Si
asciugò il sudore che gli scivolava sulle tempie con il
consueto gesto di portarsi il dorso della mano alla fronte.
La sua faccia era madida, oltre che di sudore, si sozzume e
lubrificante olezzo che impregnava le piaghe della pelle che con gli
anni gli avevano invaso la faccia.
Riprese ad armeggiare, soffiando per il disprezzo e il nervoso,
tentando invano di scacciare
Vegeta dai suoi pensieri.
Sempre lui era l’oggetto delle sue preoccupazioni.
Un angolo della bocca si piegò all’insù
sotto i folti baffi che da qualche tempo lasciava attecchire in un
sorriso tutt’altro che di gioia.
La natura di quel riso infelice e amaro venne tradita da una grinza di
fastidio sulla fronte e dalla foga e forza che impiegava nei movimenti.
Si lasciò sfuggire un altro cenno di irritazione, e insieme
a questo si lasciò sfuggire l’arnese.
Nitida l’immagine di Vegeta che se ne andava ritornava ad
essere materia dei suoi pensieri, il
bambino arrabbiato e indisposto che usciva per procacciarsi il cibo che
da lui non avrebbe avuto.
Ricordava l’occhiata istigatoria che gli aveva rivolto.
In risposta aveva borbottato qualche maledizione e qualche insulto,
Vegeta non aveva risposto e lo aveva lasciato solo con il suo cruccio.
Allungò la mano alla ricerca di un arnese, ma questa
vagò a cercare sulla superficie liscia del tavolo in metallo
tastando alla cieca fino ad arrivare allo spigolo.
Le sue dita scorsero lungo le gambe e si lasciò sfuggire un
altro rumoroso sbuffo, contrariato all’idea di doversi
piegare.
Ora la mano si aggirava sul pavimento errò per un minuto
buono alla ricerca di un oggetto disperso.
Straziato dal dolore alla schiena si alzò deciso alla
ricerca dello strumento quando si sentì picchiettare sulla
spalla.
-Scusi? Cercava questo?-
***
Klareth vide Vegeta rimanere impassibile all’avvicinarsi dei
teppisti che stavano seriamente rischiando di rovesciarsi a terra
vicendevolmente.
Barcollando sbattevano l’uno contro l’altro,
travolgevano secchi del pattume, sbattevano sui muri e prodigiosamente
non cadevano, tramortiti quanto erano dall’alcol tracannato.
Appena furono sufficientemente vicini riuscì addirittura a
percepirne il puzzo alcolico che spiravano e alitavano in faccia a
Vegeta mentre parlavano.
-Certo che si ricorda- rispose uno di loro alla domanda di quello, con
la bottiglia nella mano.
Uno di loro gli pizzicò scherzosamente la guancia senza che
lui emettesse un fiato.
Forse il piccolo si era premurato di trovare un posto per loro nella
sua memoria, con infinita precisione, aveva registrato gli avvenimenti
dell’anno passato nel cervello, ma loro, evidentemente
perché il vino aveva reso il loro cervello, per quanto
ciò che possedevano in testa potesse essere ascrivibile a
ciò, non più utile di quanto sarebbe stata acqua
e sapone al suo posto.
La birra aveva reso la loro memoria inaffidabile e gli avvenimenti
frammentari e lacunosi nella loro mente, ricordavano vagamente un
ragazzino dal viso simile ad una maschera di sprezzo e una buffa coda
dal pelo scuro.
Vegeta, non vedendo le dita smettere di strizzare la sua gota
allontanò la mano con uno schiaffo.
Il ragazzo la levò dalla sua faccia, ma non
indietreggiò, la vista gli era resa impossibile da una
patina che sfumava ai suoi occhi le immagini, non potè
notare il piglio incredibilmente infastidito e ostile del piccolo.
Ma distinse i contorni della sua bocca che si contraeva in una smorfia
invelenita
***
Aveva davanti un uomo, alto.
Lo sovrastava di qualche centimetro grazie alla zazzera eversiva in cui
ciuffi si direzionavano da tutte le parti.
Aveva gradi occhi neri che conservavano la genuina ingenuità
infantile e un’ espressione sinceramente lieta e spensierata.
Era nerboruto e portava una casacca arancione con affisso sul petto a
destra uno stemma illeggibile per lui.
Alla vita portava una cintura blu e polsini e stivali dello stesso
colore.
Gli porgeva l’arnese con aria amica e benevola.
Era desideroso di aiutare e mostrava l’imbarazzo
dell’ospite educato che cerca, in qualche modo, di non dare
troppa noia al padrone.
