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Autore: LaniePaciock    19/09/2014    5 recensioni
Torniamo indietro nel tempo e spostiamoci di luogo: 1943, Berlino, Germania. Una storia diversa, ma forse simile ad altre. Un giovane colonnello, una ragazza in cerca della madre, un leale maggiore, una moglie combattiva, una cameriera silenziosa, una famiglia in fuga e un tipografo coraggioso. Cosa fa incrociare la vita di tutte queste persone? La Seconda Guerra Mondiale. E la voglia di ricominciare a vivere.
Genere: Guerra, Romantico, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Quasi tutti | Coppie: Kate Beckett/Richard Castel
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessuna stagione
Capitoli:
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Pare strano, ma no, non sono morta. Sono tornata dalle vacanze, ma sono entrata in un periodo davvero incasinato (per non essere volgari... ma diciamo pure che mi sento come se fossi sommersa nella cacca fino un metro sopra i capelli). In ogni caso, perdonate il mio ritardo.
Buona lettura :)
Lanie
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Cap.23 Semir
 

La mattina dopo Capodanno, il primo giorno di gennaio del 1944, il primo a svegliarsi fu Castle. Infastidito dal sole che gli cadeva giusto sulle palpebre, socchiuse gli occhi insonnolito. Doveva aver dormito circa tre ore in tutta la notte. Però non gli importava assolutamente nulla se ripensava al motivo per cui era stato sveglio. E quel motivo giaceva in tutta la sua straordinaria e nuda bellezza accanto a lui. Voltò la testa e Rick sorrise a quella visione senza riuscire a trattenersi. Kate era stesa su un fianco di lato a lui, addormentata, le mani nascoste sotto il cuscino a rialzarle appena la testa. I capelli, completamente scarmigliati, le nascondevano in parte il volto rilassato. Il lenzuolo, che ricopriva entrambi, le arrivava giusto pochi centimetri sopra il seno. La luce non poteva infastidirla perché la raggiungeva solo sulla schiena.
Castle si perse a osservare il profilo di Beckett in controluce, ripensando a quante volte aveva avuto l’opportunità di accarezzarlo quella notte. Cercando di fare piano, si portò su un fianco in modo da essere di fronte alla donna. Quindi le spostò lievemente i capelli dal viso in modo da avere la possibilità di guardarla respirare piano. Adorava osservarla dormire, anche se lei lo trovava inquietante. Con attenzione Rick, fece scivolare lentamente il pollice sulla sua fronte, solo per il gusto di poterla sfiorare, scendendo poi lungo il naso, le labbra, il collo, la spalla, il braccio, fino a raggiungerle il polso lasciato scoperto dal cuscino.
Nel sonno, Beckett fece un sospiro sotto le sue attenzioni e il lenzuolo che la copriva le scivolò leggermente in giù sul petto, fino ad arrivare a mezzo seno. Fu solo con un grande sforzo di volontà che il colonnello non allungò una mano per far scendere di quell’ultimo centimetro la coperta dal corpo di lei. Si morse il labbro inferiore con forza. Non sapeva se poi sarebbe riuscito a fermarsi dallo svegliarla per un altro giro di sesso. Sarebbe stato il quarto dalla sera precedente. Ed erano stati uno meglio dell’altro.
Alla fine la notte prima, dopo aver fatto l’amore la prima volta, Castle aveva chiamato Ryan per avvertirlo che, per cause di ‘forza maggiore’, lui e Kate non sarebbero proprio riusciti ad arrivare a cenare e a festeggiare con loro il Capodanno. Kevin in fondo era stato comprensivo. Anche se aveva usato delle frasi strane per salutarlo. Le sue esatte parole erano state: “Ah, ok, tranquillo Rick! Ottima la scelta della notte di Capodanno per andare a letto! Mi hai fatto guadagnare cinque marchi! Ah, Lanie si raccomanda di non forzare troppo sulle ferite. Buon anno!”
Castle si sistemò con cautela più comodo sul fianco, quindi, sempre con attenzione così da non svegliare Kate, passò un braccio attorno alla vita della donna, avvicinandosi di più a lei. Il calore che emanava quel sottile corpo era quasi inspiegabile, si irradiava meglio di un fuoco acceso dentro di lui. E il suo profumo poi… quel misto di frutta (il cui merito andava al sapone) e sesso (il cui merito se lo prendeva da solo) gli sembrava una droga.
