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Autore: _White_    24/09/2014    0 recensioni
La vita di Irina potrebbe essere un racconto, infatti gli ingredienti necessari ci sono tutti: lei è la goffa eroina e vive accanto a Thomas, il classico bel ragazzo solitario e distaccato che la tratta come un suo pari. Ma si sa che le apparenze ingannano... Una piccola love story cresce sotto il cielo della Liverpool universitaria.
Genere: Commedia, Romantico, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Universitario
Capitoli:
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4. And I don't wanna go home right now

- Scusami, sono in ritardo. – Thomas aveva il fiato corto per la corsa che aveva fatto per arrivare puntuale allo Starbucks. Aveva perso del tempo a casa a parlare coi genitori, provando a convincere in tutti i modi sua madre che non avrebbe saltato il “pasto più importante della giornata”, ma lo avrebbe fatto al bar con un amico. Beh, proprio un amico no: era il primo appuntamento con una ragazza che gli piaceva davvero e non voleva rendere pubblico l’avvenimento, caricando di aspettative la sua famiglia. Prima voleva essere certo di riuscire a impegnarsi seriamente, poi avrebbe dichiarato al mondo la relazione.
- No, sei in perfetto orario. Sono io che ho calcolato male i tempi e sono arrivata in anticipo. – lo rassicurò Hannah, arrossendo violentemente. Era palesemente nervosa: quello era il primo rendez-vous serio con un ragazzo e non sapeva come comportarsi. Lui era incredibilmente sicuro di sé e non lo nascondeva, mentre lei si trovava a disagio con qualunque creatura vivente, anche fosse un gatto.
- L’importante è che non ti abbia fatto aspettare troppo a lungo. – concluse il ragazzo, sorridendo. Anche se si erano conosciuti soltanto il giorno prima, lui aveva voluto rivederla il prima possibile. C’era qualcosa in lei che lo attirava come un magnete. Forse la sua bellezza, di cui lei non era consapevole e che celava con la sua timidezza. Oppure il suo carattere brillante che aveva sfoderato nelle poche parole che si erano detti mentre l’accompagnava all’università, anche quello emerse con notevole fatica. Forse era proprio la sua riservatezza ad averlo incuriosito.
Il luogo scelto era lo stesso del loro primo incontro, il normalissimo coffee shop vicino al campus, e quasi non troppo casualmente il tavolino a cui erano seduti era lo stesso di quella volta. Thomas si alzò dalla poltroncina e andò al bancone a prendere la colazione. Volendo fare bella figura al loro primo appuntamento ufficiale, offrì tutto lui. Hannah insisté per dividere, ma il ragazzo non volle sentire ragioni e lei lo ringraziò, arrossendo un’altra volta. Per un po’ il silenzio regnò sovrano tra di loro: nessuno dei due sapeva come poter iniziare un discorso. Thomas era abituato a fare la prima mossa, ma temeva che la sua solita condotta avrebbe spaventato la rossa, che aveva faticosamente convinto ad uscire con lui. Al contrario, Hannah non sapeva reggere una conversazione con l’altro sesso.
- Ci hai messo molto ad arrivare? – chiese Thomas alla fine, quando ormai aveva finito il muffin. Era un argomento banale, ma almeno non era troppo invadente. Così facendo, avrebbe anche intuito la zona in cui lei abitava e avrebbe scelto un locale più vicino a lei per il prossimo appuntamento, sempre che ci fosse stato.
- No, circa un quarto d’ora. Tu? – Hannah fu grata di non essere stata lei a iniziare la chiacchierata. Non sapeva davvero cosa chiedergli. E tanto meno cosa rispondergli. Era consapevole che quella era una domanda di circostanza, un semplice convenevole della buona educazione, ma non sapeva se doveva rimanere sul vago o essere più specifica. Non dando indicazioni precise, non gli avrebbe dato un dettaglio che a lui avrebbe potuto non interessare e avrebbe evitato un’aggressione in piena notte da parte sua. Dopo tutto non sapeva se era un maniaco. D’altro canto, avrebbe omesso un particolare che poteva essere di suo interesse. Infine optò per non aggiungere altro e gli rigirò la domanda, come il protocollo sociale imponeva.
