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Autore: Bolide Everdeen    16/09/2014    3 recensioni
Rose Weasley vive nel Mondo Magico ai giorni nostri.
Iris Mellark vive a Panem, secoli dopo Rose.
Apparentemente, queste due ragazze non avranno mai l'occasione di incontrarsi.
Ma c'è qualcosa più potente del tempo, più potente dello spazio.
Cosa?
Il destino.
E quando il destino tesse una trama, non si potrà mai modificare: si avvererà, anche attraverso delle lettere.
Genere: Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Bimba Mellark, Bimbo Mellark, Katniss Everdeen, Nuovo personaggio, Peeta Mellark
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 14

Forse finito

Iris

2677

È una statua. Questo è il mio pensiero, appena vedo la faccia del capitolino torta in una smorfia di dolore, perfettamente immobile, il colorito grigiastro, di una pietra.

È impossibile. Una persona non può trasformarsi così, nel giro di qualche secondo.

Nonostante sia così, la paura che lui mi dà non mi passa neanche per un minimo. I vari graffi lasciati sui bracci continuano a bruciare di terrore, il coltello è ben saldo nella mia mano.

Per qualche momento nessuno fa nulla. A rompere il ghiaccio, mio fratello, che sussurra un confuso:«È...»

«...pietrificato.» È Guinnes a concludere la frase, avvicinandosi al capitolino e sfiorandolo.«Come cavolo può essere successo? È assolutamente impossibile! Non ho mai visto una cosa del genere, e non avrei mai pensato di vederla!»

«Non mi riferivo a lui, ma a Rose» continua Hugo.

Allora mi ricordo di lei. È accasciata a terra, pallida, gli occhi chiusi.

Mi avvicino e le metto una mano sulla fronte. È ghiaccia. Mi spavento, prendendole il viso fra le mani, e chiamandola, a bassa voce:«Rose? Rose?»

Non risponde. Avvicino un orecchio al suo cuore, sporcandomi anche del sangue proveniente dal suo fianco. Tiro un sospiro di sollievo quando il mio orecchio scorge un ritmico “bum, bum”.

Vive ancora. E questo non può che rincuorarmi.

«Ragazzi, non per fare la guastafeste a questo commovente quadretto, ma proporrei di imbavagliare il pezzo di cavolo, prima che ci riservi spiacevoli sorprese» interviene Guinnes. Riconosco che ha ragione, può ritornare al suo stato normale da un momento all'altro.

Chiamiamo un'ambulanza per Rose, pregando che faccia veloce, mentre mamma e papà cercano di fermare l'emorragia. Guinnes, io ed Hugo disarmiamo il capitolino, lo leghiamo, lo imbavagliamo.

Il risultato è pazzo ed inquietante, ma penso che possa funzionare. Più che altro, lo spero.

Sudo tutto ciò che ho in corpo per la tensione.

Dopo un po', arrivano i Pacificatori. Non me ne accorgo fino a quando arrivano in salotto, e mi chiedo come abbiano fatto.

Mi ricordo che abbiamo lasciato la porta aperta.

«È lui?» domanda un Pacificatore, senza salutare, serio, indicando il capitolino.

Guinnes annuisce velocemente. L'agente continua:«Come diamine si è ridotto in quella condizione?»

Ho continuato a pensarci anch'io, ma senza trovare risposta. Ed è allora che interviene Hugo:«Non se si vi può servire... ma Rose, prima di svenire, mi ha detto di darle un legnetto che ha chiamato “bacchetta”. Poi ha detto due parole insensate e dal legnetto è venuta fuori una cosa... come un fulmine.»

Rose? Non riesco a capire cosa significhi. Ma mi convinco che sia stata lei a pietrificare il capitolino. Due cosi così senza senso, nello stesso posto e nello stesso momento, non possono essere casuali, per quanto possa sembrare strano.

«Ragazzo, sei sicuro di stare bene? E chi è questa Rose?» chiede il Pacificatore.

Rispondo io alla loro seconda domanda, mentendo:«Rose è una mia amica dal distretto 4.» Gliela indico, guardando anche se ci sono miglioramenti. No. Ho un brivido di terrore.«Mi era venuta a trovare, ma... non potevo sapere che potesse riuscire a fare cose del genere.»

«Porca paletta, è messa male» sussurra l'agente.«Avete chiamato i soccorsi?»

«Trova che sia una domanda intelligente?» interviene Guinnes, da dietro.

«Ragazzina, non trattarmi così!» risponde lui.«Comunque ,arrestate la statua. Voi... seguitemi. Dovete dare la vostra testimonianza» dice, rivolto prima ai suoi colleghi e poi a noi.

Annuisco, mentre cento pensieri m'invadono la mente. Ma ora non voglio pensare; devo cercare di riprendermi.

Mi si avvicina mia madre. Mi accorgo che non abbiamo scambiato parola dal momento dell'attacco, forse perché eravamo troppo occupate.«Stai bene?» domanda, preoccupata.

«Sì.» Estrometto i graffi, non voglio farla preoccupare.«Tu?»

«Sì. Ma ho avuto paura che ti succedesse qualcosa di male» risponde lei, abbracciandomi.

«Non ti preoccupare. Non è successo. Ora stiamo bene» ribatto, cercando di calmarla.

E anche di calmare me, pensando che è tutto finito.

 

Rose

Rosso. Blu. Giallo. Verde. Bianco. Nero. Colori che non avevo mai visto, tonalità inesistenti, incredibili. È questo che mi passa davanti agli occhi, che sembra durare eterni attimi. Giusto il tempo per imprimersi nella mia mente, prima di passare alla macchia successiva.