Dovevano essere già venti minuti buoni che osservava Beckett e le faceva lievi carezze sul fianco, quando iniziò a dare segno di svegliarsi. Kate fece una piccola adorabile smorfia, tipica di chi non ha voglia di alzarsi, e istintivamente si accoccolò meglio contro di lui, la testa nascosta contro il suo petto. Dopo qualche secondo, Castle sentì le ciglia della donna solleticargli la pelle e capì che stava aprendo gli occhi. Per non farsi beccare in flagrante a spiarla dormire, il colonnello chiuse immediatamente i suoi di occhi per fingere di essere ancora colpito da sonno profondo. La sentì muoversi accanto a lui, scostandosi leggermente all’indietro. Rick ci rimase un po’ male per quell’allontanamento, ma rimase immobile, mantenendo il respiro regolare. Poi, dopo qualche attimo, percepì le dita leggere di Kate sulla sua faccia mentre si muovevano lievi, sfiorandogli lo zigomo ferito. Un momento dopo le labbra calde della donna furono sulle sue, delicate, come se avesse paura di svegliarlo. Fu lì che Rick non riuscì più a fingere di dormire. Strinse la presa sul corpo di Beckett e approfondì immediatamente il bacio, senza neanche far finta di essersi appena svegliato. Beckett si irrigidì per un attimo dalla sorpresa, poi cercò di divincolarsi divertita da quell’attacco improvviso.
“Ma sei sveglio!” esclamò ridendo quando finalmente riuscì a staccarsi.
“Non è vero, sto dormendo.” borbottò Castle, scendendo a baciarle il collo. “Non vedi che ho gli occhi chiusi?”
“I tuoi occhi chiusi non sono una prova che stai dormendo!” le rispose la donna. Un piccolo morso alla base del collo la fece quasi saltare sul letto. Rick ridacchiò e risalì sull’orecchio di lei, baciando con studiata lentezza ogni più piccola parte di pelle che si trovava davanti.
“E chi lo dice?” sussurrò in tono provocatorio. Beckett rabbrividì leggermente tra le sue braccia e si morse il labbro inferiore per nascondere un sorrisetto. Quindi si lasciò cullare dai suoi baci e dalle sue carezze, senza rispondere, godendo solo di quelle piccole attenzioni che lui le donava.
“Non…” tentò di dire Kate a un certo punto, ma un tocco più audace delle mani del colonnello le fece bloccare il fiato il gola. “Non dovresti vestirti?” domandò alla fine, anche se il tono lasciava intendere che fosse l’esatto opposto di ciò che voleva. “Ricominci ad andare in centrale oggi, giusto?”
“Ho ancora tempo.” replicò Castle svogliatamente, ben più attento alla minima reazione di Beckett tra le sue mani. “Sai, avevi ragione.” mormorò qualche secondo dopo, baciandole una spalla. Lei lo guardò confusa.
“Riguardo a cosa?” chiese.
“Su di noi.” rispose Rick, alzando gli occhi su di lei, ma non smettendo un attimo di carezzarle il corpo. “Che non sarebbe stata la prima e ultima volta. Infatti c’è stata una prima, una seconda e una terz…” Kate non lo lasciò finire perché, ridendo, lo spinse sul materasso e gli si sdraiò sopra, baciandolo. “Dio, amo quando sei sopra…” borbottò Castle quando si staccarono, senza connettere il cervello alla bocca.
“Cosa?” esclamò imbarazzata, e un po’ compiaciuta, Kate.
“Voglio dire, sei sexy in ogni posa, dico sul serio!” ribatté l’uomo con un sorriso divertito per l’aumento improvviso del rossore sulle guance di Beckett. “Però quando ti sei messa sopra di me stanotte è stato… Wow!” Lei si morse il labbro inferiore, cercando di trattenere un sorriso, mentre il colonnello le carezzava piano i fianchi nudi sotto le lenzuola.
“Mi era sembrato di averlo notato…” mormorò piano Kate con un lieve tono divertito.
“Sul serio, quando sei in quella posizione puoi fare, e farmi fare, qualsiasi cosa…” continuò Rick con aria sognante. Kate alzò un sopracciglio.
“E io che pensavo che un Colonnello come te desse solo ordini…” dichiarò maliziosa, anche se con ancora delle tracce di rossore sulle guance. Castle ridacchiò e infilò una mano tra i capelli di Beckett, spostandoli dal suo viso.
“No, anche noi dobbiamo eseguire gli ordini.” rispose dolcemente. Poi però abbassò la voce, che divenne roca, e avvicinò appena il volto a quello di lei. “Soprattutto se vengono da qualcuno sopra…” Kate rise e lo spinse di nuovo sul materasso. Cercò poi di spostarsi da sopra il corpo di Rick, ma lui non glielo permise. La prese per i fianchi e la bloccò in modo che restasse a cavalcioni su di lui. Guardandola, il colonnello si accorse che quella visione era in grado di eccitarlo più di qualsiasi altra cosa. Lei gli sorrideva dolcemente, nuda, con i capelli arruffati e quel lieve colorito rosso sulle guance. Il lenzuolo ormai era completamente scivolato ai suoi piedi. Il battito cardiaco gli accelerò pesantemente e sentì il sangue iniziare a fluirgli dalla parte opposta rispetto al cervello, risvegliando parti anatomiche che fino a quel momento, da quando si era svegliato, era riuscito a tenere sotto controllo. Allentò la presa sui fianchi di Kate e iniziò a risalire lungo la sua schiena lentamente, carezzandola piano. La donna si inarcò leggermente grazie ai piccoli brividi che lui le provocava.
