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Autore: Elissa_Bane    21/09/2014    1 recensioni
"Sebastian Moran era figlio di un uomo potente.
Sebastian Moran era stato un uomo potente, in Afghanistan.
Sebastian Moran era un assassino.
Il migliore in circolazione, naturalmente.
Non mi sarei accontentato di meno."
*******************************
Storia scritta a quattro mani con seeyouthen.
[SebastianMoran/JamesMoriarty]
Genere: Angst, Romantico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Jim, Moriarty, John, Watson, Sebastian, Moran, Sebastian, Moran, Sherlock, Holmes
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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ECHO.

Capitolo quinto.

Tomorrow’s bleeding.


 


 


 

SM

Tre mesi. Tre dannatissimi mesi e nemmeno un sospiro.

Peter mi aveva aiutato, creando un collegamento dal mio computer alle videocamere in camera di James.

C’era scritto “Sherlock” ovunque.

Questa era le verità. Non aveva risposto al mio “Ti amo” perché lui voleva Holmes.

Era sempre ruotato tutto intorno a lui. Sempre.

Chissà se James, quando eravamo a letto insieme, immaginava che fosse Holmes sopra di lui, che fossero i suoi riccioli scuri a ricadergli sul petto, se immaginava che fosse il suo corpo a spingersi in lui.

Le mie giornate passavano tra l’alcool e il corpo caldo di Peter.

Lui non aveva mai preteso nulla.

Mai.

Ma non era nemmeno capace di accendere in me quella scintilla che James sapeva far divampare con un solo sguardo.

Mi alzai dal letto. Odiavo Peter, subito dopo il sesso. Avrei voluto sgozzarlo e vederlo agonizzare. Perché lui non era James?

Il ragazzo dai capelli neri si tirò a sedere, guardandomi andare a fumare. Dovevo allontanarmi o lo avrei davvero ammazzato.

James odiava restare a letto, dopo. Si alzava e mi trascinava con lui sotto la doccia e si lasciava coccolare. Peter rimaneva per ore a poltrire tra le lenzuola.

James a volte mi rubava una sigaretta, tanto per farmi un dispetto e potermi soffiare il fumo in faccia. Peter mi chiedeva di uscire, per fumare.

James. C’era lui ovunque.

Tornai a osservare il monitor e una macchia rossa catturò il mio sguardo. Sul suo petto c’era una fasciatura arrangiata con un pezzo di stoffa, sulla quale era fiorito il suo sangue.

La bestia nel mio stomaco affondò gli artigli quando pensai che probabilmente si era inciso il nome dell’altro anche addosso.

Scossi la testa e tornai da Peter.

Non mi curai del fatto che piangesse per il dolore, quando mi spinsi in lui.

Al suo posto, io vedevo il viso di James.


 

*.*.*


 

Ero in macchina ad aspettarlo. Peter mi aveva detto che lo avrebbero lasciato andare qual pomeriggio e io ero lì.

Mi ero fatto fregare ancora una volta dalla promessa di quegli occhi neri.

Yesterday I died, tomorrow’s bleeding.

Spensi la radio, osservandolo uscire. Mi vide e venne verso di me a passo sicuro. Salì in macchina.

Nessuno dei due parlò. Lo portai a casa sua. Scese dalla macchina.

«Vieni.» mi disse. Ero tentato di rifiutare, di lasciarlo andare da solo ma qualcosa me lo impedì. Lo seguii.

Era la prima volta che entravo nel suo appartamento. Lì ogni cosa sapeva di James, dallo stereo coi cd di musica classica al divano di pelle nera.

Era tutto schematico, semplice, lineare. Era freddo.

«Ho risolto le cose con Nick Evans.» dissi, perchè era l'unica cosa che potevo dire.

«Bel lavoro, come sempre» mi lusingò James «Dovresti chiedermi un aumento.»

«In realtà, James, vorrei rassegnare le mie dimissioni.»

James sussultò, e finalmente si girò verso di me, i suoi occhi neri nei miei. «Cosa?» domandò e la sua voce era un misto di stupore e rabbia.

Presi un respiro profondo e mi ripetei, ignorando la voce che si incrinava come ghiaccio sottile.

«Perchè mai vorresti lasciare il lavoro?»

Non risposi immediatamente, ma i miei occhi indugiarono sulla fasciatura nascosta dalla maglietta.

«Perchè non credo di essere l'uomo adatto.»

Lui si passò una mano sul torace, avendo notato il mio sguardo, e si lasciò scappare una risatina.

«Sei geloso Sebastian? Mi stai lasciando per colpa di Sherlock Holmes?»

