Capitolo
2
Suggestione
indotta?
Lo
pensa davvero più ora che Daniel si sta avvicinando a lui lungo la sala
d’aspetto dell’aeroporto, bello e solare come se lo ricordava?
Ora
che gli sta andando incontro trattenendo l’impulso di mettersi a
correre.
Volargli
letteralmente tra le braccia per ritrovare il calore del suo abbraccio
e il
profumo della sua pelle che così bene ha avuto modo di imparare durante
le
centinaia di ore di lavoro sul set?
Che
non è riuscito mai a dimenticare.
Che
sente ovunque, intorno a sé, anche quando crede di non pensarlo.
Non
ne è più tanto sicuro.
Non
è sicuro più di niente…
…
da troppi mesi ormai non ha più una sola fottuta certezza che sia una.
E
meno che mai ne ha in quel momento.
Ora
che è lì davanti a sé, solido e reale.
Non
frutto della propria immaginazione.
Non
fotogrammi di episodi di una serie televisiva che ha guardato e
riguardato fino
a consumare le tracce dei cd su cui erano state incise.
Ma
vero, in carne e ossa.
A
pochi centimetri.
Il
bellissimo sorriso che gli illumina il volto.
Gli
occhi verdi, brillanti, colmi di parole ancora non dette, puntati nei
suoi come
a volergli entrare dentro e sprofondarlo in essi.
Tutto
il castello di spiegazioni, scuse, interpretazioni si sgretola
nell’istante
esatto in cui Daniel si ferma davanti a lui, in mezzo alla sala
d’aspetto che
va svuotandosi dei passeggeri del volo appena arrivato.
Nel
preciso istante in cui ogni cosa intorno a loro sparisce come fossero
soli e
alcun suono giunge più alle loro orecchie, se non i propri respiri
contratti
dall’emozione di rivedersi.
-
Ciao!
– Gli sussurra Daniel.
-
Ciao!
– Gli fa eco lui, incapace di fuggire il suo sguardo.
Immobile,
non più padrone
del proprio corpo, attende non sa cosa, mentre sente le iridi verdi che
disegnano
immaginari percorsi sul suo viso alla ricerca di ogni suo più piccolo
particolare.
Come a
volerlo richiamare
alla mente.
Riconfermarlo.
Riconoscerlo.
Agitato
più di quanto
avrebbe immaginato, Daniel fa un gesto indistinto con le mani, poi di
colpo
sbuffa.
-
Oh
al diavolo, ma chi se ne frega!! – Impreca.
E gli
prende il viso con
entrambe le mani, si china su di lui e gli sfiora la bocca socchiusa
con un
bacio.
Hema
sobbalza sorpreso, ma
non si sottrasse.
L’ha
già vissuto quella
carezza morbida.
Quante
volte?
Quante?
D’un
tratto una bolla di
calore gli esplode nel petto e nella testa, provando una strana,
familiare
sensazione.
Sente
una vertigine fargli
girare la testa e d’istinto si aggrappa ai suoi polsi come a volersi
sorreggere.
E viene
intossicato dal
calore che gli giunge da lui sotto le dita.
Perché
improvvisamente si
sente come… a casa?
Daniel
si scosta solo di
qualche millimetro, respirando il suo respiro inesistente e gli sorride
di
nuovo, mandandolo in ulteriore confusione.
-
Ciao!
– Gli dice per la seconda volta, in cuor suo felice ed incredulo.
Hema
risponde al suo sorriso
e inclina un poco la testa di lato.
Percepisce
sgomento che gli
occhi gli si stanno riempiendo di quelle maledette lacrime che da ore
lo pungono
agli angoli come spilli.
-
Hey,
va tutto bene. – Si sente rassicurare dalla voce dolce di Daniel.
Annuisce
più per riflesso
che per convinzione, troppo spaesato per riuscire a pensare.
Paura,
gioia, vertigine,
commozione, confusione.
Impossibile
gestire tutte
quelle emozioni, tutte insieme.
Si
sente soffocare.
Non è
abituato.
Può
fare una cosa per volta,
lui.
Quello
è troppo!
Daniel
pare intuire il suo
stato d’animo, gli lascia il volto che ha trattenuto fino a quel
momento, gli fa
scorrere le mani lungo i fianchi, intorno alla vita e lo attira a sé,
chiudendolo affettuosamente nel proprio abbraccio, pregando perché
riesca a
trasmettergli una parvenza di calma.
Lo
sente tremare mentre
piega il capo sul suo, affondato nella sua spalla.
Poi
sospirare quel respiro
che ha inconsciamente conservato fino ad allora.
E
rilassarsi appena un poco
contro di lui.
Non
dice niente perché
niente c’è da dire.
