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Autore: Gio_Snower    20/09/2014    3 recensioni
{AU - Mermaid!Version}
Poi due profondità blu, bellissime e terrificanti, si puntarono su di lui, osservandolo, e lui quasi si spaventò per il magnetismo di quello sguardo inumano.
Infine tutto diventò nero e si perse nel suo subconscio, rassegnato già alla morte, pensando d'aver visto un angelo del mare.

Partecipante al Contest "Let's Sport! (anime/manga)" indetto da Mad Fool Hatter sul forum di efp!
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Haruka Nanase, Makoto Tachibana
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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× Beyond The Blue ×
 

Il mare spesso parla con parole lontane,
dice cose che nessuno sa.
Soltanto quelli che conoscono l'amore
possono apprendere la lezione dalle onde,
che hanno il movimento del cuore.
Romano Battaglia, Una rosa dal mare


 

"Haru, quanto ami l'acqua?", gli chiese una volta.
Lui ovviamente non rispose a parole, non era da lui e Makoto si sarebbe stupito del contrario.
"L'ami molto, ne sono sicuro, ormai. L'ho capito, sai? L'ho capito dal primo momento in cui ci siamo incontrati, ho capito quanto tenessi a quell'acqua che sembrava adattarsi perfettamente a te. Le cose impossibili, no, le cose misteriose accadono, e possono essere sia stupende sia spaventose, e causano sempre molte emozioni, emozioni tumultuose... Me l'hai insegnato tu, no, Haru?", gli disse molto tempo dopo. 

Quell'Estate si era presentata in anticipo, tutti avevano capito che sarebbe stata un'Estate calda, terribilmente afosa, ed ognuno sembrava felice per quel calore, per quel sole che senza una protezione adeguata avrebbe scottato la pelle, colorandola di un rosso simile a quello dei pomodori, ricordando a tutti di essere vivi.
Aveva deciso di allenarsi in mare, nonostante lo temesse, e con suo grande piacere il coach acconsentì, così scelse una spiaggia ed un tratto isolato; presto ci sarebbero state le gare di classificazione per le finali dei campionati di nuoto e lui voleva arrivarci. Voleva arrivare primo, conquistare il podio, e poi...
In realtà non sapeva nemmeno lui il perché volesse vincere, non era mai stato un tipo particolarmente legato alla vittoria o estremamente competitivo, eppure era successo, era animato da un fuoco che esigeva, che gli divampava dentro, spingendolo alla ricerca del limite delle sue capacità, richiedendogli una crescita, che poi fosse una crescita interiore o del suo stile di nuoto, bé, quella era tutta un'altra questione. Così, il primo giorno di caldo e di vacanze, prese la tavola da surf e si mise la muta, deciso a surfare per testare il mare, prima ancora di provare a nuotare.
Le onde bianche e blu, spumeggianti, tremolanti, continue, infinite, il sapore salato di quell'acqua che toccava la sua pelle, che la lambiva, quasi accarezzandola mentre il cielo azzurro, un azzurro brillante circondato di sprazzi bianchi, nuvole, lo osservava; e in quel cielo azzurro c'erano il sole ed i gabbiani, c'era la libertà.
Era Estate.
E L'Estate è sempre stata una stagione importante: è la stagione della giovinezza, non dell'amore giovanile, quel classico periodo raccontato nei fumetti; quei giorni, quei tre mesi, in cui vivevi, sognavi, ridevi, desideravi e crescevi, senza nemmeno rendertene conto.
Quella giornata lo rassicurò un pochino, lo lasciò illudere quel tanto che bastava per fargli ignorare la sua paura, un timore fondato.
Aveva iniziato a provare terrore verso quella distesa blu quando era ancora molto piccolo, a causa di un trauma infantile; infatti, intorno ai sette anni, andò in vacanza al mare con i suoi genitori e sul molo incontrò un vecchio pescatore dall'aspetto burbero che lo intimorì non poco, ma l'anziano lupo di mare si rivelò gentile, benché un po' rude, e alla fine si accattivò le sue simpatie di bambino.
«Assomigli a mio nipote», gli disse un giorno con un sorriso, mentre gli scompigliava i capelli con la mano ossuta e ruvida.
Passò tre mesi su quel molo a parlare con l'anziano signore. Era suo amico e lui si divertiva ad ascoltarlo parlare. I suoi genitori, inoltre, lo consideravano un bambino responsabile e sapevano che non si sarebbe cacciato nei guai: non l'aveva mai fatto.
Ogni Estate ritornavano lì, e lui la passava su quel molo a parlare con Oji-san o a nuotare nel mare; fu lui ad insegnargli come andare a fondo e come rimanerci per un po' senza affogare.
Un giorno, però, non poté più rivederlo perché scomparve per sempre. Le tempeste estive non sono rare, ciononostante quella che arrivò quel giorno giunse rapida e terribile, sorprendendo molti pescatori in mare e capovolgendo loro barche, facendoli inghiottire dal mare che non li restituì più.
Anche Oji-san era fra loro.
Partecipò al funerale e pianse, pianse molto per la perdita di quell'uomo che ormai considerava come un nonno.
Da allora non mise più piede in mare, almeno finché non fu spinto dalla sua voglia di migliorare che dopo anni lo spinse a ritornare a nuotare in quella distesa blu, tanto terrificante quanto affascinante.
E dopo quella giornata di surf decise di continuare ad allenarsi; se voleva migliorare, doveva farlo, doveva superare questo enorme ostacolo sulla sua strada, doveva crescere e superare i suoi timori infantili...
Così andò e senza pensarci due volte iniziò ad allenarsi. Quel giorno il vento soffiava gelido e salato e i gabbiani si posavano sugli scogli invece di volare; ovviamente questi erano due segni che annunciavano l’imminente tempesta, ma non se ne accorse, preso com'era dal nuotare.
Quando il cielo iniziò a riempirsi di pennellate di grigio, si disse "Ancora dieci minuti, poi torno a riva", ma appena cinque minuti dopo il mare iniziò ad agitarsi e lui era al largo.
Le onde iniziarono a crescere, a ingigantirsi fino a diventare mostri d'acqua che lo sballottavano qua e là, poi le correnti marine, fredde e feroci, e appena finì con la testa sott'acqua lo risucchiarono nel loro vortice, non importava quanti sforzi faceva per combatterle. Nei suoi occhi vedeva solo il blu scuro del mare, chiedendosi se fosse davvero la sua ora, se fosse quello il colore della morte...
Era lo stesso colore che aveva visto Oji-san?
Mentre sprofondava, legato al mare, vide scaglie lucenti e si chiese che razza di pesce avesse scaglie così lucenti. Forse un tonno?
Ma non si trattava di un tonno.
Credette di essere impazzito l'attimo prima della mia morte, credette di aver avuto un'allucinazione a causa del poco ossigeno rimastogli, ma così non era. Le scaglie si avvicinarono rivelandosi un'enorme coda di pesce, lunga almeno quanto delle gambe d'uomo, e attaccata a essa, c'era, infatti, un uomo, o almeno mezzo uomo.
Era un ragazzo giovane, dal volto terribilmente bello dai lineamenti dolci ed eleganti, quasi femminei. Capelli lisci e neri, simili ad alghe per lucentezza e colore, incorniciavano quel bel volto.
Poi due profondità blu, bellissime e terrificanti, si puntarono su di lui, osservandolo, e lui quasi si spaventò per il magnetismo di quello sguardo inumano.
Infine tutto diventò nero e si perse nel suo subconscio, rassegnato già alla morte, pensando d'aver visto un angelo del mare. 

