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Autore: _Trilly_    18/09/2014    7 recensioni
Violetta, Angelica, Angie, Pablo, Leon, Diego, Francesca, Marco. Ognuno di loro ha un passato che vorrebbe cancellare, dimenticare. Si sa però, che per quanto si possa fingere che non sia mai esistito, esso è sempre là in agguato, pronto a riemergere nei momenti meno opportuni, portando con se sgomento e profondo dolore. Tutto questo perchè il passato non può essere ignorato per sempre, prima o poi bisogna affrontarlo. Ognuno di loro imparerà la lezione a sue spese.
Leonetta-Diecesca-Pangie
Genere: Drammatico, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Diego, Francesca, Leon, Pablo, Violetta
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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“Toc, toc. Posso entrare?” Sorrise Violetta, bussando alla porta della camera di Diego, dove sapeva che il cugino fosse rinchiuso da quando era stato messo in punizione.
Il ragazzo, che se ne stava stravaccato sul letto con lo sguardo perso nel vuoto, al suono di quella voce sorrise e si mise seduto. “Certo che puoi, cuginetta.”
La Castillo subito si fiondò in camera, chiudendosi la porta alle spalle. “Come stai?” Gli chiese, stringendolo in un forte abbraccio. “So quanto detesti stare chiuso in camera.”
Diego scrollò le spalle, invitandola a sedersi sul letto accanto a lui. “Ormai ci sto facendo l'abitudine, conosco ogni singola crepa di questa camera. Tu invece, che mi dici?” Proseguì, scrutandola attentamente e facendola accigliare. “Che vuoi dire?”
Galindo sospirò, passandosi nervosamente una mano nei capelli. “Ho parlato con Leon ieri sera,” buttò lì, con la convinzione che prima lo ammettesse e prima si sarebbe tolto quel peso.
Violetta sgranò gli occhi, il sorriso sparì dal suo volto. “Non mi va di parlarne,” mormorò alla fine, prendendo l'MP3 che lui aveva lasciato sul letto e iniziando a giocherellarci distrattamente. Diego, che la conosceva bene, sapeva che stesse solo tentando di mascherare il suo dolore. Stava male, il sorriso che ormai non raggiungeva più gli occhi e i suoi gesti nervosi lo confermavano. Le tolse allora l'aggeggio di mano e la strinse forte a se, facendole poggiare il capo contro il suo petto. “Shh,” sussurrò, quando lei fece per dire qualcosa. “Non c'è bisogno che tu mi dica nulla. So che lo hai lasciato e non ti nascondo, che me lo aspettavo.”
Violetta sollevò lo sguardo, confusa. “Come?”
“Mi hai detto che volevi chiudere con la vecchia vita e poi...bè, non avete fatto altro che litigare e...Leon continua a causare problemi e...,” spiegò Diego, facendo fatica a trovare le parole giuste, non sapendo quanto potesse spingersi, vista la situazione sicuramente delicata.
“Con lui non si può parlare!” Esplose finalmente la Castillo, seppellendosi tra le sue braccia. “è solo un egoista, un violento e un malato di mente! Avresti dovuto sentirlo, ha perso completamente la testa!” Un attimo dopo, stava piangendo disperata e lo stava colpendo con dei piccoli pugni. “Mi fa arrabbiare...vorrei...vorrei ucciderlo, ma...ma allo stesso tempo...Diego, perché non riesco a togliermelo dalla testa?” Singhiozzò, mentre lui le accarezzava la schiena e i capelli. “Vorrei odiarlo...tenerlo fuori dalla mia vita, ma il cuore non ne vuole sapere...lui continua a dipendere da Leon, io dipendo da Leon,” ammise ancora, mentre le lacrime continuavano a scorrere lungo le sue guance.