Il tono in cui diceva il suo nome. Qualcosa, dentro di me, si ruppe col fragore di una vetrata colpita da centinaia di pallottole.

«Ho visto la tua stanza. Il suo nome era ovunque.»

«Serviva ad attirare il fratello. Avevo bisogno di risposte, ma non ti ho dimenticato, là dentro.»

Risi e mi stupii di come la mia voce suonasse stanca e piena di risentimento. Non gli credevo. Non potevo permettermi di credergli.

«Guardami, allora, e vedrai con i tuoi occhi» mi disse, togliendosi la maglia. Non reagii, mentre lui continuava a spogliarsi, fino a togliere lentamente la fascia. Il dolore fece capolino sul suoviso.

«Non importa» dissi, vedendolo scostare la stoffa bianca, la mano che tremava appena «Non importa più, James.»

Si fermò, sospirando. «Mi stai lasciando, quindi. Non credevo che fosse possibile, non credevo che proprio tu mi potessi lasciare. Sai quante volte ho provato a lasciarti io, Sebastian? Non ce l'ho mai fatta. Perchè non riesco a togliermi dalla testa quella tua fottutissima faccia arrogante e quella tua dannata voce che canta quando sono al telefono e quando cerco di dormire.» si girò, osservando il vuoto «Adesso vattene, se non vuoi più vedermi.»

Inspirai lentamente. «Hai provato a lasciarmi?»

«Trroppe volte, dopo la morte di Chris.»

Mi avvicinai a lui. «Perchè?»

«Sono così...fragile. Con te. Tenere a qualcuno non è un vantaggio».

«Se fosse vero sarei dovuto morire mesi fa». Lo feci voltare, in modo che fossimo di fronte. Occhi liquidi mi fissavano. Chinai il capo di lato e lo baciai, la rabbia e la tristezza che ancora riverberavano tra di noi.

«Vuoi ancora lasciarmi? O magari vuoi uccidermi?» domandò con un soffio nella mia bocca.

Mi rimpossessai di quelle labbra, che mi erano tanto mancate. Quando ci separammo, fu solo per riprendere fiato.

«Non ho mai voluto nessuno dei due» dissi.

La sua mano fresca mi guidò attraverso la casa, fino alla sua stanza.

«Spogliami». Non era una richiesta, ma un ordine.

Ubbidii, riprendendo dai pantaloni, ma ancora una volta le sue mani mi fermarono.

«La fasciatura. Voglio che tu me la tolga.». Lo guardai con occhi stanchi. Voleva umiliarmi fino in fondo, farmi vedere fino a dove il suo amore per l'altro si era spinto?

Con mani tremanti per il timore di fargli male, tolsi la stoffa candida.

Mi ero sbagliato.

Avevo sbagliato tutto.

Lo guardai ancora e vidi i suoi occhi lucidi.

«Dovevo ricordarmi di resistere» spiegò «E questa era l'unica cosa che mi ricordasse casa.»

Lo trascinai sul letto con me, baciandolo ancora. Non sarebbe mai stato solo. Non lo avrei mai abbandonato.

Lo giurai a me stesso, sfiorando con le labbra il nome inciso nella sua carne bianca.

Sebastian.


 

JM

Un mese dopo

«Sebastian Moran!», gridai dalla cucina con il tono più irato che avevo.

«Dimmi, James Moriarty», urlò lui in risposta dal bagno.

Un sorrisetto mi scappò dalle labbra, prima di ritornare serio e gridare di nuovo. «Non ti ho mai dato il permesso di finire i il mio caffè. Potrei licenziarti per questo».

Sentii la porta del bagno cigolare e i passi di Sebastian avvicinarsi alla cucina. Indossava soltanto i pantaloni e la sua pelle profumava di dopobarba. Si avvicinò al mobiletto sopra i fornelli e, alzandosi sulle punte, tirò fuori un nuovo pacco di caffè. Me lo lanciò di colpo e lo presi al volo per un pelo.

«Non avrei mai potuto rischiare il licenziamento», disse con un ghigno soddisfatto.

«Ricordami perché non ti ho ancora buttato fuori da casa mia», sbuffai iniziando a prepararmi il mio caffè nero mattutino, senza il quale non iniziavo mai la giornata.

«Perché sono un uomo estremamente attraente oltre che intelligente e simpatico?», suggerì accendendosi una sigaretta.

«Hai dimenticato irritante e insolente. Ora fumi anche in cucina? Devo bere caffè e tabacco?», mi lamentai strappandogli la sigaretta di mano. Lui cercò di riprendersela, ma io ridendo la presi tra i denti e mi scansai di lato.