***

Quando si svegliò, si ritrovò a fissare un soffitto di pietra grigia-bluastra pieno di stalattiti; era in una grotta, dedusse mentre si sollevava a sedere, staccando la schiena, ancora bagnata dall'acqua, dalla fredda e dura roccia.
«Dove sono?», chiese, sbattendo gli occhi.
Sentì un rumore e da una pozza d'acqua si affacciò quel volto che aveva visto mentre affogava, il volto del ragazzo che aveva scambiato per un... angelo del mare.
Si ricordò la coda ricoperta di scaglie e rise di se stesso. Era  stato stupido a pensare anche solo a cose simili, ma a sua discolpa poteva dire che la mancanza di ossigeno gli aveva impedito di ragionare lucidamente.
«Grazie per avermi salvato!», gli disse, porgendogli la mano, sicuro che anche lui volesse issarsi e sedersi sulla roccia. Probabilmente era un sub che l'aveva salvato grazie alla sua bontà e alla sua preparazione fisica. Avrebbe di certo riso anche lui quando gli avrebbe raccontato dell'errore di valutazione nei suoi confronti.
Occhi incredibilmente blu, si ritrovò a pensare per la seconda volta, lo fissavano seri, cauti...
Cosa succedeva?
«Sono forse stato scortese?», domandò. Si sporse lentamente verso di lui, sorridendogli con fare rassicurante. Se aveva commesso un errore, si sarebbe scusato com'era giusto che fosse.
In quel momento qualcosa emerse dall'acqua, non lontano dalla testa del ragazzo, e quel qualcosa era una coda, una coda ricoperta di squame azzurro chiaro, un azzurro quasi argentato, rilucenti come gemme.
Strabuzzò gli occhi.
O soffriva di allucinazioni o lui era veramente... un angelo del mare.
No, non un angelo del mare. Ricordò una vecchia storia di Oji-san riguardo a creature temute e apprezzate dai pescatori, creature mitologiche dall'aspetto terribilmente affascinante, capaci di incantare con la loro voce e con il loro essere qualunque uomo, per poi... quella parte non la ricordava bene, ma sapeva come si chiamavano.
«Sei una sirena...», mormorò stupito. «Una sirena...», ripeté, assaporando quelle parole che suonavano strane alle sue stesse orecchie.
Sentì i suoi occhi blu fissarlo, aspettando, chiedendo, così puntò i suoi occhi in quelli di lui e venne risucchiato in quel vortice dal colore del mare.
Leggeva molte cose in quegli occhi, leggeva cose che nemmeno lui comprendeva, ma che in un certo senso capiva. Non aveva detto niente, non a voce, ma aveva detto tutto con il suo sguardo.
Gli sorrise, sorprendendolo, come lesse nei suoi occhi, e ritirò la mano.
«Probabilmente non ti piacciono le formalità», disse, non sapendo bene nemmeno lui cosa stesse dicendo, ma forse era così, forse era giusto, «Però ti ringrazio di avermi salvato! Grazie davvero. », aggiunse, rilassandosi del tutto. Non provava terrore nei confronti di quella creatura.
«Ah!», esclamò, sconcertandolo tanto da farlo sobbalzare con la testa, «Non so ancora il tuo nome», gli spiegò continuando a sorridere. Non sapeva perché, ma era felice. «Il mio nome è Makoto, Tachibana Makoto», si presentò, aspettandosi una risposta.
Lui lo fissò con le sopracciglia leggermente aggrottate che gli crearono una ruga nel bel mezzo della fronte, coperta quasi del tutto dai fini capelli neri.
«Haruka», una voce dolce, leggermente roca, disse questo nome.
Eh?
«Haruka», ripeté e stavolta Makoto capì che era lui, Haruka, a parlare.
«E' un piacere conoscerti, Haru», rispose, sorridendo dolcemente. Sembrava essere introverso e un po' timido; aveva quella tipica aura da persona "chiusa in se stessa", quel genere di solitari che in pochi capivano, ma che tutti, ne era sicuro, avrebbero ammirato se si fosse trattato di lui.
