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Autore: Fiamma Erin Gaunt    17/09/2014    2 recensioni
E se i figli di Stephen Herondale fossero stati due, un bambino e una bambina? Se Valentine avesse cresciuto la piccola a sua immagine e somiglianza, se non se ne fosse mai separato? Quando Katherine incontra suo fratello gli equilibri conosciuti fino a quel momento vengono spezzati e l’epica battaglia tra il bene e il male infiamma nuovamente il mondo degli Shadowhunters.
Dal testo:
Valentine si chinò su di lei, avvicinandosi finchè le loro labbra furono sul punto di sfiorarsi.
- Vai, figlia mia, rendimi orgoglioso. –
Le scoccò un casto bacio a fior di labbra per poi allontanarsi e osservarla mentre finiva di allacciarsi impacciatamente il fodero della spada.
*
- Tu non sei sua figlia, smettila di comportarti come se lo fossi. Non sei una Morgenstern, sei una Herondale, e non sarai mai nulla più che una ragazzina orfana e impaurita che ha raccolto come avrebbe fatto con un cucciolo randagio e ha portato a casa. – concluse Jonathan, fissandola con bruciante soddisfazione. Finalmente era riuscito a ferirla, lo vedeva da come quegli occhi d’argento lo fissavano impietriti.
- Va all’inferno, Jonathan. –
Genere: Dark, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Clarissa, Jace Lightwood, Nuovo personaggio, Sebastian / Jonathan Christopher Morgenstern, Valentine Morgenstern
Note: Lemon, Lime, What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Incest, Triangolo
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Put your hands on my body

 

 

 

 

 

Passare la notte con Jonathan non era esattamente in cima alla lista dei suoi desideri, ma in mancanza di meglio avrebbe dovuto arrangiarsi. Mentre frugava alla ricerca della sua camicia da notte, si ricordò che in effetti lei ce l’aveva eccome un’alternativa. Un’alternativa alta, snella e decisamente affascinante.

Mise via la camicia da notte, recuperò il fodero della spada e lo allacciò alla cintura. Stava giusto per scavalcare il davanzale e uscire quando Jonathan varcò la soglia. Gli occhi scuri sembrarono capaci di immobilizzarla, neanche fosse stato un coniglietto abbagliato dai fari di una macchina.

- Dove stai andando? –

- Non mi pare che siano affari tuoi, no? – ribattè.

Jonathan inarcò un sopracciglio, sprezzante. – Voglio solo essere certo che tu non mandi a rotoli la missione solo per andarti a rotolare tra le lenzuola con mio padre. –

Beccata in pieno.

- Non stavo andando da Valentine, volevo solo prendere un po’ d’aria – mentì rapidamente, ma persino alle sue orecchie suonava come una bugia molto poco convincente.

Le si avvicinò con l’andatura sinuosa di un serpente, continuando a fissarla negli occhi. Un ghigno gli increspò le labbra sottili mentre scuoteva la testa fintamente deluso.

- Pensavo che sapessi mentire meglio di così, Katherine. –

Si fermò a pochi centimetri da lei, le labbra che quasi si sfioravano mentre parlavano. Eppure in quel momento, ipnotizzata com’era da lui, non trovò nulla di male nel fatto di averlo così addosso.

- Se anche fosse non è un tuo problema, no? – trovò la forza di ribattere, maledicendosi mentalmente per come suonavano titubanti le sue parole.

Una delle mani alabastrine di Jonathan si posò sulla sua guancia, giocherellando distrattamente con un’onda corvina. Mai come in quel momento le ricordò così tanto Valentine. Si chiese distrattamente se lo stesse facendo apposta. Farla fremere dal desiderio per poi ridere di lei sembrava proprio il genere di cosa che avrebbe potuto fare Jonathan Christopher Morgenstern.

- No, non è un mio problema – confermò, abbandonando i capelli per seguire il profilo della mandibola, del collo e soffermarsi sulla clavicola. – Bè, perché non stai uscendo? – chiese, fingendosi innocentemente sorpreso, ma il luccichio nei suoi occhi lo contraddiceva.

Katherine posò una mano sul suo petto, saggiando la consistenza dei muscoli celati dalla divisa da combattimento, scendendo verso il basso fino ad arrivare alla cintura. Indugiò sulla fibbia, osservando come quegli occhi già così scuri s’incupivano ulteriormente.