O
troppe cose.
Troppe
per poterle
pronunciare nella sala di un aeroporto.
Troppe
emozioni a cui dar
voce.
Troppi
timori.
Troppe
domande conosciute e
sconosciute.
Dopo
qualche minuto lo
scioglie dalle sue braccia.
-
Vieni,
andiamo a casa, sarai stanco del viaggio. – Butta là. – Hai dei bagagli
da
ritirare? –
Stordito,
Hema lo guarda un
attimo disorientato.
Poi con
uno sforzo
indicibile riesce a fare mente locale e scuote la testa.
-
No,
ho portato solo questo. – Gli risponde, indicando lo zaino che ha
abbandonato
ai suoi piedi poco prima.
-
Ah…
ok… allora andiamo. –
Per un
istante ha l’impulso
di prenderlo per mano come se fosse la cosa più ovvia del mondo,
incapace di
spiegarsi perché lo sia.
Tuttavia
si trattiene e
lascia che si senta libero di affiancarlo e seguirlo verso l’uscita.
-
E’
stato un volo tranquillo? – Gli chiede, cercando di ingannare l’ansia,
mentre
gli fa strada.
-
Si,
grazie. –
-
Hai
mangiato qualcosa a bordo? –
-
…
No… -
-
Come
no? Quante ore di viaggio ti sei fatto: otto, nove? -
-
Undici.
–
-
E
non hai mangiato niente? –
-
No,
non lo faccio mai quando prendo un aereo, mi viene mal di stomaco. –
Daniel
lo guarda un poco
stupito.
Poi
attraversa la porta
automatica che porta fuori.
-
Avrai
fame e sarai stanco, allora. Poco male, è quasi ora di cena. –
Il
ragazzo non dice niente
mentre la luce del sole all’esterno lo fa riflettere che sembra pieno
giorno
invece che l’approssimarsi della sera.
-
Vedrai
che mentre arriviamo a casa ti ritroverai il tramonto alle spalle. –
Gli dice
Daniel come avesse intuito i suoi pensieri. – E’ così qui d’estate, lo
sai…
Tieni, mettilo. –
Mettere
cosa?
Si
domanda Hema ritrovandosi
tra le mani un oggetto sferico tutto nero.
Un
casco.
Lo
riconosce dopo un po’.
Poi
vede poco più in là una
moto di grossa cilindrata, nera coi profili grigio acciaio.
-
Hai
una moto. – Afferma più a se stesso che al suo ospite.
-
Si,
ti piace? –
-
E’
bellissima! –
-
Grazie,
spero non ti spiaccia che sia venuto a prenderti con questa invece che
con
l’auto. A quest’ora con il traffico è la cosa migliore per filare via
senza
rimanere intrappolati in code chilometriche. –
-
Hai
ragione. -
Daniel
annuisce convinto e
indossa il casco.
Armeggia
con le chiavi nel
cruscotto della Kawasaki e la tira giù dal cavalletto, facendola uscire
dal
parcheggio, poi vi sale e si gira aspettando che Hema lo imiti.
Il
giovane sussulta e si
affretta.
-
Sei
pronto? – Si sente domandare dopo essersi sistemato dietro.
Annuisce
un poco agitato: dovrà
tenersi a lui, rifletté solo in quel momento.
Abbracciarlo
per non cadere.
Far
scivolare le proprie
braccia intorno ai suoi addominali perfetti.
Toccarlo.
Il
cuore gli manca un
battito, rubandogli il respiro già difettoso.
-
Non
hai paura di correre, vero? - Gli
chiede
Daniel incerto. Un suo diniego pare rassicurarlo. - Ok, allora tieniti
forte. –
Abbassa
la visiera, sparendo
al di là del nero lucido e mette in moto.
Hema si
arrampica meglio sul
sedile, si sistema il casco e cerca di mettersi più comodo possibile
tenendosi
a debita distanza da lui.
Fluida
la moto esce adagio
fino alla strada principale.
Dopo di
che si immette nella
corsia e accelera: in poco meno di un secondo mangia letteralmente
l’asfalto
rombando e volando via.
Hema,
che ha stupidamente
pensato sarebbe stato sufficiente tenersi appena poggiando le mani
sulla maglia
di Daniel, d’un tratto si sente risucchiare via dal vento e si
precipita a
serrare le braccia intorno ai suoi fianchi, aderendogli completamente
alla
schiena e tenendosi stretto a lui per non rischiare di sfracellarsi al
suolo.
E non
pensa più
all’imbarazzo del contatto così ravvicinato.
Né al
cuore che prende a
battergli forte per l’emozione di sentirlo di nuovo contro di sé.
Semplicemente
non pensa più.