Rick giunse alle spalle di Beckett e risalì sul suo collo, tirando poi leggermente verso il basso per chiederle con quel gesto di abbassarsi. Lei capì subito e scese, stendendosi pelle contro pelle su di lui, fermando il viso a pochi centimetri da quello dell’uomo. Il seno di Kate gli premeva morbido contro il petto. Si sorrisero dolcemente. Rick non poteva credere che fosse capitata proprio a lui una tale fortuna. Le spostò di nuovo i lunghi capelli dal volto e si allungò appena per baciarla. Fu un bacio tranquillo, dolce, ma sentito. Poi, dopo aver ripreso fiato un momento, Kate cominciò a mordergli pinao il labbro inferiore, passando poi al suo collo, stuzzicandolo e giocando con lui. Rick sorrise beatamente, lasciandola fare per qualche attimo. Poi però, sentendo di voler partecipare di più, capovolse la situazione all’improvviso, portando Beckett sotto di sé. Kate lo guardò stupita per un momento, ma poi sorrise divertita. Stavolta fu lei a permettere a Castle di prendere il comando della situazione, lasciandogli ogni libertà di agire. Si fidava del tutto di lui.
 
Restarono a letto per altre due ore, facendo l’amore, coccolandosi, parlando e scherzando. Rick non avrebbe mai voluto lasciare quel materasso e quella donna, ma sapeva che era obbligato a farlo. Nel primo pomeriggio avrebbe dovuto riprendere servizio e lui doveva ancora farsi una doccia e mangiare. Cercò di convincere Kate a raggiungerlo in bagno con la scusa di risparmiare acqua, ma lei lo cacciò sotto la doccia da solo, sapendo bene che, se si fosse unita a lui, non sarebbero più usciti da lì dentro. Dovevano ammetterlo, in quelle ultime ore erano sembrati peggio di due adolescenti in crisi ormonale.
Castle si lasciò scorrere l’acqua calda sul viso, non trattenendo a un certo punto una smorfia di dolore. Alcune delle ferite si facevano ancora sentire, soprattutto dopo aver fatto l’amore con Beckett. Forse Lanie aveva ragione, non avrebbe dovuto sforzare troppo il braccio e la gamba, ma, Dio, chi ci avrebbe mai pensato al momento con una donna del genere davanti?? Non aveva sentito assolutamente alcun dolore finché non si era alzato dal letto. A quel punto la spalla gli aveva lanciato una fitta dolorosa e il taglio sulla gamba lo aveva infastidito, facendolo zoppicare leggermente. Aveva però cercato di nascondere tutto a Kate. Anche la ferita al viso lo aveva pizzicato insistentemente, tanto che aveva dovuto mordersi un pugno nella doccia per evitare di grattarsi lo zigomo, come Lanie gli aveva ordinato.
Rick finì di lavarsi con un certo sforzo, quindi uscì dalla doccia, si asciugò e tornò in camera a cambiarsi. Non trovò Kate, ma sentì un profumo di caffè aleggiare nell’aria e capì che la donna era in cucina. Si infilò una divisa pulita, si pettinò e raggiunse Beckett. La trovò già vestita, intenta a preparare qualcosa in padella che emanava un odorino altamente invitante. La sua pancia mandò subito un segnale affamato. In fondo era dal pranzo del giorno prima che non toccava cibo e ormai era mattina inoltrata.
Rick afferrò un pezzo di pane al volo passando accanto al tavolo già apparecchiato per due e se lo infilò in bocca prima di avvicinarsi a Kate. La strinse alla vita da dietro, lasciandole un bacio poi, anche se con la bocca piena, sul collo libero dai capelli, che la donna aveva alzato con un mollettone. Sentì Beckett ridacchiare piano mentre lui si appoggiava con il mento alla sua spalla per spiare cosa stesse preparando. Si illuminò quando vide il contenuto della padella: pancake! La sua pancia emise subito un brontolio di eccitazione e impazienza, tanto per far capire quanto fosse contento della colazione.
“Stai mangiando?” gli chiese Beckett perplessa, e con un leggero tono d’accusa, quando lo sentì muovere la mascella sulla sua spalla. Castle inghiottì velocemente.
“Uhm… no.” replicò innocentemente, anche se con voce un po’ soffocata a causa del boccone. “Cosa vai a pensare? Facevo solo fare ginnastica alla mandibola!” Lei roteò gli occhi.
“Certo…” commentò ironica. “Ma per me va bene.” aggiunse poi divertita, mordendosi il labbro inferiore. “Se già ti riempi lo stomaco, io avrò più pancakes…” Castle emise un brontolio di disappunto contro il collo della donna, facendola ridere.
“Stavo solo…” cercò di rispondere, quando all’improvviso il campanello della porta suonò, distraendolo. Il colonnello si staccò da Kate e si voltò, curioso e vigile.