«Dove mi hai portato, Haru?», domandò. Si chiese anche che ora fosse, ma non credeva che una sirena lo potesse sapere, così non glielo domandò.
Haruka lo fissò. Non gli serviva parlare, non voleva farlo.
«Così è una grotta sott'acqua. Capisco...», disse guardandosi attorno, come se gli avesse risposto a voce. Ne aveva sentito parlare a scuola, durante una lezione sulle placche, sulle insenature e simili.
Quando riportò lo sguardo su di lui, notò che lo stava guardando e che sembrava indeciso. Non sapeva se mostrarsi compiaciuto o infastidito dal fatto che l'altro capisse cosa pensava senza che parlasse.
«Sei una persona pratica, vero?», chiese Makoto cercando di farlo tornare a suo agio. «Non ti piace parlare molto, probabilmente».
Lui annuì e sembrò abbassare la guardia per poco, cosa che lo fece sorridere. Era come un animale, come uno di quei gatti diffidenti che incontri per strada. Sì, decisamente gli ricordava un gatto nero.
Rise, incapace di trattenersi, arrivò a pensare che fosse tenero, lui con quei suoi modi da riccio, diffidenti e scostanti.
Era come l'acqua, pensò, sorprendendo se stesso, ma sapevo d'aver ragione: Haruka viveva nell'acqua ed era come lei, come il suo elemento naturale, era come il mare in cui nuotava.
Ripensò alle sue considerazioni sui gatti e si ritrovò a pensare che i gatti si facevano prendere a volte, mentre era impossibile pensare di poter tenere il mare per sé, così... Qual era la somiglianza più veritiera?
Fremeva dalla voglia di scoprirlo, di scoprire Haruka.
«Dovrei tornare a casa...», mormorò, pensando ai suoi genitori ed ai suoi fratellini. Un rapido movimento di testa che mosse i neri e sottili capelli gli segnalò la risposta: no.
«Perché?», domandò.
Haru mosse la coda e l'acqua si agitò. Capì. 
«Capisco, ci sono ancora le correnti marine, vero?».
Haruka annuì, fissando Makoto, aspettandosi una sua reazione.
Makoto sorrise, rassegnatosi all'idea.
«Per quanto tempo?», volle sapere.
«Due... giorni», rispose Haruka.
«Come farò a sopravvivere per due giorni non lo so... Ho visto la piccola pozza d'acqua potabile qui vicino, quando mi sono alzato, ma per il cibo? Non posso vivere di molluschi», ragionò ad alta voce.
Uno "splash" sonoro e Haruka sparì. Si chiese dove fosse andato, dove fosse sparito, immergendosi in quell'acqua che prima l'aveva quasi ucciso, finché, dopo alcune bolle, non riemerse.
Scosse la testa e i fini capelli neri lanciarono goccioline d'acqua dappertutto, esse gli sembrarono incredibilmente fredde quando si posarono sulla sua pelle calda e asciutta.
Non fece in tempo a domandargli "Dove sei andato?" che Haruka lanciò qualcosa vicino a lui; quando abbassò lo sguardo, vide cosa erano: pesci.
Non erano vivi, e la cosa lo fece sentire sollevato. Non avrebbe avuto il coraggio necessario per ucciderli...
«Bé, grazie, Haru!», esclamò, sorridendogli.
Lui sembrò soddisfatto così. Si alzò, sentendosi osservato e seguito dai suoi occhi, e cercò in giro, attentamente, scandagliando con gli occhi la superficie. Makoto si chinò quando vide quello che stava cercando, lo afferrò e tornò lì, vicino alla pozza, dove Haruka aspettava, incuriosito.
«Ti stai chiedendo cos'è?», gli domandò Makoto. Glielo mostrò. «E' un pezzo di roccia acuminata. Con un po' di lavoro, scheggiandola con la roccia dura o sul bordo di questa pozza, posso lavorarla e affilarla quanto basta», gli spiegò.
«... A cosa serve?», domandò Haruka.  
Gli sorrise, un sorriso furbo che sembrò non preoccupare Haruka minimamente. Si era abituato a lui, capì Makoto.
«Vedrai», rispose. 

