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Autore: Night_    24/09/2014    1 recensioni
Takeshi era un guerriero. Un distruttore senza patria e senza scrupoli. Quelle sillabe... quel nome le apparve a dimensioni piccole piccole nella sua testa, fra tantissimi altri scritti più grandi, in modo quasi ingombrante.
Eppure, anche se era così minuscolo, era il primo che i suoi occhi della mente leggevano all'istante – brillava.
Genere: Azione, Fantasy, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Quel viso, quella voce, quel cuore.

A song.

 

 

 

 

 

 

 

 

Due passi avanti, duecento indietro

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Quante volte aveva preferito la fuga?
Un numero che lei stessa preferiva non sapere. Preferiva non sapere quante volte si era comportata come un'infida codarda e, incapace di affrontare quel qualcosa, si era ritrovata nella sua stanza – le ginocchia al petto, stretta nel suo involucro.
E andava bene?
No.
No, non andava bene.
Stava sbagliando – tutto. Per prima cosa, perché se l'era presa così tanto per poche parole dette, sicuramente, senza pensarci? Ah, chissà se era giusto pensarci, proprio in quel momento, con il corpo percorso da infiniti brividi.
La serra brillava di luce blu.
Era un blu un po' strano, chiaro quasi sull'azzurro con una spruzzata bianca – e dopo si rese conto da dove provenissero quei colori.
Giustamente, essendo nella serra, si era trovata circondata da molteplici e stupendi vasi di rose blu; e quella luce bianca che schiariva quella blu, non era altro che piccole luci impostate sui ripiani ove vi erano i vasi.
Yuki non ne sapeva niente di fiori e giardinaggio.
Yuki non ne sapeva niente della vita – dell'amore, della sensazione che dava, del benessere e del dolore.
Se avesse dovuto rimanere relegata a vita da qualche parte, quella serra sarebbe stata di certo la sua prima opzione, perché era davvero bellissima, anche se non particolarmente grande – ma forse lei aveva bisogno di spazi un po' più piccoli.
Aveva vissuto per troppo tempo in enormi saloni, in giganti camere da letto, aveva pranzato troppe volte ad un tavolo lungo più di tre corpi umani. E si sentiva così sciocca, così dannatamente insulsa, a fare quei pensieri – e a sperare.
E finalmente capì – perché era tutto vero. E a quel ragazzo così sveglio mancava addirittura qualche frammento di Yuki, qualche pezzetto che lei aveva accuratamente nascosto perché, sennò, avrebbe dovuto tornare in quel posto – e restarci, mattina, pomeriggio, sera, notte.
Antipatica, fredda, scorbutica, mezzosangue”.
«Perché dovrebbe. Non c'è nessuna... motivazione... v-valida».
E lei non poteva pretendere che lui ascoltasse i suoi problemi, non poteva assolutamente farlo, e non perché sembrasse occupato – si sarebbe liberato, per lei? Ah, che sciocchezza!
Era inutile.
Inutile portarsi le mani bianche come neve, con i palmi segnati, al viso; non sarebbe certo corso in suo aiuto, non avrebbe certo tolto quelle dita dagli occhi, non l'avrebbe guardata in viso e detto le magiche parole.
“Va tutto bene”.
“Andiamo a casa”.
Chiuse gli occhi.
Inspirò. Bene, andava tutto bene.
Ci voleva solo un urlo – ci voleva solo coraggio.

 

 

 

 

***

 

 

 