Non aveva capito come avesse fatto ad entrare, ma la sua espressione
gli instillava fiducia, non aveva l’aria di chi vuole
rendersi un pericolo, tutt’altro.
Disorientato lo osservò, poi guardò
ciò che gli porgeva.
Accettò l’arnese con un sorriso accondiscendente.
-Grazie...chi sei?-
L’uomo portò il braccio dietro la nuca con
spontaneità, quasi potesse discolparsi di essere entrato
candestinamente e di essersi rivelato solo ora ostentando
l’innocenza infantile, in virtù della quale, i
bambini venivano assolti dalle loro malefatte e prosciolti dalla
condanna.
-Mi spiace essermi introdotto così in casa sua- si
scusò.
Annuì lievemente perplesso.
-Posso sapere la ragione per la quale l’hai fatto? Non hai
l’aria di essere un cattivo ragazzo-
Il giovane portò le mani davanti a se agitandole come a
voler scacciare le sue incertezze.
-E infatti non c’è ragione per cui lei si
preoccupi, le assicuro che non sono un pericolo-
Era sospettoso l’affanno con cui tentava di convincerlo di
non essere una minaccia per la sua vita tranquilla.
Annuì sempre più incerto sulla natura della
visita del ragazzo.
-Ragazzo se sei entrato qui solo per questo puoi anche andare- disse
girando sui tacchi e ritornando al suo lavoro.
-No, no aspetti!- riportò le mani davanti a se a indicare di
fermarsi.
-Che altro c’è adesso?-
Il ragazzo smise la sua aria serena per adottarne una più
seria che non si confaceva alla sua indole gaia e puerile.
-Si tratta…di Vegeta-
Al sentire il nome di colui a cui egli aveva dedicato la vita si
girò allarmato, e l’occhio gli cadde
sull’insolito accessorio circolare che portava sospeso sopra
il capo il visitatore.
***
-Levatevi!- disse incamminandosi nella loro direzione e aprendosi un
varco scostandoli violentemente con un gesto delle braccia.
Klareth immagino che se parlasse così fosse nelle condizioni
per farlo.
Vegeta aveva smesso di eclissarla con la sua figura e ora, quattro
visi, scattarono verso la sua personcina.
Intimorita dalle facce che ora la fissavano ebeti e perverse, si
incamminò inquieta seguendo i passi del coetaneo guardando
di sottecchi i loro ghigni mentre infilava il corridoio creato da
Vegeta.
-Eh chi è questa signorina?- chiese quello con il ferro in
mano trattenendola per il solino della camicetta.
-Non sapevo avessi amichette...- disse un altro avvicinandosi anche lui
a Klareth che non aveva opposto resistenza alla mano che le aveva
afferrato il bavero, troppo spaventata per fare alcunché .
Un ciccione le mise le due mani sulle spalle, attirandola alle sue
gambe.
Klareth sperava davvero che l’alcol non avrebbe fatto
sfociare la loro stupidità in perversione.
Vegeta si voltò al commento acre del ragazzo con un tremito
di rabbia misto a disagio.
-Aiuto- soffiò Klareth, che tentava disperatamente di non
inalare troppo l’odore spanto da quegli individui,
augurandosi che non le si appiccicasse alle vesti e alla pelle.
-Potete farne quel che vi pare-
Eccola la sua condanna.
Strinse il bavero tra le dita unticce la tirò verso
l’alto lasciandola penzolare e sgambettare per aria nel
tentativo di sottrarsi a quello strazio.
Senza smettere di dimenare gambe e l braccia latrò con voce
straordinariamente acuta minacce di terribili percosse che il padre
avrebbe inflitto loro, ma visto che quei tipi sinistri sembravano
godere della sua magra figura non le rimase altro da fare che evocare
la pietà del ragazzino.
-Per favore non lasciarmi qui - si lagnò riuscendo ad
articolare qualche altra implorazione tra i singhiozzi che le
uccidevano il respiro e le parole in gola.
Vegeta era rimasto a riempirsi le orecchie di quello strazio, delle
risate divertite, dei pianti isterici, ma quando la cosa
cominciò a risultare fastidiosa procedette per la sua strada
deciso ad abbandonarla al suo destino, ma non c’era limite al
pervertimento che i vini generavano in individui come loro.
Sentì una mano sulla spalla trascinarlo sempre
più vicino alla fonte del piagnisteo.
Si sentì tirare per le maniche delle magliette e sollevare
mentre sbatteva gli arti e la coda di qua e di là
contrariato, nel intento di colpire i suoi aggressori.
