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Autore: LimoneMenta    17/09/2014    1 recensioni
Davide è un giovane uomo in carriera che da Torino si è trasferito a Dublino. Sta per tornare a casa per le vacanze natalizie, quando, all'improvviso, la locandina della nuova stagione del Gaiety Theatre gli si piazza avanti agli occhi. In quel momento la decisione d fermarsi e tentare di rivedere quella ballerina che lui conosce da moltissimi anni e che non ha mai scordato. Tra lezioni di danza, ricevimenti in hotel di lusso e l'aiuto di una nuova amica riuscirà Davide a capire cosa prova? Si tratta davvero di una vecchia amicizia a lungo dimenticata oppure di qualcosa di più? Cosa c'è tra lui e quella ballerina?
Se qualcuno avesse voglia di perdere cinque minuti per una breve (o anche lunga!) recensione, mi farebbe davvero contenta! Grazie mille e buona lettura!
(sinceramente, non so perchè il testo sia un po' spostato. Comunque, è leggibile tranquillamente, quindi... don't worry)
Genere: Romantico, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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3. Un James Bond disperato

Nel pomeriggio, Davide aveva telefonato a sua madre per dirle che non sarebbe arrivato quel giorno, a causa di un problema di lavoro. La donna, seppur poco convinta, non aveva fatto troppe storie. La ramanzina gliel’aveva fatta lo stesso, però. In realtà, c’era stata davvero una complicazione: lo smoking. Non aveva mai partecipato ad eventi così formali in Irlanda e di certo non se lo era portato da Torino. Non che là ne possedesse uno, intendiamoci. Trovarlo, e soprattutto della sua taglia, era stata un’impresa: in quel momento comprarlo non era esattamente nei suoi piani e in quel Paese i “dress-rent-shops”, i negozi dove gli abiti vengono affittati, non esistevano proprio. Aveva quindi cominciato un giro di telefonate a tutti i suoi amici nella speranza che uno di loro potesse aiutarlo, ma niente. Così, alla fine, era uscito di casa, rassegnato all’idea di doverne acquistare uno. Proprio davanti al portone, però, aveva incontrato Anthony, uno dei suoi vicini. Come lui, Anthony aveva dovuto lasciare per motivi di lavoro la sua nazione, l’America, e si era portato dietro l’intera famiglia, composta da moglie e due gemelli di sei anni, Andrew e Josh. Quando Davide gli aveva raccontato il suo problema, l’altro aveva annuito, squadrandolo pensieroso dalla testa ai piedi. Lo aveva poi trascinato nel suo appartamento, con grande gioia dei bambini che lo adoravano, e lo aveva lasciato con loro, tornando pochi minuti dopo con una grossa custodia copri-abiti nera in mano. L’aveva aperta e ne aveva tirato fuori lo smoking più bello che Davide avesse mai visto. Si era scusato per il fatto che avesse ormai qualche anno, in quanto suo abito da nozze, ma poi aveva alzato le spalle dicendo che poteva funzionare ancora. Glielo aveva gettato fra le braccia e, senza tante cerimonie, lo aveva chiuso nella sua camera da letto per provarlo. A dirla tutta, non si sentiva del tutto a proprio agio dopo averlo indossato, gli dava un’aria un po’ troppo… adulta. Lui che a trent’anni era abituato a guardarsi allo specchio e vedere la stessa faccia di quando ne aveva diciotto. Quando era tornato in salotto, aveva trovato Anthony intento a mostrare le foto delle nozze ai bambini che, incuriositi dalla situazione, lo avevano supplicato di tirare fuori il vecchio album. Si erano poi lanciati incontro a Davide e avevano iniziato a urlare quanto fosse elegante e soprattutto a ridere del fatto che sembrasse un pinguino. Ma il padre glieli aveva staccati di dosso, gli aveva piazzato disordinatamente i suoi vestiti fra le braccia e gli aveva chiuso la porta in faccia. Letteralmente.                                                                                                         