“è perché lo ami,” mormorò Diego, sospirando con amarezza. “Me lo hai sempre detto tu, non si può decidere chi amare, succede e basta.” Mentre diceva quelle parole, il giovane non sembrava molto convinto e Violetta non ne rimase sorpresa, suo cugino non aveva mai creduto nell'amore, addirittura pensava di non averne la predisposizione. “Diego,” provò, ma lui scosse la testa, prendendole il volto tra le mani. “Guardami, Vilu.” Quando lei lo fece, proseguì. “Tu lo ami e anche lui ama te, ma non sa dimostrarlo. Sai che è così,” si affrettò ad aggiungere quando la ragazza fece per dire qualcosa. “Leon è cresciuto convinto di seguire dei valori giusti, gli è stato insegnato in quel modo e non puoi pretendere di cambiarlo così all'improvviso. Anziché giudicarlo e aggredirlo, dovresti provare a parlargli con calma, spiegargli le tue ragioni e farti spiegare le sue. Nonostante i tanti sbagli, ti ha sempre amata con tutto se stesso...non hai idea dello stato in cui si trovava quando mi ha chiamato ieri. La distanza da te lo sta uccidendo.”
La Castillo lo ascoltò in silenzio per tutto il tempo, quelle parole si ripetevano più volte nella sua mente, destabilizzandola decisamente. Fino a un attimo prima, era convinta della decisione che aveva preso nonostante la facesse stare male, ora però non sapeva che pensare. Diego aveva ragione, Leon era cresciuto secondo le idee e le regole di Fernando Vargas convinto che fossero giuste, non si rendeva conto che ciò che faceva fosse sbagliato, anche perché chi glielo aveva insegnato era proprio suo padre, una delle persone a cui teneva di più. Come aveva potuto non fermarsi a riflettere su quel dettaglio? Se voleva che Leon capisse, glielo doveva spiegare con calma e non aggredirlo in quella maniera, era normale che inizialmente fosse scappato e poi avesse tentato di imporre il suo modo di fare. Quando aveva aggredito Thomas in quel vicolo, quando aveva affrontato lei in giardino, dimostrandosi apertamente geloso e insofferente, era l'unico modo di comportarsi che Leon conosceva, non gli era mai stato insegnato che ne esistessero altri. Come poteva quindi lei punirlo per qualcosa che la sua famiglia gli aveva insegnato fosse giusto? Lei che aveva sempre detto di amarlo al di sopra di tutto, ora lo stava ferendo nella maniera peggiore, pretendendo che lui capisse cosa doveva fare senza averlo mai fatto prima, che razza di persona era?
Istintivamente si gettò di nuovo tra le braccia di Diego, lasciandosi andare a un pianto liberatorio. “Hai ragione tu, sono una stupida...una grandissima stupida...” singhiozzò, disperata. “Gli ho persino detto che non è più in grado di rendermi felice...semmai è il contrario e...Oh Diego! Sono un mostro...l'ho ferito e...lui non se lo meritava...il solo pensiero che stia male, mi sta uccidendo...” Continuò a piangere sempre più forte, mentre Diego tentava di consolarla, sentendosi anche vagamente in colpa. Forse era stato troppo duro, avevano ragione gli altri quando dicevano che avesse poco tatto, ma che ci poteva fare se non se ne rendeva conto? Se solo non fosse stato tanto istintivo e si fosse fermato a pensare. Voleva aprire gli occhi a Violetta, ma non accusarla e farla sentire tanto in colpa, odiava vederla piangere. “Va tutto bene Vilu, tranquilla,” le sussurrò perciò all'orecchio, scostandole una ciocca di capelli dal volto umido. “Tu non hai colpa, è comprensibile se hai reagito così. Lui ha sbagliato quanto te,” aggiunse, sollevandole il mento così da costringerla a guardarlo negli occhi. “Non è tutto perduto, basta che vi chiarite, che vi dite ogni cosa. Nulla potrebbe davvero separarvi.” Le sorrise incoraggiante, cosa che poi anche Violetta si costrinse a fare oltre le lacrime. “Tu credi davvero che mi ascolterà?” Chiese la giovane, speranzosa.
Diego annuì. “Non lo credo, ne sono sicuro. Lui ti ama e ti ascolterà.”
“Oh Diego!” Esclamò lei, abbracciandolo di slancio. “Parlerò con lui. Grazie, grazie davvero.”
Si stavano ancora abbracciando, quando sentirono bussare alla porta. Un attimo dopo, entrò un allegro Pablo. “Ciao Violetta.”
“Ciao zio,” sorrise la ragazza, andandogli incontro e stampandogli un bacio sulla guancia.
