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Autore: Ivola    21/09/2014    2 recensioni
Le storie di Panem sono varie e numerose. Avete mai sentito parlare dei promessi del Distretto 6, quei due ragazzi che avrebbero fatto di tutto pur di ammazzarsi a vicenda e non sposarsi? Loro sono solo una sfocatura, come tanti altri.
Klaus e London. London e Klaus.
Un altro matrimonio combinato, le persone sbagliate, un cuore solitario, e tutto ciò che (non) può essere definito amore.

▪ VI: « Che cosa mi stai facendo? » ansimò la ragazza, tentando di aggrapparsi alle sue spalle. Era decisamente una domanda stupida, visto che era piuttosto evidente cosa il ragazzo stesse facendo. [...]
Klaus non si degnò neanche di rispondere, ben concentrato a muoversi sul suo corpo con gli occhi distanti e le labbra socchiuse. Non aveva né la voglia né la forza di ribattere, per cui la zittì con un bacio rabbioso. « Taci » le sussurrò, corrugando la fronte e mantenendo le labbra a pochi centimetri dalle sue nel caso London avesse deciso di parlare ancora.

▪ XIII: « Perché lo state- no, perché lo stai facendo? »
L’altro lo guardò bene negli occhi, con un’espressione che Klaus non seppe decifrare.
[...]
« Mert szeretlek » rispose Ben semplicemente.
Genere: Angst, Drammatico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Altri, Nuovo personaggio
Note: Lime, What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Incest, Triangolo
Capitoli:
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Note: Ci siamo. Il momento è arrivato.
Non voglio dire nulla su questo capitolo, a parte che è stato una sofferenza scriverlo. E... il prossimo lo sarà ancora di più. Mi sento una persona orribile in questo momento.
Sarei davvero felice di sapere cosa ne pensate, anche perché da qualche capitolo a questa parte mi sembra che l'entusiasmo di voi lettori sia un po' diminuito ^^' Ma forse è colpa mia, quindi se qualcosa non vi è piaciuto fatemelo sapere comunque!
Ci tengo, tuttavia, a ringraziare GiadaGrangerCullen, che si è prodigata a lasciare un piccolo commento a tutti i capitoli di questa storia. Grazie infinite, davvero ♥

Pagina facebook QUI e gruppo scambio recensioni QUI. Ultimamente mi sono anche aperta un account Ask!, quindi se volete farmi qualche domandina vi risponderò volentieri :3
Adesso mi dissolvo.
Buona lettura! ♥


Il titolo del capitolo viene dall'omonima "The man who sold the world", cover dei Nirvana. A voi l'interpretazione su chi sia "l'uomo che ha venduto il mondo" in questa storia.












 





 


Blur

(Tied to a Railroad)






