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Autore: Franfiction6277    15/09/2014    3 recensioni
Fanfiction Alternate Universe con protagonisti i 30 Seconds to Mars in un ospedale psichiatrico e una bizzarra paziente che cambia nome ogni giorno.
“C’è qualcosa di inquietante in quella ragazza, è come se fosse il guscio vuoto di una persona”.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Jared Leto, Nuovo personaggio, Shannon Leto, Tomo Miličević
Note: AU, Lime | Avvertimenti: nessuno
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Shannon's POV.

Promettimelo.
Promettimelo.

"Shannon, svegliati" sentii mugugnare qualcuno.
Mmm, capelli neri, una treccia, occhi insondabili...
Aprii gli occhi di scatto, ma la mia vista non venne soddisfatta da ciò che speravo.
Una ragazza bionda e con gli occhi azzurri mi fissava con malcelata irritazione, come se avessi disturbato il suo sonno o qualcosa del genere.
"Quella maledetta sveglia sta suonando da 10 minuti. Chi diavolo si alza alle 4:30 del mattino?" borbottò Mary... no, si chiamava Nina... oppure Jean?
Mi misi seduto sul letto, ancora intontito dalla voce di Christine che mi supplicava di prometterle che l'avrei portata via in moto.
Erano passate due settimane da quello strano episodio, ma io sognavo ogni notte la sua voce che mi supplicava.
Sentii delle mani scorrere per la mia schiena, e rabbrividii per il fastidio.
Mi alzai dal letto, interrompendo quel contatto.
"Dai, Shannon, resta ancora un po' con me" piagnucolò la ragazza sdraiata sul mio letto.
"Devo andare a lavorare" borbottai, con un tono più duro di quello che intendessi usare.
D'altronde che colpa poteva avere una semplice ragazza che avevo abbordato in un bar la sera prima? In quel momento mi pareva un'idea fantastica.
"Vai a casa" continuai, entrando in bagno per farmi una doccia. Ero già in ritardo per andare al lavoro.
Mi lavai e mi vestii con gesti meccanici, rassicurato dal fatto che non odorassi più di sesso e di quello schifoso profumo da puttana.
Perché poi mi lamentassi, ancora non l'avevo capito: ero io che andavo a sbronzarmi e a rimorchiare una ragazza diversa ogni notte, no? Eppure ultimamente lo trovato più sbagliato del solito, anche senza che mio fratello Jared mi facesse la paternale.
Sapevo che in qualche modo c'era di mezzo il pensiero di Christine, e non perché la volessi o qualcosa del genere... beh, in realtà la volevo, ma nel modo in cui desideravo qualsiasi ragazza attraente e lei lo era di certo, dannazione.
Ma lei non era una ragazza da scopare, era una ragazza da non toccare, nemmeno con un dito.
Lei era malata, non era internata al Mental Health Hospital per gioco.
Mio fratello me lo diceva sempre, mi aveva parlato di lei già da prima che potessi conoscerla di persona, e sapevo che aveva avuto dei problemi gravi con la sua famiglia e con la società in generale.
Eppure era così bella, mi sorprendeva il fatto che non avesse mai avuto amici o un'adolescenza normale.
Questa curiosità mi spingeva verso di lei, mi attirava inevitabilmente verso di lei come una calamita, ed era una cosa che detestavo.
Scuotendo la testa, mi accorsi che avevo già preparato il caffè sovrappensiero e che mio fratello era seduto sul tavolo di cucina dietro di me.
"A cosa stai pensando?" mi chiese con malcelata curiosità, e sapeva già la risposta.
"A niente in particolare, non tentare di psicoanalizzarmi come fai con ogni persona che ti capita a tiro" borbottai.
Cristo santo, ero veramente di pessimo umore.
"Sai che devi stare lontano da lei, non è una di quelle bamboline che puoi usare a tuo piacimento" ribatté, tremendamente serio.
Mi irrigidii, pensando che Christine era davvero fuori dalla mia portata, dalla portata di chiunque.
Ciò che non sapevo era che in quel momento Jared mi stava nascondendo un sacco di cose, un sacco di cose che non poteva rivelarmi per via del segreto professionale, o che forse non intendeva rivelarmi perché anche lui ormai c'era dentro fino al collo.
"Vi ho visti quel giorno, fuori" continuò, senza che ci fosse bisogno di aggiungere altro.
"E allora?" ribattei, punto sul vivo.
"Le hai sfiorato una guancia come se foste... amanti" disse, inclinando la testa di lato: quel giorno aveva raccolto i capelli in una coda perfetta. Lui e le sue manie di perfezione.
"Non dire cazzate, siamo solo amici" risposi, sbattendo la tazza vuota del caffè dentro il lavello.
"Shannon, non puoi averla. Mi hai capito?" sibilò, alzandosi e mettendosi di fronte a me.
Era più alto di un paio di centimetri, ma la sua espressione fredda non mi aveva mai intimorito.
"Devo andare a lavorare, sono in ritardo" replicai, spostandolo con una manata sul petto.
Lui indietreggiò per la forza di quel gesto, ma mi lasciò passare.