“Chi può essere la mattina del primo gennaio?” domandò Beckett stupita e con una nota preoccupata, lasciando perdere per un momento la colazione.
“Non lo so.” rispose Rick. Qualche idea l’aveva, ma non era certo. Il primo pensiero era stato a sua madre, ma l’aveva subito scartata. Era certo che l’attrice, nonostante il clima di guerra, avesse festeggiato degnamente la notte di Capodanno, andando a dormire a chissà quale ora. Inoltre si sarebbe visto con Ryan nel giro di due ore quindi neanche lui aveva senso che venisse a casa sua, a meno che non fosse capitato qualcosa. Escluse anche l’amico però: se fosse accaduto qualcosa di così urgente, gli avrebbe telefonato. Gli ultimi due nomi che gli balzarono in testa, con una smorfia di disgusto per il primo ed esasperata per il secondo, furono quelli di Dreixk e Jones. Sperò che sia quel simil-colonnello, sia la spia americana avessero bevuto tanto la notte precedente e non fossero in condizioni di svegliarsi neanche con un colpo di cannone. Conoscendo i due però, non si fece illusioni.
Un secondo scampanellio, non più di qualche secondo dopo il primo, gli fece decidere di muoversi. Chiunque fosse, l’avrebbe affrontato. Da quando Dreixk era piombato in casa sua a minacciare Kate, Rick aveva preso l’abitudine di tenere una piccola pistola di riserva in uno dei due cassetti del tavolino d’ingresso. Non si sarebbe fatto cogliere impreparato una seconda volta.
Si avviò all’ingresso e aprì leggermente il cassetto con l’arma, in modo da poterla estrarre facilmente in caso di bisogno. Quindi aprì la porta di uno spiraglio, facendo scontrare la sua faccia con un soffio di gelido vento invernale.
“Salve, Colonnello!” esclamò allegro un ragazzo piuttosto basso e infreddolito da sotto una spessa sciarpa blu scuro. Indossava un vecchio e rovinato giaccone marrone, che si stringeva addosso con due tremanti mani coperte da un paio di guanti neri consumati e bucati. Il berretto seminuovo di lana, color rosso fuoco, che aveva ben calcato in testa, pareva essere l’unico indumento ancora buono a scaldare qualcosa. L’unica cosa che Rick riusciva a intravedere erano gli occhi, neri e intelligenti. Ci mise un paio di secondi prima di realizzare che il ragazzino congelato davanti a lui era Semir Gerkhan, il giovane assistente di Roy Montgomery.
“Semir!” esclamò sorpreso Castle. “Che diavolo ci fai qui? Dai, vieni entra.” aggiunse poi subito dopo, prima che l’adolescente rischiasse di diventare un pinguino.
“Rick…?” lo chiamò la voce incerta di Kate dalla cucina. Semir intanto entrò in casa e, appena il colonnello chiuse la porta, rimase per un attimo fermo nell’ingresso, godendosi il tepore della casa con evidente sollievo.
“Tutto a posto!” replicò Rick ad alta voce. “E’ un amico.” continuò poi, facendo l’occhiolino a Semir. Il ragazzo sorrise allegro, quindi iniziò ad alleggerirsi di giaccone, cappello e guanti, lasciando tutto nelle mani di Castle. Mentre l’uomo attaccava gli abiti all’attaccapanni, sentì provenire dalla cucina un rumore metallico, come di forchette buttate una sull’altra, e quello di un cassetto che si chiudeva. Ci mise un momento prima di capire cos’era stato. Conoscendola, Kate doveva aver tirato fuori un paio di coltelli dal cassetto mentre lui apriva la porta d’ingresso e li aveva rimessi a posto quando le sue parole l’avevano tranquillizzata. Evidentemente neanche lei si fidava più della gente che faceva le comparsate in casa a orari strani.
Quando Beckett uscì dalla cucina per venire loro incontro, Castle la guardò con un sopracciglio alzato, divertito. Lei, per tutta risposta, alzò appena le spalle come se non ne sapesse niente. Un leggero sorriso però aleggiava in un angolo della bocca della donna.
“Ah, ma allora è questa la donna di cui ci hai tanto parlato!” esclamò Semir con un sorrisetto malizioso non appena vide Kate, lanciandole anche una bella occhiata. “Sei davvero bellissima, Fraulein.” continuò poi più serio, facendole un mezzo inchino. “Ma ora state insieme sul serio o no?” chiese infine al colonnello. “No, perché se la cosa non è seria, io magari potrei…” Se il ragazzo fosse stato un poco più grande, Rick lo avrebbe preso a pugni. Lo risparmiò solo perché era un adolescente che credeva che i quattro peli che aveva sulla faccia si potessero chiamare ‘barba’. Si limitò a grugnire seccato, mentre Kate si mordeva le labbra per non scoppiare a ridere.