L'aveva persa.
Il tempo di alzare gli occhi, rendersi conto che il gelato gelido era finito contro il suo petto, che di lei c'era solo il profumo alla vaniglia – dissolta, assurdo.
Il peggio era che, lui, lo sguardo sbarrato e ferito l'aveva visto benissimo. Dannazione. Dannazione. Cosa aveva combinato, lui e la sua linguaccia!
Dannazione!, pensava, mentre afferrava bruscamente dei fazzoletti e raccoglieva il gelato come meglio poteva. Era finito addirittura a terra. Ma non aveva tempo da perdere con una stupida gelateria e il loro altrettanto idiota senso della pulizia, doveva---
«Katugawa, dov'è finita... ?». Ecco. Ecco.
Adesso doveva vedersela anche con Sayumi e i suoi sinceri quanto limpidi occhi azzurri – occhi stranieri su una ragazza che, teoricamente, doveva essere giapponese. Chi le spiegava che l'aveva fatta, in sostanza, fuggire via da qualche parte?
Chi?
Naturalmente, Takeshi.
«Ah. Lei. Lei è... », balbettando, aveva lasciato i fazzoletti sul bancone per girarsi verso la rosa, avvolto nel forte odore dei gusti scelti dall'albina, con la cannella che gli arrivava al cervello. Stordito, si portò una mano ai capelli scompigliati. «... è andata via».
Bene.
«Questo lo vedo. Ma dove?», incalzò lei, alzando le sopracciglia con aria confusa – lanciando occhiate perplesse alla camicia.
«Aaaaaaaaaaaaaaaa... da qualche parte, immagino, non saprei», borbottò Takeshi, battendo così velocemente le palpebre da coinvolgere anche Sayumi a fare la medesima cosa. Continuarono a sbattere le ciglia per un paio di secondi, fin quando lei non afferrò il ragazzo per le spalle, costringendosi ad alzarsi sulle punte e a stendere di più le braccia, tanta era la differenza d'altezza.
«Senti, non può essere sparita nel nulla, senza dire niente a nessuno!», esclamò, piccata. «Avrebbe detto qualcosa almeno a me. Sicuramente ha detto qualcosa. Quindi... ricorda».
«Qualche problema?».
Quando Takeshi cominciava a pensare a qualche plausibile “scusa”, ecco che la situazione degenerava e lui poteva darsi tranquillamente per spacciato – Tetsuya e Hokori, si era dimenticato di loro e della loro presenza.
Ed era stato proprio Tetsuya – il vampiro – ha parlare, lo sguardo algido e inespressivo puntato a mo' di fari della luce sull'umano, alla muta ricerca di spiegazioni. Tutti volevano spiegazioni – tutti volevano sapere dove lei fosse. Ed era giustissimo, essendo tutti connessi a lei, in un modo o nell'altro, nel bene o nel male.
Prese fiato. Poteva farcela.
Non era tanto difficile, alla fine. «Ecco, in realtà... prima stavamo parlando».
Sotto gli sguardi indagatori, si sentì andare a fuoco la pelle del torace e della schiena, i muscoli tesi in modo brutale, di fronte a tutti quei occhi – ed era così strano. Era abituato ad avere occhiate addosso...
«E... ?».
«E, in pratica, il gelataio cercava di provarci con lei. E allora--- allora---».
Forse era stato il fato, divenuto improvvisamente magnanimo con il povero umano, ma sembrava che quelle tanto agognate spiegazioni non sarebbero arrivate.
Ecco che le porte della gelateria si aprivano, lentamente, producendo un sottile e sinistro rumore – in netto contrasto con l'aspetto confetto del posto. Takeshi era sicuro che non c'era niente di cui aver paura, eppure, proprio non riuscì a reprimere un forte brivido.
Specie quando, spostando gli occhi, vide quelli di Tetsuya che fissavano le porte della gelateria – erano occhi sbalorditi, quelli? Non riusciva a crederci. E poi, perché tutti guardavano da quella parte?
Finalmente, anche lui si decise a girarsi, arrivando a dare le spalle a Sayumi pur di capire cosa ci fosse di tanto interessante – e quello che vide, lo deluse immensamente.
Era una bambina.
Alta un metro e un tappo e, di certo, non era molto piccola visto che i tratti somatici dimostravano un'età fra i dieci anni e i dodici. Ma non era tanto quello a catturare l'attenzione dei presenti, no, ovviamente – erano i capelli rossi amaranto. Una lunga cascata di vino rosso fino alla vita, una via di mezzo fra il liscio e qualche onda che scendeva sul petto. La frangetta cadeva ordinata sulla fronte e, da quella distanza, Takeshi poteva assicurarsi che non avesse gli occhi scuri.
«... perché guardiamo quella bambina?», disse lentamente, quasi con cautela.
