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Autore: Aimondev    19/09/2014    1 recensioni
L'umanità è a rischio estinzione.
Ogni giorno Zeus distrugge una polis Greca.
Ermes è stato assassinato.
Nelle forge di Efesto è in lavorazione un'armata di colossi più grandi di qualsiasi edificio umano.
Esseri mostruosi fuoriescono dalle loro spoglie mortali affermando che l'inizio di una nuova era è cominciato.
Il mondo è già stato sconvolto ma adesso Klearcos, l'assassino più abile di tutta la Grecia, sa per cosa combattere.
Genere: Avventura, Drammatico, Guerra | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'L'alba degli eroi senza nome'
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Nei tre giorni che seguirono, furono rase al suolo altrettante polis.

 Il terrore con il quale ora l’Olimpo attanagliava l’umanità era più forte che mai.

Dalla villa più lussuosa al tugurio più fatiscente, ovunque regnava l’impotenza. Dall’umile pastore al temerario condottiero di guerra, nessuno aveva possibilità di salvezza. L’incapacità di evitare la morte di amici e parenti era un macigno che gravava ora su chiunque.

Zeus non esitava un momento, a rammentare all’umanità quanto poco valesse per lui, e quanto quegli esseri fossero patetici e insignificanti. Neutralizzati freddamente come lo sono gli insetti dall’uomo. Scacciati dalle loro case e minacciati di estinzione tutti i giorni.

Ogni città era stata messa in subbuglio per trovare il ricercato numero uno di tutta la Grecia, la cui irreperibilità aveva portato l’Olimpo a prendere in ostaggio l’umanità intera. Fu il terrore e la lotta per la sopravvivenza a riportare la civiltà a uno stato barbarico. Chiunque fosse sospettato di essere affiliato al Falcone Nero era additato e messo alla gogna da coloro che fino il giorno prima erano amici.

Gli eserciti di tutta la Grecia si erano mobilitati, coordinati dai re di Sparta e dal governo di Atene, sulle tracce dei ricercati. Per ottenere la minima informazione, furono torturati e uccisi centinaia di uomini, ritenuti sospetti, assieme alle loro famiglie. Ma nessuno sapeva dare informazioni veritiere su di lui.

Come spesso accade, per far placare le torture, molti confessarono il falso.
Alcuni si tolsero la vita per paura di vivere.

 Ma altri, pochi, continuavano a combattere per la propria libertà.

 “Gli uomini sono deboli. Hanno sempre preferito barattare la sicurezza per la libertà. Ma così facendo non otterranno mai né l’una né l’altra. Se ne stanno accorgendo solo ora, di fronte all’annientamento.”
Commentò Almo fissando da una collina gli stendardi rivoluzionari di tutta l’Arcadia. Li aveva riuniti.

“È per questo motivo che abbiamo mentito a tutti?” rispose Cercione con fare provocatorio.
Almo strinse gli occhi.

“Il Falcone è molto astuto. Ha capito che non avremmo mai potuto convincerli con la verità. Non se l’Olimpo ci minaccia di sterminio. Era chiaro che qualcuno avrebbe provato a tradirci se avessimo detto di essere ancora al servizio della rivoluzione.”

 “Per questo abbiamo fatto credere di essere diventati araldi inviati dagli dei per condurli alla ricerca di Sideris… E tutti loro hanno accettato ben felici di avere una guida.”  Replicò Cercione sconsolato dall’ipocrisia e dal tradimento di coloro che un tempo formavano il suo esercito rivoluzionario.
Almo gli buttò una mano sulla spalla.
“Non prendertela, amico. Gli uomini sono fatti così.”

 Cercione fissò la spada scintillante, chiaramente di fattura divina, che Almo riponeva nella fodera. Poi abbassò lo sguardo verso la propria cintura.
Gli bastò uno sforzo di volontà per fare in modo che una grossa coda metallica, similare a quella di un drago, attaccata ad essa, si protendesse verso l’alto.

 Con riverente timore gli uomini lo avevano soprannominato “Il Caudato”, quando egli, assieme al compagno Almo, si diresse verso i vari schieramenti rivoluzionari per riunirli sotto il suo comando dietro una menzogna. Ma non tutti però credettero che Cercione potesse essere in verità un araldo degli dei, e alcuni lo attaccarono senza aspettar replica.

