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Autore: MetalheadLikeYou    15/09/2014    1 recensioni
Chi mai avrebbe voluto una bambina di nome "Inferno"?
.
Con il passare del tempo io, Ville e Alexi diventammo dei buonissimi amici, tanto che ci soprannominarono il Trio.
Allu era più chiacchierone, ti scaldava il cuore e ti trascinava con se in tutto e per tutto, mentre Ville era quello più riflessivo e solitario.
.
Per quanto mi sforzassi di mostrare ed ostentare una forza e un menefreghismo che non possedevo, dentro di me soffrivo.
Stranamente, era come se Ville mi avesse portato via una parte del mio cuore.
***
In questa storia ci saranno anche altri personaggi di altre band finlandesi.
Genere: Erotico, Malinconico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Ville Valo
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo 18




Mi svegliai.
Ero in una stanza di ospedale, bianca e con il classico odore nauseante di medicinali.
Mi sentivo male, nonostante i continui antidolorifici che mi davano.
Mi stroppicciai gli occhi appena, lasciando poi ricadere il braccio destro lungo il mio fianco e toccando qualcosa, mi girai, trovando la testa di Alexi poggiata al materasso, stava dormendo.
Gli accarezzai i capelli, svegliandolo nonostante avessi fatto il più piano possibile.

"Sei sveglia".
"Ciao" - risposi con voce rotta e gracchiata.
"Come ti senti?".
"Dimmi che era ironico" - sussurrai - "Ho passato momenti migliori".
"Hell..io..".
"Che c'è? Ehi, sono qui, siamo qui..".
"Ci sei solo tu..." - disse, abbassando di scatto il volto e coprendolo con i lunghi capelli.
"Cosa stai dicendo?" - domandai negando a me stessa quelle sue parole.
"Non sono riusciti a salvarlo, hanno salvato te" - rispose.

Lo fissai, sentendo il mio cuore accellerare e il bip della macchina collegata ad esso, diventare più frequente e veloce.
Un'infermiera entrò di corsa, ripetendomi di calmarmi.
Come potevano dirmi di star calma?
Avevo appena perso il mio bambino.
Avevo perso i miei sogni e loro mi dicevano di stare calma.
Scoppiai a piangere, sentendo il bisogno di scappare via da lì, da tutto.
In un attimo tutto quello che avevo costriuto e il mio amore per Alexi, sparì nel buio della disperazione.
Un buio pesante e senza nessuna via d'uscita.
Un lungo sentiero da cui non potevo fuggire ne tornare indietro.
Allu mi fissava, condividendo il mio dolore ma senza capire che proprio quel dolore mi aveva fatto dimenticare tutto.
Si sedette di nuovo, prendendomi una mano e sussurrandomi che prima o poi avremmo avuto un figlio nostro e ad ogni sua parola, sentivo il mio cuore rompersi e cedere.
I miei sentimenti si stavano affievolendo come la luce di una candela, eppure, continuavo a lottare contro questa tristezza, costringendomi a rimanere al suo fianco.


*


Sentii la porta della mia stanza aprirsi, ormai era un mese e mezzo che me ne stavo in quel maledetto ospedale e avevo imparato a riconoscere qualsiasi rumore e i diversi passi di chi mi veniva a trovare.
Mi girai verso Tuomas e Tony, che mi osservavano dolcemente.

"Come state?" - domandai.
"Sono felice di vederti in piedi" - risposero insieme.
"Si con le stampelle".

Loro avevano capito e accettato, come sempre, di non chiedermi niente riguardante il mio umore.
Capivano il mio dolore e cercavano in tutti i modi di non farmelo pesare troppo.

"Oggi ti tocca il giro nel giardino".
"Sempre meglio che stare chiusa qui" - risposi, avvicinandomi ai e sorridendogli appena.
"Andiamo" - rispose il tastierista.

Il giardino dell'ospedale non era male.
Aveva delle grosse siepi che creavano una specie di piccolo labirinto, nel mezzo della piazzetta vi erano mille rose di tanti colori diversi che portavano un po di allegria e buon umore.
Vi era anche qualche pino che con la sua folta chioma, faceva ombra sulle panchine.

"A che pensi?" - chiesi fissando Tony.
"Che devi dirci qualcosa".

Sospirai.

"Hai ragione".
"Di cosa si tratta?" - domandò a sua volta il finnico.
"Appena esco di qui, me ne vado".
"Dove?".
"In America, voglio andarmene, qui sto soffocando" - ammisi, senza guardarli in faccia.
"Ed Alexi?" - chiese Tony, fissandomi con attenzione.
"Alexi andrà avanti" - risposi, strizzando gli occhi.
"Non gli dirai nulla?".
"Gli dirò quello che serve, ma non dove andrò ne cosa farò, siete gli unici a sapere ciò".
"Sei sicura di volertene andare?".
"Si".

Sentii i passi arrestarsi, costringendomi a girarmi verso di loro.
Tony piangeva a testa bassa, mentre Tuomas aveva un'espressione di pura tristezza sul viso.
Ma erano forte, avrebbero capito e mi avrebbero sorretto ancora una volta.
Ancora una.

