Capitolo 10
Quindici.
Ne avevo uccisi quindici in quanto?, venti secondi? E sì, li
avevo contati come se stessi facendo una banalissima esercitazione e dovessi
tenere a mente i proiettili usati. Non
traggo piacere dall’uccidere, semplicemente mi riesce. Me lo ripetevo da
anni, ma iniziai a ricredermi. Mi piaceva, mi piaceva eccome, ma forse
dipendeva da chi mi trovavo davanti. Se dall’altro lato della canna della
pistola ci fosse stato Washington, avrei goduto quasi quanto Thomas Hickey con i servizietti delle puttane di Boston.
Caricai la pistola e piantai un proiettile nel cranio
all’Inglese che avevo davanti, poi lanciai un’occhiata a Charles, che sparava
come un ossesso da dietro la pila di casse di legno che usava come riparo. Connor, finalmente, si era deciso a lanciarsi nella mischia
e ad usare il tomahawk, e ne fui contento, dato che
sparava come una donnetta impaurita.
Ventidue.
Scossi la testa, pensare a come combatteva mio figlio poteva
benissimo passare in secondo piano, quindi afferrai un soldato per i capelli e
lo buttai a terra, per poi puntargli contro la pistola e trasformargli il collo
in un ammasso informe di carne e sangue. Gli presi il moschetto e, sentendo il
respiro affannato di un uomo sul collo, capii di avere un’altra giubba rossa
alle spalle e mi voltai fulmineo, piantandogli la baionetta nello stomaco. La estrassi
subito e sparai, non attesi nemmeno che toccasse il suolo che ruotai su me
stesso, impugnando il fucile dalla canna e sfondando il cranio del terzo uomo
col calcio dell’arma. Quei dannati imbecilli urlavano come se li stessimo
scuoiando vivi e non avevano il minimo autocontrollo. Non ci avrebbero messo in
difficoltà, questo era certo, ma erano tanti, troppi, e noi soltanto in tre.
Mi voltai verso Charles, intento a sparare e ricaricare «Usciamo da qui!»
Controllai i proiettili rimasti nel moschetto e li usai per uccidere altri cinque
soldati.
Trenta.
Mollai il fucile e corsi verso la palizzata di legno grezzo e
consumato, puntai il piede destro su una delle assi e mi diedi una spinta,
mentre mi aggrappavo con entrambe le mani all’estremità della staccionata. Connor non ebbe difficoltà nello scavalcare, abituato
com’era a saltare di ramo in ramo. Charles, invece, pensò bene di deliziarci
con una caduta di decisamente poco stile, mettendosi a cavalcioni sullo
steccato e atterrando dall’altro lato a gambe all’aria.
«Tutto bene?»
«Sì. Sì, sto bene»
si tirò su spolverandosi i calzoni e, da buon padre quale ero, notai
l’espressione beata di mio figlio. Sì, forse l’agilità era l’unica cosa per cui
poteva vantarsi. Solo nei confronti di Charles, almeno, perché se avessi avuto
qualche anno in meno gli avrei dato del filo da torcere.
«Muovete il culo e prendete quei tre! Muoversi,
muoversi!» No, non avevano capito che
avrebbero fatto meglio a godersi quel poco ossigeno che gli rimaneva. Dopo
pochi secondi, infatti, tutta la parte est dell’accampamento saltò in aria. La
bomba che avevo lanciato al di là della palizzata uccise una quarantina di
uomini, e il bulbo oculare di uno di questi, spiaccicato nello spazio tra due
assi, mi fissava inespressivo.
***
Tornai alla tenuta a piedi, cogliendo l’occasione per pensare
e schiarirmi le idee. Alla fine la collaborazione con mio padre era stata
piuttosto forzata, ma utile: a lui servivo io e a me serviva lui, ma era la
scelta giusta? Achille si ostinava a ripetere che il mio comportamento avrebbe
avuto ripercussioni negative su tutto. Sulla mia gente, su New York, sugli
Assassini. Quali Assassini, poi? Non c’era più nessuno, se non io e qualche
giovane adepto alle prime armi. Ero stato duro con lui, ne ero consapevole, ma
sapevo di fare la cosa giusta. Dovevo lavorare con Haytham,
almeno per il momento. Che piacesse o meno al mio Mentore, dovevamo respingere
gli Inglesi, e da solo non ci sarei mai riuscito.
Salii gli scalini con una fatica immane, come se le suole
facessero fatica a staccarsi dal terreno. E lo stesso fu per la porta, che mai
mi parve così pesante e rumorosa, tanto da far voltare verso l’uscio Achille,
seduto davanti al camino acceso.
«Ciao» dissi
mentre richiudevo la porta, nella speranza che, forse, il rumore della
serratura coprisse la mia voce. Non rispose, e a dirla tutta non mi aspettavo
reazione diversa, quindi tirai dritto, diretto verso le scale e quindi alla mia
stanza.
«Per quanto hai ancora intenzione di tirarla avanti?» Mi fermai e rimasi in silenzio pur sapendo a cosa si
riferisse «Stai mandando tutto in fumo.
