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Autore: _Mikan_    23/09/2014    2 recensioni
Capelli neri come la pece ed occhi azzurri come il ghiaccio. Questo caratterizza Margaret, oltre ad una passione smisurata per la natura. Ed è proprio in mezzo al verde che questa drammatica storia si apre, ricordando i bei momenti passati col padre defunto, accanto al proprio cane Calzino.
*Dal testo*
Mamma si avvicinò alla scura scrivania "da lavoro" o così la definivo io.
Era ancora in disordine con mille fogli sparsi un po' dappertutto.
Delicatamente sfiorò dei disegni con le dita.
Si soffermò su uno in particolare: raffigurava una donna seduta su una grande pietra.
Lo sfondo era un meraviglioso giardino con rose di ogni tipo. C'era perfino una fontana.
Ma le vere protagoniste erano delle ali bianche con piume candide e morbide.
Mamma prese il foglio e lo avvicinò per osservarlo meglio.
Ciò che più la ammutolì furono dei bellissimi capelli lunghi, lisci come la seta e di un nero come il carbone.
Si portò la mano alla bocca.
"Non è possibile."-Disse perplessa-"Non può averlo scoperto."
Genere: Drammatico, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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“Margaret! Su, vieni!”

“Margaret?!”

La mamma urlava sempre. Era un sua caratteristica.

“Ma dove diavolo si sarà cacciata?” -Pensava ad alta voce- “Non voleva aiutarmi a fare l'impasto per la pizza?”

Visto che le urla non furono utili, posò il sacchetto della farina e si pulì le mani sul suo grazioso grembiulino col bordino ricamato, avanzando verso le scale.

“Ora mi sente quella peste”

Ma restò a mani vuote: in camera non c'era nessuno.

Come consolazione però, trovò un'altra scusa per sgridarmi: il disordine.

La parete lilla era impreziosita dai mobili di un legno chiaro non molto pregiato. La lampada, al soffitto, era bianca con i bordi dipinti di oro e dava una luce fioca: chiesi io di averla così perché amavo quando l'atmosfera diventava leggera e magica, per così dire. Se desideravo illuminare la stanza per bene, mi bastava accendere il lume che alloggiava nella parte sinistra della mia scrivania. Essa era l'unico mobile di un legno più scuro, ma non troppo, perché era appoggiato alla parete bianca ben visibile appena varcata la porta, girando lo sguardo a destra.

Uno dei motivi principali del mio disordire era proprio la mia scrivania. Oltre ad utilizzarla per svolgere i compiti, passavo il mio tempo a disegnare. Perciò, oltre a foglietti e libri della scuola, l'occhio disperato di mamma cadeva su tutti gli strumenti come matite con vari tratti, quelle a carboncino, tempere, pennelli, pastelli ad acquarello, matite colorate, pastelli a cera, stilografiche, penne con punta di ogni dimensione, cartoncini colorati, tele e così via.

“Perché non le metti a posto?!”-Gridava lei.

Non lo facevo quasi mai perché sapevo benissimo che, una volta tornata dalla stancante e noiosa giornata scolastica, il mio pensiero principale sarebbe stato quello di realizzare qualche altra opera, o di finirne una già iniziata la sera prima. In inverno mi scordavo perfino di togliere il cappotto.

“Ma ti servono davvero tutte queste cose inutili?”-Continuava.

Non mi arrabbiavo perché in realtà sapevo quanto felice fosse nel vedermi così appassionata a qualcosa.

Infatti il disegno restava nella classifica dei preferiti, al secondo posto però: la natura batteva qualsiasi cosa.

“Basta avere una matita e dei pastelli, no? Quasi quasi mi sbarazzo di tutto”

E qui si che che partivano le minacce: “Non ci provare”- Il mio era un tono mooooolto provocatorio e così sapevo che le sue mani da “vedo e butto” non avrebbero mai intralciato l'amore fra me e i miei strumenti.

Però FORSE un po' aveva ragione: avrei dovuto sistemare.

Ma un altro dei pensieri snervanti della mamma era il letto. Aveva la base dello stesso legno chiaro e le coperte erano “ordinatamente” disordinate. Certo, perché qualsiasi cosa può diventare arte, no?

