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Autore: Yutsu Tsuki    19/09/2014    4 recensioni
Dal primo capitolo:
“Osservando il suo volto, si accorse di una cosa. Tutti quegli anni passati dietro a due spesse lenti rotonde gli avevano fatto dimenticare di quanto belli fossero i suoi occhi. Erano di un verdeacqua chiaro, ma intenso, quasi luminoso. Si avvicinò ancora allo specchio e allungò la mano, come per poter afferrare quel colore che era un misto fra il cielo azzurro senza una nuvola ed un prato fresco d'estate.
Voleva toccarli, sfiorare quella luce e immergersi in essa, ma venne bruscamente interrotto dalle urla di sua sorella: — Keeeen! Vieni a cena, è prontooo!
Si allontanò in fretta dalla sua immagine riflessa. Per un attimo restò senza parole. Era rimasto affascinato dal suo stesso volto. Poi scoppiò a ridere, rendendosi conto dell'assurdità della cosa.
Aprì la porta della stanza gridando: — Mi chiamo Kentin!! — e corse in cucina.”
Genere: Introspettivo, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Dolcetta, Kentin, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 18


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Probabilmente c’era sotto un inghippo.
Quella era stata senza dubbio l’azione più inaspettata, piacevole e folle che potesse capitare, ma proprio per questo doveva celare un tranello. Oltretutto, la volontà di Candy non poteva essere cambiata così velocemente, da un giorno con l’altro.
Dopo che lei lo aveva lasciato andare, Kentin aveva avuto l’impressione di risvegliarsi da un sonno durato cent’anni, o meglio, da un’esperienza di premorte (strano che un semplice bacio potesse a tal punto sfinirlo!). L’immagine sfocata del volto della sua presunta amica si era fatta sempre più nitida, ma era durata ben poco, perché lei aveva quasi subito levato le tende. Lui, quindi, la aveva seguita zitto, come richiesto, senza preoccuparsi di lasciare Leti da sola e con la mandibola a terra. Ma nonostante si sentisse ancora frastornato, era abbastanza lucido da capire che tutto ciò era troppo bello per essere vero. Mentre le era dietro, però, non poté fare a meno di sorridere per i movimenti un po’ goffi causati dall’intralcio delle sue stampelle, che parevano più che altro dei trampoli.
Candy si fermò sotto al gazebo della scuola, che si trovava sul fronte sinistro dell’edificio, lontano dal cortile e da orecchie indiscrete. A proposito: chissà se qualcuno aveva visto la scena, a parte Leti.
Una volta raggiunta, Kentin rimase a fissare l’edera sempreverde che si arrampicava sulle sbarre gelide sopra di lui: — Da quando in qua “amica” è sinonimo di “fidanzata”? — domandò tranquillamente, infilando le mani in tasca.
Candy sorrise, ma con altrettanta calma rispose: — L’ho fatto solo per salvarti da Leti!
Sì, lo immaginava. Questa volta non poteva dire di esserci cascato; anche se aveva perso il conto di tutte le volte che si era illuso di piacerle. Ma un po’ gli dispiaceva, ad essere sincero.
— Spero non ti sia arrabbiato — continuò la ragazza. Arrabbiato? Semmai è l’opposto! — Sai com’è fatta Leti: bisogna essere diretti con lei, altrimenti, una volta che ha avvistato la sua preda, non la molla più.
— Già, hai ragione, è sempre stato difficile schiodarla da qualcuno. Però sembra che ti abbia dato fastidio il modo in cui mi parlava — e mi guardava, e mi toccava, replicò prontamente, tornando a sorridere.
Candy rise e arrossì, ma disse ancora: — Stai fraintendendo: io l’ho fatto per aiutare te!
— E chi ti dice che non mi andasse bene?
— Vuoi dire che ti piace Leti?
— E anche se fosse? — Il dialogo stava prendendo una piega scherzosa, quindi Kentin decise di stare al gioco. Ma Candy diventò improvvisamente seria, rifletté per qualche istante e poi si schiarì la voce. — Non ci trovo niente di particolarmente speciale in lei — affermò con aria indifferente, incrociando le braccia.
