mi avesse fatto domande.

«Toccherò la spalla di uno di voi. Lui o lei dovrà parlare del suo problema. Può parlarne senza costrizioni e nei modi che preferisce.» Il ticchettio delle scarpe accompagnava la voce del dottore. Il ticchettio si fermò improvvisamente e sentii sospirare.

«Sono innamorata di un ragazzo.» Aprii leggermente la bocca, non appena mi resi conto di chi fosse la voce. Era la mia amica…Era innamorata di un ragazzo? E io non sapevo niente? Non mi aveva detto niente. Sentii una strana fitta all’altezza dello stomaco…Perché Care non si era fidata di me?
In quel momento ebbi la tentazione di togliermi la mascherina e di parlare – da sole – da qualche altra parte.

«Lui però non mi vuole. Abbiamo un rapporto particolare.» La sua voce s’incrinò. Sembrava stesse trattenendo le lacrime. «Sono la sua amica di…letto.» L’ultima parola la disse con una voce sottile e tremolante.
Ebbi quasi un colpo. La mia migliore amica – anzi, la ragazza che consideravo come una sorella – era innamorata di un tipo di cui era amica di letto? Perché mai aveva accettato quella follia?

Perché ne è innamorata. E l’amore rende ciechi, sciocchina! Disse la mia coscienza in finto tono mieloso.
«Non hai mai pensato di frequentare altre persone?» Chiesi di getto, torturandomi le mani. Non avevo la più pallida idea se avevo la possibilità di fare domande mentre avevamo sugli occhi la mascherina.

«Se non vuoi rispondere, puoi astenerti.» Intervenne il dottore, forse vedendo il disagio della bionda.
«Perché non voglio. Io non voglio vedere nessun altro se non lui. Non voglio sentire nessun altro. E questa passione la consumiamo sempre. E’ una passione irrefrenabile, ma per lui non si può trasformare in altro.» Commentò la mia amica con voce tremante. Volevo aiutarla, ma in che modo? Non potevo parlarne e lei non sembrava molto predisposta ad essere aiutata da me.

«Scusate il rita…» La porta scricchiolò rivelando qualcuno di cui non potevo vedere la faccia. Appena sentii quella voce, gelai sulla sedia. Non poteva essere Damon, eppure la voce sembrava la sua.

«Oh, bene. In ritardo come al solito, mh?» Commentò il medico. Non sentii più una parola fuoriuscire dalla bocca di quel ragazzo, solo lo stridio di una sedia – segno che si era accomodato – e un insistente tic procurato dallo sbattere un piede per terra in segno di nervosismo.

«Ora che sei arrivato anche tu, possiamo continuare.» Disse, sbuffando. «Vuoi continuare tu, ora?» Continuò, probabilmente riferendosi al nuovo arrivato di cui io volevo sapere ardentemente il nome e il volto.
«L’ho sognata ancora. Mi stava dicendo che stavo sbagliando tutto, che sbagliavo a tradirla in modo così scandaloso. Dio, la sogno ogni notte e sto impazzendo. Ormai devo tenermi occupato per non sognarla.» Grugnì infastidito. Arricciai il naso. Quella voce era la voce del ragazzo della biblioteca. Era Ian?

Era lui che era entrato in netto ritardo? Ma quella voce non poteva essere quella di Ian, quella voce assomigliava in maniera incredibile a quella di Damon.

«Parli di Ka-Katherine?» Chiesi in un sussurro. Quella voce falsa e irreale era la sua. Perché tramutare la voce anche in un gruppo di supporto? Caroline poteva aiutarmi ad identificare Ian? O forse non potevo chiederle niente delle sedute precedenti a cui non avevo partecipato?

«Sì, parlo di lei.» Moderò il tono di voce, ma era in evidente imbarazzo. Probabilmente non pensava di incontrarmi qui, in quel gruppo di supporto. In tutti i casi, non era una partita leale. Lui sapeva che frequentavo quel corso, sapeva che faccia avevo…Era ingiusto! Io non avevo neanche il piacere di sentire la sua vera voce!

