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Autore: _joy    23/09/2014    5 recensioni
«E di me ti fidi?»
«Posso fidarmi?» rispondo «Dimmelo tu» 
«Sì» risponde senza esitazione. 
 
Gin/Ben
[Serie "Forever" - capitolo IV]
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Forever'
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Quando Ben esce dal bagno capisco subito la portata dell’errore che ho fatto.
 
Indossa solo il telo annodato sui fianchi, è a petto nudo, scalzo, e si sta frizionando i capelli bagnati.
Il mio corpo reagisce con un’esplosione di calore inaudita.
Accidenti a lui.
 
Per di più, come se niente fosse, viene a sedersi sul divano.
Io mi rannicchio di riflesso nell’angolo opposto.
Non ci guardiamo, ma l’aria si satura di elettricità, fino a quando la stanza mi sembra rimpicciolirsi.
È come se minuscole particelle scintillassero tra noi.
E io me lo ricordo.
Mi ricordo come mi sentivo bene, come mi sentivo viva… prima.
Mi paragono a quella che sono adesso e riconosco che sono una pallida ombra della me che ero.
 
Mi sto concedendo un attimo di autocompatimento, quando Ben dice:
«Ho ottenuto quella parte che volevo. Quella con il produttore irlandese»
Io non credo alle mie orecchie.
È venuto qui per vantarsi?
Per dirmi definitivamente addio?
Bè, più definitivo dell’addio a Los Angeles non vedo cosa ci possa essere.
«Fantastico» ribatto, gelida «Congratulazioni. E questo miserabile siparietto cosa significa? Girate il film nel mio cortile, per caso?»
Lui sorride e si volta a guardarmi.
«Ho rifiutato»
 
Sto attenta a controllare la mia espressione.
Cosa… Cosa vorrebbe dire?
Un milione di domande si affollano nella mia mente, ma io scrollo le spalle come per dirgli che non mi importa.
Mi alzo e vado in bagno rimuginandoci sopra ma, quando sono di nuovo pulita e stavolta anche asciutta, evito il salotto e vado in camera a vestirmi.
Quindi torno di là e metto sul fuoco dell’acqua.
Rovisto nell’armadietto in cerca di una tisana e prendo una tazza.
 
Non lo sento alzarsi, ma all’improvviso è dietro di me.
«Ho rifiutato» ripete, il suo alito sul mio collo.
Sobbalzo per lo spavento e le sue braccia mi circondano, per evitare che io fracassi la tazza.
Il mio cuore batte furiosamente.
Le sue mani sfilano la tazza dalle mie e la posano sul bancone, poi tornano a posarsi sulla mia pelle.
«Stavo impazzendo, senza di te. E, senza di te, il lavoro non mi rende felice»
Resto immobile, pietrificata.
Sento il suo calore circondarmi, la sua pelle profumare di bagnoschiuma.
E lo sento, attorno a me.
Lotto per non cedere alla lusinga del suo odore, del suo calore, e Ben riprende a parlare:
«Quando te ne sei andata… Mi sono buttato sempre più nel lavoro. Volevo quella parte più che mai. Pensavo che, se me l’avessero data, sarei stato di nuovo bene, avrei ritrovato la pace… E poi, quando è arrivata, tu non c’eri e niente aveva senso… Niente era più bello, senza di te»
 
Non so cosa dire.
È quello che sognavo di sentire da lui, lo so…
E allora perché non esulto?
Perché non mi rilasso?
 