"Tony" - sussurrai, sentendomi poi abbracciare di slancio e le stampelle cadere a terra.
"Mi mancherai".
"Anche tu, mi mancherete come l'aria" - ammisi.
"Che farai con la tua casa, hai fatto tanti sacrifici".
"Lascio le chiavi a voi...non riuscirò mai a disfarmene e se mai tornerò qui, bhe, avrò un posto dove dormire".

Lo sentii ridere, singhiozzando ancora.
Anche Tuomas mi strinse a sua volta, nascondendomi il suo viso e i suoi occhi decisamente spenti e malinconici.


*


Tornare a casa fu un sollievo, non solo perchè finalmente mi levavo dai piedi tutte le infermiere che mi fissavano con tristezza, ma anche per il semplice fatto che avevo dei programmi.
Arrivai alle 10 e sfruttai l'unica occasione utile per mettermi al pc, prenotare un hotel e un volo di sola andata delle 16 per l'America e per preparare le uniche valige che mi sarei portata dietro.
Chiamai anche un taxi, chiedendogli di venire per 14.
Non appena attaccai, vidi la porta di casa aprirsi e la figura di Alexi entrare, sorridente e avvicinarsi a me per baciarmi.

"Devo chiederti una cosa".
"Anche io".
"Ok, ti prego non interrompermi, perchè già mi sto cagando sotto" - rispose lui sorridendo appena - "Quello che è successo ci ha davvero distrutti, ho avuto il terrore di perderti e ciò mi ha fatto capire quanto io sia stato stupido e i miei errori, ho capito che non sono il migliore e che sono palloso. Ho capito che io ti amo e che voglio passare il resto della mia vita con te quindi..mi vuoi sposare?".

Lo fissai, sgranando gli occhi e scoppiando inevitabilmente a piangere, sentendomi un mostro.
Mi sedetti prendendomi il viso tra le mani.

"Cosa..?" - sentii quella domanda arrivarmi ovattata alle orecchie e appena sollevai il volto, notai lo sguardo di Allu rivolto vero le valige poggiate vicino alla porta.
"Allu..io me ne vado" - confessai con la morte nel cuore, vedendolo vacillare per qualche secondo e sedersi sul divano vicino a me.
"Perch-è? Non puoi, non voglio".
"Perchè ho bisogno di andare via".
"Io ti amo" - rispose, alzandosi e appoggiando le sue mani callose sul mio viso.
"Lo so" - risposi, sentendo le mie guance bagnarsi delle mie lacrime - "Lo so e mi dispiace".
"Non andartene, ti voglio sposare".
"Non riesco a stare qui, non riesco a vivere".
"Non lasciarmi".
"Ti amo, ti amo davvero e starai meglio, domani".
"Tu sei il mio Inferno".
"Troverai il tuo Paradiso".

Le sue labbra si posarono sulle mie, condividendo con me il suo dolore, le sue paure e tutti quei sentimenti a cui io stavo ponendo fine.

"Ti prego, resta".
"Ti prego, lasciami andare" - risposi a mia volta, mentre come se ciò potesse curare le nostre profonde e ormai incurabili ferite, ci lasciavamo andare l'una nelle braccia dell'altro, ritrovandoci poco dopo su quel letto che troppe emozioni aveva vissuto.

Quella volta fu dolce, triste, piena di rabbia e di amore.
Ci amammo e uccidemmo a vicenda, sapendo che avremmo sofferto ancora di più.
Lo vidi piangere e questo mi fece sia soffrire ancor di più, sia accettare e supportare la mia decisione.
Sarebbe andato avanti.
Avrebbe continuato a suonare, a girare il mondo.
Avrebbe trovato un'altra donna, ricevendo tutto l'amore che io, non ero più in grado di donargli ed io, io avrei continuato a sopravvivere, perchè questo stavo facendo.
Avrei forse, un giorno, ricominciato a credere in qualcosa e nell'amore.
Sarei anche tornata qui, nella mia amata Finlandia.
Nella mia Helsinki.
In questa casa.

Mi preparai e sentii il clacson del taxi, avvisarmi del suo arrivo.
Fissai ancora una volta la mia casa, che iniziava ad emanare un'aria malinconica, sorrisi appena, pensando a quello che avrei lasciato.
Sospirai e mi girai ancora una volta verso di lui.

"Ti amo" - dissi - "Per favore, dimenticami".
"Non lo farò" - rispose baciandomi un'ultima volta.
"Vai avanti, ti prego, ricomincia a vivere...ricomincia ad amare".
"Io amo te".
"Addio" - dissi, lasciando la sua mano e uscendo da casa.

Il tassista caricò le mie valige nella macchina ed io mi chiusi dentro, lasciandomi andare ad un pianto silenzioso.
Mi girai una sola volta, vedendo la casa e quel fantastico ragazzo, inginocchiato a terra e con le mani nei capelli, allontanarsi sempre di più.
Sospirai.

"Sarai felice".











******
Salve salve.
Si lo so, non solo ci ho messo molto ad aggiornare ma questo capitolo è davvero molto ma molto triste.
Perdonatemi.
Che dire, poveretti.
Tutti quanti.
Ringrazio tutte voi che leggete e commentate questa mia storia, frutto del mio cervello dalle rotelle fuori posto.
Un bacione a tutti e soprattutto buon anno scolastico a tutte quelle che hanno ricominciato in questi giorni,
(non come me che sto cercando lavoro).

  
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