Ed ora se ne stava là, davanti all’ingresso del teatro, indeciso sul da farsi. Erano le ventuno meno pochi minuti, presto lo spettacolo sarebbe cominciato. Per la prima volta nella sua vita, Davide non solo era in perfetto orario, ma avevo persino dovuto aspettare dieci minuti prima di partire, benché già pronto per uscire. Sia fuori che dentro l’edificio era pieno di gente raffinatamente vestita che conversava sui più disparati argomenti. Decise di entrare, per levarsi almeno dal raggio d’azione di un’elegante signora sulla sessantina, fasciata in un tailleur viola, che sembrava averlo classificato come un bel bocconcino.                                        
“Questo smoking funziona fin troppo bene” pensò leggermente preoccupato.                                                                                                                               
«Davide!»                                                                                                                                                                         
Lui si voltò appena in tempo, prima di vedere un’indaffarata Aberdeen afferrargli il braccio e allontanarlo dalla folla. Quand’ebbero raggiunto un angolo un po’ più tranquillo, si concesse qualche secondo per squadrarla. Aveva i capelli rossi raccolti in uno chignon basso, un paio di ciuffetti che ricadevano sulla fronte costringendola a sbuffare per spostarli. Indossava un lungo abito verde, molto scollato, un paio di sandali dorati sbucavano dalla stoffa, abbinati alla lunga pochette che stringeva nella mano sinistra. Un paio di orecchini a pendente abbinavano il tutto, riprendendo i toni del vestito e degli accessori. Un risultato elegante e molto raffinato, ma c’era qualcosa che non gli tornava. Il prezzo complessivo, ad esempio.                                          
«Stai molto bene» le disse.                                                                                                                                                
Lei gli rivolse un sorriso di gratitudine. «Grazie. Di solito è una noia venire qui, ma questa sera sarà diversa, abbiamo una missione da compiere!» esclamò determinata.               «Già – concordò lui – c’è solo una cosa non mi quadra…» chiese dubbioso.                                                                                                                                             «Cioè?» chiese Aberdeen guardandolo confusa.                                                                                                                     
Lui la indicò con un ampio gesto della mano. «Tutto questo… dev’essere per forza firmato e non credo che con un semplice lavoro al botteghino tu possa permetterteli…» le spiegò lasciando la frase in sospeso. Lei per un attimo non capì, poi scoppiò a ridere, portandosi una mano davanti alla bocca. «Accidenti, devo essermi dimenticata di dirtelo: mio padre è il direttore del teatro!»                                                                                          
Davide la guardò sconvolto: «Tuo padre è il direttore del teatro… e noi abbiamo organizzato tutto questo? Non ti bastava portarmi come… non so, un amico?» chiese sbalordito.                                                                                               
«Mio padre conosce molto bene i miei amici e la gente che frequento, non gli piace che io porti ad occasioni così formali persone che non ha mai visto e di cui non sa nulla. E poi, avrebbe sicuramente pensato che tra me e te ci sia qualcosa di più dell’amicizia, conoscendolo, e non mi andava di dovermi subire una delle sue ramanzine in mezzo a tutta questa gente. Mi tratta già troppo da bambina» concluse con aria seccata. Doveva aver preso un nervo scoperto e se ne dispiacque.                                                                                                            
«Mi dispiace, scusa… va benissimo così, ha già fatto anche troppo per me, grazie» tentò di riparare.                         