027. Twenty-seventh Chapter – The man who sold the world.




Un sussurro lieve, sottile, come il confine tra la vita e la morte. « Ben, guardami… »
Il ragazzo non si voltò verso di lei, armeggiando con le sue manette. Per la prima volta in settimane di prigionia l’aveva lasciata libera per metà: era ancorata ad un’asta di ferro solo per una mano, mentre l’altra corse a cercare il polso di lui. London non aveva idea del perché di quella scelta, ma preferì non fare domande. Avevano altro di cui parlare. « Ben… » riprovò, « ti supplico… »
A quelle parole il gemello le rivolse finalmente lo sguardo, uno sguardo freddo – gelido – come quando erano cominciate le torture, uno sguardo che non apparteneva neanche lontanamente al Ben che conosceva un tempo.
« Ti prego… non puoi farlo davvero… » proseguì lei, risoluta, fissandolo con gli occhi colmi di speranza e disperazione contemporaneamente.
« Non saranno le tue suppliche a smuovermi, sorellina. » Ecco la sua sentenza, repentina e lapidaria. Era lui ad avere il potere di disporre delle loro vite, in quel momento.
London cadde in ginocchio ai suoi piedi, più volontariamente che per l’effettiva mancanza di forze. 
« Ti prego! » In qualsiasi altra situazione non si sarebbe mai umiliata così di fronte a nessuno, ma adesso non aveva alcuna importanza – niente aveva più importanza.
Non poteva farlo. Ucciderli.
Entrambi.
Non… poteva.
London voleva resistere e aspettare di versare le lacrime alla fine. Perché non l’ascoltava? Perché Ben non ritornava in sé? Si ritrovò ad abbassare la testa a terra, lì, sul pavimento, mentre il fratello la scrutava dall’alto con fare dolorosamente impassibile. 
« Farò qualsiasi cosa tu voglia » disse piano, soppesando ogni singola parola. Tutto dipendeva da lei. « Potrai farmi stuprare da tutti i Pacificatori di Panem, tagliarmi la lingua e farmi fare un migliaio di sedute sulla sedia elettrica, ma ti scongiuro… » la voce le si incrinò, tanto da non farle riuscire a concludere la frase. Si maledisse in silenzio per la vigliaccheria, inspirando piano per tentare di calmare quel turbinio di sentimenti che le stava facendo a brandelli il cuore. Non voleva che Ben la vedesse in quello stato, neanche se era stato lui stesso a ridurla così. Doveva farcela, doveva convincerlo. Quella era, probabilmente, la prova più difficile della sua vita: decidere per tre persone diverse e fare in modo che tutto andasse… bene.
« Tutto ciò che vuoi è che lo risparmi, no? » domandò Ben con una punta di superiorità mista a irritazione. « E allora perché ti ridicolizzi così? »
London alzò di poco il viso e si asciugò una lacrima fuggitiva con il palmo libero. « Lo sai perché… » mormorò, trovando chissà dove il coraggio di riprendere a guardarlo.
« Perché lo ami? » fece retoricamente il fratello, alzando gli occhi al cielo. « Che motivo stupido. »
A quella frase, la ragazza si alzò da quella umiliante posizione e si abbandonò con le spalle contro la parete. « Tu hai fatto altre cose per amore. » Era una frase schietta, lapidaria come l’affermazione di lui di qualche istante prima – incredibile come in alcuni tratti si assomigliassero ancora, come nell’ostinazione in cui erano immersi entrambi sin dalla nascita. « Io continuerò a pregarti di salvarlo, tutta la notte se dovesse servire, perché non ti permetterò di ucciderlo. »
« Perché alla fine ottieni sempre ciò che vuoi… » disse Ben a mo’ di conclusione, con un sorriso velatamente amaro. « Se lo ami così tanto, sangue del mio sangue, perché non gliel’hai mai detto? So che non l’hai mai fatto. Lo so. »
« Sono stata una stupida, Ben, non mi ero mai resa conto fino ad adesso di quanto fosse importante… e non puoi immaginare quanto mi faccia star male il pensiero di non aver mai fatto nulla per dimostrarglielo » rispose velocemente lei. « Vi ho sempre lasciati indietro per dare la priorità a me stessa, vi ho sempre trattati come se foste di mia proprietà e non ho mai avuto il coraggio di esprimere ciò che sento davvero… ma adesso… sembra tutto così facile, non trovi? Io che mi confesso a te, qui, in questa cella, prima di andare a morire. Eppure nessuno mi conosce meglio di te, non avrei alcun bisogno di ammettere le mie colpe perché sai esattamente ciò che intendo. Siamo ancora uniti, in fondo. Lo sento » continuò, desiderosa di arrivare al punto della questione con tutta se stessa. Era un fuoco nuovo, quello che la pervadeva: non era rabbia, non era frustrazione, né dolore. Determinazione. Era un lampo di determinazione quello che le attraversò le iridi grigioverdi, un lampo che le avrebbe permesso di sorvolare su ogni altra cosa, persino sui giochetti psicologici di suo fratello. « Non so quanto possa importare adesso, ma lo amo. » Perché era così facile dirlo, in quel momento? Perché non l’aveva urlato a Klaus tutte le volte che aveva potuto? London rifiutò categoricamente di domandarselo, o il gemello avrebbe avuto la meglio. Si morse le labbra, reclinando la testa all’indietro e socchiudendo le palpebre, come per motivarsi e darsi forza. « Ed è… strano, non so spiegartelo, è diverso da tutto ciò che abbia mai provato… è come essere attratti dal fuoco pur sapendo che potrebbe scottarti, è come… come guardare i dettagli di un dipinto che non hai mai visto, sempre… nuovo»