Mentre già stava caricando un colpo più mirato la
coda venne intercettata da una delle otto grosse mani di quei
soggetti, che trovarono divertente infliggergli un potente
strattone che lo costrinse controvoglia a gemere come un bimbetto e a
irrigidire i muscoli degli arti inferiori.
Osservò a denti stretti la pateticità con cui la
mocciosa cercava di svincolarsi dalla loro presa.
Un capogiro lo colse alla sprovvista al secondo strattone, ma stavolta
stroncò il lamento privandoli
della soddisfazione di cui avevano goduto poco prima.
Il terzo strattone non fece in tempo ad arrivargli perché lo
strido che emise la bimba a volumi acuti preoccupanti costrinse ognuno
a tapparsi le orecchie con le mani libere per fuggire il loro udito ad
una lesione certa.
Vegeta strinse i denti inibendosi dal soccorrere le sue orecchie e
assestando un doloroso e micidiale pugno all’altezza della
bocca dello stomaco di colui che lo sosteneva.
Le membra del ragazzo protestarono infliggendogli un bisogno impellente
di vomitare.
Le braccia andarono ad attanagliarsi sulla pancia come per arginare la
fitta e si piegò in due sulle ginocchia preparandosi ad
espellere i pasti ingeriti, più i
super alcolici.
Non fece in tempo a rialzarsi che sentì un dolore intenso
alla collottola e poi alla schiena; cadde rovinosamente.
Il ragazzo in carne che teneva Klareth per il colletto
cambiò tonalità di colore per tre volte in poche
frazioni di secondi.
Con uno scattò delle iridi Vegeta notò lo
smarrimento e il panico nello sguardo dell’altro e decise di
appagarsi ancora un po’ con il loro orrore.
Con un calcio assettato nello stesso punto dell’altro, che
affondò nei rotoli di grasso cosparsi sul suo ventre, il
poveretto fu oppresso dalla nausea e dal dolore e rigettò
tutti i pasti della giornata, lasciando la piccola.
Vegeta si scostò appena in tempo ma Klarethh non
potè sottrarre le sue scarpe al puzzolente miscuglio di
alimenti, bava, succhi gastrici e sangue.
Emise un grido di disgusto manifestando la sua repulsione contraendo la
faccia in una smorfia, che dovette essere molto eloquente.
I conati furono placati dal sonno che Vegeta gli regalò con
un pugno in faccia, ponendo momentaneamente fine al suo strazio.
Gli altri si diedero alla fuga, ma la minuta, eppure temibile figurina
di Vegeta li si parò davanti sospeso a mezz’aria.
***
-Lo chiamate ancora così no?-
Il vecchio era sempre più perplesso, ma
quell’individuo dimostrava di conoscere il piccolo, e lui era
assetato di informazioni che lo riguardassero.
Dopo anni di convivenza non era riuscito a rimuovere quella
serietà e frigidità inadatta ad un infante, a
farsi accettare come padre, ad avere una parola gentile da
lui…nulla di affettuoso era uscito dalle sue
labbra…nulla.
Ogni informazione era essenziale.
-Tu conosci Vegeta?-
Si grattò il capo perplesso insicuro su che risposta dare.
-In un certo senso…- non aveva idea su come delucidare il
padrone di casa su come funzionasse l’ordinaria
amministrazione nella lontana dimensione da cui proveniva.
Non era certo che l’avrebbe compreso, o che
l’avrebbe lasciato in quella dimora un secondo di
più, temendo fosse una mente contorta ed esaltata; si
raccomandava cautela quando si rivelavano certi segreti.
-Sei colui che l’ha trovato vero?- chiese per accertarsi di
non essersi rivolto all’individuo sbagliato ed evitare
così di protrarre una magra figura.
-Si…sono io…si-
Intrecciò le dita a disagio, le domande che stava per
formulare erano davvero molto personali, non poteva permettersi di
introdursi nella serena esistenza di Vegeta, non dopo tutto quello che
aveva fatto, non dopo che gli aveva avvelenato quella
precedente… e ora si apprestava a farlo di nuovo.
-Ho saputo che l’hanno lasciato qui- disse recuperando un
sorriso garbato per sgravare l’atmosfera.
-Si…- c’era una punta di sdegno nel tono
enfatizzata…forse volutamente –si è
così che trattano i bambini storpi…ancora-
Goku indugiò un secondo di troppo.
-Che sei venuto a fare qui? Eh? Figlio di puttana! Sei venuto per
riprenderlo dopo che l’hai abbandonato?!…-
Goku deglutì visibilmente un grosso groppo di saliva
allontanandosi per mantenere una distanza di sicurezza.