Salii sulla moto, mi misi il casco e partii a tutta velocità fra le strade deserte di Los Angeles.
120, 140, 160 km/h.
Arrivai all'istituto molto prima dell'inizio del mio turno, cosa che accadeva spesso, per cui nessuno mi disse niente quando entrai nella stanza in cui gli infermieri erano soliti cambiarsi.
Andai dritto al mio armadietto senza salutare nessuno, altra cosa a cui tutti erano abituati.
L'unico infermiere con cui avevo stretto un legame era Tomo Milicevic, che sarebbe arrivato a momenti, visto che casualmente avevamo sempre gli stessi turni.
Mi misi la divisa senza guardare nessuno, intrappolato in quel cazzo di lavoro che non volevo fare, per l'ennesima volta.
Ma ammetto che quel lavoro aveva i suoi pro, era un lavoro abbastanza tranquillo, a parte quando...
"Hai saputo? Stanotte ha avuto una crisi" disse Greg, entrando nella stanza.
... appunto. Aguzzai l'udito, fingendo di cercare qualcosa dentro  il mio armadietto.
"Sì, è stato assurdo: ho visto Mark e Jim cercare di fermarla, ma scalciava come una bestia. Supplicava che qualcuno la portasse via di qui. Come se potesse andarsene: è uno dei casi più gravi, qui" rispose Bob, con una risatina nervosa.
Mi irrigidii e sgranai gli occhi, capendo immediatamente a chi si riferissero.
Mi misi le pantofole da infermiere e corsi fuori, senza far caso alle loro occhiate perplesse.
Corsi a perdifiato per tutto il corridoio, raggiungendo in un baleno la SUA stanza.
Dal vetro vidi che era distesa supina, bianca come un cencio, con la coperta fino al mento, e aveva delle occhiaie spaventose.
Entrai silenziosamente, chiudendo la porta dietro di me.
Dannazione, avrei dovuto almeno portare le sue medicine... cosa avrebbe pensato, se mi avesse trovato lì a fissarla?
Mi inginocchiai di fronte al suo letto, con il suo viso a pochi centimetri dal mio.
Le accarezzai piano i capelli: erano tutti scompigliati, sicuramente a causa del fatto che aveva tentato di lottare contro gli infermieri.
Le sue mani erano piene di cicatrici, sapevo che le iniezioni che le facevano per prendere delle fialette di sangue avevano effetto solo sulle mani, visto che le vene delle sue braccia non davano sangue.
"Mi dispiace così tanto di non esserci stato" sussurrai, più a me stesso che a lei.
Le sue palpebre tremolarono, e mi alzai, temendo che si svegliasse all'improvviso.
In quel momento era sotto sedativi, probabilmente sarebbe rimasta intontita per tutto il giorno.
Andai a prendere le sue medicine delle 6, e notai che Tomo era entrato proprio in quel momento: i suoi capelli lunghi fino alle spalle nascondevano molto bene le sue cuffie, che fu costretto a togliersi appena varcò la soglia dell'istituto.
"Ciao" lo salutai, correndo di nuovo verso la camera di Christine.
"Ciao, Shan" rispose, perplesso dalla mia fretta.
Posai il vassoio con le medicine sopra il suo comodino, e lei scelse proprio quel momento per svegliarsi. Sospirai di sollievo.
"Ho sentito che hai fatto arrabbiare Mark e Jim" dissi beffardo.
"Sono loro che mi hanno fatto arrabbiare: volevano che non uscissi in giardino senza permesso. Roba da matti" rispose, sbadigliando.
Risi: era sempre la solita testarda che infrangeva le regole.
"Tieni" le porsi le medicine, e lei le mandò giù senza dire una parola.
"Ho annullato i tuoi programmi scolastici di oggi, penso che farai meglio a riposarti. Ti hanno dato dei sedativi, e a quanto vedo anche forti. Sei stata una bambina cattiva" dissi, guardandola con un sorriso sghembo.
Lei arrossì, e la cosa mi divertì più di quanto avrebbe dovuto farlo.
L'avevo vista guardarmi la schiena con aria attonita, un giorno: la sua attrazione verso di me era innegabile.
La cosa era reciproca, solo che io ero più bravo a nasconderlo.
"Stai cercando di impedire la mia istruzione?" ribatté divertita, slegandosi i capelli, che ricaddero in onde nere attorno al suo collo.
La mia bocca si inaridì di colpo, e la voglia di toccare quelle onde soffici si fece violentemente strada dentro di me.
La vidi ansimante, sotto di me, con il viso rosso e gli occhi socchiusi.
"Solo per oggi, promesso. Poi potrai ammazzarti con lezioni su Shakespeare e tutte quelle cavolate poetiche" risposi, schiarendomi la gola.
"Non sono cavolate" rise lei, intrecciando i suoi capelli, che come al solito ricaddero da una parte.
Mi ricordava Lara Croft, in qualche modo, con quella grossa treccia perfetta.
"Perché non li lasci slegati, qualche volta?" le chiesi, prima che potessi trattenermi.