Fu proprio Tetsuya a riprendersi per primo – ed era stato il primo a concentrarsi sulla nuova arrivata – regalando un'occhiata di sufficienza al moro, come se davanti a lui ci fosse solo un sacco di immondizia. E di fronte a quell'occhiata, Takeshi si accigliò – palesemente.
«Perché, sciocco umano, di fronte ai tuoi occhi c'è la secondogenita di uno dei casati nobiliari più potenti in circolazione», sibilò il vampiro.
«Ma è naturale che non lo sappia, essendo un umano!». Sorprendentemente, Hokori aveva preso le difese di Takeshi, aggrottando la fronte e regalandogli occhiatacce. Forse era semplice solidarietà fra umani, cosa poteva saperne, lui.
Passò qualche attimo di silenzio, interrotto da un'assorta Sayumi. «... e cosa ci fa qui?».
«Non lo so», rispose Tetsuya, con talmente tanta calma da irritare nel profondo Takeshi che, intanto, stringeva i pugni fino a sbiancarne le nocche un po' esposte.
Prima scocciava se lui non sapeva chi era una bambina entrata probabilmente casualmente e dopo lui non sapeva rispondere alle domande postategli. Che idiota. Con tono beffardo, gli disse: «Allora perché non ti avvicini e le chiedi cosa ci fa qui?».
Ed ecco che, nuovamente, quegli sguardi lo stavano trafiggendo da parte a parte – ugh.
«Per educazione, dovrei almeno porgere i miei omaggi», disse Tetsuya.
Sì bravo, porgi tutti gli omaggi che vuoi, basta che ti levi dalle pal---, era lì lì per cominciare a fare pensieri che implicavano diversi omicidi, quando si sentì strattonare con gentilezza la manica della camicia.
Sayumi gli stava rivolgendo un sorriso cordiale, di quelli fatti per pura circostanza – a cui lui rispose, comunque. «Perché non andiamo a cercare Yuki, io e te?».
Hmmm, vediamo... restare qui con questi psicomani o andare a cercare Yuki..., mentre faceva finta di pensarci seriamente, sentiva i passi di Tetsuya che si facevano più pacati e felpati, quasi stessero accarezzando un terreno stracolmo di mini anti-uomo.
«Prima voglio vedere che succede. Non sei curiosa?», disse, guardando il duo.
«In effetti».
Una cosa che non aveva notato subito, era stata il pupazzo viola a pois che la bambina teneva stretto al petto, abbracciato da esili braccia. Era interessante il vestito fino alle ginocchia che portava, aveva uno strano stile gotico ma, insieme, di delicatezza, con quei fru fru.
«Buongiorno», la voce di Tetsuya era gentile, come un velo che ti sfiorava il viso. «Ai-san. Cosa ci fa qui, a quest'ora del giorno?».
“Ai”.
Eppure a quella bambina, tra le tante sensazioni che trasmetteva, mancava proprio l'amore*; solo guardando il movimento del capo che si portava lievemente indietro e un passo che l'accompagnava, ne avvertiva chiaramente l'aura elegante e fine.
E poi, però, c'era quella strana luce scura intorno a lei...
«Mi è stato consigliato di uscire più spesso, per abituarmi alla luce», persino la voce sembrava quella di qualche figura altolocata! La parte divertente era che, in ogni caso, c'era sempre quella sfumatura insolita e infantile. «E tu, Tetsuya-san? Non sapeva che fosse tornato in questo mediocre paese».
«Sono tornato pochi giorni fa», sorrise il biondo. «e sono andato subito a cercare sua sorella».
Alla fine di quella frase – o addirittura nel mentre – il visetto di porcellana della bambina Ai si illuminò di luce raggiante. Sembrava che sapere di sua sorella fosse motivo di pura felicità.
«Hai fatto benissimo. Va' a trovare spesso, sarà contenta», disse.
«Lo farò di certo. La residenza Akawa è sempre uno splendore per gli occhi».

 

 

 

 

 

 

* amore: alloV. Il nome “Ai” significa amore in giapponese quindi-- fate due più due. :]]

 

 

NOTA DELL'AUTRICE:
BUONCIORNO A TUTTI UEUEUEUEU--- okay, basta.

E siamo giunti a questo capitolo... con tanta di quella fatica che non potete immaginare. *scuoricin

Prima di tutto, tutta la roba di VD è attualmente depositata sul pc della mia cara sorellona che, prima o poi, mi manderà tutto tramite skype... evitandomi di metterci secoli a scrivere un capitolo. X”

Eeee, questo è il motivo del ritardo.

Il secondo, che è legato al primo, è che ho perso il pc--- e ne ho comprato uno nuovo. Uvu

Però adesso dovrebbe andare tutto bene, DOVREBBE, quindi tenterò tornerò regolare~

Grazie per l'attenCCione.

 

 

Night, ovviamente, con affetto.

  
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