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Autore: its_CrissColfer    19/09/2014    1 recensioni
Le cose sono andate un po' diversamente dopo il non-matrimonio di Emma e Will a San Valentino: Kurt non è più tornato a Lima per il Glee Club o per qualsiasi altra cosa che riguardasse la sua vecchia città natale, e Blaine non è più andato a New York a cercare di farsi perdonare da Kurt. Intanto, sono passati sei anni, ed entrambi sono andati avanti con le loro vite. O almeno, ci hanno provato. Kurt continua a cercare, nei suoi amanti, qualcuno che assomigli al ragazzo di cui è stato sempre innamorato, e Blaine è intrappolato in una relazione che non vuole più. Sei anni dopo, due persone completamente diverse si rincontrano per puro destino. E solo il destino può sapere come andranno a finire le cose.
“Oh, there you are. I've been looking for you forever.”
Genere: Fluff, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Blaine Anderson, Kurt Hummel | Coppie: Blaine/Kurt
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Have you ever been touch so gently,
you had to cry?

 

“Devo ammettere che stai veramente bene vestito così.”

Kurt alzò lo sguardo dal proprio caffè agli occhi del ragazzo davanti a sé. Un sopracciglio alzato, e un sorriso che si faceva strada sul suo viso. Blaine sorrise un po' imbarazzato dalla propria affermazione, abbassando lo sguardo. Anche se, doveva ammetterlo: aveva sempre amato il modo di vestire del suo ex ragazzo. “Mi sarei offeso se non avessi notato quanto senso dello stile continuo ad avere, nonostante gli anni che passano.” scherzò Kurt, sorseggiando il proprio caffè.

Blaine si morse il labbro inferiore, riflettendo. Voleva vederlo arrossire. Aveva sempre amato vedere quel leggero rossore fare contrasto con il chiaro colore della sua pelle. “Credimi, è impossibile, e,” disse il moro, portando il proprio caffè davanti la bocca per coprire il sorriso compiaciuto che gli si stava formando sul viso. “Devo dire che quei jeans ti stanno particolarmente bene. Mettono in risalto le tue.. forme.”*

Kurt arrossì leggermente, distogliendo lo sguardo dalle iridi di Blaine, ma senza poter evitare un sorrisetto. Non poteva averlo detto sul serio. “Blaine.” sussurrò, ammonendolo. Quest'ultimo ridacchiò compiaciuto dal fatto che avesse ancora quell'effetto sull'altro ragazzo.

“Vedo che tu non porti più quintali di gel sulla testa, invece.” disse allora il più grande, cercando di smorzare un po' la tensione. Blaine sorrise divertito.

“Si, infatti. Giusto a volte ne metto un po', ma solo per farli stare fermi. Per il resto, non m'interessa. Li ho tagliati, e adesso stanno piuttosto fermi da soli.” spiegò alzando le spalle, e mangiando il resto del muffin che gli era rimasto. Kurt incrociò le braccia al petto, e scrutò per qualche secondo i capelli del moro.

“Stai meglio così.” disse infine, tornando a guardarlo negli occhi.

“Lo so,” sussurrò l'altro, sorridendo dolcemente. “Lo dicevi sempre.”

 

*

 

“Scusa se t'interrompo,” disse ad un certo punto Blaine, interrompendo un monologo di Kurt su cosa avesse voluto dire vivere con Rachel e Santana per sei anni. Aveva raccontato di tutte le loro litigate, come quella che risaliva a poco più di un mese prima: Santana era la sostituta di Rachel in Funny Girl, così avevano avuto un battibecco, nel quale si erano urlate contro cose che nemmeno pensavano. Rachel si era persino trasferita. Per ben tre giorni e mezzo. “Ma ho dimenticato di caricare il telefono stanotte e.. sapresti dirmi che ore sono?”

Kurt guardò il proprio orologio. “Le nove e quarantacinque.”

“Cazzo,” disse il moro, finendo il poco caffè che gli era rimasto. “Mi.. mi dispiace tanto.” disse poi, sotto lo sguardo confuso del più grande. “Ma devo proprio andare.”

“Andare dove?” chiese allora, alzandosi anche lui, quando Blaine recuperò la propria tracolla, e si alzò dalla sedia arancione del bar. Kurt prese il proprio cappotto, e si avvicinò a lui.

“All'ospedale.”

Kurt rimase spiazzato da quella risposta. Sgranò gli occhi, e leggermente la bocca. Blaine era malato? E se sì, perchè cazzo non glielo aveva detto? E soprattutto.. era grave? Milioni di immagini del suo ex in letto di morte, con il bruttissimo camice verde dell'ospedale, e la sua famiglia intorno a tenergli le mani, mentre piangono, disperandosi, e strappandosi i capelli per il dolor -

“Kurt,” Blaine ridacchiò quando si rese conto del suo sguardo preoccupato. Aveva sempre quello strano potere di leggergli nella mente. “Non sto male. Ci lavoro.” Oh certo. Lo immaginavo.

Seguì il moro fuori dal bar, cercando in tutti i modi di non ridere per via della sua mente malata che arrivava sempre a conclusioni idiote. Comunque, doveva ammettere di essere parecchio più sollevato. Quando uscirono, si imbatterono nel vento feroce invernale. Allora il meteo aveva ragione.

“E quindi,” cominciò il più grande, infilandosi il cappotto. “Le nostre strade si dividono nuovamente.”

Blaine sorrise radioso. “Ne sei proprio sicuro?” chiese. Kurt aggrottò la fronte, realmente confuso. “A che ora entri a lavorare?”

“Alle due e mezzo oggi, perch -”

“Vieni con me.”