“Ma alla tua età non hai ancora imparato a sistemare il letto ogni mattina??!!”- E urlava ancora di più, e più urlava, più io sbuffavo.

“Ma mamma! Guarda il lato positivo!”- Mi difendevo.

A questa frase lei assumeva un'espressione molto annoiata e il suo sopracciglio destro si alzava sempre di più a ogni secondo di attesa per udire il mio tanto acclamato “lato positivo”.

Così, mi avvicinavo al letto e iniziavo a spiegare con gli occhi che brillavano: “Guarda anche tu. Osserva come stanno bene il leggero azzurro del lenzuolo e la coperta beige con le decorazioni blu. E poi, il tutto un po' stropicciato, come fosse carta e infine il cuscino bianco candido storto e spostato sulla destra.”

“Questa … è arte!”-Finivo il mio discorso, soddisfatta.

Ma a quanto pare una certa persona non era poi così entusiasta all'idea.

“E anche quel cumulo di vestiti è arte?”-Chiedeva in modo sarcastico, ma sempre con quel sopracciglio elevato.

“Ma certo!”

E partiva il castigo.

Quella volta però non ero in camera, per mia fortuna.

“Dove si sarà cacciata? E che disordine! Quando la trovo la sgrido per bene.”

La mamma scese le scale e iniziò a gironzolare per tutta la casa. Prima il bagno che si affacciava sulle scale; bussò, ma non rispose nessuno. Poi cercò in camera sua, ma anche qui non le rispose nemmeno il silenzio. Il salone era ben visibile ed era chiaro che non mi trovassi lì. L'ultima era la cucina, scontata perché proprio da lì partì la “caccia alla figlia”, ma controllò lo stesso per poi rimanere delusa.

Dove doveva cercarmi? Era ovvio. In mezzo alla natura.

Si mise le scarpe da ginnastica, quelle vecchiotte, perché sapeva di dover affrontare il grande nemico chiamato fango; si tolse il grembiulino e aprì la porta molto arrabbiata. Ormai l'impasto della pizza non esisteva più, mi stava cercando per il disordine!

Aveva appena iniziato ad attraversare il bosco che già tutti gli animali non ne potevano più delle sue lamentele: “Ma insomma. Guarda tutto questo fango e tutti questi legnetti lasciati per terra! Grazie ad essi stavo per morire poco fa.”

“E per non parlare di tutti questi rami curvi che mi vengono il faccia. Quando ritorno a casa devo imparare la danza del limbo!”-Continuava a lamentarsi sarcastica.

Ce ne sono molte altre, ma non le cito, perché fareste la fine dei poveri animali.

“Oh santo cielo! Devo cercarla su questa distesa enorme di erba? Alta per giunta?! Sto per svenire”

Poi però, si ricordò di calzino. Portavamo, sia io che lei, un fischietto a ultrasuoni per cani. Lo utilizzò, aspettò qualche minuto, ma non arrivò nessuno. Ripeté le medesime azioni, ma ebbe lo stesso risultato. Sconsolata, fece qualche passo e iniziò ad urlare il mio nome per più volte e sempre più forte ed iniziò a preoccuparsi.

Presa da questa emozione, si scordò tutte le sue lamentele e iniziò a setacciare tutta la distesa d'erba per trovarmi, ma il tempo passò e si fece sempre più buio, così da perdere ancor di più le mie tracce.

Tornò a casa e chiamò la polizia. Erano passate diverse ore dalla mia scomparsa, quindi poteva denunciarmi.

“Signora, ha per caso detto o fatto qualcosa che avrebbe potuto mettere in fuga sua figlia?”-Chiese un agente.

“No, non penso...”-Balbettava.

Poi, ci rifletté e in effetti qualcosa aveva combinato.

“Vuoi vedere che...? Ma si! Avrà sentito la mia conversazione al telefono con Luisa in cui dicevo di volermi trasferire!”

“Mi scusi?”-Chiese spiegazioni l'uomo.

“Vede agente, questo posto è immensamente importante per mia figlia e sentendo quella telefonata avrà protestato e forse è questo il suo modo di farlo.”

Poi si mise a piangere, colpevole.

Ma in realtà, non andò proprio così … la mia scomparsa era qualcosa di ben più strano!

 

   
 
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