«E tu? Come mai qui?» Ribatté con ironia. Sbiancai sul posto. Oh, non potevo assolutamente dire il vero motivo della mia presenza lì. Oltre alla presenza di Ian, c’era anche Caroline.
«Infatti, tu come mai ti sei unita a noi?» Intervenne il medico. Immaginai tanti occhi puntati addosso a me, tutti pronti ad accusarmi di aver compiuto il peccato peggiore che potessi mai fare e rabbrividii.

Mi ritornarono in mente le parole di Maxfield. Aveva detto che ognuno poteva interpretare il suo problema in modo soggettivo.
Presi un respiro e pensai per bene alla risposta da dare.

«Soffro di dipendenza.» Dipendenza morbosa e sbagliata verso mio fratello Damon Salvatore. Continuai nella mia mente. La mia era una dipendenza, vista da un certo punto di vista. Ero dipendente da Damon, come un cocainomane era dipendente dalla sua droga.

Perché mi ero lasciata baciare da lui? E perché mi ritrovavo sudata e col cuore a mille quando mi svegliavo da un sogno che aveva lui come protagonista?
«Sei dipendente? Dove hai la testa?» Mi urlò contro una voce che riconobbi come la mia migliore amica. Mi morsi un labbro…Aveva intenso in…in modo completamente sbagliato!
Ian invece sembrava stesse calmo, non aveva detto niente ma sentii chiaramente il suo respiro mozzato alla mia rivelazione.

«Da quanto?» Chiese piuttosto pacato il dottor Maxfield, che tra Ian e Care sembrava quello che avesse in mano il controllo della situazione. Oh, da quanto ero dipendente? Da quando mi ero resa conto che Damon iniziava a mancarmi troppo, non mi stuzzicava più ed evitava il mio sguardo.

Lo so che avevo chiesto io di chiudere tutto, ma pensavo che valessi qualcosa per lui – oltre ad essere sua sorella – e che continuasse a irrompere nella mia vita. E invece mi aveva lasciato…Anche se tecnicamente non eravamo mai stati insieme.

«Poco.» Risposi. Il pensiero di Damon mi torturava da quando avevo saputo del suo ritorno, ogni volta che chiudevo gli occhi m’immaginavo il suo volto e ora…ora era un mese circa che l’avevo qui con me e non ce la facevo più. Non ce la facevo ad averlo così vicino, eppure sentirlo così lontano da me.

«Poco? Ti sembra una risposta da dare? Potresti andare in un centro per disintossicarti. Per migliore questa dipendenza…O…» La voce metallica di Ian aveva iniziato a parlare a macchinetta, mentre io sorridevo come un’ebete.
Disintossicarmi? Era una barzelletta, vero? Sorrisi leggermente, cercando di rimanere più seria possibile. 
Caroline non aveva detto più niente, forse era ancora scioccata. Insomma…le avevo fatto credere di essere drogata. La cosa che speravo di più era che in quel corso non ci fossero spie…Mancava solo la voce che Elena Gilbert fosse dipendente dalla droga.

«Bene. Hai mai pensato che questa aggressività dipendesse da lui?» Mi chiese il dottore con una sottile ilarità. A quelle parole persi il respiro. Dipendesse da lui? Cosa intendeva?

Sembrava quasi che MaxField avesse capito la verità, ovvero che io non ero dipendente da droghe ma da una persone.
«Per lui intendo la droga. Parlerò come se la droga fosse una persona, okay?» Disse con tono calmo. Sospirai e forse in quel momento mi sentii più a mio agio.

«Io…Non prendo grandi dosi di lui. Le ho prese a poco poco. E’ tutto iniziato per un errore.» Dissi ricordando il weekend
a New Orleans. Perché da lì avevo completamente perso il senno, per non parlare del bacio appassionato in cucina.
Sorrisi inconsapevolmente, ricordando la piacevole sensazione delle labbra di Damon sulle mie.