All'ospedale. A vedere Blaine lavorare. Chissà che lavoro faceva. Con quel camice. Immediatamente il ricordo di lui e Blaine da ragazzi, quando giocarono al gioco del dottorino sexy, fece capolino nella sua mente. Arrossì, distogliendo lo sguardo, ma infine annuì. Perchè no?

 

*

 

Kurt non era mai entrato al Lenox Hill.** Ne aveva sentito parlare, ovviamente, e aveva saputo che era un ottimo ospedale, e che sicuramente quando uscivi di lì, poi non avresti più avuto motivo per rientrarci. Sapeva che i dottori che lavoravano lì avevano anni e anni di esperienza, e che sapevano cosa facevano. Una specie di edificio pieno strapieno di simili di Dr. House, in poche parole.

Appena entrato aveva notato l'eleganza di quel posto – per quanto un ospedale potesse essere elegante – e l'allegria delle persone che lo circondavano. Probabilmente lavorare in un luogo del genere metteva allegria, chissà.

Vide con la coda dell'occhio Blaine fermarsi in fondo alla grande hall, dove probabilmente si trovavano le infermiere barra receptionist – Kurt non aveva ancora capito quale era il loro lavoro. Si fermò giusto in tempo per non andare a sbattere addosso alla sua schiena. Blaine sorrise e lui lo imitò, anche se non sapeva bene a chi stessero sorridendo, visto che la donna davanti i loro occhi era fin troppo impegnata con un foglio da compilare. Tirò un occhiata alla sua destra, dove il moro stava continuando a sorridere come un idiota. Poi lo vide alzare una mano e fare un cenno a qualcuno. Infine mimò qualcosa con le labbra. Qualcosa che assomigliava molto ad un “non posso”. Aggrottando le sopracciglia confuso, Kurt seguì il suo sguardo e incontrò un ragazzo alto dall'altra parte della hall, capelli biondi tirati indietro con un filo di gel. Un sorrisetto sinceramente divertito e due occhi furbi, che in quel momento stavano fissando il suo ex ragazzo. Un moto di fastidio lo pervase. Cosa aveva da guardare quel tizio?

In quel momento la donna alzò la testa, sbuffando di frustrazione, e accorgendosi finalmente dei due ragazzi. Anche Blaine sembrò risvegliarsi in quel momento. Sposto lo sguardo dal ragazzo e lo posò sulla donna, continuando a sorridere. Lei lo imitò.

“Qualcosa per me, Emily?” chiese il moro.

La donna gli passò una pila di fogli, che lui subito si mise a consultare in silenzio. Ora si che a Kurt sembrava di essere entrato in un episodio di Dr. House. “Ho passato tutte le sue chiamate a Carly, Signor Anderson.”

Lui la ringraziò con uno dei suoi soliti sorrisi mozzafiato, poi fece cenno a Kurt di seguirlo. Quest'ultimo – che era rimasto tutto il tempo a seguire con lo sguardo il ragazzo biondo di prima – sorridette distrattamente, e lo seguì lungo un corridoio, che – scoprì – portava agli ascensori.

“Vorrei chiederti esattamente in cosa sei specializzato,” chiese il più grande una volta che furono dentro uno dei grandi ascensori dell'ospedale, che fortunatamente era vuoto. “Ma sinceramente voglio tenermi la sorpresa fino all'ultimo.”

Blaine ridacchiò, roteando scherzosamente gli occhi. “Ahh, non credo che sarai tanto sorpreso.”

Uscirono dall'ascensore e presero un ennesimo corridoio che li portò davanti ad una porta a vetri scorrevole. Dietro si trovava la scrivania di una ragazza dai capelli neri che le ricadevano in morbide onde sulle spalle, sopracciglia perfettamente curate e un vestitino corto color prugna, intenta a scrivere al computer. Alzò lo sguardo appena sentì le porte aprirsi.

“Signor Anderson, buongiorno.” gli disse lei. Poi spostò lo sguardo sull'altro ragazzo. “Buongiorno anche voi..”

“Kurt Hummel, piacere.” rispose il ragazzo, sorridendo cordialmente. La ragazza lo imitò, poi si strinsero la mano, mentre Blaine si allontanava di qualche passo, posando distrattamente la propria tracolla su una delle sedie, togliendosi il gilet, e appenderlo al posto del camice bianco che aveva appena preso. Se lo infilò velocemente, senza curarsi di abbottonarlo. Quando vide l'altro ragazzo cercare di leggere sulla targhetta del suo camice, ridacchiò leggermente.

“Caschi male, Kurt.” scherzò il moro, riavvicinandosi a lui, e mostrandogli la targhetta sulla quale c'era scritto solamente Dr. Blaine Anderson. “A proposito, la signora Riley è già arrivata?” chiese poi, spostando lo sguardo sulla ragazza che fissava la scena con un sorrisino complice.

“No, ha detto che ritarderà di qualche minuto.”

Blaine sorrise, per poi tornare a guardare Kurt. Quanto gli era mancato quel sorriso. Quel sorriso che invadeva il viso del suo ex ragazzo ogni volta che tramava qualcosa. A volte lo aveva fatto preoccupare però, se doveva essere sincero. “Vieni con me.” disse poi.

Prendendolo per un polso, lo trascinò fuori dalla sala d'attesa, e per un corridoio. Kurt non sapeva cosa aspettarsi. Il sorriso di Blaine si allargava ad ogni passo che facevano e lui non aveva idea del perchè.

Ad un certo punto si trovarono davanti ad un altra porta scorrevole, dove dietro si trovavano alcuni letti e alcune culle. Kurt alzò lo sguardo. Sopra la porta c'era scritto “pediatria”.