-Sinceramente mi fai schifo! Come hai potuto lasciare tuo figlio qua in
mezzo alla merda?, ti impiccherei ad un palo della luce se non fosse
che…-
-Aspetti un momento!Io non sono il padre di Vegeta: lei ha frainteso!
Io sono qui per lui, ma non volevo portarlo via. Non è mio
figlio!- chiarì lui visibilmente a disagio.
Sam non fu del tutto convinto, lo esaminò accuratamente.
-Eppure non siete poi troppo differenti-
Si vide girare intorno e si sentì osservare da diverse
prospettive.
-In effetti ci sono molte cose che ci legano, ed è per
questo che sono venuto-
Il vecchio si fermò mugugnò qualcosa e si rimise
davanti a lui assicurandosi di rimanergli ben vicino agli occhi in modo
che neanche un frammentaria parte di menzogne potesse sfuggirgli.
-Allora, racconta-
Lo allontanò sospirando rassegnato e prendendo un sorriso
amaro.
-Mi spiace, ma deve essere lei a dirmi ciò per cui sono
venuto mi deve raccontare lei che ne è di quel povero
bambino- anche la voce aveva mantenuto parte del timbro infantile.
Gli provocava uno strano effetto chiamare Vegeta “povero
bambino”, ma contenne lo spasso.
-Che cosa vuoi sapere?-
Goku si portò una mano al mento nell’atto di chi
riflette.
-Vorrei che lei mi dicesse tutto ciò che sa di lui, se gli
è mai succsso qualcosa di...strano- disse dopo varie
elucubrazioni.
-Mi spiace, ma non so molto, sebbene viva in questa casa da quando
è nato non ha contatti verbali decenti con nessuno, si
rifiuta di parlare, la sua presenza si fa sentire appena, non
è un bambino che ha bisogno di molte attenzioni…-
Goku ascoltava assorto, il modo in cui il vecchio dipingeva il suo
antico nemico lo rattristava, Vegeta era un bambino serio e rabbioso,
senza infanzia, e di certo non voleva averla.
-...dorme sogni agitati, a volte urla poco prima del risveglio, verso
l’alba, quando i sogni rimancono nella memoria, non mi vuole
dire di che si tratti, ma so che non dorme più per il resto
della notte, e finche non sorge del tutto il sole guarda lo spicchio di
luna che si abbassa, si spegne, e lo osserva con una talemente tanto
che a volte mi sembra che possa bocare in due la finestra la finestra
…- abbassò lo sguardo pensieroso –
ultimamente sta dando segni di impazienza, colpisce oggetti ,
è arrabbiato… credo faccia anche di
peggio…ruba…non posso sfamarlo con quello che
guadagno, fagocita anche il frigo e non gli basta… credo che
se potesse si mangerebbe anche me lo farebbe, non si è mai
legato a nulla e a nessuno…-
Mentre veniva informato, scosse il capo lasciandosi sfuggire un alito.
-Il destino non è mai stato buono con Vegeta- gli
sfuggì insieme al soffio.
-E questo cosa vorrebbe dire?-
Goku continuò a guardare per terra ignorando di proposito
l’inquisizione.
-Ma il motivo per cui sono venuto è…- si
indicò il posteriore –la sua coda-
Il vecchio inarcò un sopracciglio disorientato.
-Stia in guardia, fortunatamente la luna non si vede troppo da
quaggiù-
Il vecchio fece per parlare, ma Goku prevedettè il flusso di
domande che stava perfargli e lo tacque con un cenno della mano.
-Non è necessario che lei sappia cosa centri, sappia solo
che deve stare in guardia. So che lei non vuole che capitino cose
spiacevoli alla metropoli, e so che Vegeta non la guarderà
di sua spontanea volontà vista la rarità del
plenilunio su questo pianeta, ma c’è
un’altra ragione…-
Piantò i suoi occhi nelle iridi nocciola di Sam.
L’atmosfera sospesa che si instaurò fu straziante.
Per un attimo lo sguardo del ragazzo parve strano, intenso ed eloquente.
Lo scongiurava con gli occhi di stare in
guardia, e mentalmente di riuscire a comprendere il messaggio; una
minaccia incombeva su Vegeta, ma lui di più non poteva
ripetere, Re Yhammer era stato categorico: solo avvertimenti fiochi e
imprecisi, null’altro.
Non era in condizioni di dire più di così.
-Lo tenga lontano dalla luna piena e dai guai, lo stanno cercando-
Gli occhi si sgranarono in un espressione di sorpresa e paura.