- Più o meno anche io. – rispose Thomas. Purtroppo il suo piano non era andato come lui sperava, ma almeno aveva intuito che era vicina alla zona universitaria. Non sarebbe stato difficile trovare un posto per la prossima volta. – Non sei di Liverpool, vero? Hai un accento più duro di quello della zona. – osservò lui, cogliendola di sorpresa.
- Sì, in effetti vengo da Stirling. – Hannah giocherellò nervosamente con le mani, che erano appoggiate sulle ginocchia. Avrebbe dovuto aspettarsi una domanda simile, ma non immaginava così presto. Sperò che lui non volesse approfondire la questione: non era ancora pronta a parlarne.
- Stirling? Non l’ho mai sentita. Dov’è?
- Scozia, non troppo distante da Edimburgo. – Hannah abbassò lo sguardo, sempre più agitata, e si fissò le dita, che stavano tormentando le pellicine di alcune unghie.
- Quindi sei scozzese? Che stupido che sono: avrei dovuto capirlo prima per via del colore dei tuoi capelli. – Thomas, accortosi del disagio della ragazza, cercò di risollevare lo spirito della conversazione con una squallida battuta. Si vergognò nel dirla, ma non gliene era venuta in mente nessun’altra migliore per far distrarre la rossa. Ma straordinariamente quella rise.
- No, non c’entra nulla. Ci sono tantissimi scozzesi che non sono rossi. – gli spiegò, il sorriso ancora sulle labbra. Thomas prese il bicchiere di carta contenente il caffè e ne bevve un sorso, godendoselo mentre la stava contemplando. Così raggiante, Hannah era ancora più bella. Ebbe l’impulso di scattarle una foto col cellulare per avere quell’immagine sempre con sé, ma non ebbe il coraggio di farlo: così facendo, quell’istante avrebbe perso tutto il suo splendore. – C’è qualcosa che non va? – chiese la ragazza, quando si accorse dello sguardo perso del suo interlocutore.
- No, stavo solo ammirando il tuo sorriso. Mi piace: ti rende ancora più bella. – ammise lui, schietto. Si mostrò più naturale che mai, ma dentro aveva paura di aver sbagliato mossa. Alle sue solite prede, una frase del genere gli assicurava sempre la vittoria, ma lei, così timida, era come un terreno inesplorato.
- Grazie. – sussurrò Hannah, dopo l’iniziale imbarazzo che l’aveva fatta arrossire violentemente. Il suo cervello ci mise qualche secondo a capire che non stava sognando e che quel complimento era reale. I ragazzi della sua città non si erano mai interessati a lei e neanche quelli dell’università l’avevano mai degnata di uno sguardo. Ma Thomas sì, era realmente affascinato da lei e non aveva problemi nel dimostrarlo.
 
Anche quella giornata sarebbe stata nefasta, Irina se lo sentiva dentro: dalle radici dei capelli alle unghie dei piedi. Anche l’aria umida e il grigiore delle nuvole glielo suggerivano. Ma forse stava solo sfogando il suo malumore sull’ambiente. Dopo tutto, non si sentiva affatto bene: la sua mente ripercorreva insistentemente il brusco risveglio e, come se non bastasse la confusione che l’affliggeva, lo stomaco non le dava tregua. Probabilmente la nausea che provava fin da dopo la colazione era uno sfogo postumo del freddo patito il giorno precedente. Eppure era certa che la causa non fosse il fisico: era una sensazione diversa dai comuni problemi di digestione. Poteva benissimo essere ansia da esame, sì, quella stretta allo stomaco che le toglieva il fiato prima di ogni prova orale e la faceva andare nel panico, rovinando il colloquio. Non si stupiva se i suoi voti di lettorato erano così bassi.