“Di ciao ai miei pazienti.” sussurrò Blaine, sorridendo teneramente. Si trovavano sulla soglia e decine e decine di occhietti erano puntati verso di loro. Kurt improvvisò un sorriso verso i bambini che si stavano avvicinando a loro. Questa poi non se l'aspettava.

 

*

 

Bambini. Bambini ovunque. Bambini che si aggrappavano alle sue gambe, o che cercavano di scalarlo – manco fosse l'Everest – per trovarsi tra le sue braccia. Bambini che gli tiravano le maniche della camicia o i pantaloni per attirare la sua attenzione. Bambini che ridevano, che chiacchieravano, che urlavano. Ma soprattutto, Blaine che rideva divertito, con una bambina in braccio, che stava ancorata al collo del moro, come se fosse un po' la sua ancora. Kurt non aveva tempo di soffermarsi su quello però.

Solo quando un'infermiera entrò nella stanza, i bambini si calmarono immediatamente, ma senza smettere di ridacchiare. Kurt passò le mani sulla camicia e sulle maniche, sperando di far sparire le pieghe, poi con aria di finta tranquillità si girò verso Blaine che stava chiacchierando vivacemente con l'anziana donna. La bambina ancora in braccio al suo ex ragazzo. Quella bambina.. lo stava fissando. Si ritrovò a guardarla per la prima volta da quando era entrato in quella stanza. La bambina non avrà avuto più di sei anni. Aveva due occhi grigi come il cielo d'inverno, e un espressione seria che non ci si aspetta mai da una piccola bambina come era lei. E per la prima volta, Kurt si rese conto che quella bambina non aveva i capelli. Cercò di ricacciare indietro le lacrime che già stavano minacciando di uscire, ripetendosi mentalmente che non era il momento adatto, datochè la bimba continuava a fissarlo con quei due occhi che sembravano capaci di leggergli nella mente.

Pochi secondi dopo, Kurt fu costretto a distogliere lo sguardo.

“Bene, bambini,” disse la donna. Kurt si voltò verso di lei. “Seguitemi.” continuò, battendo le mani per richiamare l'attenzione dei marmocchi. Quando questi fecero silenzio, lei sorrise, per poi avvicinarsi a Blaine e allungare le braccia verso la bimba che teneva in mano. Quest'ultima distolse per la prima volta lo sguardo da Kurt, e strinse gli occhi, stringendosi ancora di più al moro.

“Lei resta qui.” disse allora lui, sorridendo alla bambina, per poi lasciarle un bacio sulla fronte. “Va bene, piccola?”

La bimba annuì impercettibilmente, così l'anziana donna si allontanò con i bambini che ancora chiacchieravano tra loro. Quando sparirono dietro l'angolo, vide Blaine avvicinarsi a lui con un sorriso radioso in viso. Anche Kurt sorrise, cercando in tutti i modi di non fissare la piccolo bimba. Lo metteva a disagio, ed era veramente strano che una bimba di sei anni se non di meno ti mettesse a disagio.

“Lei è Anne.” presentò il moro sorridendole. Lei guardò negli occhi ambrati di Blaine. “La più bella bambina che io abbia mai conosciuto.” sussurrò ancora il ragazzo. La bambina sorrise dolcemente, per poi riportare lo sguardo su Kurt. “E lui,” disse poi, riportando lo sguardo sul suo ex ragazzo. Sorrise ancora di più. “Lui è Kurt, Anne. Dì ciao, piccola.”

Anne alzò una manina e lo salutò, poi sorridette leggermente. “Ciao.” sussurrò. La voce di quella bimba era molto roca, come se non avesse parlato per molto tempo, o comunque come se non parlasse un granchè in generale. Kurt riuscì comunque a riconoscerci una voce cristallina dietro. “Ciao, piccola.” disse infine.

“Lui,” la bimba parlò nuovamente, indicando il più grande. La sua voce era calma e parlava molto lentamente e piano. “E' il tuo amico?”

Blaine sorrise, e Kurt non poté evitare di fare lo stesso. “Si, lui è un mio amico.” la corresse il moro, ridacchiando. “Un mio grande amico.” aggiunse poi, tornando a guardarlo con un sorrisetto divertito.

“Quindi,” disse la bambina, interrompendosi solo per portarsi una mano alla bocca e tossire leggermente. “E' anche mio amico, vero?”

Blaine si morse il labbro inferiore, sorridendo dolcemente, e distogliendo lo sguardo da entrambi. Kurt si accorse di come i suoi occhi erano lucidi. La bambina fece vagare un po' lo sguardo tra i due, per poi soffermarsi sul più grande. Quando si rese conto che Blaine non avrebbe risposto, Kurt si fece leggermente avanti. “Certo. Siamo amici se tu vuoi.”

La bimba non rispose, ma sorrise. Alla fine, allungò una mano, e a quel punto Kurt andò nel panico. Cosa avrebbe dovuto fare? Mentre si chiedeva se doveva stringergliela o chissà cosa, vide Blaine avvicinarsi e permettere ad Anne di posargli la mano sulla guancia destra. Quel gesto sapeva tanto di affetto, di amore, di – in un qualche modo – promessa. Non resistette più. Le lacrime cominciarono lentamente a scendere dal suo viso, mentre si rendeva conto che quell'amicizia, sarebbe stata la più speciale che avrebbe mai avuto in vita sua.

