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Autore: Tresor    15/09/2014    0 recensioni
[Coppia Daniel Feuerriegel/Pana Hema Taylor]
Com’è cominciata quella strana telefonata?
Un nome sul display dello smartphone.
Quattro lettere.
Un nome semplice eppure insolito.
Un saluto altrettanto semplice…
Genere: Erotico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Un po' tutti
Note: Lemon | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 2

 

 

Suggestione indotta?

Lo pensa davvero più ora che Daniel si sta avvicinando a lui lungo la sala d’aspetto dell’aeroporto, bello e solare come se lo ricordava?

Ora che gli sta andando incontro trattenendo l’impulso di mettersi a correre.

Volargli letteralmente tra le braccia per ritrovare il calore del suo abbraccio e il profumo della sua pelle che così bene ha avuto modo di imparare durante le centinaia di ore di lavoro sul set?

Che non è riuscito mai a dimenticare.

Che sente ovunque, intorno a sé, anche quando crede di non pensarlo.

Non ne è più tanto sicuro.

Non è sicuro più di niente…

… da troppi mesi ormai non ha più una sola fottuta certezza che sia una.

 

E meno che mai ne ha in quel momento.

Ora che è lì davanti a sé, solido e reale.

Non frutto della propria immaginazione.

Non fotogrammi di episodi di una serie televisiva che ha guardato e riguardato fino a consumare le tracce dei cd su cui erano state incise.

Ma vero, in carne e ossa.

A pochi centimetri.

Il bellissimo sorriso che gli illumina il volto.

Gli occhi verdi, brillanti, colmi di parole ancora non dette, puntati nei suoi come a volergli entrare dentro e sprofondarlo in essi.

 

Tutto il castello di spiegazioni, scuse, interpretazioni si sgretola nell’istante esatto in cui Daniel si ferma davanti a lui, in mezzo alla sala d’aspetto che va svuotandosi dei passeggeri del volo appena arrivato.

Nel preciso istante in cui ogni cosa intorno a loro sparisce come fossero soli e alcun suono giunge più alle loro orecchie, se non i propri respiri contratti dall’emozione di rivedersi.

-          Ciao! – Gli sussurra Daniel.

-          Ciao! – Gli fa eco lui, incapace di fuggire il suo sguardo.

Immobile, non più padrone del proprio corpo, attende non sa cosa, mentre sente le iridi verdi che disegnano immaginari percorsi sul suo viso alla ricerca di ogni suo più piccolo particolare.

Come a volerlo richiamare alla mente.

Riconfermarlo.

Riconoscerlo.

Agitato più di quanto avrebbe immaginato, Daniel fa un gesto indistinto con le mani, poi di colpo sbuffa.

-          Oh al diavolo, ma chi se ne frega!! – Impreca.

E gli prende il viso con entrambe le mani, si china su di lui e gli sfiora la bocca socchiusa con un bacio.

Hema sobbalza sorpreso, ma non si sottrasse.

L’ha già vissuto quella carezza morbida.

Quante volte?

Quante?

D’un tratto una bolla di calore gli esplode nel petto e nella testa, provando una strana, familiare sensazione.

Sente una vertigine fargli girare la testa e d’istinto si aggrappa ai suoi polsi come a volersi sorreggere.

E viene intossicato dal calore che gli giunge da lui sotto le dita.

Perché improvvisamente si sente come… a casa?

Daniel si scosta solo di qualche millimetro, respirando il suo respiro inesistente e gli sorride di nuovo, mandandolo in ulteriore confusione.

-          Ciao! – Gli dice per la seconda volta, in cuor suo felice ed incredulo.

Hema risponde al suo sorriso e inclina un poco la testa di lato.

Percepisce sgomento che gli occhi gli si stanno riempiendo di quelle maledette lacrime che da ore lo pungono agli angoli come spilli.

-          Hey, va tutto bene. – Si sente rassicurare dalla voce dolce di Daniel.

Annuisce più per riflesso che per convinzione, troppo spaesato per riuscire a pensare.

Paura, gioia, vertigine, commozione, confusione.

Impossibile gestire tutte quelle emozioni, tutte insieme.

Si sente soffocare.

Non è abituato.

Può fare una cosa per volta, lui.

Quello è troppo!

Daniel pare intuire il suo stato d’animo, gli lascia il volto che ha trattenuto fino a quel momento, gli fa scorrere le mani lungo i fianchi, intorno alla vita e lo attira a sé, chiudendolo affettuosamente nel proprio abbraccio, pregando perché riesca a trasmettergli una parvenza di calma.

Lo sente tremare mentre piega il capo sul suo, affondato nella sua spalla.