“Semir, ti presento Kate Beckett.” la presentò il colonnello, avvicinandosi alla donna e passandole un braccio intorno alla vita. “E ti avverto che è davvero la mia fidanzata ora!” aggiunse, calcando per bene su ogni parola.
“Oh, peccato…” borbottò il ragazzo mentre Rick faceva la presentazione inversa, facendo finta di non sentirlo.
“Kate, lui è Semir Gerkhan. Lavora per Montgomery, lo stampatore. Ricordi che ti avevo parlato di lui?” Beckett ci pensò per un attimo, quindi annuì. Ne avevano parlato tempo prima, quando lui aveva deciso di trasferirla il più velocemente possibile fuori da Berlino e dalla Germania.
“E’ un piacere conoscerti, Semir.” disse quindi la donna con un sorriso dolce, allungandogli una mano. L’adolescente si affrettò a stringergliela.
“Il piacere è tutto mio, credimi, mia bellissima dama!” esclamò subito, con un ghigno che probabilmente voleva tentare di essere un sorriso affascinante.
“Come sta Roy?” chiese Castle con un leggero tono seccato, intromettendosi immediatamente tra lo sbarbatello e la sua donna. Sentiva Beckett tentare con difficoltà di non scoppiare a ridere contro il suo fianco.
“Si lamenta del freddo come al solito, ma sta bene.” rispose Semir con un’alzata di spalle in tono tranquillo, come se il colonnello non lo stesse fulminando con lo sguardo. “Ma in fondo stiamo in una mezza cantina, è ovvio che si congeli in gennaio. Se non altro il freddo ci ha fatto lavorare più velocemente per riscaldarci e ora la stampatrice è pronta!” aggiunse poi divertito. L’ultima volta che Rick era stato da Montgomery, lo stampatore gli avevano chiesto più tempo per il documento di Kate perché la macchina che doveva crearlo si era rotta a causa di uno dei bombardamenti avvenuti nei giorni precedenti.
Rick si agitò sul posto, eccitato dalla notizia. Aveva avuto paura di dover mandare Beckett su un aereo senza nemmeno un passaporto, raddoppiandole il rischio di venire intercettata e bloccata, ma Roy aveva avuto un tempismo perfetto.
“Hai il documento?” chiese teso. Semir annuì e, con un gesto teatrale, lo tirò fuori da una tasca interna del gilè che indossava e lo porse a Kate con un inchino. Beckett ridacchiò e scosse la testa divertita. Prese il certificato e lo guardò curiosa. Castle lo studiò con lei. Era perfetto. Pareva nuovo, ma aveva anche quell’aria vissuta, perché doveva sembrare che Kate fosse una russa emigrata in Germania solo negli ultimi anni, che solo Montgomery sapeva rendere in modo così accurato. A uno sguardo poco attento, sembrava semplicemente un documento ben tenuto. Lo stemma del Reich, l’aquila nera, era ben visibile sul davanti. Quando l’aprirono, lo sguardo di Rick cadde subito sulla foto di Kate, a destra del documento. Gliela aveva scattata tempo prima per darla a Roy, cercando di far sembrare Beckett un’innocua ragazzina (secondo la loro storia inventata, la donna non doveva aver avuto più di una ventina d’anni all’epoca dell’immigrazione) che aveva appena attraversato alcune delle steppe più fredde della Russia con la sua famiglia per stabilirsi in Germania. Spostando lo sguardo sulla sinistra del documento invece, il colonnello notò il falso nome di Kate: Katherine Ioanna Belyaeva.
“Roy ha fatto un magnifico lavoro come al solito.” disse Castle alla fine con una evidente nota di sollievo nella voce.
“Sembra vero…” mormorò Beckett stupita, la bocca semiaperta.
“Dammi un momento.” continuò poi Rick, rivolgendosi a Semir. “Vado a recuperare la tua paga.”
“Aspetta!” esclamò però il ragazzo prima ancora che lui si voltasse, bloccandolo sul posto. Semir infilò di nuovo la mano in una delle tante tasche interne del gilè e tirò fuori altri tre documenti. Castle aggrottò le sopracciglia.
“Per chi sono?” chiese confuso.
“Per te, Ryan e la sua signora.” rispose tranquillo. Il colonnello lo guardò ancora più perplesso.
“Ma a noi non servivano documenti.” replicò. “Abbiamo i nostri. Sono ben validi, visto che io e Kevin siamo soldati…” L’adolescente alzò le spalle.
“Ordini di Montgomery.” dichiarò. “Mi ha detto di dirvi che se mai aveste intenzione di andare anche voi in America, probabilmente vi servirà avere un passaporto in più per sparire.” Castle era dubbioso, ma colpito. In effetti non aveva pensato che, in caso di problemi, un certificato di riserva con un nome falso sarebbe stato ben più utile di uno vero. Lanciò un’occhiata ai tre documenti e notò che erano ben fatti tanto quanto quello per Kate. Però parevano più vecchi e non solo grazie alle magie dello stampatore, ma anche come fattura. Si chiese quando Roy li avesse fatti.