 

*

 

“E' una brutta otite, su questo non c'è dubbio, ma non dovete preoccuparvi, Signora Riley. Prescriverò a suo figlio un antibiotico che dovrà prendere una volta al giorno, e un antinfiammatorio che invece dovrà assumere due volte al giorno. Una volta la mattina e una la sera. Ah, e se dovesse avere dei dolori, le prescrivo anche questo antidolorifico, che può trovare benissimo in una qualsiasi farmacia.”

Il cercapersone di Blaine aveva suonato proprio nel momento in cui avevano rimesso nel lettino la piccola Anne, dichiarando che la Signora Riley era appena arrivata con il figlio. Si erano allontanati dalla sala di pediatria ed erano ritornati nell'ufficio di Blaine, dove in sala di attesa c'era una donna sui trentacinque, e il figlio di otto-nove anni al massimo. Quel bambino aveva gli occhi color nocciola e dei ricciolini neri. Kurt pensò di essersi innamorato.

Adesso si trovavano dentro l'ufficio del moro, che, Kurt doveva ammetterlo, era decisamente carino, pur essendo uno studio di un ospedale. Aveva provato a dire a Blaine che poteva benissimo andarsene, e che aveva paura di poter dare fastidio, ma niente, il moro lo aveva tranquillizzato, aggiungendo anche che voleva invitarlo a pranzo con lui, se non avesse avuto altri impegni. Ovviamente, anche se gli avesse avuti, li avrebbe cancellati.

Si trovava in un angolino in quel momento, a fissare la donna che continuava a tenere stretto il suo bambino, con un espressione fin troppo preoccupata. Sembravano proprio Zia Petunia con il suo Dudley, e Kurt non poté evitare di soffocare una risata, della quale, per fortuna, nessuno si accorse.

“Dr. Anderson, lei pensa che sia grave?”

Il viso di Blaine e quello di Kurt, assunsero la stessa espressione. Una metà tra lo sconvolto e il divertito. “E' solo un otite.” disse poi il moro, cercando di sorridere in qualche modo. Alla fine, la sua espressione era diventata ancora più comica di prima. Il più grande tentò per un ennesima volta di non scoppiare a ridere.

Dopo una buona ventina di minuti passata a cercare di rassicurare quella donna, finalmente sembrava fatta. Kurt era sollevato. Aveva cominciato a provare una certa frustrazione verso quella donna, che tra l'altro, cercava di flirtare in modo palese con Blaine, il quale invece non sembrava accorgersi di niente. Si rese conto anche che il piccolo bambino era sul punto di addormentarsi. Poveraccio.

“Va bene, Dr. Anderson, mi fido di lei,” e menomale. “Allora tornerò tra un paio di settimane e -”

Cause if you liked it then you should have put a ring on it..
If you liked it then you should have put a ring on it..
Don't be mad once you see that he want it..
If you liked it then you should have put a ring on it..

Kurt sgranò gli occhi, mentre Blaine stringeva le labbra, nel tentativo di non ridere, e si girava quasi a rallentatore verso di lui. Quando i loro occhi si incontrarono, Kurt lesse un immenso divertimento negli occhi ambrati del suo ex ragazzo. Merda.

Si alzò in piedi, e sfilò il telefono dalla tasca anteriore, sussurrò un scusatemi, arrossendo fino alla punta delle orecchie e uscì di corsa dallo studio, rispondendo al telefono senza neanche guardare il mittente.

“Pronto?” sussurrò, senza guardare la segretaria di Blaine che sicuramente stava ridendo sotto i baffi.

“Kurt!” la voce allegra della sua migliore amica gli arrivò dritto al cervello. Eh, certo, chi doveva essere, se non lei? “Pranziamo insieme oggi, giusto?”

“No,” disse, sempre sussurrando piano. “Ho già un impegno.”

“Cosa?” chiese confusa Rachel. “Primo, parla più forte, che a malapena riesco a capire cosa dici. E secondo, andiamo sempre a pranzo insieme il Lunedì. Chi ha rubato il mio posto?”

“Rachel, non posso urlare, sono all'ospedale.” disse esasperato il ragazzo, portandosi una mano sulla fronte, e chiudendo gli occhi. Prima ancora che potesse aggiungere qualcosa, la sua migliore amica lo precedette.

“Scusa, e che ci fai all'ospedale? Stai male, amore?”

“No, è che stamattina mi sono visto con Blaine, e poi l'ho seguito all'ospedale. Lui lavora qui.” aggiunse poi come spiegazione. “Vado con lui a pranzo.” disse poi, cercando di non sembrare troppo entusiasta, visto che sentiva perfettamente lo sguardo di Carly addosso.

“Come, scusa?” chiese la sua migliore amica, scandendo bene ogni singola sillaba. “Blaine? Che novità è questa?”

“C'eri anche tu ieri sera, eh.”

“Si, lo so. Ma non pensavo che -”

“Che, cosa?” chiese Kurt, sperando solo che quella conversazione finisse presto. “Io e Blaine siamo.. amici, credo.”

In quel momento la porta dell'ufficio di Blaine si aprì, e la donna con il proprio figlio uscirono, seguiti immediatamente dal moro, che appena incontrati gli occhi del più grande, riprese a sorridere divertito esattamente come cinque minuti prima.

“Senti Rachel, ti devo lasciare. Ci sentiamo dopo, ok? Ti voglio bene.” disse tutto d'un fiato, per poi riattaccare velocemente, senza lasciare tempo alla ragazza di replicare anche solo con un misero ciao.

Ripose il telefono nella tasca anteriore, e fissò Blaine con un espressione metà tra il serio metà tra l'esasperato. “Non provare a dire niente, Anderson.” gli disse, puntandogli un dito contro, per poi superarlo e rientrare nell'ufficio. Sentì il moro dietro di sé ridacchiare per poi intonare piano il ritornello di single ladies. Kurt roteò gli occhi, senza poter evitare però di scoppiare a ridere subito dopo.