- Pensavo che non ti piacessi – osservò, decisa a prendere in mano il gioco.

- Infatti non mi piaci. Sei testarda, arrogante, inso … - si morse la lingua, distratto dalla mano della ragazza che si era spostata ancora più verso il basso.

- Sì? –

- Insopportabile – concluse, prendendola per il bavero della maglietta e spingendola contro il muro.

Prese d’assalto le sue labbra, leccandole e mordendole fino a farla sanguinare. Katherine reagì d’istinto, artigliandogli le spalle e cingendogli i fianchi con le gambe. Trovarono il letto a tentoni, continuando quella furiosa lotta a base di lingue e denti. I vestiti finirono a terra, sparpagliati per la stanza, ormai completamente inutili. Affondò in lei, sorridendo davanti al suo gemito. Spinse nuovamente, guardandola sospirare di nuovo e chiudere gli occhi.

Si fermò a metà spinta, improvvisamente furioso.

- Apri gli occhi. –

Katherine obbedì, perplessa.

- Che accidenti ti prende? –

- Sono Jonathan, non Valentine, e non ti permetterò di pensare a mio padre mentre sei con me. –

Una spinta più forte, rabbiosa, che le mozzò il fiato per il dolore. Continuò a muoversi così: rapido, brutale, inesorabile, finchè non giunse all’apice del piacere. Rotolò su un fianco, voltandole le spalle.

Rimasero in silenzio per un po’ finchè non avvertì la mano fredda di Katherine che si posava sulla sua spalla.

- Jonathan. –

- Che c’è? – chiese, gelido, sforzandosi di non lasciar trapelare la strana sensazione che lo attanagliava. Collera, delusione, dolore … sentimenti noti che in quel momento lo punzecchiavano inesorabilmente. Sua madre gli aveva preferito Clary, suo padre Jace, Katherine vedeva in lui solo una pallida copia di Valentine. Non importava quanto forte fosse, quanto migliore di tanti altri sapesse essere, non era la prima scelta di nessuno.

Non doveva essere stato tanto bravo come credeva, perché Katherine gli si mise a cavalcioni per costringerlo a guardarla negli occhi. C’era un pizzico di comprensione e dolcezza nelle sue iridi argentee.

- Per la cronaca, non stavo pensando a tuo padre. –

Emise un verso sprezzante.

- Strano, visto che sembra essere il centro dei tuoi pensieri. Neanche fossi davvero sua figlia. Non sei una Morgenstern, sei una Herondale, e non sarai mai nulla più che una ragazzina orfana e impaurita che ha raccolto come avrebbe fatto con un cucciolo randagio e ha portato a casa – concluse, con bruciante soddisfazione.

Finalmente era riuscito a ferirla, lo vedeva da come quegli occhi d’argento lo fissavano impietriti.

- Va’ all’inferno, Jonathan. –

Scivolò via, indossando una vestaglia sopra la camicia da notte e uscendo dalla stanza.

Si chiuse la porta alle spalle con forza, incurante dell’ipotesi di svegliare qualcuno degli ospiti dei Penhallow.

Lei che aveva persino provato a rincuorarlo. Oh, per l’Angelo, che razza d’idiota che era stata. Jonathan Morgenstern era uno stronzo incapace di provare anche un minimo barlume di riconoscenza. Paragonarlo a suo padre? Impossibile, perché Valentine non era neanche lontanamente inumano come suo figlio.

Jonathan, intento a fissare il soffitto della stanza, scosse la testa. Non era capace di guadagnarsi l’amore delle persone e quella ne era stata la riprova. Non sapeva perché le aveva detto quelle cose, malgrado fossero vere, soprattutto in un momento come quello in cui le divergenze sembravano essersi appianate.

La verità è che tu non vuoi essere amato, sussurrò malignamente la vocina nella sua testa. E sì, probabilmente aveva ragione lei.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Spazio autrice:

Rieccoci qui. Nessuna recensioncina? Non vorrete fare di me un’autrice tanto ma tanto triste, vero? Alla prossima.

Baci baci,

Fiamma Erin Gaunt

  
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