«Sei un bastardo», disse con un sospiro, poi iniziò a ridere. «Ogni tanto mi domando perché mi piaci così tanto».

«Calma, Tigre, è già la seconda volta in cinque minuti che rischi di perdere il lavoro».

Mi voltai verso di lui e presi la sua sigaretta tra le dita, non prima di aver inspirato profondamente. Soffiai il fumo sulla sua faccia e misi la sigaretta tra le sue labbra, mentre lui sorrideva divertito.

«Cosa c'è in programma per oggi?» domandò sedendosi al tavolo.

Mi accomodai di fronte a lui.

«Ho messo in agenda per entrambi cose molto divertenti», risposi. «Ti dice qualcosa Pentonville? Oggi facciamo saltare il sistema di sicurezza. Insieme a quello della Banca di Londra. Ho piazzato là quel promettente ragazzo che hai trovato la scorsa settimana».

Sebastian sollevò le sopracciglia.

«Perché lo stiamo facendo?» chiese ridendo.

Finii l'ultimo sorso di caffè e gli rubai di nuovo la sigaretta. «Il gioco è iniziato, Sebastian», esclamai andando a prendere le chiavi della macchina. «E sarà meglio che tu ti metta una maglietta».

Dieci minuti dopo eravamo insieme in macchina. Gli impedii di mettere qualsiasi disco e gli spiegai il piano. Avevo fatto fare una divisa su misura per lui: si sarebbe infiltrato nel personale di sicurezza della prigione – l'uomo di cui avrebbe preso l'identità era stato eliminato quella notte – e al mio segnale, intorno alle 11.00, avrebbe fatto saltare il sistema.

«E tu cosa farai?».

«Pensavo di incoronarmi re», gli dissi stringendo le mani sul volante, sorridendo.

«Sempre il solito megalomane», commentò Sebastian. L'angolo destro della sua bocca si alzò leggermente.

«Starò via qualche settimana», aggiunsi poi.

«Come desidera, sire», replicò lui con un cenno del capo.

Accostai due traverse prima della prigione di Pentonville.

«Non sto scherzando, Sebastian. Sarò impegnato per un po'. Ti ho lasciato una lista delle cose da fare in cucina. Qui ci sono le chiavi di casa», spiegai lasciandogli il mazzo in mano. Mi guardò, un'espressione a metà fra l'interrogativo e il sorpreso sul volto. «Ti puoi cambiare là dentro». Indicai una porta verde e scrostata, ma lui non si voltò.

«Te ne stai davvero andando per un mese?», riuscì solo a dire.

«Meno di un mese», precisai sulla difensiva. «Passerà in fretta. Questa volta è diverso, fidati di me». Ed era diverso davvero. Ci saremmo visti, avremmo anche parlato, forse. Conosceva i miei obiettivi, senza sapere il piano nei dettagli, però.

Come previsto, infatti, non si arrabbiò. Avevamo imparato a capirci troppo bene per farlo. Gli diedi un bacio, assaporando per l'ultima volta le sue labbra. Lui annuì e mi guardò, ancora incerto.

Gli feci segno di scendere dalla macchina. Chiuse la portiera ma esitò, senza staccare la mano dal metallo nero. Si abbassò, mettendo la testa all'altezza del finestrino abbassato.

«Ma cosa devi fare?».

«Te l'ho detto, Tigre, vado a prendere la corona».

Capì e scoppiò a ridere, mentre io mettevo in moto e ripartivo in direzione della Torre di Londra.

Riuscivo quasi a sentire nelle orecchie il suo “figlio di puttana!” divertito.


 

*.*.*


 

Sei settimane dopo

Il tribunale era nelle mie mani.

Tutte le persone presenti in quella stanza erano dalla mia parte, tutte eccetto il giudice, Sherlock Holmes e il suo bravo soldatino John Watson.

Non aver corrotto il giudice rendeva la vicenda soltanto più divertente.

«Primo sbaglio», disse Sherlock, «James Moriarty non è affatto un uomo. È un ragno. Un ragno al centro del web. Un criminale del web con migliaia di fili. Lui sa perfettamente come muoversi in questa grande ragnatela».

Annuii lentamente, gli occhi nei suoi. Il ragno James Moriarty. Suonava bene. Mai quanto il Re, ma potevo accontentarmi. Il potere era mio in qualunque caso.

Vedevo nello sguardo di Sherlock l'assoluta certezza di avermi messo in trappola, almeno per un po'. Era sicuro di vincere il processo, di farmi rinchiudere in una cella di nuovo, fino ad una futura evasione.