Quella non gliela avrebbe fatta dimenticare facilmente.

 

*

 

La pausa pranzo di Blaine durava all'incirca un ora. Quindi, non avrebbero potuto allontanarsi più di tanto. Usciti dall'ospedale, il moro lo aveva portato in un piccolo ristorante vicino. Era un luogo piacevolmente carino. Non era molto grande, ma le persone che ci lavoravano erano estremamente cordiali e simpatiche. La cosa che più lo eccitava era il fatto che quel ristorante serviva piatti italiani, e lui non aveva mai mangiato in un ristorante italiano, quindi, anche se cercava di non darlo a vedere, era estremamente esaltato dall'idea.

Francesco – il capo chef che aveva già avuto il piacere di conoscere il suo ex ragazzo – li aveva accolti amorevolmente, e li aveva fatti sedere ad un tavolino un po' appartato, lontano dagli altri già occupati. Infine, aveva preso lui stesso le ordinazioni. Cosa non facile, visto che ogni tre per due Kurt gli chiedeva cosa fosse quello o quell'altro. Alla fine Blaine ordinò un piatto di spaghetti e lui un piatto di agnolotti. Non sapeva manco cosa fossero, in realtà.

Stava per aprire bocca, e intavolare una conversazione con il suo ex, ma quest'ultimo, proprio in quel momento, spostò lo sguardo sul proprio iPhone, fermo al lato destro del piatto, che aveva cominciato ad illuminarsi a intermittenza. Vide Blaine sbloccarlo e – probabilmente – aprire il messaggio che gli era appena arrivato. Non sapeva cosa ci fosse scritto, ma vide l'espressione confusa di Blaine dopo. Alla fine lo vide digitare qualcosa, e inviare la sua risposta. Quando quest'ultimo rialzò lo sguardo su di lui, Kurt lo distolse, fingendo di non averci fatto nemmeno caso.

“Scusami.” disse il moro, posando nuovamente il telefono sul tavolino. “Dicevamo?”

“In realtà non stavamo dicendo niente, Blaine.” lo avvertì il più grande, sorridendo teneramente, e posando la testa sulle sue mani congiunte.

Blaine scoppiò in una risatina divertita. “Scusami di nuovo.” sussurrò continuando a ridacchiare. “Ho la testa tra le nuvole.”

“L'hai sempre avuta, a dire il vero.” lo schernì Kurt, facendolo solo ridacchiare di più. Ma era felice. Era felice di riuscir a farlo ridere ancora in quel modo. Aveva sempre amato la risata di Blaine, e non sapeva come mai, ma quando lo aveva rivisto la sera prima, avrebbe detto che nei passati sei anni non aveva riso così tanto come faceva quando erano ragazzi. L'aveva letto nei suoi occhi. Aveva letto quella sfumatura di tristezza, che gli aveva visto solamente una volta. E cioè, quando lui e Rachel avevano diciannove anni ed erano tornati a Lima per assistere alla prima di Grease, messa su dal suo vecchio liceo. Quando i loro occhi si erano incontrati quella sera, Kurt aveva letto tutta la disperazione, la solitudine e il pentimento per quello che aveva fatto, possibile. Quando avevano riparlato poi, dopo lo spettacolo, gli aveva detto quella frase, quel “e io non mi fido più di te”, e lo aveva e si era completamente distrutto. Sapevano entrambi che era finita. In quel momento, era veramente finita.

 

 

“Blaine?”

Il diretto interessato alzò lo sguardo dal suo telefono per l'ennesima volta. In una mano teneva il telefono, e nell'altra la forchetta, ferma a mezz'aria. Kurt si era soffermato ogni singola volta sul fatto che Blaine riuscisse perfettamente ad arrotolare gli spaghetti sulla forchetta. Si chiese persino dove cazzo avesse imparato, visto che lui in venticinque anni della sua vita ancora non ci era mai riuscito.

“Dimmi tutto, Kurt.” rispose il moro, distogliendolo dai suoi pensieri. Kurt vide, con la coda dell'occhio, Blaine spegnere il telefono.

La verità è che adesso che doveva dirglielo, si sentiva completamente a disagio. Ma era anche vero che non era riuscito a smettere di pensarci sin da quando era successo. Sembrava quasi che avesse il bisogno di parlarne con qualcuno. E non esisteva nessuno meglio di Blaine, per quello. Per tante cose, in realtà.

“La bambina di prima,” cominciò, posando lo sguardo sulla sua mano che in quel momento teneva la forchetta, e giocherellava con quello che aveva nel piatto. “Anne. Lei ha.. ha il cancro, vero?”

Alzò lo sguardo, solo quando il silenzio tra di loro si fece fin troppo pesante. Blaine lo stava fissando, con un espressione indecifrabile e la bocca leggermente aperta. La forchetta ancora a mezz'aria. Incatenò i loro sguardi, e riuscì a leggere qualsiasi cosa negli occhi dell'altro. In quel momento però, l'unica cosa che vide, e che prevaleva sulle altre, era l'affetto che provava per quella piccola bambina. E la preoccupazione. Alla fine, il moro sospirò, e posò la forchetta nel piatto. “Si.” sussurrò, senza distogliere lo sguardo. Si morse leggermente il labbro inferiore. “Cancro ai polmoni.” aggiunse poi.

“E quanti anni ha?” chiese poi, parlando piano, quasi come se non volesse che la gente vicino li sentisse.