Lei si irrigidì alla mia domanda, mentre qualche brutto ricordo si faceva strada dentro di lei e i suoi diventavano vitrei.
Corsi immediatamente di fronte a lei, inginocchionandomi per averla all'altezza dei miei occhi.
"Mi dispiace, mi dispiace davvero. Non volevo" sussurrai, intrecciando le mie mani alle sue: erano così fredde, come se le avesse immerse in un congelatore.
I suoi occhi mi misero di nuovo a fuoco, e in quegli occhi vidi un dolore che non avevo mai visto negli occhi di nessun altro.
"Va tutto bene, stupido" ridacchiò, dandomi un buffetto sul braccio e alzandosi dal letto.
"Andiamo a farci un giro fuori, ti va?" chiesi, sapendo che non avrebbe mai rifiutato. E invece...
"No, oggi preferirei stare dentro" rispose, spingendomi fuori dalla porta perché doveva cambiarsi.
Se rifiutava un giro fuori, la cosa doveva essere più grave di quanto pensassi.
Mentre camminavo per il corridoio, andando in cucina per iniziare a distribuire la colazione, incrociai mio fratello, che stava entrando proprio in quel momento.
Non ci rivolgemmo la parola, arrabbiati entrambi per la piccola discussione che avevamo avuto di mattina presto.
Tomo si avvicinò per prendere dei vassoi, e dal suo sguardo desolato capii che aveva saputo della crisi notturna di Christine.
"Sta bene, sono andato a controllarla proprio poco fa" lo rassicurai, e il suo sguardo si illuminò di nuovo.
Sapevo che era stato per tanto tempo l'unico amico di Christine, prima che entrassi a lavorare io.
Lui era il suo fornitore ufficiale di musica illegale, così lo chiamava lei.
Forse anche io avrei potuto procurarle un po' di musica: Led Zeppelin, Pink Floyd, KISS.
Presi anch'io un vassoio, e Christine entrò nel soggiorno proprio in quel momento, con un paio di jeans stretti e una felpa più grande non so di quante taglie rispetto alla sua.
Tentava sempre di nascondere le sue curve, come se non si piacesse.
Non si truccava mai, anche se non ne aveva bisogno: chi l'avrebbe notata lì dentro?
Presi il vassoio con la sua colazione e lo posai di fronte a lei: caffellatte, biscotti, una bustina di zucchero.
"Siediti" borbottò sovrappensiero, senza guardarmi.
La accontentai, sedendomi di fronte a lei e incrociando le braccia al petto.
"Ti disegno" mi spiegò, prendendo l'albo e la matita che ormai erano un prolungamento del suo braccio.
Mi schiarii la gola, improvvisamente imbarazzato.
"Non dovresti mangiare, prima?" le chiesi, indicando con un gesto sbrigativo il suo vassoio ancora pieno.
"Lo farò mentre ti disegno. E adesso zitto" rispose, con un sorrisetto impertinente.
Sbuffai e rimasi a fissarla mentre mi disegnava: aveva la testa inclinata di lato, come se mi stesso studiando attentamente.
Oh, dannazione.
"Senti, ho un sacco di lavoro da fare" mentii, cercando di alzarmi.
Lei mi prese per un braccio, stringendolo dolcemente, e mi spinse di nuovo verso la sedia.
Come potevo dirle di no?
Passò non so quanto tempo, ma mi tranquillizzai vedendo che almeno mangiava sovrappensiero mentre mi disegnava.
Cosa c'era di così pazzesco in me, da averle fatto venire voglia di disegnarmi?
"Finito" esclamò entusiasta, e girò l'albo verso di me.
Era... stupendo. Ero io, in tutti i dettagli più minuziosi.
Aveva sottolineato persino i miei tatuaggio, marcandoli come se le piacessero.
Avevo uno sguardo imbronciato, e sapevo che aveva colto la parte di me che predominava quel giorno.
Capii che mi trovava bello, lo capii dal modo in cui le sue dita erano andate a sottolineare l'ombra delle mie ciglia, la forma delle mie sopracciglia, la curva del mio collo.
"Sei brava" riflettei: non era brava, la sua mano era quella di Dio.
"Grazie" rispose soddisfatta, poi mise con cura il ritratto nell'albo per non sciuparlo.
"Hai intenzione di tenertelo tu?" chiesi imbarazzato, alzandomi.
"Certo... su qualcuno dovrò pur sbavare" rispose divertita, e rimasi a bocca aperta.
Scoppiai a ridere, cercando di prenderle l'albo, mentre lei ridacchiava e mi diceva di smetterla.
Le avvolsi le braccia attorno alla vita, cercando di farle il solletico, e il suo sguardo incrociò il mio.
Oh, merda. La volevo.
"Shannon! Nel mio ufficio!" esclamò Jared, furioso.
Lo sapevo, lo sapevo.


Note dell'autrice:
HA, questa volta sono riuscita a scrivere un altro capitolo in 5 giorni, sono fiera di me stessa!
Spero che l'aver cambiato il punto di vista non vi abbia scosso troppo, ma direi che per me è stato un piacere entrare nella testa di Shannon per un po'.
Alla prossima!
- Fran
   
 
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