Ancora non sapeva nulla, ma stava dicendo esattamente ciò che desideravo. Era una sfida solo tra noi, lo era sempre stata. La presenza di un pubblico era pressoché irrilevante. Stava parlando con me.

«E da quanto tempo -», cercò di domandare l'avvocato.

«No, no, non lo faccia. Non è affatto una buona domanda», la interruppe Sherlock alzando gli occhi al cielo. Si sarebbe fatto cacciare fuori presto, di questo passo. Dovetti trattenere l'istinto di ridere. Sherlock era incapace di stare in mezzo alle persone meno intelligenti di lui, ovviamente ad eccezione dei suoi preziosi amici.

«Signor Holmes», lo ammonì il giudice.

«Da quanto lo conosco? La peggiore linea di indagine», continuò lui imperterrito, «Ci siamo visti due volte, cinque minuti. Voleva farmi saltare in aria. Ho sentito subito un legame speciale».

Sollevai le sopracciglia e sorrisi lievemente, scostando lo sguardo. Ero ammirato dalla sua capacità di flirtare anche mentre mi testimoniava contro. Potevo quasi sentire il tono seccato di Sebastian nelle orecchie, e sapevo che lui era nella sala, in silenzio, attento ad ogni parola e ad ogni gesto, nonostante gli avessi ordinato di non presentarsi.

«Signora Sorrel, lei è davvero sicura che questo testimone sia un esperto? Avendo conosciuto l'imputato per soli cinque minuti...», intervenne ancora il giudice.

«Bastavano due minuti per rendermi un esperto», si sbrigò a precisare Sherlock.

«Signor Holmes, è compito della giuria stabilirlo».

«Oh, davvero?». Tra proteste del giudice, sguardi sorpresi e imbarazzati della giuria, dedusse ogni uomo o donna seduto in quelle gradinate.

«Signor Holmes! È stato chiamato per rispondere alle domande della signora Sorrel, non è qui per mettere in mostra le sue abilità intellettive». Sherlock sospirò e sorrise al suo John, che sedeva esasperato qualche gradinata dietro di me, come se ciò che stesse facendo era un segreto tra loro due. «Dia risposte brevi e vada al punto. Il resto sarà considerato oltraggio alla corte». Watson annuì e Sherlock gli lanciò un'occhiata risentita. Sembravano madre e figlia durante una lite familiare. Il fatto che comunicassero a sguardi rendeva il tutto solo più interessante. Sarebbe stato molto facile manipolare Sherlock attraverso John.

Il mio amato nemico fece scorrere lo sguardo fino a me, uno sguardo feroce, di sfida. Sorrisi divertito.

Il giudice lo mise in guardia un'ultima volta, ma cinque minuti dopo Sherlock venne scortato fuori da due guardie. Non riuscii a trattenere un ghigno soddisfatto.


 

*.*.*


 

Il giorno dopo

«Mr. Crayhill, può chiamare il suo primo testimone?».

Il mio avvocato si alzò, ma non lo degnai di uno sguardo. Fissavo il giudice. Avevo vinto e lui non lo sapeva.

«Vostro Onore, noi non chiameremo nessun testimone».

La sala si riempì di 'oooh' stupiti. Esattamente ciò che desideravo. Attenzione, stupore.

«Non capisco, si è dichiarato non colpevole».

«Tuttavia il mio cliente non offrirà alcuna prova. Non ho altre... domande».

Sfoderai un'espressione teatrale e preoccupata. Volevo prenderlo in giro fino in fondo. Non potevo evitarlo, mi piaceva giocare con le persone. Guardai John, il piccolo John che sedeva nello stesso posto del giorno precedente. Feci una smorfia, masticando il chewing gum, e gli sorrisi mentre il giudice incitava la giuria a giudicarmi colpevole. Non riuscii ad abbassare gli angoli delle labbra mentre, guardandomi in giro, ascoltavo quelle vane parole. Mi scappò una risata, ma riuscii a trattenerla, tornando serio.

«...giudicate Moriarty colpevole».

Lanciai una sola occhiata di traverso a Sebastian, che sedeva totalmente inespressivo qualche posto alla sinistra di John.

Passarono sei minuti.

«Avete raggiunto un verdetto in cui siete tutti d'accordo?».

Sorrisi.

«Innocente».

Sebastian uscì prima che potessi riuscire a incontrare i suoi occhi. L'unica cosa che vidi fu l'ombra di un sorriso sulle sue labbra.


 

*.*.*


 

«Due o tre settimane, Sebby, non starò via molto», scimmiottò Sebastian non appena arrivai in casa, un'ora dopo.