-Chi? Chi lo cerca? Che vogliono farne di un bambino?-
-Mi dispiace non posso dire di più- rise quasi volesse
discolparsi con così poco dimentico della gravità
della situazione.
-Ho le mani legate- continuò alzando lievemente le spalle e
i palmi mostrarli al suo colloquiante e sorridendo, tornato lieto come
prima.
-Le consiglio di andarlo a prendere- disse-Si sono spente due aure, e
non dimentichi, la sua coda è pericolosa-
-No aspetta!-
L'uomo pose due dita sulle tempie per meglio stimolare la
concentrazione, cucciò lo sguardo, e sparì.
Rimase atterrito senza riuscire a spiegare la natura delle
preoccupazioni di quell’individuo.
Sempre più, tutto lasciava presupporre che al destino di
Vegeta fosse legato qualcosa dalla somma importanza, e ogni cosa gli
dava sempre più motivi per credere che la natura dello
spirito di Vegeta fosse bruta e rabbiosa, e la sua potenza, i cui
accenni erano devastanti, poteva voler significare solo una
cosa…e allora la minaccia che brillava in cielo di notte gli
parve chiara e limpida.
Ma non era tutto, c’era altro alla cui conoscenza lui non
poteva essere reso partecipe.
Si chiedeva perchè mai quel ragazzo dall’anello
sospeso sulla selce nera che aveva in testa fosse così
tranquillo sebbene la gravità delle informazioni che aveva
appreso da lui fosse immane.
-Devo andare a prenderlo- pensò ad alta voce.
***
I due vennero scagliati da un’immane forza dritti contro la
parete del muro ricadendo a terra allargando una pozza vermiglia che
insudiciò l’asfalto.
Dalla bocca di uno dei due venne sputato un fiotto di sangue.
Nel muro rimase indelebile la forma indistinta dei due corpi e gocce di
sangue strisciarono lungo il metallo seminando una scia di lacrime
rosso intenso più piccole lungo la loro traiettoria, lente e
lascive.
Nel petto di uno di loro si era aperto uno squarcio che era lasciato
intravvedere dalla maglietta carbonizzata.
La carne sanguinolenta era nuda agli occhi della piccola
Klareth inorridì.
Guardò uno dei due, la cui faccia si intravvedeva sotto il
corpo del compagno.
Aveva il viso paonazzo e presuppose che nelle membra non dovesse avere
neanche una goccia di sangue vista la larghezza della chiazza di colore
sotto di lui e la colorazione delle sue guance.
Gli occhi fissi al nulla non lasciavano presupporre che fosse in vita.
Era stato un trapasso rapido, ma forse non poco doloroso.
La sua faccia si tese ancor di più e si allontanò
gattonando contrariata alla vista di quell’immagine scuotendo
la testa come se la memoria di quella scena potesse essere scacciata
uscendo dalle orecchie, ma incontrò qualcosa che le
ostacolò la fuga.
Si girò verso l’alto e vide la faccia di Vegeta
non molto soddisfatto del massacro, gli osservava con cinismo
provandone disprezzo per la loro inferiorità, per la loro
incapacità a intrattenerlo per più di pochi
secondi.
Sembrò, solo in quel momento, ricordarsi della presenza
della ragazzina scoccandole un occhiata eloquente e irridente.
-Cosa c’è?- disse avvicinandosi con un riso
detestabile e le braccia conserte.
-Sei troppo buona di cuore, o troppo debole di stomaco?-
Non potè evitare di ritrarsi lievemente per sottrarsi a
quello sguardo così pesante da sostenere.
-Tutte e due- miagolò con una punta di sarcasmo mitigato dal
disgusto e dallo smarrimento.
Non rinunciava alla sfrontatezza neanche nelle situazioni di pericolo.
Non sapeva che in un futuro non troppo prossimo avrebbe collezionato
nei suoi ricordi molti di quei cruenti scenari e mille sguardi vacui di
cadaveri.
Nulla si mosse per alcuni secondi.
Vegeta ridusse ancora di più gli occhi a due fessure, che si
affacciavano su pozzi neri e profondi, ghignò di
compiacimento e si allontanò nella direzione dove era venuto
avvertendo nelle membra un insano piacere.
Un sadismo spropositato, come se avesse trovato ristoro a sofferenze
che da quando era in vita non aveva mai patito, una consolazione, uno
scarico per la sua rabbia immotivata e irrazionale.