***

Mezz'ora dopo il pesce era pronto per essere mangiato; l'aveva accuratamente spellato, era stato attento a togliere la lisca, riguardando più volte che non fossero rimasti degli spini nella carne bianca.
Il tutto, ovviamente, sotto lo sguardo attento e curioso di Haruka.
«Vuoi provare?», gli chiese Makoto e lui subito annuì. Prese una metà e gliela porse, Haru la prese con lentezza e se la infilò in bocca, masticandola lentamente, gustandola.
«E' meglio così? O al naturale?», domandò, incuriosito.
«Così», mormorò Haru. La nota volutamente inespressiva che prima sentiva nella sua voce si era nascosta sotto un tono vivace o era una sua impressione?
Si sentì soddisfatto appena sentì la risposta di Haruka.
Stare con lui gli pareva incredibilmente normale, tanto da sorprenderlo.
Non sapeva se Haruka sapesse leggere dentro di lui come lui stesso sembrava saper leggere dentro Haruka, ma almeno sapeva che era una persona meno complicata di quanto fosse la Sirena... O almeno lo pensava.
Non voleva che Haruka pensasse male di lui.
«Com'è essere una sirena, Haru?», domandò. Voleva vederlo nuotare, davvero, ma non poteva perché era bloccato in quella grotta e a differenza di Haruka non aveva le branchie per respirare sott'acqua...
«Dove hai le branchie?», gli chiese, seguendo i suoi pensieri.
Haru si sollevò i capelli e inclinò la testa, scoprendo una parte sotto l'orecchio, vicino al collo, in cui spuntavano tre striscioline aperte di carne: le branchie.
«Bellissimo...», mormorò meravigliato. «Deve essere davvero bello, Haru!», esclamò.
Lui annuì e le sue labbra, per un secondo, s’incurvarono leggermente, rendendo il fantasma di un sorriso vero e rubando a Makoto il respiro.
Haruka si appoggiò sulle rocce con le braccia e  lo esortò a parlare, pronto ad ascoltare, così lui iniziò a raccontargli della sua vita, dei suoi genitori, dei suoi fratelli, di Oji-san e del nuoto.
Haruka ascoltava con espressione neutra, qualche volta i suoi occhi guizzavano, trasmettendogli i suoi pensieri, facendogli capire se era dispiaciuto per una cosa o divertito per un'altra.
Iniziò a stancarsi e lo disse a Haru, tanto avrebbero avuto tutto i due giorni successivi per parlare e gli avrebbe detto tutto, glielo aveva perfino giurato.
Lui annuì e prima di andarsene lo guardò, cercando la sua attenzione, quando puntò i suoi occhi verdi in quelli blu di lui, ancorò lo sguardo di Makoto nel suo.
«Domani raccontami di più», disse con un tono quasi arrogante, sembrava un ordine, ma Makoto sarebbe stato felice di eseguirlo. Era avido, avido di sapere, di sentire, di vedere, l'aveva capito, ma era anche spaventato, incapace di uscire dal suo guscio, dall'indifferenza che velava il suo essere gentile.
«Buonanotte, Makoto», il suo nome pronunciato dalla voce dolce di Haruka lo tranquillizzò e chiuse lentamente gli occhi, sapendo che Haru avrebbe immerso la sua testa nell'acqua e sarebbe sparito per ritornare l'indomani.
«Buonanotte, Haru...», mormorò Makoto mentre si addormentava. 

