3. Ryuk
"Le ali d'angelo, Lauren. Spiccherai il volo."
"Dovresti stare ferma, sai? Altrimenti non ti farà di certo bene... Anzi, ti farà sempre più male."
"Allora, Hamilton. Mi hanno detto che vuoi volare."
"Ali di sangue, le ali degli angeli decaduti... Non ti piace? Secondo me ti donano."
Nora si svegliò di colpo, ansimante. Aveva la fronte imperlata di sudore e il volto bagnato dalle lacrime. Il cuore le batteva in petto talmente forte da farle male, troppo male. Infilando una mano sotto al cuscino, estrasse il telefono e guardò l'ora. Le 04:28. Di certo non sarebbe più riuscita a dormire, poco ma sicuro.
Andò in bagno e aprì l'acqua della doccia, lasciando che si scaldi.
Aldilà dallo specchio, il suo riflesso la guadava con aria quasi grave, di rimprovero, forse, con diverse sfumature di dispiacere.
«Nora Silversoul», pronunciò ad alta voce fingendo un'espressione tranquilla, dopo essersi asciugata le lacrime.
Pronunciare il proprio nome davanti allo specchio sfumava leggermente la propria figura, se ci si faceva caso.
Il vapore stava pian piano invadendo il bagno, così si lasciò andare sotto il caldo getto d'acqua della doccia: lì non sarebbe riuscita a piangere, lo sapeva bene, ed era sempre così. Al contrario, invece, non sarebbe riuscita a smettere non pensare. "Quello non è un incubo. Sono ricordi... Ricordi che mi tormenteranno per sempre...", si disse, districandosi i nodi dei fitti riccioli. «Vaffanculo», mormorò tra sè e sè.«Lauren Hamilton» e fu invasa da un'ondata di nostalgia e paura al contempo. Non pronunciava quel nome da più di due anni e quelle parole sembravano così sconosciute sulle sue labbra, ma così prepotentemente indimenticabili.
Quel nome, detto da lei, era così pericoloso... per lei e per chi aveva attorno: suo fratello Joey, Light, la sua amica Shizuka... e degli altri non le importava molto, perciò erano al sicuro.
Quel nome, detto da lei, era così pericoloso... per lei e per chi aveva attorno: suo fratello Joey, Light, la sua amica Shizuka... e degli altri non le importava molto, perciò erano al sicuro.
Rimase sotto l'acqua a lungo, cercando di perdere più tempo possibile. Uscì un'ora e mezza dopo e, dopo essersi messa delle lenti marroni, mascherando gli occhi verdi che cambiavano spesso colore a seconda del tempo, tornò in camera sua.
Lasciò cadere a terra il morbido accappatoio blu mare e mettendosi in intimo si guardò a lungo allo specchio: un figurino incredibile, con le giuste curve e lo stomaco piatto, con qualche leggero accenno di addominali. Si girò di schiena, cercando comunque di guardare il suo riflesso.
Sospirpò. Due cicatrici, una per scapola, capeggiavano sulla schiena. Due segni profondi, leggermente più scuri, rimasti lì a ricordarle il trauma subìto due anni e mezzo prima.
E sussurrò: «Ali di sangue, Lauren...»
Camminava a passo spedito lungo la strada semideserta, incorniciata da stupende casette una accanto all'altra. L'aria mattutina e frizzante le stuzzicava il naso, mentre le nuvole compatte erano un fitto blocco di cemento latteo.
Si fermò all'improvviso, guardandosi attorno. Dov'era finita?
Sbuffò e tornò indietro: aveva superato casa Yagami da un pezzo, lasciandola minuti e minuti indietro. Quando arrivò erano già passati più di dieci minuti.
«Entra, entra pure!» disse quasi entusiasta Sachiko Yagami, invitandola ad entrare. « Light! C'è Nora, scbrigati a scendere!», aggiunse, rivolta a suo figlio.
«Ecco... non vorrei disturbare...» Rispose impacciata la ragazza. I due ragazzi non andavano mai a scuola insieme, ma quella mattina, dopo l'incubo, Nora non voleva assolutamente andare da sola.
«Arrivo. Dille di salire.» La voce di Light, calma e tranquilla, giunse dalle scale.
Un minuto dopo, lei era di fronte alla sua stanza. Bussò.
«E' aperto», disse lui, da dietro alla porta.
«Hey... Come stai?», chiese, entrando nella camera in penombra.
«Bene, e tu?»
«Ma... Perché non accendi la luce?»
Lo chiese un'attimo prima di vederlo.
Era troppo alto, troppo magro, con spalle troppo larghe e braccia ossute troppo lunghe. Un'ombra scura totalmente sproporzionata. E fluttuava.
Si coprì la bocca con entrambe le mani ed indietreggiò quando la creatura si mosse.
«Che... Che cos'è....quel... coso?!», ansimò la ragazza, incapace di gridare.
La creatura le si avvicinò ancora di più, con le ginocchia leggermente piegate e le lunghe ma sottili ali che spuntavano dalla schiena, sorreggendolo in aria senza il bisogno di sbatterle.
«Ma come... Riesce a vedermi?»