Da sotto l’abito del luogotenente rivoluzionario fuoriuscì una sorta di coda draconica, che fulmineamente, con una spazzata, lacerò le carni degli aggressori imbrattandosi del primo sangue…

 Cercione ritornò al presente.

“Stento a credere che Sideris avesse calcolato tutto sin dall’inizio.  Se non ci avesse dato la mappa dove era tracciata la posizione di quelle armi e non le avessimo trovate, di certo nessuno avrebbe mai creduto alla nostra menzogna. Chissà dove ha trovato artefatti simili e da quanto tempo li aveva tenuti nascosti sotto terra?”

Almo impugnò l’elsa della sua spada e la rivolse al cielo. La lama si rivesti di una luce verde acqua. Di una tonalità tranquilla e rilassante.

“Doveva averle nascoste durante le nostre peregrinazioni per tenerle pronte nel momento opportuno. Ora che il momento è arrivato e che noi pochi ci siamo dimostrati fedeli a lui anche nella situazione più disperata, ha deciso di darci la piena autonomia sui suoi eserciti e questi doni straordinari.”

Cercione annuì, restando a guardare gli oltre quattromila uomini accampati su tutto il territorio con centinaia di bracieri accesi.
Alle loro spalle l’orso Orico ruggì dichiarando la sua presenza. Le zanne imbrattate di sangue dimostravano che aveva appena divorato la sua cena. Al collo teneva ancora il vaso con le spoglie di Ermes.

“Spero che stia andando bene anche agli altri” disse Almo.

 

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Un grande sole cocente ardeva sulla piana di Micene. In cielo, diversi rapaci necrofagi erano stati attratti dalla morte fresca che era stata poco prima impartita su quelle terre. Diversi cadaveri marcescenti erano appesi ad altrettanti pali e rappresentavano uno scenario raccapricciante per qualunque viandante. I corpi inverecondi costeggiavano tutta la strada che dava alla città.

 La luce dell’astro rifletteva forte sulle armature e sugli scudi delle schiere di opliti che si trovavano disposti attorno alla città per arginare le cariche della popolazione irrequieta.
“Vogliamo giustizia! Giustizia contro Clitennestra”.
“Avete ucciso i miei figli solo per un sospetto!”
“Assassini! Avete distrutto intere famiglie!”

 Le poche centinaia di opliti sembravano scogli inamovibili contro cui si battevano i pugni della smagrita e affranta popolazione. La plebe incominciò a lanciare pietre che si riversarono come pioggia sui soldati.  A questo tipo di attacco i soldati furono molto più vulnerabili.

Qualcuno sulle retrovie, sorpreso dal lancio, stramazzò al suolo dopo essere stato colpito in testa. A quel punto, un comando ordinò agli opliti di attaccare.
La fila di scudi colpì forte gli inermi corpi della popolazione. Molti cascarono a terra, altri furono spintonati. Le lance dei soldati misero fine alle vite dei più vicini. Tutti gli altri arretrarono spaventati.

In mezzo a quell’accozzaglia di umanità sventurata si fecero strada due figure avvolte di neri mantelli che ne celavano il volto. I due si fermarono davanti alla folla a qualche metro dalla fila di scudi.

“Che cessi questa follia!” Gridò uno dei due.   “Comandante! Fa ritirare i tuoi uomini immediatamente.”

L’uomo con indosso l’elmo da comandante non ebbe reazione:  Chi credi di essere, pezzente? L’unica autorità che riconosco è quella di Egisto, signore di Micene e dell’Agrolide, e della sua regina Clitennestra”

 L’uomo incappucciato si scoprì il viso. 
“Risponderai all’autorità del figlio di Agamennone, Oreste, legittimo erede al trono di tutta l’Agrolide.”
I soldati ammutolirono sbalorditi e abbassarono le loro armi.

Il comandante altrettanto sorpreso rimase a scrutare i lineamenti del giovane e del suo compagno che intanto si era anche egli scoperto.
“E io sono Pilade, suo cugino, e legittimo erede al trono del regno della Focide.”

Gli opliti restarono in attesa di un comando del loro superiore che rimase a guardarli.
Incominciò a sogghignare  

E io sono Licinnio, il Lawaghetas al comando dell’esercito.
Poco furbo da parte vostra presentarvi da soli innanzi alle porte di Micene. In quanto figli di traditori dell’Olimpo e quindi di tutta la Grecia, la regina Clitennestra vi vuole morti!”

