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Autore: skippingstone    16/09/2014    1 recensioni
"Mi avevano detto che pensare troppo fa male, mi avevano detto che sarebbe passato tutto eppure la testa mi scoppia, gli occhi bruciano e respirare sembra la cosa più difficile da fare. Rifletto sulla mia probabile morte e sorrido, almeno potremmo stare vicino. Posso affermare di aver combattuto per tutti quelli che non sono riusciti a farlo: ho combattuto anche per te.
Se, invece, riuscirò ad uscire da questa Arena, non sarò più lo stesso: tutte le cicatrici si stanno aprendo nell'interno della mia bocca lasciando un retrogusto di sangue e troppe sono nel cuore. Anche se uscissi da questa Arena, non ne uscirei vincitore. Ho già perso tutto.
Tutto tranne una cosa: la voglia di vendetta.
Possa la luce essere, ora, a mio favore!"
Genere: Azione, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Altri tributi, Presidente Snow, Tributi edizioni passate
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
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29. Vittime del macello
 
«Livius, devi stare tranquillo. È il mio terzo anno e, se non sbaglio, sono ancora qua!»
Livius è in ansia, non riesce a star fermo, il suo piede è un ballerino, ha mani sudate e occhi inquieti. Sono pochissime le volte in cui si comporta così. Perfino quando viene da me, dopo che l’hanno insultato, non ha questi atteggiamenti. No, Livius è sempre felice e spensierato: riflette ma non si lascia mangiare dalle emozioni, dall’ambiente circostante. Adesso che, però, gli Hunger Games non sono più dei Giochi da seguire in tv ma realtà da vivere e sopportare, lui non è più lo stesso. Forse è anche ovvio che sia così.
«Potrei impazzire.» – mi confessa vergognandosi dei suoi stessi sentimenti e timori.
«È normale.» – provo a tranquillizzarlo.
«Anche tu credevi di star per morire?» – Livius guarda un punto fisso, lo schermo.
«Beh, qui ci condannano a morte.» - ricordo la mia prima Mietitura.
«Come mi hai detto tu una volta, ci stanno buttando nel forno.»
«Già.»
Victor Vict inserisce la mano nell’ampolla di vetro per estrarre un nome. Questo momento è interminabile e inspiegabile.
Proprio perché ricordo la prima Mietitura, mi torna in mente quell’abbraccio che Livius mi ha dato prima dell’estrazione. Faccio, allora, così: abbraccio forte il mio amico. In verità, ho anche paura di dovergli dire addio oggi.
Fortunatamente, non è il nome di Livius a essere estratto e nemmeno il mio.
 
La luna è più grande del solito. Chissà se, nei Giorni Bui, ci sia mai stata una luna del genere! Forse no perché, sennò, perché chiamarli Giorni Bui?
Il mio stomaco brontola ancora. Io e Søren abbiamo solo bevuto ma, ovviamente, non abbiamo finito tutta l’acqua che ci era rimasta nell’unica bottiglietta piena che abbiamo. Questo, però, non vuol dire che non abbia fame, sonno e un bisogno disperato di lavarmi.
Adesso faccio da guardia e Søren dorme. Le sposto una ciocca di capelli e, senza accorgermene, sono qui a carezzarle la fronte. Spero che questo sia un gesto che la possa spingere a dormire in modo tranquillo e sicuro. Merita, anche lei, di sentirsi protetta come fa lei con me.
Suona l’inno di Panem. È notte inoltrata ed anche questo terzo giorno nell’Arena è arrivato a una fine. Sono arrivati a una fine, però, anche delle persone… e non persone qualunque, ma miei alleati, miei amici.
Nel cielo appaiono i volti dei tributi caduti: Ermen, Falloppio, Steno, Chimio e la ragazza del distretto 12.
Sono tutti andati via, puff, come se niente fosse. Davvero funziona così? Veniamo al mondo piangendo e moriamo in silenzio? Ce ne torniamo in qualche posto indefinito che nessuno conosce?  Chissà dove sono Chimio, Falloppio, Loto, la ragazza bionda del distretto 8, Livius. Spero che quest’ultimo sia finito sulla luna, il nostro mondo perfetto.
Dopo aver visto quei volti, frullano un sacco di pensieri nella mia testa. In realtà i pensieri hanno preso possesso di me già dopo aver parlato con Søren. È come se lei mi avesse aperto con tutte le parole scambiateci questa sera e, ora, mi tocca affrontare ciò che avevo dentro. C’è una guerra in me, questo è sicuro. Sto davvero impazzendo. Mi calma il pensiero che non sono solo.
 