Curioso, Rick aprì il primo dei tre documenti e vi trovò una foto di Jenny, ma il nome impresso a lato era Susanne Walsh. Il secondo era di Kevin, anche se recava il nome di Bryan Walsh. L’ultimo era il suo. Il nome che Roy gli aveva affibbiato era Alexander Rodgers. Fece un mezzo sorriso. Rodgers era il nome da nubile di sua madre, ma, da quando si era spostata, tutti l’avevano sempre conosciuta come Martha Castle.
“Ringrazia Roy da parte mia.” disse Rick a Semir con un sorriso sincero. “E digli che gli devo un favore.” Il ragazzo annuì allegro.
“Ok, allora se non c’è altro io prenderei la paga e andrei…” Aveva appena finito la frase che il suo stomaco lanciò un brontolio affamato. Semir si coprì la pancia con una mano, all’improvviso rosso dall’imbarazzo. “Scusate, è che qui ci sono un sacco di odori buoni e…”
“Vuoi fermarti a mangiare qualcosa?” domandò a quel punto Kate all’adolescente, dolce e divertita, interrompendolo. Semir si agitò sul posto e si morse il labbro inferiore, chiaramente combattuto.
“Veramente io dovrei tornare da Roy...” mormorò piano, gli occhi bassi, quasi fosse una colpa.
“Allora facciamo così.” lo bloccò di nuovo Kate. “Mentre Castle ti prende la paga, io ti do qualcosa da portare con te, così puoi mangiare per strada, più qualcosa da portare da Montgomery, ok?” Il viso del ragazzo si illuminò a quell’offerta.
“Accetto!” esclamò subito.
“Dai, vieni allora, così incartiamo un po’ di roba.” replicò Beckett divertita, facendogli l’occhiolino. Semir, tutto sorridente, seguì la donna in cucina senza perdere un secondo. Castle osservò il ragazzino andare dietro a Kate con un mezzo sorriso. Per un momento gli passò per la testa l’immagine di Beckett che parlava, accompagnava in cucina e dava da mangiare a un bambino loro, con gli occhi verde-nocciola di lei e i suoi capelli chiari sparati in ogni direzione. Si stupì di quel pensiero. Ovviamente aveva già pensato a Kate come moglie e madre dei loro figli, ma era la prima volta che l’immagine di lei con un bimbo si affacciava così vividamente nella sua testa. Poi però scosse il capo, scacciando quelle idee, e si avviò nello studio. Ci sarebbe voluto ancora molto tempo perché quel sogno si avverasse.
Rick mise i documenti al sicuro in un cassetto (avrebbe dato i certificati a Ryan quel pomeriggio) e recuperò i soldi per Roy. Prima di uscire, aggiunse diversi marchi al compenso dello stampatore, quindi tornò verso la cucina pensieroso. Non aveva idea del perché Montgomery avesse deciso di dargli quei documenti in quel momento. Forse aveva pensato che con Kate e gli Esposito sarebbero scappati anche loro. O forse sperava invece di lanciargli un incentivo ad andarsene dalla Germania il prima possibile. Non era un consiglio da sottovalutare. Roy era vecchio, ma saggio.
Arrivato in cucina, Rick si appoggiò allo stipite della porta e osservò con un mezzo sorriso divertito Kate muoversi da uno scaffale a un’altro per rifornire Semir di quelli che sembravano metà dei rifornimenti che avevano in casa. Stava prendendo tanta di quella roba che il colonnello si chiese come avrebbe fatto quel ragazzino basso e smilzo a portarsi tutto dietro. Però aveva un che di materno quella scena. Castle osservò Beckett fare la felicità di Semir, quando aggiunse diverse barrette di cioccolato al tutto, e per un attimo si ritrovò di nuovo a pensare a lei con un bambino loro. Questa volta uscì velocemente dalle sue fantasie grazie a Kate che, intelligentemente, gli chiese se avesse un vecchio zaino o una sacca da poter prestare a Semir per rendere trasportabile tutto quel ben di Dio appoggiato sul tavolo. Rick ci pensò su un momento, quindi annuì e andò in camera da letto. Se non ricordava male, in fondo all’armadio c’era qualcosa che poteva essere utilizzato per quello scopo. Dopo qualche minuto di ricerca, trovò quello che stava cercando: un vecchio zaino, piccolo ma piuttosto capiente, che aveva utilizzato spesso durante l’addestramento in America.
“Wow, bello!” esclamò Semir quando lo vide, gli occhi sgranati. Castle alzò un sopracciglio dubbioso e osservò lo zaino. Era vecchio e malandato, oltre che un po’ strappato in diversi punti, di un color verde militare che tanto si usava in America. Purtroppo era l’unico che aveva o gliene avrebbe dato uno migliore. Al ragazzo però pareva avessero messo davanti una coppa tempestata di diamanti tanto guardava lo zaino con ammirazione. “Te lo ridarò la prossima volta che ci vediamo.” aggiunse poi l’adolescente qualche secondo dopo. C’era una nota triste nella sua voce, anche se cercava di nasconderla.