***

Fece un sogno strano.
Sognò un Haruka umano, la coda era stata rimpiazzata da un paio di gambe lunghe, fasciate dai pantaloni scuri di una divisa, una divisa scolastica.
Non era cambiato nei modi, non era cambiato d'aspetto se non per le gambe al posto della coda, la sua aura non era sparita.
Parlava con Haru come se lo conoscesse da anni, come con gli amici d'infanzia, e come se lui lo capisse completamente e lo adorasse.
Era il suo amico Haruka, il suo Haru dallo sguardo espressivo e dal volto inespressivo se non per la sua mania: adorava l'acqua.
Sognò dei loro giorni di vita quotidiana, di un Makoto che recuperava un Haruka che s'immergeva nella vasca da bagno in costume di prima mattina, rischiando di far tardi a scuola. Sognò un Haruka che nuotava, categorico perfino sullo stile: solo libero.
Così serio e buffo, così introverso e timido, così bizzarro e semplicemente Haruka, inafferrabile come l'acqua che tanto amava.
Quando si svegliò, non poté non rammaricarsene, sembravano belli quei giorni spensierati, immersi di emozioni e divertimenti, di amici e della gioia della loro giovinezza.
Giorni che parlavano di sentimenti.

***

Haru arrivò due ore dopo il suo risveglio.
Makoto aveva già esplicato i suoi bisogni e si era sciacquato il volto grazie alla pozza d'acqua dolce, oltre ad aver bevuto un po', assetato dopo il sonno.
«Buongiorno, Haru», gli sorrise. Lui sembrò mettere il broncio, ma Makoto non ci badò molto visto il suo buonumore.
«Hai sognato qualcosa?», gli chiese, incuriosito. Le Sirene sognavano?
«Sognare?», domandò, infatti, Haru perplesso.
«Sì, quando dormi e sogn...», si bloccò nella spiegazione; «Ma voi Sirene dormite?», lo interrogò, ma Haruka scosse la testa, incapace di capire.
«Dormiamo...», rispose esitante. «Ma cos'è un sogno, Makoto?», chiese, aspettandosi ovviamente una risposta.
Era esigente.
«Un sogno è...», Makoto si ritrovò in difficoltà, i sogni erano difficili da spiegare e sebbene avesse alcuni esempi in mente, dubitava che Haru li avrebbe compresi. «Un sogno è come un'altra realtà, qualcosa che tu "vedi" mentre dormi. A volte sogni di compiere azioni, o di vedere cose, persone, oggetti...», cercò di essere più chiaro possibile. «I sogni sono i nostri desideri e pensieri fusi», finì, sperando che capisse.
Haruka non disse niente, ma annuì, e Makoto capì che aveva, almeno in parte, afferrato cosa intendeva.
Ricominciò a raccontargli da dove aveva interrotto ieri, raccontandogli della sua vita sulla terraferma. Haruka ascoltava attentamente, assorbendo come una spugna le sue parole, elaborandole, analizzandole e capendole; il tutto senza dire una parola, ma lui lo capiva, lo vedeva nel suo modo di muovere leggermente la testa, di inclinarla, di portarsi una mano sotto il mento per poi toglierla e soprattutto lo capiva grazie ai suoi occhi blu che esprimevano tante parole tutte insieme, come un vortice sconclusionato eppure, agli occhi di Makoto, chiaro.
«Haru, com'è il mare?», chiese. A lui sembrava spaventoso ed immenso, bellissimo e profondo; una profondità che poteva intimorire o affascinare.
Arrivò alla conclusione che il mare per lui era come Haruka.
«E' casa», rispose Haru e Makoto lo guardò, esortandolo a continuare «Quando sto nel mare, sono libero, sono sereno. Il mare è la mia casa, mi culla, le sue onde sono le sue carezze», finì.
Era la cosa più lunga che avesse mai detto e ogni singola parola detta da Haruka gli entrò dentro, nella mente, nel cuore, nel suo intero corpo, e si incise.
Haruka verso il mare provava un sentimento d'amore, quasi che il mare stesso fosse suo padre, e forse lui era davvero figlio del mare.
Allungò la mano e sfiorò i capelli di Haruka, era sovrappensiero, non pensava realmente a quello che stava facendo, ma nei suoi occhi era riflesso il colore di quei capelli e qualche breve pensiero su quanto fossero belli e sottili, fruscianti, simili a foglie, simili a seta ruvida, s'affacciava sulla finestra della sua mente e correva insieme agli altri, fugaci, veloci, inafferrabili. Haruka si mosse e lo guardò per un interminabile minuto, Makoto tolse la mano prontamente e con un sorriso provò a scusarsi, ma i suoi occhi inchiodarono le parole alla gola, lì, nel mezzo, e non sarebbero mai salite alle sue labbra.
Non disse niente, si rigirò e abbassò le spalle, come a dirgli "va bene, puoi farlo", eppure c'era qualcos'altro in quel suo gesto, aveva detto di più e lo sapeva, ma non riusciva a capire cosa, così come non capiva se gli faceva piacere quel tocco, se lo lasciava indifferente o se era solo curioso.