Lo fissai intensamente, prima di scoppiare a ridere. Lui rise con me.

«Sei un maledetto stronzo», esclamò prima di stringermi tra le braccia e catturare le mie labbra con le sue.

«Lo so», assentii serio.

Ci sedemmo in cucina, con una tazza di caffè tra le mani.

«Sei andato da lui, vero?», domandò Sebastian da dietro la sua tazza blu.

«Sì».

«E...?».

«Hai eseguito tutti i compiti della lista?». Mi osservò seccato. Odiava quando rispondevo ad una domanda con un'altra domanda, ma era più forte di me.

«Tutti. Anche gli ultimi due: 'non finire il caffè' e 'cambia la lampadina del bagno'».

Risi, e vidi una luce di divertimento anche nei suoi occhi.

«Erano i più importanti, naturalmente. Ora che abbiamo i nostri uomini vicini al trasloco in direzione Baker Street, pronti ad uccidersi a vicenda solo per avere la “chiave” che ho lasciato a Sherlock, dobbiamo solo rapire i bambini. Hai trovato il sosia di Holmes?».

Sebastian annuì.

«Agiremo tra due mesi. Tempo di sparire per un po', devono smettere di parlare di me così tanto. Andrai con lui, non posso lasciare in mano la situazione ad un principiante», ordinai. «Sta diventando tutto così... sexy, non trovi?».

Mi lanciò un'occhiata divertita.

«L'ho sempre pensato, stando intorno a te».


 

*.*.*


 

Un mese e ventinove giorni dopo

Kitty dormiva al mio fianco. Il suo corpo sottile e fragile non aveva nulla di bello, ai miei occhi. Il suo viso, rilassato, rivolto verso di me, mi ispirava solo odio.

Ma lei era necessaria.

Lo era stata e lo era ancora.

Dovevo finire di rovinare la reputazione di Sherlock.

Dopo essere stato con lei mi sentivo sporco. Mi sentivo in colpa nei confronti di Sebastian. Era solo sesso, per me, senza sentimenti, ma mi sembrava comunque sbagliato, nonostante fosse parte del mio grande piano.

Sebastian si stava impegnando a non scoppiare, ma nei suoi occhi, ogni volta che riuscivamo a vederci, vi era una profonda tristezza.

«Puoi chiamare il tuo giocattolino Peter, se vuoi», gli avevo detto un giorno. Se n'era andato sbattendo la porta.

Kitty aprì gli occhi. «Tesoro», mormorò avvicinandosi a me, posando la sua testa sulla mia spalla mente tirava su il lenzuolo.

La strinsi a me, in silenzio.

Lei mi bacio e passò la mano sul mio petto, sul mio ventre. Non avevo mai voluto respingere con così tanta decisione una donna. Tra uomo e donna, avevo sempre preferito gli uomini, ma mai avrei pensato di voler scappare da un letto.

Il pensiero di Sebastian mi punzecchiò di nuovo la mente.

«Ho sete, tu hai sete?», domandai a Kitty.

Lei annuì, ma non mi lasciò andare prima di avermi baciato un'altra volta.

Portai il suo bicchiere a letto. Le avevo messo del sonnifero dentro. Non potevo sopportarla ancora.

Dieci minuti dopo dormiva, e io sfrecciavo su una moto tra le vie di Londra, diretto a casa di Sebastian.

Aprii con le chiavi che mi aveva lasciato dopo un mese di frequentazione assidua del suo appartamento. Ogni luce era spenta. Entrai a passo leggero in camera.

Stava dormendo, l'unica fonte di luce era la piccola radiosveglia posata sul comodino.

«Hey, Tigre», mormorai posando una mano sulla sua spalla.

«James...», farfugliò lui sbattendo gli occhi velocemente. «Cosa stai facendo qui?».

«Non potevo passare con lei una notte in più», risposi io sdraiandomi al suo fianco.

«Sei nella mia lista di persone da uccidere, sappilo», mi disse prima di accogliermi tra le sue braccia, stringendomi e addormentandosi con me.

Quella fu l'ultima notte che passammo insieme.





NdA: E sì, abbiamo aggiornato un giorno prima (sai che grande differenza Danae!) 
Comunque, io e seeyouthen abbiamo completato stamattina la storia e vi annunciamo (con sommo dolore) che mancano solo due capitoli, poi ci dovremo salutare.
Ma non disperate! In due capitoli di cose ne succederanno!
Come sempre ringraziamo tutti voi che ci leggete, chi ci recensisce, chi ci segue e addirittura chi ci ha messe nei preferiti! 
Alla prossima, xxxx
-Danae

  
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