“Tutto bene?” Chiese l'uomo, guardando anche il figlio, preoccupato. Non gli era sfuggito che la Castillo avesse gli occhi lucidi.
Diego si limitò a scrollare le spalle, lasciandosi andare a un lungo sbadiglio. “A meraviglia.” L'ironia nella sua voce era più che evidente e se Violetta rivolse un'occhiataccia al cugino, Pablo sospirò, andandosi a sedere sul letto accanto ai ragazzi e circondando le loro spalle con le braccia. “Devo andare a fare delle commissioni,” esordì, guardando Diego. “Ti va di venire con me? Così esci un po' da questa camera e...” Sembrava a disagio, quasi temesse la risposta del figlio. Non ce la faceva a vederlo così apatico, sapeva che stava male a stare chiuso in camera e per questo gli aveva fatto quella proposta, ma se l'avesse presa male?
Il giovane guardò il padre, sorpreso. Tutto si aspettava, ma non di certo quello. Cercò lo sguardo di Violetta, che gli sorrise incoraggiante, allora tornò a rivolgere la sua attenzione a Pablo, abbozzando un mezzo sorriso. “Si, mi va.”
A quelle parole, il volto di Pablo si illuminò. “Perfetto, vado a prendere la giacca. Vieni con noi, Vilu?” Prima di uscire dalla camera, si era rivolto alla ragazza, che annuì. Anche lei aveva bisogno di distrarsi e poi era sicura che insieme a Galindo, Angelica non avrebbe avuto nulla da ridire. Nel giro di pochi minuti, tutti e tre scesero in cucina, dove proprio la donna in compagnia di Angie, stava bevendo un tè.
“Porto Diego e Vilu con me,” esordì Pablo, baciando la guancia della moglie. Se Angie annuì, sorridendo dolcemente ai tre, Angelica s'irrigidì, facendosi di colpo seria. “In realtà Violetta ed io dovevamo andare a fare la spesa e...”
Diego e Violetta ruotarono gli occhi, cercando poi con lo sguardo l'aiuto di Angie e Pablo. Sapevano che la donna lo facesse in buona fede, ma a volte era fin troppo apprensiva.
“Ti accompagno io a fare la spesa,” propose Angie, strizzando l'occhio al figlio e alla nipote. “Lascia andare i ragazzi con Pablo, con lui saranno al sicuro.”
“Sai che ti puoi fidare di me, Angelica,” aggiunse Galindo, poggiandole una mano sulla spalla. La donna sbuffò, poi annuì, rassegnata. “Fate quello che volete.”
“Grazie nonna!” Esclamò Violetta, stringendola in un forte abbraccio. “Ti prometto che ci comporteremo bene.”
Così lo strano trio composto da Pablo, Diego e Violetta, andò in giro per la città a svolgere le numerose commissioni che l'uomo aveva da fare, intrattenendo un'allegra conversazione. Lontano dalle mura di casa, il giovane sembrava avesse ripreso a respirare, era spiritoso e pieno di vita come gli altri due non lo vedevano da parecchio.
“Vi va un gelato?” Propose Pablo alcune ore dopo, quando stancamente si sedettero su una panchina nel parco. “Tutto questo movimento mi ha fatto venire fame,” aggiunse, facendoli sghignazzare. “Conosco un posto dove fanno un gelato eccezionale,” disse Violetta, entusiasta, guidandoli verso una stradina piuttosto affollata. “Ci vado sempre dopo lo Studio. Per me è una sorta di ritrovo.”