Lo conosci da poco cosa vuoi sapere su di lui? Si rimproverò mentalmente Makoto.
Era difficile pensare a lui come un estraneo, sentiva di conoscerlo, sentiva di poterlo considerare, anzi, di volerlo considerare, un amico; poteva non sapere tutto di lui, ma lo capiva in parte.
Non si arrogava il diritto di comprenderlo alla perfezione, anche perché non era vero, ma la voglia di provarci lo stuzzicava, gli sembrava una cosa perfettamente normale. Sì, quel tempo passato insieme, che parlassero o no, che si toccassero o no, gli sembrava normale e felice, come attimi leggeri, fugaci e pieni. Attimi di vita.
«Makoto», lo chiamò Haru, la sua voce limpida lo distolse dai miei pensieri.
«Sì?», mormorò Makoto. Non credeva di dover parlare forte con Haru, pensava che lo sentisse lo stesso, anche se parlava con un basso tono di voce, né troppo alto, né troppo lieve, ma calmo, leggero, normale; e così era.
«Tu non hai paura?», gli domandò Haru, sorprendendolo.
Fuori il vento iniziò di nuovo a rombare, portando il suono del suo grido fin dentro la grotta.
«Perché? Dovrei averne?», gli chiese Makoto con un sorriso.
«Sì», rispose Haru.
«Perché?», ripeté, esortandolo con lo sguardo a dargli una risposta, facendosi serio in volto.
Haruka sussultò e si allontanò di un poco, dandogli le spalle, poi si girò e puntò quelle due profondità blu su Makoto, mostrandogli uno sguardo deciso, serio e, forse fu solo una sua impressione, triste.
«Perché tu non sai la vera natura delle Sirene, Makoto», disse, e fu la seconda frase più lunga che avesse mai pronunciato in sua presenza.
Poi sparì, immergendosi sott'acqua e lasciandolo solo finché non si addormentò, mentre fuori imperversava ancora la tempesta e il mare era mosso, agitato e non dava segno di voler tornare calmo.
Allora non sapeva che le parole di Haruka fossero in realtà l'avviso di una tempesta, anche se lo fecero riflettere profondamente, ma non avrebbe mai potuto pensare a quello che sarebbe successo il giorno dopo. 

***

Makoto quel giorno si svegliò prima e si alzò, ancora mezzo addormentato, cercando la pozza d'acqua dolce dove sciacquarsi il viso che a malapena vedeva dalle palpebre appena socchiuse.
Si fermò quando vide che Haruka era nello spiraglio a contatto con il mare e si ergeva fino all'inizio della sua coda, che per Makoto corrispondeva al di sotto dell'ombelico, fuori dall'acqua; voleva parlargli, ma vedendo la sua espressione si acquattò a terra e lo osservò in silenzio, cercando di non disturbarlo.
Sentiva i peli sulle sue braccia alzarsi, elettrizzati, e la sua pelle infreddolirsi, diventando d'oca; sentiva che stava per succedere qualcosa d’incredibile che l'avrebbe sconvolto, anche se non sapeva se l'avrebbe fatto in modo positivo o negativo. Trattenne il fiato quando lentamente vide la pelle di Haru iniziare a brillare, a emettere un leggero bagliore, come se sotto di essa ci fossero dei diamanti.
La dolce voce di Haruka si levò, risuonando nella grotta come una litania affascinante. Alzò una mano, repentinamente, e dei pesci arrivarono, balzando nell'aria per poi rituffarsi nel mare. Lo rifece e li indirizzò verso la terra e loro balzarono prima di atterrare, stavolta, sulla dura roccia.
Ecco come si procurava il cibo. Makoto sorrise, stupito e meravigliato e si alzò.
«E' fantastico!», esclamò. Haru si girò, sorpreso, e subito smise di luccicare.
Non rispose, sembrò interdetto, ma Makoto gli sorrise rassicurante.
«E' così che ti sei procurato il pesce per me, vero?», continuò, «Grazie, davvero! »,
Haru annuì.
«Eri bellissimo!», disse, per poi arrossire e ridere, imbarazzato da quel che aveva appena pronunciato in un momento di trasporto.
L'espressione di Haru rimase impenetrabile, ma i suoi occhi si fecero tristi.
Makoto ricordò le parole che Haruka gli aveva rivolto il giorno prima: "Perché tu non sai la vera natura delle Sirene, Makoto".
«Haru, senti,», iniziò, anche se non sapeva davvero da dove iniziare, «cosa dovrei sapere sulle Sirene? Sulla loro natura?», domandò.
Haru sobbalzò e lo guardò, girando lentamente il volto verso di lui.
«Siamo mostri», disse Haru, in un sussurro tetro.
«Perché? Tu mi sembri bellissimo», mormorò l'altro con un lieve sorriso.
La Sirena si oscurò ancora di più.
«Mangiamo carne umana», pronunciò queste parole, prima di sparire sott'acqua, lasciandolo lì stupefatto.
Un brivido era corso per tutta la schiena di Makoto, simile a quella goccia d'acqua gelata che viene a contatto con la pelle calda e ci scorre sopra, facendoti tremare. 