«E tu, Ian? Ti stai disintossicando da questa Katherine?» Chiesi con una punta di malizia. Non sapevo per quale motivo questa ragazza mi stava così antipatica. Era un’antipatia a pelle, neanche la conoscevo ma sentivo di detestarla.
«Non posso disintossicarmi di lei senza una cura. E questa cura non ne vuole sapere di me.» Rispose con voce bassa. Gli costava dover raccontare i suoi segreti, come costava a me raccontare di questa strana dipendenza.

Non capii la parte della cura. Esisteva una cura? Una cura a questa Katherine? Non feci in tempo a replicare, poiché intervenne un’altra voce.

«Come si chiama la cura?» Era la voce di Caroline, tagliente e leggermente divertita da quella situazione che giocava a suo favore visto che nessuno più si concentrava sul suo problema – che era simile al mio per la differenza che io non ero ancora a questi livelli –.
Non ancora perlomeno. Scherzò la mia coscienza, anche se c’era veramente poco da scherzare.

«Preferisco non risponderti. Piuttosto tu invece, come mai sei amica di letto di una persona che ti considera solo un tappetino?» Chiese cattivo.

Come sospettavo, tra quei due non correva buon sangue. Si odiavano di cuore. Quella seduta passò così, tra le loro battutine e insulti e tra i problemi degli altri ragazzi. In particolare mi colpì la storia di un ragazzo: era traumatizzato. Appena lasciato con la sua ragazza che gli aveva rivelato di essere solo il suo passatempo, perché lei non era neanche etero.

Era stata una batosta dura per il ragazzo. Nonostante tutto no riusciva a non pensarla sempre, sfogando la sue tristezza nei disegni di cui lei era la musa.
Una storia troppo triste.

MaxField fece uscire lentamente tutti dalla sala. Ogni volta toccava la spalla ad uno di noi, che si toglieva la mascherina e se ne andava via nel silenzio più totale.
Finalmente sentii qualcuno toccarmi la spalla. Mi tolsi velocemente quella mascherina, sperando almeno che fosse rimasto qualcun altro. Anche se in fondo volevo vedere in faccia almeno uno di quei ragazzi, così da poter almeno capire che faccia avesse.

«Siamo solo noi, Elena.» Disse in tono calmo. Aveva fatto uscire tutti lasciando solo me. Stupido MaxField! Mi alzai e con stizza mi avviai verso la porta.
«Elena credo che dovresti spiegare alla tua amica il tuo vero problema.» Mi pietrificai sull’uscio della porta. Feci qualche passo indietro e mi morsi il labbro. Chiusi la porta accertandomi che nessuno avesse notato qualcosa.

«Il mio vero problema?» Feci la fintatonta. A volte sbattere le ciglia e ripetere quello che gli altri dicevano facendo finta di non capire ritornava molto utile.

«Non fare la parte della stupida. Hai capito benissimo. Nessun drogato ammetterebbe mai di essere dipendente. Piuttosto direbbe un’altra cazzata pur di non dire il suo vero problema.» Mi lasciò senza parole. Inumidii le labbra e pensai al da farsi.

«Non avevate detto che quello che succedeva qui, rimaneva qui?» Chiesi, non nascondendo la noia e il fastidio. Il suo sorriso – se possibile – si espanse ancora di più.

«Qui, le persone sanno che sei una drogata e deve rimanere qui questo “segreto”, se così vogliamo chiamarlo. Ma entrambi sappiamo che non è così. La tua amica è seriamente preoccupata. Parlale del tuo vero problema e se ti va, parlane anche con me.» Ammiccò alla fine. Rimasi sconvolta dalla perfetta analisi di MaxField, forse non era uno strizzacervelli così pessimo come pensavo.

«Ogni volta che parlerò della droga parlerò di lui.» Chiusi così il discorso, uscendo dalla porta e sapendo che aveva capito perfettamente quello che gli avevo detto.

Ogni volta che qualcuno mi chiederà di parlare di droga, io parlerò del suo sorriso. Pensai con il cuore a mille.
Caroline era fuori dalla porta e mi guardava seria, con sguardo imperscrutabile. Mi sentivo a disagio, ma non facevo trasparire niente.