«Tranquillo… diciamo che questa era anche una scusa per non dover passare una di quelle solite serate noiose» confessò mordicchiandosi il labbro inferiore. Si aggirarono tra gli ospiti per pochi minuti, finché il padre di Aberdeen non fece ingresso in platea, seguito da tutto il resto degli spettatori. La ragazza spiegò a Davide che era lei ad occuparsi dell’ingaggio delle maschere, perché era un lavoro che molti svolgevano per poco tempo, quindi per lei sarebbe stato più facile farlo passare come uno di loro assunto all’ultimo minuto. Alle maschere, però, doveva sembrare il suo accompagnatore, perché si conoscevano tra loro e di certo non avrebbero creduto alla sua copertura; un duplice inganno, quindi. Quando l’atrio rimase completamente vuoto, eccetto le maschere, si diressero rapidamente verso il corridoio del botteghino, fino a raggiungere la platea. Davide aveva sentito dire che la galleria, o come la maggior parte della gente la chiamava, ovvero “i balconi”, era il posto migliore da cui assistere ad uno spettacolo, ma oltre a non esserci più un buco libero in tutto l’edificio, lì stava anche il padre dell’amica. “Posti in piedi” si disse rassegnato.                                                         
«A proposito, bello smoking. Molto alla James Bond» si complimentò Aberdeen con un occhiolino.                                                                 
«Grazie». Proprio mentre si chiudeva la porta alle spalle, le luci della sala calarono lentamente, fino a circondarli del buio più totale. Una melodia dolce, soffice e accogliente si diffuse delicatamente, trasportando tutti in un mondo di danza, schiaccianoci, fate e topi, amori e battaglie, pericoli immaginari. Quando Rebecca comparve sul palcoscenico, all’inizio dello spettacolo, indossava un semplice abito, quasi da bambina, rosa e con un fiocco sulla schiena. Ma alla fine del balletto, quando aveva scoperto di essere la Fata Confetto, portava uno splendido costume colorato, col corpetto a cuore e un tutù che risaltava le sue gambe flessuose. Qualsiasi passo compiesse, grazie a quel tessuto brillava come una stella, rubando la scena agli altri ballerini, persino allo Schiaccianoci. Era splendida in ogni suo movimento, leggera ed aggraziata, aveva rubato il fiato all’intera platea, che lo aveva lasciato andare solo nel momento in cui le luci si erano riaccese e, i ballerini prima e i due protagonisti dopo, si erano presentati sul palco per ricevere gli applausi scroscianti. Un bambino di circa dieci anni, uno di quelli che aveva ballato ai festeggiamenti finali per la Fata Confetto, le portò un grosso mazzo di fiori, che lei prese tra le braccia, dandogli un bacio sulla guancia.                                                                                   
«Andiamo, avanti. Usciamo di qui». La voce di Aberdeen lo distolse dalla sua contemplazione, mentre gli tirava gentilmente una manica della giacca. Sapeva che lo aveva osservato tutta la durata dello spettacolo, ma non gli importava.                                                                                                                                                                
«Allora, com’è stato?» chiese l’amica, mentre scendevano le scale e raggiungevano l’atrio. Lui si prese un attimo per riflettere, fermandosi in mezzo alla sala: aver rivisto Rebecca lo aveva sconvolto, ma osservarla ballare lo aveva lasciato senza fiato. Non le aveva tolto gli occhi di dosso, il terrore di perdere anche solo un secondo di quello spettacolo era troppo grande. Era stata così vicino, eppure ancora così lontana… il solo pensiero lo uccideva dentro.  Sentì le lacrime che salivano pizzicargli gli occhi.                                                                                                            
«Indescrivibile, ho capito» rispose Aberdeen per lui, voltandosi con un ghigno. Poi, però, il suo sorriso lasciò posto a un’espressione preoccupata, non appena vide una lacrima scivolargli lungo la guancia. «E molto dolorosa, vero?» chiese poggiandogli una mano sul braccio. Davide le strinse il polso con forza, chiudendo per un istante le palpebre. «Un bagno. Mi serve un bagno» disse con un sospiro. Lei annuì in silenzio e sciolse la sua presa, incastrando le dita con quelle dell’altro. Lo accompagnò fino alle toilette, trascinandolo senza esitare in quello delle donne e contando sulla riservatezza del genere femminile, nel caso in cui fosse entrato qualcun altro. Non appena ebbe chiuso la porta, gli gettò le braccia al collo, stringendolo più forte che poté. Lui lasciò cadere finalmente tutte le lacrime, soffocando a stento un urlo. Non ce la faceva più… 
Scivolò lungo il muro di marmo, sedendosi sul pavimento freddo e sfogando tutto il suo dolore. Aberdeen lo stringeva in silenzio, una tacita presenza che non lo avrebbe abbandonato.

  
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