Puntò la spada verso i due rampolli, e tutto l’esercito seguì il suo gesto incominciando ad attorniarli.
Oreste e Pilade rimasero imperscrutabili. Erano preparati a quella reazione.

 “La regina sarà felice di avere in dono le vostre teste su un piatto d’argento”
Seguitò il generale facendo cenno ai suoi uomini di incombere su di loro.

 Dalla cappa Oreste tirò fuori un grande arco scintillante. O meglio, un’astrusa struttura dalla forma di un arco al cui centro vi era un grosso buco, ma era privo di corda per tendere le frecce.
Non ne aveva bisogno.

Con la mano sinistra puntò l’arma verso gli assalitori e con la destra, ricoperta da un guanto,  fece uno strano gesto con tre dita. Un fascio di luce fuoriuscì dal buco centrale e, triforcandosi, colpì in pieno tre soldati i quali sbalzarono in aria finendo a terra. Sopraffatti da tremiti convulsivi esalarono il loro ultimo respiro.

La spada di Pilade brillava di un celeste acceso. La fece ondeggiare sopra la testa per poi colpire lo scudo di un nemico. Si frantumò assieme all’armatura e il soldato venne dilaniato con un singolo colpo.

 Gli altri opliti arretrarono attoniti e sbalorditi.
Licinnio lasciò cadere la sua arma costernato.
Il popolo tutto intorno ammutolì per alcuni istanti.

"Ascoltatemi bene…” Gridò Oreste a quella popolazione.
“Non sono solo l’erede al trono, ma ora agisco per conto di un’autorità assoluta, alla quale voi tutti dovrete sottostare.  Siamo Araldi dell’Olimpo e queste armi magiche ne sono la prova!
In nome di Zeus io sollevo Egisto e Clitennestra dal comando di questa città e ne sostituisco l’autorità”

Poi si rivolse verso il generale Licinnio.

“Hai qualche altra obiezione, Lawaghetas?”

L’uomo cadde in ginocchio.
“Servo solo voi, Sire. In nome dell’Olimpo vi prego di guidarci.”

E la folla tutto intorno esplose in un boato di esultanza. Erano stufi della tirannia della regina, ma soprattutto pensavano che la vicinanza con un servo dell’Olimpo li avrebbe salvati dalla distruzione.

Le porte di Micene furono spalancate e l’intero esercito seguito dal popolo entrò in città. Gli opliti dilagarono nella grande agorà guidati da Licinnio e accedettero al palazzo reale.

 “Cosa significa quest’intrusione!?” Gridò Egisto che sedeva al trono con sua moglie.
Licinnio, è forse un tradimento? Guardie, accorrete!”

Le poche sentinelle di guardia alla sua corte si trovarono davanti l’intero esercito e messi alle strette, lasciarono cadere le armi.
Egisto sguainò la sua spada, mentre la moglie arretrava.

“Licinnio, perché?”
Il generale non disse una parola, ma invece si mise da parte per far passare due figure che la regina riconobbe molto bene.
“O-Oreste!? Come sei riuscito a…”
“Sono un servitore di Zeus e dell’Olimpo madre. E in nome della mia vendetta e dell’Olimpo adesso vendicherò mio padre, tuo marito!”

Alzò il suo arco puntando Egisto e, prima che egli potesse reagire, Oreste chiuse la mano a pugno. Come prima, fuoriuscì un fascio di luce che colpì l’uomo, ma questa volta aveva una tale potenza da provocargli un grosso buco in mezzo al petto. Anche nel muro di mattoni alle sue spalle la materia stessa, in una circoscritta forma circolare, evaporò lasciando che i raggi del sole penetrassero all’interno dell’edificio.

Clitennestra gridò terrorizzata mentre il figlio incombeva verso di lei per assaporare la sua vendetta. Oreste rinfoderò l’arco, poiché la morte che le avrebbe riservato non ne prevedeva l’utilizzo.

Il suo pugnale saettò inculcandosi nel grembo della madre e bagnandosi di sangue.
“Fu così che uccidesti mio padre? Così uccidesti Agamennone!?”
Le sussurrò a un orecchio.