Mi sveglio.
Mi sono uscite delle bolle all’interno della bocca ma questo è niente confronto a tutto quello che sto passando nell’Arena.
Apro gli occhi, Søren dorme ancora. Mi sono addormentato accanto a lei. Sobbalzo, mi alzo velocemente e mi guardo attorno.
«Ma sono stupido? Cosa sono? Come ho potuto addormentarmi? Se avessero attaccato me e Søren, cosa avrei potuto fare? Nulla, perché mi sono addormentato come un coglione.» – cammino seguendo un cerchio invisibile e mi punisco per l’errore commesso.
Si sveglia anche Søren. Perfino nel risvegliarsi, somiglia a una ragazza forte e determinata. È assurdo pensare una cosa del genere di una persona che si sta svegliando, eppure credo di vedere la sua forza proprio in questo momento. Vorrei affrontare il risveglio, la giornata, la vita come fa lei, ma non ne sarei in grado. Lei non è me ed io non sono lei. Almeno, però, sono “con” lei. Credo sia abbastanza, può bastarmi avere la sua presenza al mio fianco.
«Cosa succede?»
«Niente!»
«Ti ho sognato.»
«Davvero?»
«Già, mi perseguiti anche nei sogni.» – sorride.
«Non riesco a starti lontana.»
«Oh, ritorna la femminuccia Snow.»
«E il maschiaccio Søren?»
«Vuoi dire che sono poco femminile?»
«Beh, hai russato per un po’ di tempo.»
«Scemo!»
«Non credermi, ma è la verità.»
«Ho sognato che eri nel mio distretto e che eri il tributo maschio del distretto 10. Ti chiedevo che cosa avevi fatto per farti odiare da tutti, ma non mi rispondevi. Ora che sono sveglia, posso chiedertelo. Come mai sei qui, Snow? Cosa hai fatto nel distretto 2? Cioè… so che non eri tu il tributo…» - dopo aver nominato Livius, si blocca, pensa a cosa dire.
«Ho una storia contorta nel distretto 2.» – cerco di aiutarla tagliando il discorso così.
«Ti andrebbe di parlarmene?»
«Sì, a patto che tu mi dica la tua di storia.»
«La mia non è interessante.»
«Dai! Qual è la tua storia, Søren?» - mi siedo accanto a lei.
La ragazza si stiracchia, allunga le braccia verso l’alto e, prendendo lo zaino, sfila la bottiglietta che è all’interno. Beve un sorso dell’acqua.
«Sì, però non ti avvicinare troppo perché ora mi son svegliata e il mio alito non è dei migliori.»
Rido.
«Sai, non sono mai stata la ragazza perfetta.» – riprende Søren - «Non sono la tipica ragazza che, uscendo da casa, saluta tutti, sorride e si ferma a parlare con ogni tizio che incontra. Io, poi, ho sempre preferito nascondermi nelle stalle, con gli animali mentre tutte le persone del mio distretto amano uccidere gli animali per un bene più grande. D’altronde siamo famosi per questo!»
In quelle parole, credo di riconoscere ulteriormente Søren. Lei, la ragazza che vuole uscire da questi Giochi con una morale ancora intatta, è cristallina anche nella sua realtà. In un distretto di macellai, non puoi permetterti di difendere gli animali e lei, invece, decide perfino di accudirli.
«Ti racconto un aneddoto. Si dice che, quando ammazzi un maiale, non bisogna piangere.»
«Perché?»
«Perché, se i maiali ti sentono piangere, loro si attaccheranno al tuo pianto e moriranno più difficilmente. È come se sperassero che tu, che stai piangendo, li salvassi dalla morte. Ripeto, è una credenza, ma nel distretto sono molti a crederci. Comunque, una mattina, andai con mio padre a vedere come li uccidevano. Non so se tu abbia mai visto dei maiali e, se li hai visti, avrai pensato che sono un po’ bruttini e, in effetti, lo sono. Puzzano anche! C’era, però, questo maialino di un rosa candido con delle macchioline nere… bellissimo, un cucciolo.»  - Søren mi passa la bottiglietta e bevo anch’io.
«Appena iniziò a lamentarsi,» - continua. - «scoppiai a piangere. Tutti i macellai mi guardarono inferociti. Se avessero potuto, avrebbero ucciso me e non il maialino. Mi allontanarono con la forza e il maialino scappò perché voleva stare con me.» – ridiamo come matti: immagino questo piccolo animaletto rosa e nero che fugge mentre tutti cercano di prenderlo.
«Cosa è successo dopo?»
«È successo che mio padre non mi ha portato mai più con sé e il maialino è venuto a casa con me. Una settimana dopo, però, sono venuti a prenderselo… mentre dormivo. L’hanno ucciso ma ha sofferto di meno non vedendomi piangere. Sarà stata questa la mia penalità. Durante la Mietitura le persone erano interessate a salvare i propri cari e i propri interessi. Il mio distretto, da bravi macellai da cui è formato, si è rivelato essere un vero macello: non importa se puoi vivere ancora, basta che loro non piangano, afferrino la mannaia e taglino la testa. A me hanno tagliato la testa e nessuno ha pianto.»
«Se può consolarti, anche per me non piangerà nessuno.»
«Per questo sei qui?»
«Forse sì. È un po’ come te: io non appartengo al mio distretto. Sai, tra la folla, io ero solo. L’unica persona che capiva era Livius ma, ora, non c’è.»
«Mi dispiace per Livius.»
«Non preoccuparti, sono abituato alle persone che vanno via, che sia in modo definitivo o momentaneo.» – effettivamente Livius non è stato il primo ad avermi lasciato. Ho perso mio fratello, mio padre, mia madre, casa mia, il maestro Leon, i miei compagni (sì, a Capitol City c’era qualcuno disposto a essermi amico).
«Stanotte, però, mi sono sentito meno solo.» - le confido.
«Lo so, sono un’ottima compagna d’avventura.»
Lei ci scherza su ma io non sono mai stato così serio. Se lei non mi avesse fermato con Ermen, ad esempio, chissà cosa avrei potuto combinare.
 