Klareth si guardò intorno atterrita, osservò il
massacro evitando però di incrociare gli occhi con quelli
delle due salme; non vedeva traccia che potesse condurre
all’autore del misfatto.
Si voltò nella direzione dove aveva intravisto il bambino
andarsene e lo vide ai limiti della strada, dove agli occhi si
ripresentava il paesaggio cittadino di palazzi minori.
Esplorava con lo sguardo le sommità delle residenze per
studiare un percorso agibile per un ritorno veloce a casa.
Appena lo vide caricare con le gambe un salto scattò in
piedi in stato di allerta.
-Non farlo- urlò.
Vegeta che già si stava dando lo slancio venne bloccato.
Mugugnò qualcosa che sembrò un ringhio sommesso
voltandosi appena, non vide nessuno, ma udì i passi sveltiti
di una corsa, troppo tardi.
Si sentì afferrare, cingere le spalle e bloccare le braccia
con impeto, in un abbraccio stretto.
-Non farlo!- disse lei credendo in un gesto suicida.
Lo slancio con cui si getto su di lui lo costrinse a smuovere un piede
per mantenere l’equilibrio, che però
incontrò solo l’aria all’apice della
strada.
Non trovando sostegno Vegeta perse staticità e cadde senza
possibilità di scampo, lasciandosi sfuggire un gesto di
sconcerto e stringendo ancora di più i denti al sentire la
stretta, spostata sul suo collo, rafforzarsi.
La bambina era rimasta attaccata a lui, con le unghie serrate
disperatamente sulle sue spalle.
Sentendo che i loro pesi non poterono più trovare appoggio
schiuse la bocca con il respiro mozzato preparandosi a emettere uno
stridulo grido di panico.
Non appena l’acuta imprecazione venne emessa a distanza
ravvicinata dall’orecchio di Vegeta, il ragazzino assunse un
espressione talmente sofferente che sembrò che invece
dell’urlo fosse arrivato al suo orecchio un coltello.
Cercando di reprimere la voglia di ficcarle in bocca il suo coniglietto
e insieme ad esso una sfera energetica le afferrò e
strattonò uno dei codini ottenendo che smettesse di urlare.
-Zitta oca, se non vuoi che te la dia io una motivazione per strillare-
ordinò.
Klareth piagnucolò contrariata sentendo l’aria
soffiarle in faccia spazzandole via le lacrime e irrigidendo ancor di
più le gambe.
Guardò di sotto e attanagliò le braccia sul petto
del ragazzino.
-Fa qualcosa!- urlò con voce altrettanto fastidiosa.
Vegeta ringhiò nuovamente assumendo una posizione
più aereo dinamica e allargando le braccia a cercare un
appiglio.
-Non ce la faremo mai! E tutta colpa tua!- si lagnò lei
mentre le ultime lacrime venivano spazzate dall’aria che le
agitava i capelli e le spirava sulle gote.
La sua mano trovò l’asta di una bandiera
sventagliata affissa su un balcone.
Strette più che potè le dita attorno alla spranga
ma si sentì la coda impedita da un peso.
I tendini reclamarono con un intenso dolore alla radice della
protuberanza.
Klareth non aveva retto all’improvviso cambiamento e quando
la loro caduta fu frenata bruscamente, le sue dita umide di sudore
erano scivolate dalla loro posizione.
Aveva raschiato la maglietta con le unghie nel tentativo di reggersi,
ma aveva continuato a scivolare con una mano ancora unita al braccio
arrivando alla nuda pelle di Vegeta.
Una volta che le sue mani si disunirono dall’arto del
compagno andarono a vagare a tentoni nell’aria, alla
disperata ricerca della salvezza in un appoggio, fornitole
provvisoriamente dalla coda del bambino.
Cacciò un urlò disumano spalancando le fauci in
maniera scioccante.
Ricacciando le lacrime da dove erano venute Vegeta con
un’immane sforzo chiuse la bocca mordendosi la lingua come se
lo aiutasse a sopportare lo strazio.
La presa sulla spranga si allentò pericolosamente; le sue
dita scivolavano, la sua mente si intorpidiva, il sonno sopraggiungeva
a strapparlo dal dolore che percepiva sopra le natiche.
Mentre la mente si ottenebrava
e al paesaggio composto dal susseguirsi di palazzi si sovrapponevano i
sogni di un sopore lieve, le sue dita si disunirono del tutto dalla
spranga.
Le sue visioni si dissolsero come immagini riflesse sulla superficie
d’acqua rotta da un sasso
I rumori si fecero meno ovattai e più vicini.
La mocciosa aveva ricominciato ad urlare, ma aveva cambiato appiglio.