— Vediamo... è alta... magra... e carina — la stuzzicò.
— Anche io sono carina.
— E aggiungerei modesta!
— Ha parlato quello con l’ego smisurato! — I due scoppiarono a ridere, sinceramente divertiti dalle loro battute. Ecco cosa voleva dire essere amici: poter scherzare in libertà, senza prendersi troppo sul serio e senza paura di rovinare il rapporto creato. In quell’istante Kentin era felice. Avrebbe voluto che ogni momento passato con Candy fosse così; ma quanto sarebbe stato meglio poter vivere quegli attimi da coppia!

I giorni che seguirono furono, nel complesso, tutti uguali. Per Kentin ora, parlare con Candy era molto più facile e rilassante: non la guardava più con malinconia e desiderio ogni volta che le rivolgeva la parola, non aveva più quella sensazione di angoscia data dalla paura di non essere ricambiato, e il peso che lo opprimeva durante i loro dialoghi era sparito del tutto, lasciandolo leggero e con una nuova energia. Pensò che la ragione risiedesse nell’amicizia da loro stipulata e che forse non era stata una cattiva idea; si sentiva libero, più tranquillo e più sollevato di prima. Inoltre, lei sembrava voler passare più tempo con lui, che con gli altri compagni di scuola; non solo: pareva quasi inquieta quando non erano insieme, e Kentin non poté non assecondarla in questa sua volontà.
Lo stesso giorno in cui era arrivata Leti - che in seguito scoprì essere stata l’unica ad aver assistito al loro bacio, e con la quale alla fine si riappacificarono prima che se ne fosse andata - aveva chiesto a Candy informazioni riguardanti la sua possibilità di venire in gita. Lei gli aveva risposto che avrebbe tolto il gesso in tempo per il giorno della partenza, ma che non sapeva se la sua gamba sarebbe stata pronta per il viaggio. Poi le aveva fatto sapere che se non ci fosse andata lei, allora nemmeno lui sarebbe partito: a questa frase Candy rise, ma egli era ben consapevole di non stare scherzando.
Durante quelle due brevi settimane che lo separavano dall’avventura a Londra, notò anche che si era aggiunto un nuovo elemento al solito gruppetto con cui passava l’intervallo. Nathaniel, infatti, dopo l’allontanamento di Ambra, soleva trascorrere il tempo con lui, Candy, Rosalya, i gemelli e le altre, in misura maggiore di prima. Altresì, la presenza sempre più abituale del delegato sembrava avere un curioso effetto disinibitore su Alexy e Melody: intervenivano, commentavano e facevano gli spiritosi più di quanto non erano soliti farlo in precedenza.
Kentin pensò che forse Alexy ne sapeva qualcosa, a proposito dell’improvvisa e insolita compagnia offerta dal biondo, perciò gli chiese se avesse potuto fornirgli un ragguaglio. Il gemello gli spiegò che i compagni di classe di Nathaniel, dopo l’espulsione della sorella, avevano cominciato ad isolarlo e a discriminarlo, e per questo si sentiva depresso. — Quindi se ne sta con noi. Ma meglio, no!? — gli aveva detto infine.
Pochi giorni dopo fu lo stesso delegato a rivolgergli la parola di sua spontanea volontà, facendolo accomodare in Sala Delegati e invitandolo a sedersi. Si scusò con lui per averlo accusato ingiustamente della colpa commessa da Ambra e per averlo trattato come un bambino.
— Non ti preoccupare, è acqua passata — gli rispose con sincerità.
— E lei ha avuto quello che si meritava — affermò Nathaniel, sedendosi su una sedia accanto a lui. Poi aggiunse: — Una volta mi dicesti che era stato a causa sua, se te ne eri andato da questa scuola — e chiese che gli spiegasse meglio quello che era accaduto, perché lui lo ignorava.
Kentin gli raccontò tutta la faccenda, cercando involontariamente di non far pesare troppo la cattiveria commessa da Ambra nei suoi confronti.
— Perché non avete detto niente? Non dico ai nostri genitori, ma quantomeno alla preside — esclamò Nathaniel, voltandosi verso di lui.