“Tienilo tu, se ti piace tanto.” replicò Rick. Semir lo guardò come fosse impazzito. “Non sto scherzando.” continuò Castle ridacchiando. “Io non lo uso mai e prenderebbe solo polvere restando nel mio armadio. Per cui, se lo vuoi, è tuo.” Il ragazzo gli fece un sorriso enorme. In quel momento, a Castle parve di rivedere quel bambino che Semir doveva essere stato una volta e che poi era scomparso con la guerra e la morte dei suoi genitori. Si appuntò mentalmente di regalargli un vero zaino alla prima occasione, se la cosa lo rendeva così felice.
Beckett preparò la sacca in cinque minuti e, quando la chiuse con la cinghia sul davanti, quasi straripava. Semir intanto prese i soldi da Rick e recuperò giaccone, guanti e cappello. Una volta pronto, prese lo zaino e se lo infilò con attenzione sulle spalle, neanche fosse un pezzo di cristallo che poteva rompersi da un momento all’altro. Quindi, tutto felice, li ringraziò ancora, salutò e scappò per tornare da Montgomery nel freddo del mattino.
Appena se ne fu andato, Kate si avvicinò a Rick e, prendendolo di sorpresa, gli passò le braccia intorno al collo e gli lasciò un lungo bacio sulle labbra.
“Non che mi lamenti, ma questo per cos’era?” domandò Castle divertito e con voce un po’ roca, carezzandole la schiena. Lei alzò appena le spalle con un sorrisetto dolce e malizioso.
“Avevo solo voglia di baciarti.” rispose, staccandosi da lui. Il colonnello però non la lasciò andare. La prese piano per un braccio e la riportò contro di sé, avvolgendole poi le braccia intorno alla vita.
“E se ora avessi io voglia di baciarti?” domandò con voce bassa e un mezzo sorriso. Kate ridacchiò e si alzò sulle punte per far incontrare di nuovo le loro labbra. Castle si domandò come avrebbe fatto a vivere senza di lei a lungo. Avevano fatto l’amore una notte sola ( la miglior notte della sua vita), ma quella era stata solo una conferma in più. Aveva già capito che non sarebbe più riuscito a stare lontano da lei. Voleva dormire e svegliarsi accanto a lei. Voleva fare l’amore con lei quando ne avevano voglia. Voleva continuare a scherzare con lei, a vederla ridere e arrossire per le sue battute idiote e maliziose. Voleva una vita con lei. Voleva dei bambini… Però nel giro di qualche giorno Beckett sarebbe andata via, lontana, senza di lui. Come lui stesso si era imposto. Per un attimo gli sembrò una cosa stupida. Perché non poteva andare con lei e basta? Quell’idea però durò meno di un secondo. Tutte le responsabilità e i problemi di una sua eventuale fuga in quel momento gli crollarono addosso.
Strinse con più forza Kate a sé. Non l’avrebbe lasciata sola a lungo. Se ne sarebbe andato presto anche lui. Un giorno, non troppo lontano, l’avrebbe raggiunta in America e non l’avrebbe abbandonata più. Ma ora, per lei, per salvarla, doveva farlo. Doveva trovare lasciarla andare.
 
La giornata e quella successiva passarono tranquille. L’unico inconveniente furono i Ryan e gli Esposito che continuarono a tempestare di domande e battutine Rick e Kate. Il colonnello fu ancora fortunato, poiché passava a casa di Kevin solo per portare Beckett in auto la mattina e riprenderla la sera. La donna però dovette sorbirsi ogni interrogatorio tanto che, già la sera dell’1, arrivò a minacciare Castle di mandarlo in bianco a letto se non l’avesse aiutata a trovare un modo per far tacere le due coppie di coniugi. Comunque non dormirono molto né quella sera, né la seguente, e non solo per eventuali incontri tra le lenzuola, ma perché sia la notte del primo gennaio che quella del due si sentirono in lontananza il rombare degli aerei inglesi e i bassi botti della contraerea, mentre il fastidioso e penetrante suono della sirena d’allarme continuava a riempire l’aria. Per fortuna furono due attacchi abbastanza lievi e veloci, con pochi danni e vittime, organizzati giusto per non far dormire i berlinesi.
La mattina del 3 gennaio, Castle si svegliò a forza a causa di qualcosa che lo infastidiva, ancora abbastanza addormentato per le ore di sonno perse però (tra le bombe e Kate, si intende) da non capire di cosa si trattasse. Non appena si mosse però, la spalla gli lanciò una fitta dolorosa, tanto che, istintivamente, si portò una mano sopra la cicatrice come se ci fosse ancora una ferita aperta e stesse sgorgando sangue. Prese lunghi respiri per tentare di calmare il dolore, gli occhi chiusi e la mascella serrata. Rick imprecò silenziosamente. Non solo aveva dormito poco quella notte, ma pure storto e la spalla gli stava gentilmente presentando il conto.