Poi sospirare quel respiro che ha inconsciamente conservato fino ad allora.

E rilassarsi appena un poco contro di lui.

Non dice niente perché niente c’è da dire.

O troppe cose.

Troppe per poterle pronunciare nella sala di un aeroporto.

Troppe emozioni a cui dar voce.

Troppi timori.

Troppe domande conosciute e sconosciute.

 

Dopo qualche minuto lo scioglie dalle sue braccia.

-          Vieni, andiamo a casa, sarai stanco del viaggio. – Butta là. – Hai dei bagagli da ritirare? –

Stordito, Hema lo guarda un attimo disorientato.

Poi con uno sforzo indicibile riesce a fare mente locale e scuote la testa.

-          No, ho portato solo questo. – Gli risponde, indicando lo zaino che ha abbandonato ai suoi piedi poco prima.

-          Ah… ok… allora andiamo. –

Per un istante ha l’impulso di prenderlo per mano come se fosse la cosa più ovvia del mondo, incapace di spiegarsi perché lo sia.

Tuttavia si trattiene e lascia che si senta libero di affiancarlo e seguirlo verso l’uscita.

-          E’ stato un volo tranquillo? – Gli chiede, cercando di ingannare l’ansia, mentre gli fa strada.

-          Si, grazie. –

-          Hai mangiato qualcosa a bordo? –

-          … No… -

-          Come no? Quante ore di viaggio ti sei fatto: otto, nove? -

-          Undici. –

-          E non hai mangiato niente? –

-          No, non lo faccio mai quando prendo un aereo, mi viene mal di stomaco. –

Daniel lo guarda un poco stupito.

Poi attraversa la porta automatica che porta fuori.

-          Avrai fame e sarai stanco, allora. Poco male, è quasi ora di cena. –

Il ragazzo non dice niente mentre la luce del sole all’esterno lo fa riflettere che sembra pieno giorno invece che l’approssimarsi della sera.

-          Vedrai che mentre arriviamo a casa ti ritroverai il tramonto alle spalle. – Gli dice Daniel come avesse intuito i suoi pensieri. – E’ così qui d’estate, lo sai… Tieni, mettilo. –

Mettere cosa?

Si domanda Hema ritrovandosi tra le mani un oggetto sferico tutto nero.

Un casco.

Lo riconosce dopo un po’.

Poi vede poco più in là una moto di grossa cilindrata, nera coi profili grigio acciaio.

-          Hai una moto. – Afferma più a se stesso che al suo ospite.

-          Si, ti piace? –

-          E’ bellissima! –

-          Grazie, spero non ti spiaccia che sia venuto a prenderti con questa invece che con l’auto. A quest’ora con il traffico è la cosa migliore per filare via senza rimanere intrappolati in code chilometriche. –

-          Hai ragione. - 

Daniel annuisce convinto e indossa il casco.

Armeggia con le chiavi nel cruscotto della Kawasaki e la tira giù dal cavalletto, facendola uscire dal parcheggio, poi vi sale e si gira aspettando che Hema lo imiti.

Il giovane sussulta e si affretta.

-          Sei pronto? – Si sente domandare dopo essersi sistemato dietro.

Annuisce un poco agitato: dovrà tenersi a lui, rifletté solo in quel momento.

Abbracciarlo per non cadere.

Far scivolare le proprie braccia intorno ai suoi addominali perfetti.

Toccarlo.

Il cuore gli manca un battito, rubandogli il respiro già difettoso.

-          Non hai paura di correre, vero? -  Gli chiede Daniel incerto. Un suo diniego pare rassicurarlo. - Ok, allora tieniti forte. –

Abbassa la visiera, sparendo al di là del nero lucido e mette in moto.

Hema si arrampica meglio sul sedile, si sistema il casco e cerca di mettersi più comodo possibile tenendosi a debita distanza da lui.

Fluida la moto esce adagio fino alla strada principale.

Dopo di che si immette nella corsia e accelera: in poco meno di un secondo mangia letteralmente l’asfalto rombando e volando via.

Hema, che ha stupidamente pensato sarebbe stato sufficiente tenersi appena poggiando le mani sulla maglia di Daniel, d’un tratto si sente risucchiare via dal vento e si precipita a serrare le braccia intorno ai suoi fianchi, aderendogli completamente alla schiena e tenendosi stretto a lui per non rischiare di sfracellarsi al suolo.

E non pensa più all’imbarazzo del contatto così ravvicinato.

Né al cuore che prende a battergli forte per l’emozione di sentirlo di nuovo contro di sé.

Semplicemente non pensa più.

   
 
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