Ben, che l’aveva ascoltata fino a quel momento senza proferire parola, tuttavia, per quanto potesse essere cambiato, la stupì con una malinconica domanda che non si sarebbe mai aspettata: « Hai amato anche me, un tempo, London? O era solo una delle tue maledette bugie? »
London non esitò a replicare, già certa della risposta più di quanto potesse anche solo immaginare. « Ti ho amato e ti amo ancora. Non amerò mai Klaus come amo te. Siete… due cose completamente diverse. » Quelle parole erano serie, sincere, spontanee e crude nella loro immediata schiettezza. « Non smetterò mai di amarti, neanche dopo tutto quello che è successo » – fece una breve pausa misurata, come se si fosse preparata quella frase da tempo – « ma tu devi risparmiare Klaus… e lasciarmi morire. »
Ben continuò a guardarla con occhi seri e attenti. « Perché non mi supplichi di risparmiarvi entrambi, allora? »
« L’hai sempre saputo, Ben, che uno di noi tre sarebbe dovuto morire » mormorò la sorella. La sua voce si abbassò giusto sull’ultima parola, accompagnata da un’altra lacrima fuggitiva che non si sottrasse all’attenzione del ragazzo, fermo e in piedi accanto a lei. « Deve andare così. Non c’è una spiegazione logica, è così è basta. Non è il destino, non è la natura, non è Dio… Io, a mio tempo, ho conosciuto la felicità, almeno un po’. Adesso è il tuo turno… lo stai aspettando da troppo tempo. Uccidi me, Ben. Me e basta. » Prese un ultimo profondo respiro, prima di aggiungere: « Facciamola finita, non possiamo continuare così. »
Ben non si mosse né diede segni di cedimento. « Mi piacerebbe dire che hai ragione, London, ma purtroppo morirete entrambi domani. »
La reazione dell’altra fu istantanea: gli afferrò il polso ancora una volta e lo strinse così saldamente che lui non ebbe neanche la voglia di liberarsi. « Devi ascoltarmi! » fece, alzando nuovamente il tono, che divenne quasi autoritario. « Quando tornerai in te, perché so che accadrà, la tua vita non sarà più nulla senza noi due » e quella era pura e semplice verità, lo sapevano bene entrambi. Cosa avrebbe fatto Ben, del resto, quando si sarebbe reso finalmente conto delle proprie azioni e quando, secondo le parole di London, sarebbe ritornato in sé? « Ma se tu risparmiassi Klaus… potreste costruire un futuro diverso da questo… »
Il fratello scoppiò in una risata fredda e dolorosa, lasciandola interdetta e sulle spine più del previsto. « E se risparmiassi te, quindi, continuerebbero a considerarci come gli stupidi gemelli incestuosi e vivremmo per sempre felici e contenti? »
« Se risparmiassi me » si affrettò a precisare la ragazza, rendendo il proprio tono sempre più deciso, come se sapesse nel profondo del proprio cuore di averlo convinto già all’inizio della conversazione, « non ti perdonerei mai. Mai, Ben, hai capito? »
« Non dire stronzate, London, Klaus non sarebbe mai capace di costruire… un altro futuro, come dici tu. Piuttosto, avrebbe la peggiore delle reazioni se uccidessi soltanto te, lo sai bene. »
« Non mi interessa, perché Klaus non si toglierebbe mai la vita » ribatté. London ci aveva pensato. Aveva pensato alla reazione di Klaus dopo la propria morte imminente più di ogni altra cosa, e alla fine era giunta alla conclusione che lui, a differenza di Ben, non sarebbe mai stato capace di raggiungere il suicidio. Lo conosceva – o meglio, aveva imparato a conoscerlo.
Lei, invece, adesso non sarebbe mai riuscita a vivere senza di Klaus. Era entrato troppo in profondità, aveva abbattuto ogni sua barriera e difesa, aveva fatto in modo che lei gli appartenesse, e non solo in senso fisico. Quando London l’aveva sposato, non avrebbe mai immaginato di riuscire a concepire un simile pensiero nei suoi confronti. Non avrebbe neanche mai immaginato di sacrificarsi per lui.
Klaus doveva rimanere in vita. Doveva. Non c’erano alternative, ed era quello che stava cercando di far capire al fratello.