Tutto quanto» strinsi un pugno. Odiavo
dare ragione a mio padre, raramente le sue parole mi ferivano, ma una cosa in
particolare mi aveva punto nell’orgoglio: “tu dai ascolto solo ad Achille, tutto quello
che dice quel vecchio è oro colato, hai mai preso in considerazione l’ipotesi
di pensare con la tua testa?”. Ci avevo provato spesso, veramente, ma il
punto era che del Credo, della Confraternita e di tutto il resto sapevo ben
poco. Conoscevo Ezio Auditore e le sue eroiche imprese, stessa cosa per Altaïr Ibn-La'Ahad, e tutto grazie ai vecchi libri ingialliti e
impolverati, dimenticati sugli scaffali della libreria in soggiorno da chissà
quanti anni. Mi sarebbe piaciuto avere un compagno con cui collaborare o a cui
chiedere semplicemente un’opinione, ma l’unica persona dalla mia parte che
poteva aiutarmi in qualche modo era lui. Solo Achille era in grado di
indirizzarmi, però doveva comprendere che avevo il diritto di fare scelte
diverse dalle sue, forse un po’ azzardate e a primo impatto sbagliate, ma mai
prese senza riflettere.
«Abbiamo
fermato gli Inglesi, le truppe da Filadelfia non raggiungeranno più New York e
non la occuperanno. Abbiamo aiutato Washington, in fin dei conti» lo
annunciai fieramente senza nemmeno voltarmi. Tralasciando i battibecchi con
Charles Lee, era andato tutto liscio.
«Oh, scusami,
allora. Siete due eroi» sbuffai. Avevo bisogno di
consigli, ne ero consapevole, quindi li chiedevo. L’avevo sempre fatto. Era così
sbagliato appoggiarsi a qualcuno? In fondo mio padre non faceva altro che
parlare della debolezza umana, allora perché odiava così tanto le mie
incertezze?
«Stai
giocando con la vita delle persone di questa terra, ragazzo.» Oh,
certo, solo perché cercavo un contatto con Haytham,
giusto «Forse non
sei tagliato per questo ruolo»
Colpii
lo stipite con una manata, quindi mi voltai verso il soggiorno «Sei tu
quello adatto, vero? Cosa fai per ripristinare la Confraternita? Nulla. Te ne
stai qui seduto a dirmi cosa fare, mentre là fuori c’è gente che soffre, che
muore» tentai
di non urlare, cosa che mi riuscì difficile. Non volevo litigare un’altra
volta, non avevo voglia di giustificare le mie scelte ad un vecchio a cui non
importava niente della Confraternita.
Mi guardò
sconcertato «Come osi?» Puntò il
bastone a terra nel tentativo di alzarsi. Se fosse stato armato mi avrebbe
ucciso, poco ma sicuro «Con che faccia osi dirmi questo? Ti
ho accolto in casa mia e ti ho allenato, ti ho dato del cibo, un letto e la
tunica che indossi ora» non aveva fiato, ma nonostante
questo mi raggiunse, sopportando la fatica immane che aveva fatto per
percorrere il soggiorno.
«Cosa hai
fatto per il Credo? Cosa hai fatto per fermare i Templari?»
Domandai ancora.
«Non
collaboro col nemico, innanzitutto»
«Ti stai
comportando come mio padre» me l’ero cercata, dopotutto. Non mi
fece male, non più di tanto, ma lo schiaffo si sentì forte e chiaro nel
silenzio della tenuta.
«Non ti
permettere» tremava di rabbia, ma non m’importava. Pretendeva il
totale controllo delle mie azioni e la mia obbedienza, esattamente ciò cui
miravano i Templari «Stupido ragazzino impertinente, non
paragonarmi più a quel pazzo di tuo padre!»
«Non è
colpa mia, ho solo collaborato con lui e guarda che questione hai fatto. Te l’ho
già spiegato, Achille: fermeremo gli Inglesi insieme, stop» cercai
di calmarlo, ma fallii miseramente.
«E
Washington? Ucciderai Haytham per il bene del Paese o
lo lascerai agire? A questo punto sono convinto che passerai dalla sua parte,
ti stai facendo abbindolare, Connor!» Scossi
la testa. Quello mai.
«Vado a
riposare, sono stanco» non lo lasciai parlare e salii al
piano superiore. Non avrei mai abbandonato la Confraternita per aiutare mio
padre, di quello ne ero certo. Non approvavo i loro metodi e molte delle loro
idee. Tentavo solo di avere un rapporto civile con Haytham,
tutto qui. Non c’era nulla di male, volevo provare ad avvicinarmi a lui. Doveva
esserci un’alternativa alla morte, doveva.
Sì, sono viva. *si genuflette*. Lo
so, lo so, sono sparita per una settimana e aggiorno in ritardo, ma meglio di
nulla, no? Non ho avuto un rientro tranquillo, per nulla, e ho avuto veramente
pochissimo tempo da dedicare alla fanfiction. Ma non
mi arrendo, buona parte dei capitoli successivi è già scritta, quindi non
dovrei avere grossi problemi in futuro (le ultime parole famose), lool. Siete stupiti, eh? Insomma, Connor
che si ribella così è molto OOC, ma ci stava, dai. E vedrete Achille, quel
dannatissimo vecchio vi stupirà.
Bom, non spoilero
nulla e vado. Grazie come sempre a chi recensisce, legge, segue e preferisce, I
love you! *giusto perché oggi ho fatto un test
terrificante di inglese, ma sshh*. A lunedì prossimo
:3