Stiamo, ancora, vagando in questo cumulo di macerie. L’ambientazione è desolante. Camminiamo senza avere una meta precisa. Tutto questo è una completa perdita di tempo ed energia. Cosa stiamo cercando? Nessuno dei due lo sa. Viviamo, però, con l’illusione che ci sia qualcosa di positivo qui per noi.
«Guarda lì!»
Søren mi blocca. Ci sono due tributi di fronte a noi. Subito cerchiamo di nasconderci dietro le macerie di alcune case distrutte. Li spiamo. Sono solo loro due, sono in ginocchio e hanno le mani congiunte. Strizzo gli occhi per guardare più a fondo, mettere a fuoco. Dicono qualcosa, ma a bassissima voce.
«Cosa credi stiano facendo?» – chiedo a Søren.
«Non ne ho la più pallida idea.»
«Andiamo lontano da qui.»
«Sì!»
Io e Søren, lentamente, ci spostiamo. Non possiamo stare qua e farci scoprire. Ormai i Giochi stanno arrivando a una conclusione: sarebbe stupido cercare degli alleati in due tributi che dobbiamo uccidere.
Quando siamo abbastanza lontani, ci voltiamo e corriamo per allontanarci il più possibile.
«Ora possiamo fermarci!» – dopo pochi secondi, riprendiamo fiato.
«Secondo te… stavano male?» – ancora non mi capacito delle azioni di quei due.
«No, non credo.»
«Ma… li hai visti bene?»
«Sì, non sono cieca.»
«Lo so, ma era strano quel che stavano facendo e, poi, non è il momento di mettersi in ginocchio, a mani strette e parlare.»
«Snow, non so proprio che dir…»
Dall’alto si propaga un suono. È una dolce sinfonia, qualcosa di armonico e delicato. Sembra il suono di una sveglia impostata per svegliare l’addormentato in modo rilassante. Søren alza immediatamente lo sguardo: le si illuminano gli occhi.
«Non posso crederci!» – sorride.
«Cosa?» – alzo anch’io gli occhi e lo vedo cadere dall’alto. Søren sembra una bambina fin troppo allegra. Somiglia a una persona che, per la prima volta, vede cadere la neve.
«Søren...»
«Scusa, ma… non ci posso credere!»
Il paracadute argentato danza nell’aria e passa indisturbato tra me e lei, posandosi accanto ai nostri piedi. Quando Søren vede, sul tessuto della calotta, il numero del distretto che indica a quale tributo è indirizzato il paracadute, perde un po’ di quell’allegria che aveva.
«Snow, è per te!»
Søren si china per prendere il paracadute, sfila il bigliettino e me lo passa. Slego il filo che lo tiene chiuso e leggo cosa c’è scritto.
«Allora, cosa c’è scritto?»
Tentenno. Come glielo posso spiegare?
  
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