« Non t’importa nemmeno del bambino che porti in grembo? » sibilò l’altro. « O del fatto che lo farai soffrire più di quanto possa fare una pallottola nel petto? Egoista, fino alla fine. »
Il cuore di London cominciò ad accelerare i battiti.
Il bambino. Klaus. Lo farai soffrire. Egoista.
Non le restava molto tempo per convincerlo – e forse per convincere se stessa ad arrivare fino in fondo –, ma non poteva fallire. 
« Perché non mi capisci? Sto cercando di mettere le cose a posto, per una volta! Fidati di me, ti supplico… Deve andare così! Finché Klaus non saprà di nostro figlio, andrà tutto bene. »
« Sembra che tu non veda l’ora di morire per porre fine alle tue sofferenze » replicò Ben, passandosi una mano sul volto e allontanandosi di qualche passo.
London lo osservò e colse una sfumatura di titubanza nei suoi gesti. 
« No, Ben » disse lei risolutamente, « non vedo l’ora che da qui nasca qualcosa di diverso dalla sofferenza e non vedo l’ora di sapere te, Klaus e Klaudia finalmente al sicuro. »
Ben tornò a voltarsi di scatto verso di lei. « Vuoi davvero privare Klaudia di sua madre e di un fratello o una sorella? » chiese, con voce sempre più dura.
La sorella sembrò quasi spaventata da quelle parole e si accarezzò il ventre con la mano libera, ma non demorse. Tirò su con il naso e corrugò la fronte per trattenere altre lacrime. 
« Ti sto dando l’opportunità di salvare chi ami davvero. »
« No, London, guarda che lo stesso discorso fatto da te vale anche per me! Io ti amo, ti amo più di qualunque cosa sia mai stata mia. Forse l’avresti voluto sentire prima, ma Klaus non è niente, rispetto a te » continuò, respirando velocemente, con gli occhi sgranati dalla follia, o forse da quell’improvvisa e violenta sincerità, o forse da tutto il dolore che si stava riversando su di loro in quel momento. « Quando eravamo bambini, una volta, ho giurato di proteggerti, ti ho promesso che saremo invecchiati insieme e che quel figlio di puttana di Klaus non avrebbe contato niente nelle nostre vite! E invece guarda cos’è successo… Lui non è mio fratello, non siamo nati dallo stesso grembo, lui non mi capisce… eppure tu sei stata la sorella peggiore del mondo, ma io ti amo comunque. »
London lo fissò intensamente, questa volta con il cuore pietrificato. Era fermo, lì, nel petto, perché lei sapeva di aver raggiunto il proprio obiettivo, ma ne era terrorizzata. Le parole le uscirono di riflesso, come se scottassero e non vedesse l’ora di liberarsene: « E’ per questo che mi dovrai uccidere » disse in un sussurro. Un sussurro lieve, sottile, come il confine tra la vita e la morte.
 