E non so quanto duri. Non ne ho idea. Potrebbero essere secondi, minuti, ore, come mesi, anni, decenni. Ricordo solo che tutto si è dissolto, che tutto è apparso, che tutto mi ha fatto riprendere. E non sento dolore.

Ciò mi fa preoccupare. Potrei essere... morta? No, non è possibile. O lo è? Non devo correre verso conclusioni affrettate. Tutto è possibile, finché la verità non mi viene rivelata, finché io rimango qui.

Mi annoio, mi spavento, mi incuriosisco, non so cosa fare. Continuo a guardare ed ad aspettare, aspettare, aspettare...

A un punto, fra tutto quel bagliore, vedo una porta che emana una luce bianca. Mi avvicino a lei, o forse è lei ad avvicinarsi a me. In ogni caso, riesco a oltrepassarla. È come se mi stessi muovendo, ma non lo stessi facendo. È come se questo fosse il mio corpo, ma non lo fosse. È come se stessi dentro a un sogno.

Un sogno. Probabilmente sto sognando. Scarto questa opzione e lì qualche reparto ancora più centrale della mia mente si convince che lo sto facendo. Perché quando sei dentro al sogno, quello diventa realtà.

Sono in un corridoio. Dietro di me, vedo ancora qualche bagliore colorato brillare. Davanti, un'altra porta. La luce bianca è ancora più intensa, ancora più... bianca. La voglia di raggiungerla in me si accresce.

Mi giro, un'altra volta. E vedo un'altra porta, oscura. Non vedo ciò che c'è oltre. Ma mi spaventa. Continuo a camminare verso l'altra estremità.

Dopo qualche metro o migliaia di chilometri, mi volto una terza volta. E la porta nera è ancora più vicina. Mi chiedo se per caso sono andata nella direzione opposta, ma mi sembra strano.

Aumento il passo.

La quarta volta che mi guardo alle spalle, l'oscurità è sempre più vicina.

Mi sembra così strano...

Ma lo noto.

La porta si sta avvicinando, inghiottendo il corridoio nel buio, forse per sempre.

Sento qualcosa. È paura. Perché penso che mi catturerà, prima o poi, portandomi in chissà quali tenebre.

Non voglio scomparire in questo modo, così poco chiaro che neanche io riesco a capire cosa significhi. Forse, semplicemente non voglio scomparire.

E perciò corro. Corro, più velocemente di quanto sia possibile, o forse lentamente, percorrendo in ore pochi passi.

Mi ritrovo nel breve spazio che delinea l'unico, sottile confine fra luce e tenebra. O può darsi che io sia il confine.

Ma in questo momento non m'interessa. Avanzo verso la luce, la mano tesa, sperando di incontrare qualcosa.

Ed è la luce che mi circonda, quando riapro gli occhi. Sì, sono sicura che questi siano i miei occhi, i miei veri occhi.

Riesco a distinguere qualcosa. Bianco, ma non accecante come la luce che vedevo fino a qualche momento fa. Sembra... un muro. Una lampada attaccata mi fa intuire che è il soffitto.

Guardo a destra ed a sinistra: ancora bianco, ma più trasparente. Come se fosse una tenda che mi separa dal resto del mondo.

Mi sento stanca ed ho anche un male cane al fianco. Ciò mi conferma che sono viva.

E, continuando a guardare, riesco a capire che mi trovo in un ospedale.

In ospedale! Evidentemente, sono riusciti a portarmi in tempo qui, prima che fosse troppo tardi. Non posso che esserne felice, perché posso interpretarlo come un segno positivo.

Contraddizioni si combattono nella mia mente, ma io le respingo. Non ho voglia di essere triste.

Sono sola e non arriva nessuno. Vorrei alzarmi, ma quando ci provo mi si annebbia la vista per il dolore. Opto per rimanere ferma.

Dopo una mezz'oretta, arriva un'infermiera. Me ne accorgo solo quando esclama, eccitata:«Oh, ti sei svegliata! Devo andare ad avvisare tutti quanti! Tu stai ferma qui!»

Vorrei chiederle tante cose, ma scappa prima che possa aprire bocca.

Mi poso una mano sulla fronte, sperando che tutto questo sia servito a qualcosa.

 

Spazio autrice

Lo so. Sono in ritardissimo. Ma sono stata in vacanza, e non ho iniziato il capitolo prima della scuola perché non avevo voglia. Quindi in due giorni ho scritto questo robo orribile di cui non sono per niente convinta.

In realtà, ho fatto al contrario: prima ho scritto la parte di Rose, pensando di riprendere dal momento del suo risveglio e spiegare tutto ciò che è accaduto. Ma poi non mi è piaciuto così tanto ed ho deciso di inserire la parte di Iris, scritta prima. L'avevo messa dopo quella di Rose, ma poi l'ho spostata e ho messo il capitolo in ordine cronologico.

Ok. Siamo giunti quasi alla fine, non so quanti capitoli scriverò ancora. Forse uno, due. Anche tre. Ma va be', pace.

Se il capitolo non vi è piaciuto (com'è normale che sia), donate un po' di tempo a questa povera scema con una recensione negativa o neutra, perché anch'io non so cosa ci sia che non va, ma sento che sia orribile. Se eccezionalmente vi è piaciuta, potete lasciare una positiva, mi fa piacere.

Ah, aggiungo che potevo finirlo anche ieri. Ma poi è uscito il trailer di Mockingjay e... va be', ciao.

Alla prossima,

Bolide

P.S.= ok, ho riletto e confermo che ho fatto decisamente di meglio. Il brutto è che sto ascoltando la musica, quindi il mio tasso di attenzione è del -3748728572742720%. Scusate.

 
  
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