Resto immobile e Ben, dolcemente, mi fa voltare verso di lui e mi prende il viso tra le mani.
Mi guarda – e io non ho mai saputo resistere a quello sguardo – e continua:
«Gin, ti prego, dimmi che puoi perdonarmi. Dimmi che puoi darmi un’altra opportunità. Lo so che ho sbagliato, capisco che mi sono comportato molto male. Ma ho capito che io ti voglio. Ero confuso e accecato dalle possibilità lavorative… e sì, avevi ragione quando dicevi che non ero più sicuro. Non è che non fossi sicuro di noi, ma… ammetto che a volte vedevo la nostra storia come un peso per la mia carriera. Vedevo che odiavi Los Angeles, che non ti piaceva la vita che facevo… Ma continuavo a pensare “solo un film, solo una grossa parte, e poi smetto”… e poi ho capito che era come dicevi tu: non ce la facevo a smettere. Era come una droga, volevo di più»
C’è un attimo di silenzio, poi io chiedo:
«Come l’hai capito?»
Sul suo viso passa un’ombra di imbarazzo.
«Vorrei dirti che sono diventato improvvisamente intelligente, ma la verità è che Colin è venuto a cercarmi a Los Angeles e mi ha detto che Lidia ti aveva vista qui a Milano»
«Ah» commento, spenta.
«Poi mi ha dato uno schiaffo… e poi mi ha tenuto una lezione su come si cresce e si sta al mondo»
Fa una smorfia buffa, ma capisco che se ne vergogna.
Da parte mia, dovrei dire di esserne contenta?
«Quindi sei tornato da me perché te lo ha detto Colin?»
«No! Io volevo tornare, ma… Ecco… Mi vergognavo. Sapevo che non ti saresti fidata di me e… bè, ero sicuro che mi avresti respinto e quindi…»
«E quindi non valeva la pena provare? Perché non volevi rischiare di prenderti un no?»
Lui sospira.
«Non ne vado fiero, ma… sì, avevo paura. E continuavo a rimandare, a rimandare… E stavo sempre peggio. Non sono stati dei bei mesi»
«Davvero?» rispondo, gelida «I miei sono stati fantastici, invece»
I suoi occhi spettacolari si fanno tristi.
Mi accarezza appena il braccio.
«Sei così magra…» bisbiglia.
«Sarai felice» ribatto, impietosa «Non preferisci le donne magre e belle?»
Ben sgrana gli occhi.
«Gin, ma tu sei sempre stata bellissima!»
«Tu non mi facevi sentire bellissima» lo aggredisco, velenosa «Tu mi hai fatto sentire inadatta, brutta, sciocca e…»
Ben fa un passo indietro, mortificato.
«Non è vero! Non puoi accusarmi di una cosa del genere! Io non ti ho mai voluta diversa!»
«Ah no? Allora ero un peso pur essendo magnifica? Ero giusta anche se ti vergognavi di me?»
«Ma non è vero!»
«E invece sì!» urlo, furiosa «Con il tuo disinteresse hai dimostrato quanto non te ne fregava niente se i tuoi amici mi trattavano come una merda! E se non fregava a te, figuriamoci a loro!»
«Gin, non puoi darmi la colpa delle tue insicurezze! Se tu ti sentivi inadeguata a me dispiace, ma più che dirti che non lo sei io cosa posso farci? Devi imparare da sola a credere in te stessa!»
«Non osare farmi una paternale! Di chi è la colpa se io mi sento insicura? Mi hai mai dato modo di essere diversa?»
Lui digrigna i denti.
«Allora le tue paranoie sarebbero colpa mia?»
«Sì! Perché tu non mi dai sicurezza!»
«E la sicurezza di cui ho bisogno io?»
«Tutto gira intorno a te, Ben! Io devo dare e tu devi prendere! Ma quando serviva un appoggio a me tu cosa hai fatto? Ti sei fatto i cavoli tuoi! Ti sei preoccupato sempre di te!»
«Questo non te lo permetto!» adesso sta urlando anche lui «Tu sei insicura Gin e io ho provato e provato a darti certezze! Ma non posso passare ogni singolo giorno a sostenerti! Per stare insieme anche tu devi imparare a camminare sulle tue gambe! Non posso passare ogni singolo secondo della mia vita a rassicurarti!»
«Ah, bene, ora è colpa mia! Ma certo! Io che non sono bella, non sono magra e non sono famosa! E sono pure una rompicoglioni! Bè, sai cosa ti dico? Se questa è l’opinione che hai di me…»
«Io ti amo, stupida!» urla lui «Sono venuto qui per dirtelo, mi sono umiliato per poterti vedere! E speravo che almeno avrei avuto la possibilità di dirtelo!»
«E speravi che io te lo rendessi facile, immagino» lo schernisco «Che fossi qui a dirti “Oh, Ben, grazie che sei venuto a raccogliermi, come sei magnanimo, ti prego riprendimi con te come se non fosse successo niente, come se non mi avessi rotta in mille pezzi e poi non mi avessi anche calpestata”!»
C’è un attimo di silenzio in cui ansimiamo entrambi, poi io proseguo un discorso che era iniziato con tono di scherno ma che ora di divertente non ha proprio più nulla:
«Bè, sai cosa? Invece tu mi hai distrutta. In mille piccolissimi pezzi. E poi, giusto per essere sicuro, mi hai frantumata in ogni singolo pezzetto. E adesso vieni a dirmi che ti dispiace?»
Lui fa un gesto di sconforto.
«Lo so, è inadeguato, ma… mi dispiace. Ti prego, perdonami. Dammi la possibilità di farmi perdonare»
Mi guarda con quei suoi bellissimi occhi imploranti mentre io incrocio le braccia sul petto e rispondo tranquilla:
«No»
 
*
 
Sto ancora piangendo.
 