Gli occhi di Clitennestra, puntati verso la sua prole, erano spalancati ed emanavano una rabbia e un rancore sconfinati. La sua mano si strinse su quella di Oreste, e le unghie gli s’infilarono in profondità nella carne.

“Hai mentito. Non sei un araldo dell’Olimpo…Tu non sei come loro. Io li ho visti” I suoi occhi indemoniati si rivolsero verso le piccole ferite provocate dalla stretta delle sue unghie.

“Perdi sangue…Come ogni comune mortale. E tu non sai cosa sono capaci i veri araldi di un dio…
Presto, molto presto li vedrai… Il momento è quasi arrivato e allora…Non basterà il tuo esercito a salvarti, e neppure quella tua arma magica.
 Le Furie stanno arrivando! Verranno a prenderti.”

La sua roca risata gli fece accapponare la pelle e quando aveva cessato le sue risa la donna era già morta, ma quegli occhi riempiti di odio e follia lo stavano ancora fissando…

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Re Oreste si affacciò alla balconata del palazzo reale. Sotto di lui oltre trentamila uomini acclamarono la conquista del suo trono.
L’inseparabile cugino Pilade lo affiancò:
“E adesso cosa faremo?”

Il re raccolse un papiro tenuto celato in una sacca e lo srotolò.

“Sideris ha pianificato le mosse di ognuno di noi. All’interno di questo manoscritto che abbiamo trovato sotto la terra assieme alle armi, vi è descritto non solo il loro funzionamento ma anche in che modo agire.
L’idea di fingerci araldi dell’Olimpo è stata vittoriosa ma quanto a lungo potrà durare? Non posso dirlo né riesco a prevedere come una partita a scacchi le mosse che farà il nostro nemico in risposta alle nostre.
Possiamo solo fidarci di Sideris a questo punto.”

 Pilade annuì, e notò un velo di profonda amarezza sul volto del cugino. Sua sorella Elettra era davvero sparita, probabilmente rapita dagli dei come aveva detto il Falcone e persa per sempre. Oreste aveva la faccia di un uomo dedito solo alla vendetta, ma c’era dell’altro.

“Noto una traccia di inquietudine nei tuoi occhi, cugino….Cosa ti ha detto Clitennestra prima di morire?”
Oreste rimase a fissare le cupe montagne lontane. Non si voltò.

“Mi ha lanciato una maledizione, un presagio di morte… Non so cosa ci aspetta, ma non è niente di buono.”

Personaggi:


Parentesi anacronistiche 7:

Armamentario 4: l’arco di Oreste.

L’arma agisce in sinergia con la mano dell’utilizzatore, il quale, tramite l’uso di uno speciale guanto ricoperto di sensori, è in grado di stabilire la modalità e gli effetti dell’arma e colpire al tempo stesso.
L’intelligenza artificiale dell’arco è in grado di prendere in input la forma assunta dalla mano guantata e come output scatenare dei fasci di energia dall’incavo centrale dell’arco. L’arma è alimentata a energia solare e dotata di una duratura batteria.
Una volta puntato il bersaglio (o i bersagli) con l’arco, l’utilizzatore deve muovere le dita in un certo modo per stabilire modalità e potenza.

 Alzare un dito: emette un fascio di energia che colpisce in modo rettilineo.
Si possono sparare fino a cinque colpi (uno per ogni dito) contemporaneamente, che saranno emessi in modo rettilineo rispetto all’inclinazione definita dalle dita, partendo dal punto di propagazione dell’arco.

In base alla velocità con cui viene alzato il dito, il colpo sarà più o meno veloce.
Chiudere la mano a pugno: serve a caricare la potenza del laser. L’arco di tempo in cui la mano resta chiusa a pugno è proporzionale alla carica energetica del colpo. Dopo aver stabilito la potenza è sufficiente procedere alzando uno o più dita.

Raggiunto il punto di massima potenza accumulabile l’arma non accumula ulteriore potere.
Poggiare la mano sull’arco: Disattiva provvisoriamente i sensori del guanto impedendo che gesti inconsulti facciano partire un colpo.
Spianare la mano: genera un campo di energia che copre l’utilizzatore. Qualsiasi oggetto fisico che entra all’interno del campo viene bloccato da una scarica elettrica ad altissimo voltaggio

  
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