Blaine si portò una mano tra i capelli. Sembrava quasi che parlarne lo facesse stare veramente male. “Ha solo cinque anni.”

Kurt annuì, e prima che potesse dire qualcosa, anche una cazzata, tanto per cambiare discorso, visto che l'aria si era fatta estremamente pesante, Blaine lo precedette, riaprendo bocca. Aveva distolto lo sguardo e stava fissando ovunque tranne che nei suoi occhi. “Gliel'ho diagnosticato all'incirca due mesi fa.” sussurrò, fissando il suo piatto, per metà intatto. “Sua madre la portò da me, dicendomi che era già da parecchio tempo che Anne stava male, respirando a malapena, e tossendo continuamente.” prese un respiro profondo, prima di continuare. “Pensando che non fosse niente di grave, le prescrissi alcuni antibiotici, ma lei tornò da me dopo due settimane, e visitandola, mi resi conto che non avevano fatto nessun effetto. In più la madre mi disse che Anne stava perdendo peso in modo strano, ed era continuamente stanca.” Blaine tornò a guardarlo negli occhi. Entrambi erano sull'orlo delle lacrime. “Mi soffermai più che altro sul fatto che non riuscisse a respirare correttamente, e sul fatto che era peggiorata in quelle due settimane. Ebbi il permesso dalla madre, e dal mio superiore, di poterle fare una radiografia. Ma, credimi, Kurt, non mi sarei mai immaginato quello che poi ho visto.” si fermò un'altra volta e si asciugò un paio di lacrime che erano scappate dai suoi occhi. “La misero in cura subito, e scoprirono, che per adesso non è troppo esteso, ma che devono comunque sbrigarsi ad operarla, perchè potrebbe estendersi ai bronchi, e poi ad altri organi vitali, e a quel punto sarebbe molto più complicato.”

Kurt annuì. “Quando la opereranno?”

“Tra due settimane.”

“E quante..” Kurt si schiarì la gola, e si asciugò gli occhi umidi. “Quante possibilità di.. quante..”

“L'ottanta percento è dalla nostra parte, Kurt.” disse Blaine, sorridendo teneramente. Infine allungò la mano sul tavolo, esattamente come la mattina stessa, e permise a Kurt di stringerla. Quando ciò avvenne, un brivido percorse entrambi i ragazzi. Si guardarono negli occhi, entrambi con un sorrisetto timido stampato in volto, e con lo stesso pensiero in testa. Le loro mani erano fatte per stringersi. Erano fatte per stare insieme, e per tenersi vicine. Erano fatte per incastrarsi perfettamente, come ogni volta succedeva. Le loro mani si amavano, ed entrambi potevano sentirlo. Entrambi lo avevano sempre saputo.

 

*

 

Blaine uscì di lavoro alle otto e mezza quella sera. Kurt se ne era andato verso l'una e mezzo, dicendo che doveva per forza andare al lavoro, e che l'avrebbe richiamato lui per mettersi d'accordo ed uscire nuovamente insieme. Se doveva essere sincero, l'aveva lasciato andare a malincuore. Adesso che erano riusciti a ritrovarsi dopo veramente fin troppo tempo, Blaine avrebbe passato ogni secondo di ogni minuto al fianco del suo ex ragazzo. Ecco il problema. Ex ragazzo. Adesso lui stava con Alex. Stava con Alex da quasi quattro anni. Anzi, la settimana dopo avrebbero proprio festeggiato il loro quarto anniversario. Alex era una persona stupenda, su questo non c'erano dubbi. Era premuroso, dolce, simpatico, e soprattutto, lo amava veramente. Ma non era Kurt. Non aveva la voce cristallina di Kurt, non aveva quegli occhi che lo facevano sentire un idiota innamorato come quelli di Kurt, non aveva il sorriso dolce di Kurt. Non aveva il suo sarcasmo pungente, il suo modo di amarti, i suoi tocchi gentili, o la sua risata. Ricordava i primi tempi che stava con Alex, ogni volta che si ritrovavano a fare l'amore, Blaine immaginava sempre di baciare Kurt, di toccare Kurt, di stare dentro Kurt, e di amarlo come non aveva mai fatto. Poi apriva gli occhi, e si rendeva conto che la persona con cui stava facendo l'amore, non era la persona che amava. E quella cosa era continuata per mesi. Per anni. Per quattro anni, a dire la verità. E il solo pensiero lo faceva sentire una totale merda. Insomma, Alex era il tipo di compagno che chiunque avrebbe voluto accanto. Alex era colui che lo aveva salvato dalla depressione che lo avrebbe colpito cinque anni prima, quando doveva ancora affrontare la perdita di Kurt. All'inizio Alex era una specie di migliore amico, poi il loro rapporto si era sviluppato. Almeno, da parte dello stilista. E nonostante tutto, nonostante Alex lo aveva trascinato via da Lima, e lo aveva convinto a iscriversi alla NYU, per poi chiedere lavoro ad un ospedale come il Lenox Hill, Blaine sapeva di non poterlo amare. Per il semplice fatto che per quanto in quei quattro anni avesse cercato di ripetersi mentalmente quanto Kurt non significasse più nulla per lui, non era mai stato così. Kurt aveva sempre significato tutto. Persino in quei sei anni che non era stato presente. Aveva vissuto quegli ultimi anni della sua vita, sentendo che gli mancava qualcosa. E quando finalmente aveva rivisto gli occhi di Kurt, poco meno di ventiquattr'ore prima, aveva capito cos'era.