Quando Pablo e Diego videro che il luogo in questione si chiamava proprio 'Restò Band', capirono perché la Castillo lo avesse definito un luogo di ritrovo, difatti lì ci lavorava Luca, il fratello di Francesca, anche se loro non ci avevano mai messo piede. Per Pablo quello era un luogo per giovani e poi immaginava che i suoi studenti si sarebbero sentiti in imbarazzo a vederlo lì, Diego invece non frequentava molto quel tipo di ambienti o persone, era di più il tipo da locali notturni, discoteche o la cara vecchia pista di motocross. In ogni caso, entrambi decisero di fare un'eccezione e seguirono Violetta all'interno del locale. Se Pablo e Violetta raggiunsero subito il bancone, dove li accolse un sorridente Luca, Diego restò indietro, guardandosi intorno alla ricerca di Francesca. Se suo fratello lavorava lì, c'erano buone possibilità che ci fosse anche lei da qualche parte. Dopo quel pomeriggio al cinema e il successivo sogno che aveva fatto di loro due, non l'aveva più vista e una parte di lui bramava il momento di incrociare di nuovo quegli occhi nocciola. Si rendeva conto di esserne non poco attratto e di averla pensata molto, ma non aveva dimenticato di avere un piano da portare avanti e perciò doveva scacciare tutte quelle strane sensazioni e pensare piuttosto ad agire. Fece per voltarsi, ma nel farlo si scontrò con una ragazza dai lunghi capelli corvini, che chissà come riuscì ad evitare di far cadere il bicchiere di frullato che aveva tra le mani. “Stai atten...” iniziò lei, ma si bloccò non appena mise a fuoco il volto di Diego. “Ah, sei tu,” balbettò, con un filo di imbarazzo. Il giovane sogghignò, squadrandola da capo a piedi. “Ciao bambolina, come stai?”
Francesca deglutì, sforzandosi di controllare il proprio nervosismo. La sola presenza di Diego, accompagnata da quello sguardo insistente e dai suoi modi di fare, la destabilizzavano e la facevano sentire una completa idiota. “Sto bene, grazie. Tu? Marco mi ha detto che stavi in punizione.” Come le era saltato in mente di mettere in mezzo quel discorso? Lei doveva evitarlo a tutti i costi, non fermarsi a parlarci. Diego dal canto suo, la scrutò, sorpreso. Francesca era nervosa, agitata, eppure era lì ad intrattenere una conversazione. Era interesse o semplice cortesia? “Infatti è così, sono venuto con mio padre e con Violetta,” spiegò, indicando i due, che stavano parlando animatamente con Luca accanto al bancone. La Cauviglia guardò nella direzione indicata da lui, sorridendo. “Non li avevo visti, devo andare a salutarli.” Fece per avviarsi, ma Diego le prese il polso, costringendola a voltarsi. “Aspetta.”
“Cosa c'è?” Chiese Francesca, confusa ma anche spaventata, specchiandosi negli occhi verdi e seri del ragazzo. Non era tanto sicura di voler sapere cosa avesse da dirle, lui la confondeva, la ammaliava e la cosa non le piaceva per niente. Il moro però non disse niente, limitandosi a fissarla. Era da alcuni giorni che non la vedeva e poi c'era stato quel sogno che aveva fatto e a cui non riusciva a smettere di pensare. Si sentiva attratto da lei, Francesca lo incuriosiva, c'erano ancora tante cose di lei che non sapeva, era sicuro che ci fossero e chissà perché, sentiva il bisogno di conoscerle. Fece per dire qualcosa, ma...
“Diego, tesoro!” Un'allegra Ludmilla Ferro, ancheggiò verso di loro, gettandosi letteralmente tra le braccia di uno sconvolto Galindo. “Non mi avevi detto che saresti venuto qui. Aspetto ancora la tua chiamata, Amoruccio.” Dopodiché poggiò le labbra sulle sue, gesto che colse di sorpresa Diego e fece irrigidire paurosamente Francesca. La Cauviglia infatti se ne stava lì immobile a fissarli, incapace di fare altro. La sensazione di fastidio che aveva provato al cinema alla vista dei loro baci, in quel momento sembrava essersi triplicata. Non le piaceva vederli insieme, non le piaceva per nulla. Diego stava per dirle qualcosa, se solo Ludmilla non si fosse messa in mezzo. Scosse la testa, incredula. Ma cosa andava pensando? Era un bene che fosse arrivata la Ferro, lei stava con Marco, non poteva pensare a Diego, non poteva lasciarsi affascinare da lui. Eppure i suoi occhi...sembrava volessero dirle qualcosa, in essi aveva letto una tale intensità e poi...quando le aveva afferrato il polso, aveva avvertito una sorta di corrente elettrica, un qualcosa che non riusciva a spiegarsi. Diego Galindo le faceva uno strano effetto e non era di certo un bene, doveva andarsene da lì e subito. Si costrinse a distogliere lo sguardo dai due, rendendosi conto che le bruciassero gli occhi e che il cuore le battesse così forte da farle male. Le gambe le tremavano, l'ossigeno sembrava mancarle e lo stomaco le si era stretto in una morsa. Senza sapere come, riuscì a voltarsi e a correre verso l'uscita del locale, facendo non poca fatica a trattenere le lacrime. Non poteva piangere per Diego e soprattutto non poteva farlo lì.