Passeggiava nelle vie attigue al campus, non facendo caso a dove stava andando. Non aveva voglia di seguire i corsi quel giorno: i docenti delle ore di conversazione si sarebbero infuriati con lei per il pessimo livello di lingua che aveva raggiunto e la scarsa partecipazione e lei si sarebbe sentita ancora più piccola e più inutile di quanto si sentisse già. Finiva quasi sempre così: rinchiusa nella toilette a piangere, ovviamente quando non c’era nessuno. C’erano giorni in cui desiderava cambiare indirizzo di studi, ma nessuno ne era al corrente: i suoi genitori avevano fatto un sacco di sacrifici per permetterle di trasferirsi e studiare a Liverpool, che renderli partecipi dei suoi fallimenti le sembrava rendere insignificante tutto ciò che loro avevano fatto per lei. Se avesse potuto tornare indietro nel tempo, non avrebbe fatto nulla di tutto ciò. Sarebbe rimasta a Nottingham e avrebbe fatto l’università lì, che comunque aveva la facoltà di lingue. Non avrebbe preso italiano, che non c’era, ma avrebbe fatto lo stesso tedesco e forse russo, così sua nonna Nadiya sarebbe stata contenta. E se non si fosse trovata bene, non si sarebbe fatta così tanti scrupoli per cambiare.
Neanche Thomas era a conoscenza di queste fantasie. Irina preferiva non dirgli niente per non sentire falsi discorsi incoraggianti o la dura verità. Non poteva prevedere come il ragazzo avrebbe reagito, ma non intendeva scoprirlo. Il solo incrociare il suo sguardo severo, mentre lei gli spiegava la situazione, significava ammettere la sconfitta su tutti i fronti. No, non era pronta a farlo. Doveva mandare giù il rospo e continuare a fare del suo meglio, così avrebbe dato un senso all’ammissione in quell’ateneo, quindi anche ai debiti dei genitori. Dopo tutto, mancavano solo un paio di mesi di lezione e qualche esame. Doveva impegnarsi per passarli tutti, ecco qual era il suo proposito più immediato.
Era ormai giunta nel quartiere del dormitorio universitario. Poteva sempre scappare e tornare indietro o magari bigiare per fare shopping in centro, ma gli edifici che si stagliavano attorno a lei, così vecchi, consunti e saggi, sembravano ammonirla per tutto quanto, facendola sentire tremendamente in colpa. Irina non avrebbe potuto sopportare tanto peso se fosse scappata da quel luogo. Aveva scelto quella strada anni fa e adesso non poteva rimangiarsi tutto. Profondamente consapevole di questo, si ordinò di correre in aula. Non sarebbe stato un ritardo a farle perdere ulteriori punti con i professori. Imboccò Oxford Street e tagliò giù per il parco di Abercrombie Square. Era sicura di assomigliare a una pazza in quel momento, con i capelli svolazzanti, la lingua penzolante e la velocità da perfetto studente universitario in ritardo, e ringraziò che il suo vicino di casa non fosse lì a vederla: le avrebbe scattato una foto e l’avrebbe presa in giro per settimane, simpatico com’era. Invece non fu lui il conoscente che incontrò.
Hannah era seduta sugli scalini dell’istituto di Lingue, i gomiti appoggiati alle ginocchia, le braccia dritte e le mani che le sorreggevano la testa. Anche lei era pensierosa, ma piuttosto che sulla sua eccellente carriera universitaria, fantasticava sul ragazzo con il quale era appena uscita. Era stato un incontro fantastico, migliore di quanto si aspettasse. Alla prima occhiata, Thomas le era sembrato un tipo arrogante che giocava con le persone soltanto per il gusto di farlo, tuttavia si era dovuta ricredere man mano che la conversazione proseguiva ed entrambi acquistavano confidenza con l’altro, mostrandole il suo lato intellettuale e sensibile. Era colpita. E felice, così felice da voler mettere a parte qualcuno dell’incredibile appuntamento, ma non sapeva chi. Non aveva amiche con cui confidarsi e gioire. Era sola. Si arruffò i ricci, improvvisamente intristita da questa consapevolezza. Però non era troppo tardi: la ragazza biondina con cui si era scontrata la settimana prima le era sembrata simpatica e socievole, troppo buona per approfittarsi di lei per i compiti o per renderle la vita impossibile con stupidi scherzi da scuola media. Era perfetta per iniziare una nuova amicizia! Peccato che, eccetto il nome e cosa studiava, non sapeva altro di lei, quindi non sapeva come e dove rintracciarla e nemmeno cosa dirle nel caso l’avesse trovata. Ulteriormente avvilita, decise di rinunciare alla ricerca, a meno che non fosse il destino a farle rincontrare. Allora in tal caso si sarebbe sforzata di essere meno musona e più amichevole nei suoi confronti.