Sospirò, passandosi una mano tra i capelli, e stringendosi nel proprio cappotto. Il freddo aveva deciso di congelarlo lì in mezzo al marciapiede, ne era sicuro. Quando si trovò vicino al suo appartamento, tirò fuori nuovamente il telefono. Alex gli aveva detto che doveva parlargli urgentemente, e che non vedeva l'ora di vederlo per potergli raccontare “la novità”. Da una parte, Blaine pensava di sapere di cosa si trattasse. In fondo capitava tutti gli anni verso la fine di Dicembre, ormai da due anni a questa parte. Da una parte sperò non fosse quello, in fondo non voleva trovarsi solo a Natale anche quell'anno. Anche se quell'anno magari avrebbe potuto passarlo con Kurt. No, che idea stupida. Sicuramente Kurt aveva già i suoi impegni. Quasi sicuramente, immaginò, sarebbe tornato a Lima da suo padre. Chissà come stava Burt.

Sospirò un ennesima volta, prendendo dalla tracolla le chiavi del portone del suo palazzo. Appena entrato, si avvicinò all'ascensore e premette il tasto del piano dieci.

Aperta la porta dell'appartamento non notò niente di strano. Posò distrattamente le chiavi e la tracolla sul mobiletto vicino, e svoltò l'angolo del corridoio, trovandosi nel soggiorno. Lì ad attenderlo c'era Alex con due calici di champagne in mano e un sorriso entusiasta in volto. Sembrava una di quelle scene da film, quando torni tranquillamente a casa dal lavoro e tua moglie ti aspetta dicendoti che è incinta. Tutti felici e contenti. Menomale che era gay. Sorrise distrattamente, mentre Alex lo chiudeva in un abbraccio.

“A cosa dobbiamo tutto questo?” chiese Blaine, fingendosi sorpreso, mentre il suo ragazzo gli passava uno dei calici. Lo vide sorridere felicemente.

“Mi hanno proposto di andare a Chicago per una masterclass tenuta da Michael Kors.” esclamò Alex allegro. “Non riesco a crederci, giuro.”

Blaine si morse il labbro, prima di riaprire bocca. “E quanto starai via?”

“Parto domani e starò via due settimane, alla più lunga.” rispose Alex, non facendo caso al verso di delusione che emise poi il suo ragazzo.

“Due settimane. Il che vuol dire che salteremo Natale, il nostro anniversario, e Capodanno. Nuovamente.” replicò il moro sarcasticamente, posando il bicchiere, e allontanandosi dall'altro ragazzo. Ovviamente le sue supposizioni erano giuste.

“Blaine, non ti capisco. Non sei felice, per me?”

Il diretto interessato si fermò sulla soglia della loro camera da letto. Fissando dritto davanti a sé, prese un profondo respiro, per poi girarsi con un finto sorriso stampato in volto. “Certo, che lo sono. Non si vede?” disse prima di sbattere la porta e rifugiarsi in camera.

 

*

 

Da: Kurt.
“(21.34) Rachel ha scoperto che stanno organizzando una specie di mega festa a Times Square. È domani sera. Ci andiamo, vero?”

A: Kurt.
“(21.37) Perdonami, non credo di averne molta voglia.”

Da: Kurt.
“(21.38) Che è successo?”

A: Kurt.
“(21.40) Mi conosci così bene?”

Da: Kurt.
“(21.43) Si, credo di poter dire di conoscerti perfettamente.”

A: Kurt.
“(21.44) Possiamo solo.. riparlarne in un altro momento?”

Da: Kurt.
“(21.46) Sempre qui quando hai bisogno, Blaine.”

A: Kurt.
“(21.50) Grazie. Davvero.”

 

*

 

Kurt posò il telefono sul tavolino della cucina, con un sospiro di delusione. Appena Rachel gli aveva detto della festa a Times Square, lui aveva, ovviamente, pensato che sarebbe stato un ottimo modo per passare una serata insieme a Blaine. Avrebbero ballato, bevuto un po', riso, scherzato, e magari pure cantato insieme, come ai tempi del liceo. Sarebbe stato.. bello, si. Di certo non aveva voglia di ritrovarsi ad una festa con la nuova star di Broadway che avrebbe attirato tutte le attenzioni e cantato tutte le canzoni dal novanta fino ai giorni loro. Voleva bene a Rachel, ma ne aveva abbastanza di sentirsi oscurato da lei.

Appoggiò la testa al bordo del tavolino e sbuffò nuovamente. Si sarebbe finto malato. In fondo, funzionava sempre.

Qualcuno gli posò una mano su una spalla, e lui sobbalzò letteralmente per poi scontrarsi con gli occhi scuri della sua migliore amica.

“Allora? Blaine è dei nostri?” chiese lei, continuando a muovere la mano sulla spalla del suo migliore amico. In realtà aveva capito dall'espressione di Kurt che non era così, ma magari aveva bisogno di parlarne con qualcuno.

Kurt, infatti, scosse la testa, e sorrise leggermente. “No.” confermò poi. “Ha detto di non averne voglia. Probabilmente avrà degli impegni con il suo.. con il suo..”

“Ragazzo?”

“E ha cercato un modo carino per dirmi che non voleva venire.” la ignorò Kurt, alzando le spalle. La parola Blaine accostata ad un altro nome maschile, con in mezzo la parola “ragazzo”, gli faceva letteralmente schifo in quel momento.

Si alzò dalla sedia e percorse il poco spazio che lo divideva dal soggiorno. Si sedette sul divano accanto a Santana. La ragazza stava messaggiando con qualcuno. Probabilmente Brittany. Appena quest'ultima si sarebbe trasferita a New York, le due sarebbero andate ad abitare insieme. Kurt roteò gli occhi. Era così invidioso di loro due che erano riuscite a ricreare un rapporto ancora più solido di prima. Magari se fosse tornato alle regionali di Blaine, anche loro ci sarebbero riusciti con il tempo. Magari Blaine non starebbe con un altro adesso.