Nel frattempo, accanto al bancone, a pochi metri da Luca, Pablo e Violetta, Lara fissava a sua volta Diego e Ludmilla, che ora avevano smesso di baciarsi, con gli occhi lucidi. Sapeva che il maggiore dei Galindo fosse un playboy incallito e che mai l'avrebbe amata, però vederlo insieme a un'altra le provocava lo stesso un dolore atroce. Perché doveva rimorchiare proprio sul suo luogo di lavoro? Tra l'altro era anche il suo primo giorno, era ancora in prova e se si fosse rivelata un fallimento, Luca l'avrebbe cacciata. Perché doveva sempre andarle tutto male? Incapace di resistere oltre, mollò il vassoio e il taccuino sul bancone, poi corse verso il bagno, dove avrebbe potuto dare libero sfogo alle lacrime, dimenticando che ci fossero dei clienti da servire.
Diego, una volta riuscito a liberarsi di Ludmilla con la scusa di dover tornare dal padre, confuso si accorse che Francesca fosse sparita. Dov'era andata? “Accidenti!” Sbottò tra i denti. Tutta colpa della Ferro, ora la mora avrebbe pensato che stessero davvero insieme quando in realtà c'era solo andato a letto. Sbuffò, passandosi nervosamente una mano nei capelli. Se solo la bionda non fosse arrivata, se solo fosse riuscito a parlare. Chissà cosa pensava di lui la Cauviglia. Il pensiero che potesse essere disgustata da lui, non gli piaceva per niente. Ma era solo per via del suo piano di conquista, o c'era di più? E perché ora si poneva quella domanda?
Confuso, si affrettò a raggiungere Pablo e Violetta, rendendosi conto che la cugina lo fissasse in maniera strana, che avesse capito qualcosa?
Quasi lo avesse letto nel pensiero, la Castillo lo affiancò e sussurrò: “Che diavolo stai combinando? Continui a fare stragi di cuori?” Aggiunse, lasciandolo basito.
Diego fece per dire qualcosa, ma lei scosse la testa. “Lascia perdere e vedi di stare alla larga da Francesca.” Stizzita, lo mollò lì accanto al padre, che troppo occupato a parlare con Luca, nemmeno se ne accorse. Eppure era stata chiara con il cugino, Francesca era la sua migliore amica e la fidanzata di Marco, entrambi meritavano rispetto. Credeva che avesse capito, credeva che per lei avrebbe rinunciato a fare il cretino e invece continuava. Come poteva ferirla in quella maniera? Come poteva essere così crudele? E Francesca, lei cosa provava? Già in passato aveva avuto dei dubbi circa i suoi sentimenti verso Diego, ma ora credeva amasse Marco, perché allora sembrava essere rimasta tanto scossa dal bacio del ragazzo con Ludmilla? C'era qualcosa che non le avesse detto?
Il flusso dei suoi pensieri, si interruppe di colpo quando la porta del locale si aprì e Leon Vargas fece il suo ingresso. Alla sua vista, il cuore di Violetta perse un battito. Forse il destino le stava dando una possibilità, quella di poter finalmente parlare con lui. Avanzò di qualche passo, ma Leon, che a quanto pareva non l'aveva vista, si avviò verso un tavolo, dove c'era una ragazza dai lunghi capelli castani che sembrava impegnata a studiare su un grosso libro. Sconvolta, Violetta vide Vargas chinarsi verso la ragazza e darle un bacio a fior di labbra, per poi sedersi accanto a lei. Gli occhi iniziarono a pungerle e le sembrò di avvertire il cuore frantumarsi in tanti piccoli pezzi. Le gambe le tremavano, ogni cellula del suo corpo sembrava volesse spingerla a piangere e ad urlare. Ogni emozione o pensiero l'aveva abbandonata, facendola sentire come un guscio vuoto. I muscoli le si erano paralizzati di colpo, impedendole qualsiasi azione, che non fosse quella di fissare Leon e quella ragazza. Perché il ragazzo le stava facendo questo? Aveva scelto un luogo che lei di solito frequentava di proposito? Sapeva di meritarlo, dopotutto lo aveva trattato malissimo, rifiutandolo fino all'inverosimile, ma non poteva fare a meno di starci male. Lei lo amava con tutta se stessa, non aveva mai smesso di farlo e vederlo con un'altra la uccideva. Come aveva potuto essere così stupida?