Quando la presa di Vegeta era venuta a mancare aveva tentato
pietosamente di arrampicarsi sul suo corpo e di raggiungere lei stessa
l’asta, ma aveva conseguito solo di raggiungere la sua gamba
dove ora era avviluppata.
Vegeta tese la mano in cerca di un'altra salvezza, raggiungendo il
bordo di un davanzale.
La spalla di Klareth andò a sbattere contro il muro,
costringendola ad arginare il pianto e a stringere le labbra
convulsamente e le dita sull’orecchio di pezza del coniglio
per meglio sostenere il dolore.
Vegeta arrivò al davanzale anche con l’altra mano
facendo leva sulle braccia riuscendo facilmente a compiere
l’impresa con un peso che lo opponeva, ma improvvisamente il
carico venne a mancare.
Udì uno schianto terribile, lo schizzo di qualcosa in faccia
e poi un lamento.
Quando riuscì a mettersi seduto si sporse leggermente,
infastidito dalla presenza di quel fardello.
Vide risorgere dalle buste nere della pattumiera una testolina
foltamente coperta di capelli azzurri ornata da una buccia di frutta, e
una faccia sporca dello stesso liquido che era stato schizzato a lui.
Ringhiò seccato poco avvezzo a sopportare certe
pateticità e saltò giù dal davanzale.
Klareth lo sentì cadere con agilità felina e
ammortizzare l’atterraggio davanti a lei.
Provò ad alzarsi e a riacquisire un minimo di decenza, ma
sentì qualcosa di …vivo sotto la scarpa, che
oppose resistenza al suo piede.
Urlò atterrita ritraendosi verso la parete liberando il topo
dal suo peso.
Questo squittì e sgattaiolò via in tutta fretta
sotto lo sguardo stomacato di Klareth e quello freddo
dell’altro.
Alzò leggermente la testa vedendo Vegeta che ancora
osservava il ratto offrendole le spalle e la nuca.
Gonfiò le guance indignata e si rialzò fissandosi
il vestito lordato di ogni genere di sporcizia cittadina.
Allargò le braccia a indicare la sua persona.
-Guarda che hai combinato!- lo assalì.
Vegeta non la degnò neanche di un’occhiata
voltando la testa davanti a se e iniziando ad allontanarsi con incedere
lento e cadenzato.
-Ehi! Sto parlando con te!Non so neanche come ti chiami! Guarda che hai
fatto al mio vestito!Potevi salvarmi da quella caduta ma non
l’hai fatto! Sei cattivo!-
Vegeta si arrestò all’ultima affermazione si
girò con flemma esibendo un ghigno inviso.
Si voltò del tutto verso di lei con le braccia incrociate
ridendo sommessamente, come se l’ultimo commento lo avesse
sinceramente divertito.
Klareth rimase immobile a chiedersi la ragione del suo atteggiamento.
Con austerità si avvicinò in modo che le fosse
evidente il vantaggio in altezza che aveva.
Il divario di età creava anche una disparità tra
le loro stature.
Si morsicò l’angolo inferiore della bocca come per
reprimere il piccolo ghigno, l’unico sorriso che ci si
sarebbe potuti aspettare da lui.
Mantenne sempre una certa distanza da lei, come per renderle evidente
la sua superiorità: un bambino, un assassino, non poteva
toccare una ragazzina indifesa e patetica come lei.
-Ma davvero?-
Realizzò che quel bambino le faceva una gran paura, il suo
solo modo di osservala con sufficienza la feriva, eppure era lei quella
ricca li, lui il poveretto che rubava per sfamarsi, sarebbe dovuta
essere lei a mettere soggezione a lui, con la sua
superiorità, i suoi bei vestiti, il suo pupazzo…
Si sorprese a indietreggiare.
Incespicò in un sasso dietro di lei cadendo
all’indietro.
Prima di poter toccare terra ed insudiciarsi maggiormente le vesti
venne trattenuta da qualcosa sotto le ascelle.
Si girò vedendo il riso benevolo di un uomo dalla tuta
arancione e la pettinatura improponibile.
La risollevò con delicatezza rimettendola in piedi e
restituendole il pupazzo che aveva perso.
-Ciao piccola-
La bambina fissava intensamente tutta la sua persona.
Sembrava gentile, aveva un riso affabile e sinceramente contento,
glielo elargiva con la naturalezza di chi sorride ad un vecchio amico,
ma lui era un perfetto estraneo per lei, e , se i suoi genitori le
avevano insegnato qualcosa doveva essere educata e presentarsi.