*


Una volta – probabilmente dopo gli Hunger Games – Klaus ricordava di aver pensato che nella sua vita avesse già sofferto abbastanza, che dopo quella terribile esperienza non ci sarebbe stato niente di peggiore. E invece…
E invece…
Era la seconda volta che aspettava la morte, solo, chiuso in una stanza soffocante. Nove anni prima aveva aspettato i suoi cari prima di partire per Capitol City, adesso aspettava con dolorosa impazienza l’unica persona che avrebbe potuto mettere tutte le cose a posto.
Sapeva che Ben sarebbe arrivato a dargli un ultimo saluto, non poteva essere altrimenti, dal momento che quel pomeriggio aveva praticamente ammesso di amarlo – un tempo, almeno. Adesso lui non era più il Bridge che conosceva una volta, ma un completo estraneo. Un maledettissimo sconosciuto.
Appoggiò la testa al muro e abbandonò i muscoli della schiena contro di esso. Ancora non capiva cosa gli fosse successo, ancora non si capacitava del fatto che desse a loro due la colpa di tutti i suoi problemi. Era ancora scioccato, confuso, furioso.
Gemette tra le labbra e tossì per qualche secondo, conscio di avere qualcosa di lesionato all’interno del torace. Ma ormai cosa importava? Un proiettile l’indomani avrebbe posto fine ad ogni cosa, ad ogni sofferenza, pensiero o ricordo.
Klaus ne era dannatamente terrorizzato e sentiva il cuore sempre più in gola al passare dei secondi. Doveva parlare con Ben, forse poteva ancora farlo ragionare.
Era una vivida scintilla di speranza nel suo cervello che gli permetteva di stringere i denti, di ignorare il dolore e la paura. E non si spegneva: era lì, costante, e aspettava insieme a lui.
Aspettò per ore, finché la porta della sua cella non si aprì con un rumore sinistro, rivelando la figura del suo personale torturatore.
Klaus abbassò le palpebre e si concentrò solo sui suoni: il proprio respiro pesante, quello nervoso di Ben e i suoi passi quasi tentennanti. 
« Sapevo che saresti venuto » gli disse a bassa voce.
La cella era buia, ma il ragazzo sentì lo sguardo dell’altro fisso su di sé, seduto sul pavimento sudicio con le ginocchia rannicchiate al petto e i polsi bloccati dietro la schiena, come sempre.