— Mio padre non è quasi mai a casa e mia madre ed io non ce la sentivamo di lamentarci per un fatto risalente a quattro mesi prima.
— Ma dovevate dirlo. Doveva essere punita!
— Hey, dai, è tua sorella.
— Ma non merita il mio perdono. Se ora sono in questa condizione, lo devo a lei. Se adesso i miei compagni mi disprezzano e mi considerano un fallito, lo devo alla sua cocciutaggine e alla sua propensione nel combinare guai — disse tutto d’un fiato. Kentin non si aspettava una tale presa di posizione da parte sua nei confronti della sorella, né che desse così peso al giudizio esterno.
— Non pensavo ti importasse tanto degli altri — disse infatti.
— All’apparenza no. Ma sotto la maschera, l’idea di non piacere a qualcuno mi è insopportabile — rispose distogliendo lo sguardo dal suo interlocutore. Kentin si rese conto che anche lui segretamente la pensava così. A quanto pare erano più simili di quanto sembrasse.
— E ora tutti mi odiano. Non sono più il bravo e affidabile studente modello, ma solamente un inutile e capriccioso damerino — I suoi occhi erano scesi fino al pavimento. Kentin poté leggere in essi il terrore e la sofferenza più grande che avesse mai incontrato. — Probabilmente non sai cosa si prova ad essere esclusi da tutti, ad entrare in classe col costante timore che tutti ce l’abbiano con te. Per uno stupido legame di parentela, mi riservano questo trattamento, e per la seconda volta. — Su questo sicuramente si sbagliava. Seppe subito cosa rispondere, anche se non riusciva a cogliere il significato dell’ultimo complemento.
— Fidati, so benissimo cosa si prova ad essere denigrato dagli altri — fu la sua immediata replica. Dopo una pausa, continuò, guardando un punto indefinito dritto davanti a sé: — In un primo momento li ignori, cerchi di essere superiore; ma più va avanti, e più finisci con l’ascoltarli e col credere che abbiano ragione. Finché non rimani completamente solo; anche quelli che si dicevano tuoi amici ti voltano le spalle, e perdi tutte le speranze. — Si fermò. Non si pentì di essersi lasciato trasportare; ripensò brevemente al suo passato, poi, voltandosi a guardare Nathaniel negli occhi, disse: — Ma tu non devi ancora abbatterti. Noi, io, Candy, Rosalya, Alexy, Melody, Armin, Iris, Violet e Kim, siamo tutti disposti ad aiutarti.
— Come puoi esserne sicuro?
— L’hanno fatto con me. Chi più chi meno, ma comunque mi hanno aiutato a rialzarmi. Faranno, anzi, faremo lo stesso con te.
Lui sorrise. — Ti devo ringraziare — fece. — Non mi aspettavo che ti saresti rivelato così gentile con me. — E in quel momento un guizzo di speranza scaturì da quegli occhi tristi e benevoli.
— Come mai? — chiese Kentin.
— Insomma, pensavo ce l’avessi con me, dopo tutte le volte che mi avevi visto in situazioni così ambigue con Candy!
— Che c’entra Candy? — chiese un po’ ingenuamente.
— Perdonami se sbaglio, ma sembrate molto uniti voi due. Mi era parso di intuire che provassi qualcosa per lei.
Kentin arrossì leggermente, ma alla fine rispose in un sorriso: — Sì, è vero. Però per lei sono solo un amico.
Nathaniel abbassò il capo, con evidente dispiacere. — Puoi sempre dimostrarle di essere il migliore amico — ragionò tra sé e sé.
— Hai ragione, — ma prima che potesse continuare, suonò la campanella che poneva fine all’intervallo. Così, dopo essersi alzato ed averlo salutato, si incamminò verso l’uscita della Sala. Prima di uscire, però, si arrestò sulla porta e, girandosi, rivolse queste ultime parole al delegato: — Nathaniel, non sei un fallito. Sei una persona saggia e intelligente. — E dopo che si furono scambiati un reciproco sorriso, se ne andò.





   
 
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