“Violetta.” Diego le poggiò una mano sulla spalla e senza pensarci troppo, la ragazza si gettò tra le sue braccia, piangendo silenziosamente. Galindo rivolse un'occhiata incredula verso Leon e la ragazza, che sembrava somigliare vagamente a sua cugina, poi condusse quest'ultima fuori al locale, dove li attendeva un preoccupato Pablo.
L'uomo fece per chiedere qualcosa, ma il figlio gli fece gesto di tacere, allora lui si limitò a condurli verso casa, con il pensiero che poi avrebbe sicuramente preso da parte Diego e gli avrebbe chiesto spiegazioni, non poteva di certo lasciar correre, soprattutto dopo aver visto sua nipote ridotta in quello stato. Doveva per forza essere successo qualcosa e anche di abbastanza serio. Accidenti a lui e a quando aveva deciso di portare i due in giro. Se sua moglie e sua suocera lo avessero ucciso, non avrebbe potuto dare loro torto.




“Tutti seduti e in silenzio, forza!” Gregorio Casal, professore di matematica, era un uomo distinto e alquanto particolare. Chiunque frequentasse il famoso liceo di Buenos Aires, conosceva la fama dell'uomo, un autentico genio con quell'aura di follia tipica di tutte le menti brillanti. Durante una sua lezione si poteva restare affascinati dal suo modo di esporre un argomento, difatti era impossibile che qualcuno non prestasse attenzione e non provasse ammirazione per lui, tuttavia, egli era anche un uomo rigido, poco indulgente, severo, selettivo e dall'animo volubile. Un attimo prima ci si poteva trovare nella sua lista preferenziale e godere dei maggiori privilegi, ma quello dopo il proprio nome poteva crollare in quella nera e allora si, che la convivenza con l'uomo poteva rivelarsi un autentico inferno. Lo sapevano benissimo i suoi colleghi, che tentavano di averci a che fare il meno possibile e gli studenti, che quando avevano la sfortuna di averlo come insegnante, assumevano tutti i tipici comportamenti di un'accademia militare. Parlavano lo stretto necessario e solo se interpellati, studio intenso ogni giorno ed educazione, tutto pur di non dare a Casal alcun motivo per odiarli. Gli unici studenti che sin dalla prima volta che avevano messo piede in quella scuola si trovavano nella lista nera dell'uomo e non avevano mai fatto nulla per uscirci, erano Leon Vargas e Diego Galindo, che al contrario avevano fatto di tutto per sfidare la sua pazienza. Tanti erano stati i litigi di Gregorio con i due ragazzi e con i loro genitori, in particolare con Pablo e Angie, con cui non aveva mai avuto un buon rapporto e non faceva nulla per nascondere la sua antipatia. Una delle caratteristiche principali dell'uomo infatti, era che fosse molto diretto, manifestava apertamente le proprie simpatie e si potevano contare sulle dita di una mano. Essendo il professore di matematica, spettava a lui organizzare le olimpiadi di matematica, ossia un torneo che ogni anno si svolgeva tra le principali scuole della capitale argentina. Gregorio era molto orgoglioso della sua squadra, che appunto comprendeva i suoi studenti prediletti, gli unici cinque che avevano un posto fisso nella sua classifica di gradimento. Quando però il preside della sua scuola gli aveva annunciato che non avesse un'aula a disposizione per il torneo, furioso aveva dovuto arrangiarsi da solo, finché uno dei suoi studenti, ossia Marco Galindo, non gli aveva proposto di usare la sala teatro dello Studio, l'accademia dove suo padre lavorava. All'inizio Gregorio si era rifiutato, Pablo non gli stava molto simpatico, ma poi non vedendo alternative, non aveva potuto fare altro che acconsentire, anche se a malincuore. Il solo pensiero di dover essere in debito con qualcuno, lo mandava in bestia, lui non aveva bisogno di nessuno.