***

La rivelazione di Haruka l'aveva turbato, lasciando il gusto amaro di questa sorpresa nella bocca e un peso nel cuore. Era giusto? Non lo sapeva, non sapeva molto su Haruka né sulle Sirene e lui lo aveva saputo fin dall'inizio; certo, nel tempo aveva imparato a capire Haru, ma non era a conoscenza del suo passato, solo delle sue emozioni, di alcune sue manie, e del suo amore profondo per l'acqua.
Carne umana.
Mangiava, anzi, mangiavano, carne umana.
Makoto era sconvolto, incapace di pensare ad altro e nella sua testa lo vedeva, vedeva Haruka mangiare carne con il sangue sulle mani e sulla bocca con gli scintillanti e profondi occhi blu; ammaliatori e... disumani.
Si arrabbiò con se stesso quando non sentì il disgusto montare in lui, quando non sentì la paura che ogni umano avrebbe provato; forse era sbagliato, ma aveva già iniziato ad accettare Haruka per quel che era.
Sì, l'idea della carne umana non gli piaceva, ma non lo disgustava completamente e si chiese ancora una volta che razza di uomo di poca moralità fosse.
Si sedette vicino alla pozza e lo aspettò, sapendo che sarebbe tornato. 

*** 

Erano passate tre ore, quando il volto bianco e affilato, dai lineamenti femminei, di Haruka si stagliò nella pozza. Non emerse e i capelli neri, sottili e lunghi, volteggiavano nell'acqua come se fossero mossi da una brezza, sollevandosi, torcendoli, muovendoli al ritmo delle onde che arrivavano leggere sui bordi della roccia e ritornavano al mare.
«Mostrati, Haruka», mormorò Makoto, serio in volto.
Haruka emerse fino al busto e lo guardò con occhi blu pieni di tristezza e decisione. Si aspettava evidentemente una risposta da parte sua, anche se non capì quale.
«Come vi procurate la carne... umana?», domandò, deglutendo.
«Cadaveri, uomini che sono annegati o...», fece una pausa, «trasciniamo via chi viene portato nel mare dalle tempeste», disse Haruka, guardandolo negli occhi.
«E-e... Ero il tuo pasto?», domandò.
Haruka scosse la testa.
«Tu no».
«Perché?».
Sembrò rifletterci su.
«Non lo so», mormorò. Sembrava voler dire di più, ma non c'era spazio per le parole su quelle labbra, non c'era spazio per il di più in Haru.
Makoto rise, non riuscendo più a trattenere l'amarezza e l'incredulità che regnavano in lui, rise fino alle lacrime. Haruka lo guardò, probabilmente chiedendosi se fosse diventato pazzo, cosa che fece aumentare le sue risate fino a un livello che non aveva mai raggiunto prima e, forse, era davvero diventato pazzo.
«Non ho paura di te», disse, rialzandosi e sorridendo tristemente.
Gli occhi di Haruka brillarono, la sua testa si sollevò di un poco e le sue labbra ebbero un guizzo, come se volessero scattare verso l'altro per un sorriso e fossero trattenute dalla sola forza di volontà. Makoto si passò una mano fra i capelli e sospirò scuotendo la testa.
«Sono pazzo, probabilmente,», iniziò, «ma tu mi hai salvato dal mare e mi avresti potuto mangiare allora»,
«Sì», ammise con franchezza Haru, senza domandarsi per un solo momento su come avrebbe reagito l'altro a quella risposta, che però lo fece solo sorridere di più.
«Sono felice di averti conosciuto, Haruka», gli disse Makoto, porgendo il braccio verso di lui per poi toccargli la spalla in una leggera carezza.
Haru annuì, non rispose a quella smielata affermazione, ma sembrava rincuorato da essa. Era solo, era sempre stato solo.
«Siete solitari», affermò Makoto, capendo un altro pezzo dell'essere di Haruka che annuì, dandogli la conferma.