« Volevo semplicemente ascoltare gli ultimi desideri di un condannato a morte » ribatté Ben, soppesando ogni parola. « Dopotutto ho conservato un po’ di misericordia per questo momento. »
Klaus inspirò lentamente, tentando di calmare quel tremito che gli abitava il petto. « Ho un ultimo desiderio? »
« No, non sul serio, ma voglio sentire cos’hai da dirmi » rispose, « perché sono sicuro che vuoi parlarmi... non è così? »
Klaus annuì, ma non replicò per qualche secondo, creando tra di loro un silenzio denso di tensione. « Penso di averti supplicato abbastanza, ma lo farò un’ultima volta se servirà » disse infine. « Non m’importa di quello che vuoi farmi, ti consentirò di uccidermi anche nel peggiore dei modi se solo tu… » si bloccò, ingoiando le parole che non riuscivano a farsi strada tra i suoi denti.
« Se solo io…? » lo incitò a continuare l’albino.
« Lo sai, Benjamin » fece Klaus con tono stanco: stanco della vita, del dolore, dell’umiliazione. « Sai cosa voglio dire. »
Ben non stette al gioco per pura soddisfazione personale e incrociò le braccia al petto, troneggiando sul suo corpo a qualche spanna da lui. « No, Klaus, illuminami. Dillo, dì ciò che pensi, dì ciò che vuoi che faccia. »
Klaus riaprì completamente gli occhi e li immerse nel mare ghiacciato che erano diventati quelli di Ben. « Salvala. » Poté sembrare quasi un ordine, ma l’altro colse ogni singola sfumatura della sua voce e rimase bloccato. Nel suo tono c’era speranza, decisione, dolore e paura. E qualcos’altro che Ben non seppe classificare in un primo momento, perché non l’aveva mai sentito nella voce di nessun altro. « Salvala e ti perdonerò ogni cosa. Tornerete da Klaudia insieme e tutto si sistemerà, senza di me. »
Un mondo senza di me sarebbe infinitamente migliore, avrebbe voluto aggiungere, ma non ne aveva il coraggio o la forza. Era ancora attaccato alla vita, per quanto potesse ammettere il contrario, era ancora terrorizzato dall’indomani. Si trovava in un limbo: tutto ciò che aspettava era uscirne.
Eppure una sicurezza sconosciuta cominciava a diramarsi dentro di sé, alleggerendogli sempre più il respiro e quel peso che premeva sullo stomaco. Ben e London erano gemelli, uniti nel profondo, ed era certo che lui non l’avrebbe mai lasciata morire perché non l’avrebbe mai sopportato.
Ma uccidendo lui… sarebbe ritornato tutto come prima, per loro, tutto sarebbe ricominciato dal punto in cui l’avevano conosciuto.
Cosa ci faccio nelle loro vite?, si era domandato più volte. E se lo domandava anche ora. Klaus era sbagliato, imperfetto, superfluo, solo. Si era sempre sentito così, in fondo, ma finché aveva avuto London accanto nessuno di quei pensieri aveva avuto più importanza.
Ben gli si avvicinò con qualche altro passo e si abbassò proprio di fianco a lui, alzandogli il mento con una mano per guardarlo meglio in faccia. Sembrava… sembrava aver preso già una decisione. 
« Forse non hai capito, Klaus » soffiò a pochi centimetri dal suo viso, parlando lentamente e incatenando per istanti interminabili i loro sguardi, « è soltanto te che voglio uccidere. »
 
 
*

 
Infine, arrivò il mattino dell’esecuzione.
London non aveva neanche provato a dormire, ma per il resto della notte era rimasta a rimuginare sui propri pensieri, ormai convinta della propria decisione. Sperava soltanto che Ben la mettesse in atto. Si fidava ancora di lui, eppure aveva tantissimi interrogativi in testa.
Venne riscossa dal proprio stato di riflessione da due Pacificatori, che la liberarono dalle manette e la spinsero fuori dalla cella, incitandola a camminare con le pistole puntate alla schiena. Il cuore le pulsava in gola con una forza sconosciuta, ma cercò di mantenere comunque un certo contegno: camminò per i corridoi a testa alta e le labbra serrate, avvicinandosi passo a passo alla sala d’esecuzione, anche se era molto debole e per questo zoppicava leggermente.
E’ così, quindi, che si sente un condannato a morte, pensava, scossa da qualche brivido sfuggito alla sua aura di autocontrollo. Preferiva dare la colpa alle piante nude dei piedi contro il pavimento freddo, ma sapeva di non poter più mentire a se stessa: era terrorizzata.
I Pacificatori la scortarono, con sua grande confusione, in un’altra cella e London si chiese che cosa avessero in mente. Aspettò senza fare domande, torturandosi le mani per l’ansia e la paura. Non si era mai sentita così spaventata eppure decisa in tutta la sua vita.
Qualche minuto dopo, anche Klaus venne spinto nella stessa stanza. London lo riconobbe con un sussulto e rimase immobile a fissarlo, smettendo persino di torcersi le dita nervosamente. Klaus ebbe la stessa reazione e si fermò a qualche passo da lei con il respiro mozzato.
Erano entrambi senza catene o manette o corde. Minacciati da quattro Pacificatori, certo, ma liberi. Vicini, terribilmente e dolorosamente vicini.

« Avete un minuto » disse uno di loro, senza abbassare la propria arma.
A quella inaspettata concessione, quasi in uno scatto entrambi si fiondarono l’uno sull’altra, guidati dalla disperazione, e si aggrapparono ai propri corpi con una forza che non sapevano di avere ancora. Klaus strinse London a sé con tale trasporto che la ragazza gemette per le ferite, ma anche lei si artigliò alle spalle del marito, affondando il viso nel suo petto e tremando per cercare di sopprimere le lacrime.