Entrando nella famosa sala teatro, che era stata allestita per la prima riunione dell'anno per quanto riguardava le olimpiadi, lo sguardo dell'uomo si posò sulla sua squadra, che se ne stava seduta composta in prima fila. Marco Galindo, Thomas Heredia, Maximiliano Ponte, Ana Taylor e Libi Sanchez erano in assoluto i migliori studenti di matematica che Gregorio avesse mai avuto negli ultimi dieci anni, gli unici che meritassero la sua considerazione, gli altri erano solo scarti. E dire che il cognome di Marco lo aveva quasi portato ad escluderlo, ma poi il ragazzo si era rivelato una pedina fondamentale per la sua squadra, portandolo a vincere le olimpiadi per due anni di seguito e perciò non aveva potuto più ignorarlo. Per quanto fosse figlio di due persone che detestasse, il giovane si distingueva dai suoi genitori, non era arrogante e presuntuoso come loro o come il fratello maggiore, che Casal detestava al pari di Pablo e Angie, lui sapeva comportarsi, sapeva stare al suo posto e questa era una cosa che apprezzava molto.
Gregorio raggiunge la grande scrivania in legno di ciliegio, che aveva fatto intagliare e trasportale fin lì personalmente e a cui non permetteva di avvicinarsi a nessuno che non fosse lui, per poi sedersi e rivolgersi ai cinque. “Buon pomeriggio, ragazzi,” esordì, scrutandoli uno ad uno.
“Buon pomeriggio, professor Casal,” risposero in coro.
“Come sapete,” riprese l'uomo, sfogliando un fascicolo pieno di documenti. “In questa prima riunione conoscerete le squadre con cui dovrete sfidarvi e provengono tutti da buonissime scuole. In conclusione, la gara sarà parecchio ostica rispetto all'anno scorso.” Sotto lo sguardo per niente preoccupato dei cinque ragazzi, che con Casal erano abituati alle peggiori pressioni, il professore invitò ad entrare diversi gruppi di ragazzi con relativo insegnante che li accompagnava. Ognuno di loro poté presentarsi, così che gli studenti che giocavano in casa, si potessero fare un'idea precisa. In particolare fu la squadra proveniente da un piccolo quartiere ad attirare il loro interesse. A prima vista sembravano dei ragazzi semplici, non di certo i tipi che eccellevano in una materia così complessa come la matematica, eppure Federico Bianchi, le sorelle Natalia e Helena Alvarez, Andres Calipxo ed Emma Rodriguez, si rivelarono subito degli avversari parecchio competitivi, rispondendo correttamente a tutti i quesiti a cui Casal li sottopose. Se le altre squadre infatti, caddero nei tranelli del perfido insegnante, loro non si lasciarono intimidire, mantenendo una sicurezza e una freddezza invidiabili. Seppur stizzito, Gregorio dovette arrendersi e insieme agli altri professori lasciò la sala per un caffè, così che i ragazzi potessero fare conoscenza.
“Questa scuola ha parecchi lussi, non c'è che dire,” commentò Federico con voce strascicata, che lasciava intravedere un certo accento italiano, mentre scrutava l'aula con cipiglio critico. “Qui i soldi non mancano.” I suoi compagni non aprirono bocca, ma a loro volta ammiravano il tutto con meraviglia. La scuola del loro quartiere infatti, non reggeva di certo il confronto, i fondi erano sempre pochissimi e proprio per questo avevano deciso di partecipare alle olimpiadi. La vincita era in denaro e ne avevano assolutamente bisogno per ricostruire il tetto della palestra e per aggiustare il sistema di riscaldamento. Fortuna che Buenos Aires non fosse una città particolarmente fredda, ma soprattutto nei piani bassi, d'inverno il gelo si avvertiva in ogni caso e non potevano continuare in quella situazione.