-Buon giorno- disse chinandosi leggermente in segno di rispetto.
L’uomo si abbassò alla sua altezza e le pose una
mano sul capo accarezzandola.
-Ciao, come ti chiami?-
Klareth sbattè un baio di volte le palpebre disorientata dal
sorriso buono e simpatico che aveva in faccia il suo ospite.
-Io mi chiamo Klareth-
Sembrò che l’attenzione dell’uomo fosse
calamitata da qualcosa alle sue spalle.
-E tu giovanotto come ti chiami?-
Vegeta aveva sdegnosamente ripreso la via del ritorno verso casa e non
si diede pena di fermarsi e voltarsi, ma proseguì affettando
distacco e disinteresse per la cosa.
Non avrebbe certo pensato di vedersi comparire davanti colui che
l’aveva chiamato ad essere partecipe dei convenevoli inutili.
-Ehi piccolo, ti ho fatto una domanda- lo rimbrottò
benevolmente senza smettere quel suo, troppo sincero, sorriso.
Ringhiò seccato con una grinza di fastidio sulla fronte e
agli angoli della bocca.
-Che vuoi?-
Ridacchiò divertito constatando che non fosse cambiato di
una virgola.
Aveva sempre quel crucciato e arrogante cipiglio anche da bambino.
C’era del dilettevole nella situazione in cui si trovavano a
distanza di molto tempo, li; lui, Vegeta e… Bulma.
Klareth percependo che il centro delle attenzioni del simpatico
individuo non era più lei ma quell’antipatico
ragazzino si inalberò piantò i piedi per terra, i
pugni sui fianchi e prese a canzonarlo.
-Lui è un maiale, mangia da maiale ed è odioso-
informò il nuovo venuto con questi chiarimenti sul bambino.
Goku rise di gusto all’affermazione senza scomporre Vegeta
che continuò a fissarlo ostile.
-Mi dai sui nervi- comunicò con un ringhio e girandoli
attorno e desamniando il suo nuovo avversario.
Tutto sommato non gli sarebbe dispiaciuto spassarsela con un nuovo
seccatore.
Partì alla carica direzionando il pugno destro verso la sua
mascella e mentre pregustava una vittoria le sue nocche vennero
bloccate con troppa facilità.
Livido di rabbia rimise i piedi per terra caricando un calcio in mezzo
alle gambe dell’uomo, ma il suo avversario pose un ginocchio
a intralciare la sua mossa.
Si sentì afferrare con forza per un braccio.
Ora scalciava per liberarsi, provò ad assestare un altro
calcio al ventre dell’opponente, ma questo venne bloccato con
il solo uso dell’altra mano.
Sempre più carico di astio e rancore sentì il
bisogno urgente di urlare di una rabbia che gli faceva quasi male.
Privato del suo diritto ad arrecare danno e a godere della paura,
insieme all’ira gli pervase il corpo una scarica
elettricà che percosse il braccio dell’avversario
talmente forte da costringerlo a mollare la presa.
Klareth urlò.
-Ahia-
Vegeta recuperò la distanza da lui con un salto e lo
fissò con odio ringhiando come un’animale
minacciato.
-Sei in gamba Vegeta, e non ti sei ancora allenato, chissà
che risultati incredibili potresti dare con un appropriato esercizio-
esclamò entusiastico allargando le braccia come se volesse
abbracciarlo…come se fosse fiero di lui?!
Vegeta inarcò un sopracciglio.
Si risollevò riprendendo la sua posa superiore e fissandolo
con un disprezzo diverso da quello che riservava a tutti gli altri.
La rabbia di aver subito la sua prima, bruciante sconfitta era immensa,
il sorriso compiaciuto e felice del suo avversario, che non sembrava
adottare tanto perchè fosse felice della sua vittoria o
della sconfitta dell’oponente, gli dava fastidio, davvero no
riusciva a capire perché fosse allegro.
-Non hai perso un briciolo della tua potenza-
“ ne della tua freddezza” pensò.
Davvero neanche lui, neanche in un’altra esistenza aveva
potuto godere della sua porzione di felicità? Neppure
nell’infanzia?
Sorrise mestamente per un attimo ripensando a quanto il destino fosse
crudele con Vegeta, che ora non era altro che un bambino solo, triste e
cinico.
Vegeta lo fissò con un espressione di sorpresa irritazione.
Quando mai aveva avuto dimostrazione della sua forza, e quegli elogi
entusiastici… gli davano noia, provenienti proprio da colui
che l’aveva vinto per giunta.
Gli tese la mano amichevolmente.
-Sono Goku-