Guardo l’ora: le quattro di mattina.
Non riesco a smettere di piangere.
E la cosa che mi fa più male, per una volta, non è lui o il pensiero di lui.
 
Sono io.
 
Da quando io sono un tale mostro?
Ripenso allo sguardo di Ben quando gli ho risposto che no, non l’avrei perdonato.
A come sembrava sconfitto.
E mi vergogno del senso di potere e di esultanza che ho provato.
Io non voglio essere una persona che gode nel fare del male a qualcuno.
E il fatto che io sia così distrutta non mi autorizza ad essere un’arpia.
Singhiozzo, disgustata da me stessa.
Mi ha chiesto scusa.
È venuto dall’America fin qui per chiedermi scusa.
L’ho fatto aspettare dei giorni fuori dal portone, nemmeno fosse un cane con la rabbia.
E poi ho goduto ad insultarlo e a ferirlo.
Perché io lo so che ha ragione, in parte.
L’ho capito.
 
Ho un brivido di disgusto nei confronti di me stessa mentre ripenso alla nostra conversazione e mi vedo pretendere di essere ascoltata e capita e rassicurata.
Non so se sia stato il discorso dell’altro giorno della mia vicina, ma ora vedo le cose con più chiarezza.
Non ci sono solo io.
E sì, Ben mi ha fatto del male…
Però ha ragione quando dice che io lo assillo per avere sicurezze.
Ma questa è una mancanza mia, non sua.
Forse, se io non fossi la persona paranoica che sono, non avrei visto un nemico in ogni donna più magra e bella di me.
E, magari, avrei potuto affrontare la cosa con più equilibrio, anziché pretendere che lui la risolvesse per me.
 
Certo, rimane tutto il resto.
Il suo lavoro.
La vita che vuole fare.
Eppure… Rivedo Ben sotto la pioggia, che aspetta per parlarmi.
Per vedermi.
 
Tutto l’odio e il dolore di questi mesi sembra sfocarsi.
C’è ancora la pena, ma è mista a compassione.
Io non posso vederlo soffrire.
Non sopporto di sapere che gli ho fatto del male.
Volontariamente.
Per ferirlo.
 
Cerco di calmarmi, cerco di ripetermi che questa è la strada che ho scelto quando l’ho mandato via.
Ho preso una decisione.
L’avevo presa anche prima.
Quando l’ho lasciato, quando ho scelto di non cercarlo.
Perché non sono abbastanza coraggiosa da riuscire a chiudere questa porta?
 
Sono rosa dai dubbi.
Una parte di me vuole scusarsi, vuole ascoltarlo… Anche solo per chiudere con lui in un modo civile.
Io l’ho amato. Lo avrei sposato.
Non voglio che mi odi, non posso sopportarlo.
L’altra parte mi accusa di essere una stupida, patetica bugiarda che cerca solo la scusa per rivederlo.
 
E, di nuovo, rivedo i suoi occhi scuri mentre mi implora di perdonarlo.
 
*
 
Alle cinque e mezza ho preso una decisione.
 
Afferro il telefono e, anche se ho cancellato il suo numero, non faccio sforzi di memoria nel digitare le cifre familiari.
Staccato.
Il mio cuore perde un colpo, poi mi viene l’idea di provare sul numero inglese.
Risponde al primo squillo.
Non dormiva neanche lui?
«Gin?» chiede, semplicemente.
Non so cosa volevo dire, ma scoppio a piangere.
Lui dice solo:
«Arrivo» e riattacca.
 
Mi soffio il naso, mi sciacquo il viso e mi infilo le Converse, poi scendo ad aspettarlo.
La notte è fredda e umida, ma non faccio in tempo a rimpiangere di non aver preso una giacca perché Ben appare di corsa da dietro l’angolo.
È un pensiero idiota da formulare in un momento del genere, ma mi viene in mente il suo odio per il jogging.
E ti credo che lo odia: è ridicolo quando corre.
È scoordinato e in forma quanto un novantenne sovrappeso.
 
Quasi mi scapperebbe da ridere, ma ricomincio a piangere.
E, stavolta, non protesto quando lui, con il fiatone, mi prende tra le braccia.


***
Buongiorno, amati lettori!
Solo un secondo, per ricordarvi tre cose:
la mia pagina Facebook: https://www.facebook.com/Joy10Efp/timeline
il mio blog (in cui ripubblico le mie storie, a partire da Gin e Ben): http://dreamerjoy.blogspot.it/
l'altra storia che sto scrivendo, un crossover tra Narnia e Harry Potter (fandom: Le Cronache di Narnia): http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=2569037&i=1
Detto questo, non mi resta che augurarvi buona giornata!
Vostra,
Joy
 
   
 
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