La squadra di Casal, ignorò a sua volta il commento di Federico, parlottando tra di loro, cosa che lo fece indispettire. Aveva sempre detestato l'arroganza dei quartieri alti, solo perché erano ricchi si credevano superiori, ma in realtà era solo spocchiosi e vuoti di qualsiasi cosa che non fosse il loro ego. Certo, Federico Bianchi non si poteva considerare un ragazzo modesto, era ambizioso, critico, selettivo e alquanto pretenzioso, ma aveva un motivo più che valido per esserlo. Era nato e cresciuto in un orfanotrofio, aveva dovuto imparare a cavarsela da solo senza poter contare su nessuno e quando all'età di sette anni era stato adottato da una famiglia argentina, aveva conosciuto un amore intenso e devastante, ma anche la profonda povertà. Suo padre aveva di punto in bianco perso il lavoro e i soldi per mantenere lui e i suoi due fratelli minori, sembravano non bastare mai. Federico si era rifugiato nello studio, scoprendo una certa predisposizione per la matematica, che apprendeva in maniera così rapida da sorprendere i suoi insegnanti, che gli offrirono allora una borsa di studio per continuare a studiare. Senza di essa, non sarebbe diventato un autentico piccolo genio e probabilmente si sarebbe ritrovato a lavorare in fabbrica dodici ore al giorno insieme al suo povero padre. Dio solo sapeva quanto avrebbe voluto vincere quel torneo, così da poter usare la sua parte di vincita per aiutare la sua famiglia. A volte si sentiva quasi in colpa che lui avesse potuto studiare e i suoi fratelli no, così come stava male alla vista di suo padre sempre più stanco e debilitato. Perché quei ragazzi potevano vivere una vita perfetta e poi c'erano altri come la sua famiglia, che a malapena potevano mangiare? Il mondo era ingiusto, terribilmente ingiusto. Guardò quei ragazzi con ostilità e loro, stupiti da quell'antipatia gratuita, lo ignorarono bellamente, presentandosi però agli altri studenti con un certo entusiasmo. In particolare, Lena subito si avvicinò a Marco, con cui iniziò una fitta conversazione. Sin dall'inizio infatti, il ragazzo l'aveva incuriosita e voleva capire se fosse interessante come credeva. “Quindi hai già vinto il torneo in passato?” Gli chiese, sedendosi accanto a lui e scrutandolo attentamente.
“Si,” confermò il giovane Galindo, abbozzando un timido sorriso. “La mia scuola ha vinto diverse volte ed è stata un'emozione unica.” Marco continuò a raccontarle delle passate vittorie del torneo, delle emozioni che aveva provato e Lena lo ascoltava, rapita. Una luce brillava negli occhi del ragazzo, una luce che l'attirava come una calamita. Mai si era sentita così in presenza di un ragazzo. Che fosse quello giusto? Lei onestamente ci sperava e avrebbe fatto di tutto affinché ciò si avverasse. Nessuno era più determinata di Lena Alvarez e presto lo avrebbe dimostrato.






La svolta che avevo promesso è iniziata, anche se può non sembrare. Il discorso di Diego è fondamentale per Vilu, che si rende conto non solo di essere stata un po' troppo dura con Leon, ma anche di non poter stare senza di lui awwwwww :3 tra l'altro i due cuginetti sono tanto dolci *____* Grande Pablito che porta figlio e nipote in giro e ci libera un po' di Angelica, anche se vista la brutta sorpresa di Leon, forse era meglio di no -.- ora ci saranno tante imprecazioni per lui, da me per prima, Vilu non merita di soffrire così tanto :( Nel frattempo Diego non può negare di pensare fin troppo spesso a Fran ed entrambi devono confrontarsi con le sensazioni che suscita la presenza dell'altro :3 Se Leon ci fa piangere Vilu, Diego fa lo stesso con Fran e Lara, ferite dal bacio con Ludmilla e solo Pablo sembra non aver capito niente XD piangono tutti qui, insomma :(
Ma c'è anche una sorpresa! Mi avete spesso chiesto di lui ed eccolo qui, Federico! :3 un personaggio un po' particolare, sfortunato ma con un grande carattere e poi c'è anche una spasimante per Marco, Lena :P
Ho scritto un poema, mi sa. Vabbè, fa niente XD spero di non avervi annoiato e che questo capitolo vi sia piaciuto :3
Baci <3


 
  
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