Poi il silenzio scese fra loro.
Stavano lì, ad ascoltare il rumore delle onde e del vento, il rumore del nostro silenzio e dei suoi respiri e dell'acqua che si muoveva a ogni mossa della coda di Haru
«Haru...», mormorò, con un sorriso triste, «Puoi portarmi sulla spiaggia, ora?»,
Haru annuì e Makoto si calò lentamente in acqua. Fece un respiro profondo e risucchiò l'aria nei polmoni mentre Haru metteva il braccio sulla schiena, sostenendolo e trascinandolo a sé, e quando gli fece un cenno si immersero. Con una rapidità impressionante data dalla forza della sua coda, percorsero il piccolo tragitto subacqueo della grotta e ripreso il respiro in mare per poi tornare a immergersi. Makoto prese il respiro altre tre volte, facendo emergere Haru dall'acqua, finché non arrivarono vicino alla spiaggia, solitaria e vuota.
Il cielo era grigio e la pioggia iniziò a cadere. Makoto si staccò da Haruka e gli toccò leggermente il volto con una mano, poi lo abbracciò, arrossendo. Lui s'irrigidì, ma non lo allontanò. Quando si staccò, vide il calore nei suoi occhi.
«Sicuro?», domandò.
Annuì sorridendo.
«Devo», rispose, pensando alla sua famiglia.
Si allontanò e quando arrivò alla spiaggia, lui era ancora lì e un'idea gli balenò in testa.
«HARU!», lo chiamò, urlando prima che s'immergesse. «Fra tre giorni! Qui!», urlò, contrastando il vento e sperando che la sua voce gli arrivasse.
Lui annuì e s'immerse nelle acque blu del mare. 

***

Tre giorni dopo Makoto tornò alla spiaggia e Haruka era là, al largo, ad aspettarlo. Si avviò verso gli scogli, più vicini al mare di qualunque spiaggia, e ci si arrampicò sopra.
In una mano stringeva una lettera, scritta a mano, e nell'altra una bottiglia di vetro. Mise la lettera nella bottiglia e gliela lanciò con delicatezza e forza. Haruka la afferrò al volo e Makoto osservò leggerla, stando attento a non bagnare la carta con l'acqua, e, per la prima volta, Haruka gli sorrise.
Era un sorriso bellissimo, dolce e delicato, simile ai lampi che illuminavano il cielo per un secondo e poi sparivano.
Rise e il suono della sua risata fu simile a quello delle onde che s'infrangevano su quegli scogli e al suono del mare calmo.
Makoto lo salutò con una mano e se ne andò; si sarebbero rivisti l'Estate dopo, ed ogni Estate a venire, com'era scritto nella lettera. Questa era la loro promessa. 

 

“Anch'io sono felice di averti conosciuto, Makoto”, gli disse una volta Haruka. Non sapeva cosa lo avesse spinto a parlare, specialmente con parole simili, ma quella frase sarebbe rimasta per sempre nella memoria di Makoto e non si sarebbe cancellata mai come le orme lasciate sul bagnasciuga, ma sarebbe sempre stata dentro Makoto come le Sirene nel mare.

Racconto del Mare e dei Ricordi, Fine?


Ӂ Spazio dell'Autrice Ӂ

Salve a tutti!
Qui è Gio_Snower che vi parla, ma potete chiamarmi pure Giò. ^A^
Vi ringrazio per aver letto questo racconto fino alla fine!
Esso partecipa, oltretutto, al contest di Mad Fool Hatter sul forum di EFP: "Let's Sport! (Anime/manga)".
Spero che vi sia piaciuto e di aver reso i personaggi di Haruka e Makoto IC.
Adoro Free! e devo dire che adoro il rapporto fra Haruka e Makoto e che, se proprio
dovessi shippare qualcuno, sarebbero questi due! Sono così dolci insieme...
Comunque, non voglio annoiarvi troppo con i miei scleri da fangirl, ergo vi saluto 
e, se volete, lasciatemi una recensione! (Mi farebbe tanto piacere *3*)
A presto,
Giò

 

   
 
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