« Mi dispiace… » mormorò Klaus in qualcosa di simile a un singhiozzo, chiudendo gli occhi e attirando ancora di più la nuca di London contro di sé.
« Shh » sussurrò lei, inspirando l’odore della sua pelle. Voleva ricordarsi ogni dettaglio di lui, prima di morire. E’ per te che lo sto facendo… per te…, si diceva intanto, mentre sentiva le gambe sempre più molli e il suo corpo abbandonarsi nella stretta di Klaus. Avrebbe voluto custodire quel momento per sempre, chiuderlo a chiave nei recessi del suo cuore.
Il ragazzo si abbassò sul suo volto e le baciò la fronte, le ciglia umide, le guance e le labbra ancora segnate dai tagli, versando a sua volta lacrime che aveva pensato di riuscire a trattenere.
London gli afferrò il viso con entrambe le mani e lo baciò di rimando, sentendo qualcosa distruggersi dentro di sé: Klaus non aveva mai pianto di fronte a lei – forse non aveva mai pianto e basta. Era come una corazza che si era riuscito a costruire per dimostrare al mondo quanto fosse forte, per dimostrare che non sarebbe mai crollato.
E invece era tutta una menzogna: anche lui era un uomo, anche lui provava paura più di chiunque altro in quel momento, anche lui stava accogliendo la morte a braccia aperte per salvare l’unica persona che avesse mai amato davvero.
 

*


Dopo quel fugace incontro li portarono in uno dei piani più bassi della prigione, per gran parte occupato da un’enorme sala vuota e grigia dal soffitto alto, sorvegliata da alcuni capi-Pacificatore attraverso uno spesso vetro antiproiettile e insonorizzato.
Era quello il luogo in cui venivano svolte le esecuzioni: una fila di ribelli era pronta contro il muro e una schiera di Pacificatori davanti a loro con i fucili puntati. Erano ancora abbastanza rilassati – a differenza dei condannati – perché probabilmente stavano aspettando altre persone prima di dare il via all’esecuzione.
Allinearono Klaus e London insieme agli altri ribelli, in riga l’uno accanto all’altra. Con poca delicatezza li sbatterono con la schiena al muro, costringendoli ad alzare le mani in alto sotto la minaccia delle doppiette.
Era giunto il momento. Quella era la fine della storia. Lui sarebbe morto.
Ecco la fine delle sue sofferenze, dei suoi problemi e anche della sua vita. Sarebbe stato veloce: se avessero centrato il cuore tutto si sarebbe concluso in pochi, seppur dolorosi, istanti di agonia. Non aveva più voce in capitolo, ormai. Non aveva più niente, neanche un briciolo di onore o dignità.
London si girò un’ultima volta verso di lui, con sguardo disperato ma anche rassegnato. Klaus inspirò lentamente, cercando di imprimersi l’immagine della moglie come ultimo ricordo.
Andrà tutto bene, London, le disse con il pensiero. Adesso tornerai a casa.
Era convinto che Ben sarebbe spuntato da un istante all’altro per impedire che sua sorella venisse fucilata, ma un sudore freddo cominciò a irrigidirgli la schiena.
Dov’era? Perché non aveva fatto ancora nulla?
Quasi come per rispondere a quelle domande, Ben comparve dietro il vetro antiproiettile e per un secondo tutti i pensieri di Klaus si annullarono: eccolo, in tutto il suo orrido splendore, pronto ad assistere alla sua morte. Lo fissò per qualche istante, poi abbassò lo sguardo. Non voleva che fosse lui l’ultima cosa che avrebbe visto prima di morire.
London, invece, sembrava esser diventata più determinata alla visione del gemello. Klaus notò che avevano incatenato i loro sguardi come se da essi ne dipendesse il mondo e il suo cuore si rilassò, lasciando spazio ad una muta e paradossale tranquillità. Benjamin non l’avrebbe uccisa, nemmeno nella più remota delle opzioni.