«Vogliamo rimanere qui ancora per molto?» Chiesi ironica, spezzando la tensione che si era creata. Lei strabuzzò gli occhi e non disse niente. Non c’era più nessuno in quella saletta d’attesa, solo noi due.
Deglutì faticosamente e iniziò a giocare con un braccialetto che aveva al polso cercando di scaricare il nervosismo.

«Mi sai dire solo questo? Come hai potuto nascondermi una cosa del genere?» Strillò, sbattendo i piedi a terra e lasciando cadere la borsa firmata. Sospirai pesantemente e ricordai le parole di MaxField.
Giuro che per un istante avevo pensato di dirle tutto e di togliermi un peso, ma non ce la feci.

«Questo è il peggiore sbaglio che tu potessi commettere! Innamorarti di tuo fratello! Chi mai oserebbe commettere un peccato del genere?!»

M’immaginai la reazione di Caroline e decisi di non optare per la verità.
«E’ stato un grosso errore.» Dissi con gli occhi che iniziarono leggermente ad inumidirsi. Perché avevo gli occhi lucidi? Dopotutto a me cosa importava? Non me ne importava niente di Damon.

Allora stai per piangere, sapendo che non sarà mai tuo? Mi chiese la mia coscienza. Ora stavo per scoppiare. Non poteva andare peggio di così. Non potevo essere così emotiva ora…Mi morsi il labbro e provai a trattenere le lacrime.
Incontrai gli occhi chiari e limpidi di Caroline e non ce la feci più. Non ce la feci più. Le lacrime iniziarono a uscire dagli occhi senza una ragione precisa.

Forse bastava un pianto per liberarmi da tutta quell’ansia che mi ero accumulata. La guardai e lei non mi disse niente, si avvicinò a me e mi strinse a sé come solo una sorelle saprebbe fare.

«Supereremo questo insieme.» Sussurrò Caroline. Rafforzai la presa su di lei e nascosi il mio volto nella sua maglia rosa confetto. Nonostante pensasse che ero dipendente da droghe, lei voleva aiutarmi.

Non potevo essere così meschina con lei. Dovevo raccontarle la verità, solo non ora e non oggi.
«Fidati Care, non è così semplice come pensi.» Dissi alludendo alla complicata dipendenza che si era creata tra me e Damon.
Oh, sì…Lui è la mia droga.
 
 
 
 
 
 
 
Angolo dell’autrice:
Salve mondo. Sono tornata con questo capitolo!
Contenti?
Ringrazio le buone anime che hanno recensito: NikkiSomerhalder, Smolderina78, NadyDelenaLove, Darla19, Vally94 e PrincessOfDarkeness90.
Grazie alle 25 persone che hanno inserito la storia tra le preferite, alle 40
 (WOW, SIETE FANTASTICI!) che l’hanno inserita nelle seguite e all’uno che l’ha inserite nelle ricordate.
GRAZIE anche a tutti i lettori silenziosi. ^^
So che è una domanda azzardata ma…Mi volete uccidere per questo capitolo?
Elena si rende conto di tutto! (Dovrebbe essere una cosa bella no?), poi c’è questo misterioso Ian che compare e scompare e per un momento lei pensa che quello è Damon.
Mm…Il mistero s’infittisce.
Il dottor MaxField lo ritroviamo qui come psicologo! Abbiamo scoperto gli altarini: Caroline è amica di letto di un ragazzo (vediamo se indovinate chi è?^^), Elena dice chè è dipendente da droghe pur di non far capire a Ian e Care la verità (ma MaxField capisce tutto ehehehehe) e poi Ian…Questa misteriosa ragazza e questa ancor più misteriosa cura. La ragazza è Katherine, cosa le è successo secondo voi? E cos’è questa “cura”?
Non ho altro da aggiungere.
Ci vediamo tra cinque giorni.

PS: Qualcuno di voi sostiene il Bamon, oltre al Delena? Ora mi linciate, ahahahah.
Cucciolapuffosa :*
  
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