“Castle…” mormorò Kate accanto a lui assonnata, sentendolo muoversi. “Tutto bene?” Rick si prese un momento prima di rispondere. Il dolore stava finalmente diminuendo d’intensità. Lasciò la spalla e si rilassò piano, riaprendo gli occhi.
“Abbastanza.” replicò con un tono leggermente affaticato. Beckett aggrottò le sopracciglia e aprì gli occhi per guardarlo. Lo trovò ben sveglio, ma ancora piuttosto rigido, le mani strette a pugno lungo i fianchi, lo sguardo fisso al soffitto.
“Che hai?” chiese con una nota preoccupata, alzandosi su un gomito per osservarlo meglio.
“Niente, solo…” mormorò il colonnello con un sospiro. “Solo che la spalla ha cominciato a fare i capricci presto stamattina.”
“Pensavo non ti facesse più male.” commentò Kate. Castle annuì.
“Infatti mi da poco fastidio ormai, ma devo averci dormito male stanotte.” replicò con uno sbadiglio. Con il dolore che svaniva, il sonno tornò a minacciarlo. “Non importa comunque, sta passando. Forse avevo solo il braccio storto.” Beckett lo osservò attentamente, poco convinta, quindi aprì la bocca per parlare, ma il campanello della porta la precedette. Si guardarono confusi. Erano a malapena le otto. Il colonnello aveva la mattinata libera e avrebbe voluto svegliarsi tardi, se non fosse stato per la spalla che aveva anticipato la sua decisione. Il campanello decretò definitivamente la fine di ogni dormita.
“Vado io.” borbottò Rick seccato, alzandosi piano per non infastidire ulteriormente la spalla e passandosi una mano sulla faccia per svegliarsi. Era a torso nudo, per cui recuperò una maglia e se la infilò velocemente. Con la coda dell’occhio vide Kate fare la stessa cosa con un vestito.
Mentre Castle si avviava alla porta, il campanello suonò con insistenza altre tre volte per lunghi periodi. Cauto come sempre, Rick socchiuse il cassetto con la pistola del tavolino all’ingresso prima di aprire. Girò la maniglia e spiò fuori. Il giorno prima aveva nevicato e il candore della strada fu la prima cosa che lo colpì, oltre al vento freddo che ormai tirava da qualche giorno e che lo investì con il suo tocco gelido. Socchiuse gli occhi contro il riflesso del sole sulla neve e cercò chiunque avesse suonato a quell’ora. Non ne vide traccia finché non abbassò gli occhi al suolo. Per terra, appallottolati proprio davanti alla porta c’era una scura massa di stracci luridi.
“Ma che diav…” stava per dire, stupito e innervosito da quello strano scherzo senza senso, quando la massa si mosse. Solo allora Castle capì che era una persona. Quella che sembrava la testa si alzò lentamente sopra il resto, fino a che non spuntò un viso, così sporco da risultare irriconoscibile. Era nero di quella che sembrava cenere con l’aggiunta di vistose macchie e grumi rosso scuro. Non riuscì a vedere nemmeno gli occhi di quella faccia perché le palpebre erano violacee, gonfie e semichiuse. Rick era scioccato da quell’apparizione, ma non era la prima volta che si trovava davanti una scena del genere. I corpi estratti da sotto le macerie dei bombardamenti, vivi o morti, avevano un aspetto molto simile a quello dell’uomo davanti a lui. Però nel suo quartiere non erano arrivati i combattimenti degli ultimi due giorni e neppure in quelli vicini in realtà. Allora come…? In quel momento qualcosa, che prima non aveva notato, attirò l’attenzione di Castle. Aggrottando le sopracciglia, guardò meglio. E raggelò sul posto. In spalla al mucchio di stracci, c’era il suo vecchio zaino.

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Xiao! :)
Come ho scritto sopra, al momento sto un po' così, per cui sarò breve.... Spero che il capitolo vi sia piaciuto. :) Anche se il finale non lascia mi sa molti dubbi sull'ideantità della persona davanti alla porta di Rick... Ma perché sarà combinato così? Eh, lo scoprirete... X)
Ah, una cosa: vedo l'orizzonte di questa storia... nel senso che secondo me nel giro di 2 o 3 capitoli sarà conclusa. Lascio a voi dirmi se è una buona o cattiva cosa... X)
Spero di scrivere presto, ma prima spero di risolvere i casini che ho al momento... Comunque cercherò di andare avanti. Tranquille che non lascio la storia proprio sul finale, manca al solito solo il tempo per buttarla su carta. :) Ah, scusatemi anche di non aver letto nessuna delle vostre storie delle ultime settimane. Giuro che mi rifarò! (anche perché mi mancano....)
Beh, ho finito. A presto :)
Lanie
  
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