“Kurt, va tutto bene?” chiese Rachel, adesso in piedi davanti al televisore che nessuno stava guardando veramente. Il diretto interessato scrollò le spalle, fingendosi indifferente. “E' per Blaine, giusto?” chiese allora lei.

“Si.. no. Cioè, diciamo che ci tenevo. Speravo che venisse.” rispose, senza fissarla negli occhi. Lei si inginocchiò, facendo così per essere alla sua altezza, ma prima che potesse anche solo dire una parola, Santana la precedette.

“Ci credo, Hummel.” disse l'ispanica, ammiccando. All'inizio i due ragazzi aggrottarono la fronte, confusi, poi, capendo il doppio senso, scoppiarono a ridere, quasi contemporaneamente. Santana li seguì poco dopo.

“Vado a letto, va.” annunciò Kurt, quando le risate scemarono. Si alzò dal divano, ma prima di entrare in camera sua, si voltò, e sorrise. “Vorrà dire che passerò una splendida serata con le mie due coinquiline preferite.”

In fondo non era proprio male vivere con quelle due pazze.

 

*

 

“Hai preso tutto, giusto?” chiese Blaine, controllando per l'ennesima volta l'orario della partenza sul biglietto che avevano appena preso. La sera prima erano riusciti a fare pace. O meglio, Blaine era sorvolato sulla cosa, come ogni volta. Non era debole, semplicemente evitava di litigare, quando sapeva che non sarebbe cambiato niente. E più o meno, era sempre così.

Adesso si trovavano al JFK, in mezzo a una mandria di persone che sembravano pecore impazzite e che correvano da una parte all'altra dell'aeroporto. Blaine trattenne una risata quando vide una madre su tacchi dodici, inseguire la figlia che scappava ridendo, con un pupazzo che sbandierava orgogliosa. Riportò gli occhi su Alex che in quel momento abbassò il telefono e sorrise, per poi stringerlo in un caloroso abbraccio. “E' la ventesima volta che me lo chiedi.” disse. “Si, amore. Ho preso tutto quello che mi serve. Tra quanto parte il volo?”

“Mezz'ora.” rispose il moro, quando sciolsero l'abbraccio. Prese la valigia blu notte di Alex che stava dietro di lui, e gliela passò con un sorrisino stampato in faccia. “Forse è meglio che vai al check-in.”

Alex guardò l'orologio, come ad accertarsi che Blaine stesse dicendo la verità. Quest'ultimo si trattenne dal non roteare gli occhi. “Si, credo sia meglio.” disse infine, sorridendo nuovamente. Infilò la sciarpa rossa al collo e la strinse, prima di posare le mani sui fianchi del moro ed avvicinarlo a sé. “Ti prometto che quando tornerò, rimedieremo a queste due settimane che ci tocca passare divisi.” aggiunse, prima di avvicinarlo a sé e baciarlo. Blaine si lasciò baciare, senza ricambiare. Non che il suo ragazzo ci avrebbe fatto caso comunque. Quando si staccarono improvvisò un sorriso che sembrava molto più una smorfia.

“Beh, chiamami quando arrivi, allora.”

“Lo farò. Ti amo.” disse infine, lasciandogli un ultimo bacio a stampo e prendendo la propria valigia per poi dargli le spalle. Blaine lo seguì con lo sguardo finchè non sparì dietro la folla. Infine sospirò, e si rigirò il telefono tra le mani, guardandosi attorno. E anche quell'anno era fatta. Adesso doveva solo trovare qualcosa da fare durante tutte le sue vacanze. Proprio quel giorno erano cominciate le sue ferie natalizie, e non aveva la minima idea di come passarle. Tornare dai suoi genitori non se ne parlava, visto che sua madre l'avrebbe riempito di domande tipo “a quando il matrimonio, tesoro mio?” e suo padre gli avrebbe sorriso compiaciuto ogni secondo, interessandosi solo ed esclusivamente di come andava il suo lavoro. Ne aveva abbastanza di domandine su cose che non gli interessavano neanche un po'. E i suoi genitori erano sicuramente i migliori in quel campo. Non che non gli volesse bene, anzi, li amava, e loro amavano lui, ma diciamo che in fatto di compagnia e divertimento non erano il massimo. E quasi sicuramente la sua festa di Capodanno sarebbe stata in giacca e cravatta in una sala stile ottocento. Per quello, gli bastava e avanzava Alex.

Uscì dall'aeroporto, stringendosi nel proprio cappotto. Erano a malapena le cinque di sera, ma il crepuscolo si stava già avvicinando e il freddo si stava alzando. Stava per svoltare alla sua destra per tornare al calduccio del suo appartamento, quando un manifesto dall'altra parte della strada attirò molto la sua attenzione.

Venerdì, 20 Dicembre 2013. Snow Party, All Night Long. Times Square, ore 20.00.

Sorrise e senza pensarci due volte, o senza chiedersi il perchè di quella decisione, tirò fuori il telefono e digitò quel numero che in soli due giorni aveva rimparato a memoria. Una voce cristallina rispose dopo solo due squilli.

“Blaine?” chiese confuso.

“E' ancora valido il tuo invito, oppure è troppo tardi?” 




* Ho una specie di ossessione compulsiva per il culo di Chris Colfer, perdonatemi.
** Nemmeno io sono mai entrata al Lenox Hill. Quindi, non ho idea di come sia fatto. Perdonatemi. 


  
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