« Forse non hai capito, Klaus, è soltanto te che voglio uccidere » gli aveva detto quella notte, dopo che lui l’aveva supplicato di salvare London.
Eppure Ben non faceva nulla; se ne stava lì in piedi dietro alla vetrata con le braccia conserte e gli occhi puntati sulla gemella, come se stesse soppesando la possibilità di lasciarla morire o meno.
Avanti…

« Puntare. » I Pacificatori improvvisamente raddrizzarono i fucili in direzione dei ribelli a quell’ordine.
Le labbra di London presero a tremare, ma la voce le uscì decisa dalle corde vocali:
« Scusami… »
« Che cosa? » domandò Klaus, interdetto, escludendo tutti gli altri rumori fuori dalla sua testa.
« Mirare. » I Pacificatori presero la mira, concentrandosi sui bersagli.
London non rispose, chiudendo gli occhi e tirando su con il naso. Klaus si chiese che cosa avesse voluto dire e un moto di allarme si fece strada dentro il suo petto, quasi divorandolo.
Avanti, Ben, fa’ qualcosa!, gridò nella sua mente, mentre il suo respiro si velocizzava. Non poteva ucciderli entrambi… andava contro ogni logica. Non poteva stare a guardare mentre le uniche due persone che avessero contato qualcosa nella sua vita venivano ammazzate per crimini che non avevano commesso.
Klaus sentì il cuore martellargli nelle orecchie e si guardò intorno, cercando di cogliere qualsiasi indizio che avrebbe smentito ciò che stava per accadere.
Benjamin… ti prego…
Un ronzio fastidioso interruppe ogni cosa. Era il suono dell’interfono che veniva attivato e Klaus rialzò lo sguardo di scatto verso la postazione di Ben, che adesso era vicino ad una sorta di microfono.

« Fermi! » irruppe, sovrastando ogni altra cosa.
I Pacificatori si arrestarono immediatamente alla sua voce e abbassarono le armi.

« Fermi » ripeté lui, con tono meno brusco. « C’è un mandato di liberazione per uno dei ribelli. »
Klaus improvvisamente si sentì al posto giusto. Non era una sensazione normale: stava per morire fucilato insieme a un’altra trentina di persone… ma andava bene così. London sarebbe sopravvissuta, ormai ne era assolutamente certo.
Fece un sorriso pieno di amarezza e socchiuse le palpebre per darsi forza. Era triste che dovesse finire in quel modo, ma se n’era fatto una ragione. Meglio morire che continuare a soffrire e vederla soffrire ancora.
Klaus riconobbe una ferma decisione nella voce di Ben – o di quel che ne era rimasto di lui – e il suo stomaco si contrasse in una morsa, ma quel peso nel petto si dissolse di botto. Dopo l’esecuzione London sarebbe tornata nel Distretto Sei, da Klaudia, da sua madre, e forse avrebbe provato a far ragionare il gemello, a farlo tornare la persona che era un tempo. Era convinto che nessuno meglio di lei potesse riuscirci.
La ragazza, intanto, aveva abbassato il volto, mormorando qualcosa tra le labbra sfregiate. Klaus perse qualche istante a guardarla ancora una volta, lasciando che la sua immagine gli invadesse gli occhi come un abbagliante fascio di luce nel buio.
Turbato dall’eccessivo silenzio di Ben, però, si riscosse e lanciò uno sguardo allo spesso vetro antiproiettile opaco dietro cui era nascosto. Lo vedeva, lì, in piedi. Vedeva la schiena dritta, gli abiti neri così in contrasto con la sua figura candida, il microfono contro cui era leggermente appoggiata la sua bocca, il suo viso dai tratti dolci contratto in un’espressione dura e… di infinito dolore.

« Klaus Wreisht, sei libero. »
 


















   
 
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