Si sistemò i ricci un’ultima volta e controllò l’orologio da polso. Era quasi ora di andare in classe. Si alzò dallo scalino, sistemandosi poi la gonna spiegazzata e impolverata. Nonostante le temperature basse, aveva deciso di essere più carina e più femminile del solito per l’appuntamento, ecco il perché della gonna. Se lo avesse detto a sua madre, questa non ci avrebbe creduto. Come non avrebbe creduto al fatto che fosse uscita con un ragazzo. O che la ragazza con cui sperava di diventare amica, ma che non sapeva come trovare, si stava dirigendo a gran passo verso di lei. Hannah strabuzzò gli occhi, incredula: ciò che aveva sperato si stava avverando. E di certo non poteva farsi sfuggire l’occasione.
Irina era quasi arrivata all’entrata principale. L’area era ormai praticamente quasi deserta, però distingueva una figura vicino all’ingresso che si sbracciava per attirare l’attenzione di qualcuno, forse la sua. Decise di rallentare per vedere meglio e soprattutto per riprendere fiato dopo l’estenuante corsa. Gli scalini le sembrarono montagne ripide e invalicabili, ma almeno c’era Hannah ad attenderla in cima, felice di vederla. Irina notò subito che c’era qualcosa di diverso in quella ragazza: la prima volta che l’aveva incontrata aveva un aspetto più trasandato, inoltre aveva avuto l’impressione che la rossa non vedesse l’ora di liberarsi di lei. Invece era lì, davanti a lei, sorridente.
- Buongiorno. – la salutò energicamente Hannah, non appena la bionda salì l’ultimo gradino. Aveva deciso di tenere momentaneamente da parte la timidezza e di sforzarsi di essere più socievole. Come Thomas le aveva dimostrato, se si apriva di più, piaceva di più alle persone.
- Ciao. – rispose l’altra, che si era fermata per respirare. Irina sentiva il cuore battere all’impazzata per lo sforzo fisico: anche se veniva sempre a piedi all’università, non era abituata a correre. Per fortuna aveva incontrato Hannah: una valida scusa per farsi cinque minuti di pausa, altrimenti avrebbe scommesso che non sarebbe arrivata intera al secondo piano. Maledizione, aveva ancora quattro rampe di scale da fare. – Scusa, ma sono in ritardo. È meglio che vada. – a Irina dispiacque congedarla, ma aveva i minuti contati.
- Tranquilla, anch’io devo andare adesso. In che aula sei? – Hannah continuò a sorridere, nonostante Irina non la degnasse di uno sguardo. La bionda stava fissando il pavimento, le mani premute sul fianco destro, concentrata a regolarizzare il respiro.
- L’aula informatica al secondo piano.
- Che coincidenza, io sono al primo: possiamo fare un pezzo di strada insieme. – propose l’altra. Adesso Hannah era seriamente preoccupata: Irina si stava pian piano raggomitolando su stessa. Che stesse per morire?
- Sì, perché no? – acconsentì la bionda. Si drizzò a fatica e cercò di sembrare il più naturale possibile, sebbene non avesse ancora recuperato tutte le energie. Hannah la esaminò un’ultima volta e, convintasi che la maratoneta sarebbe riuscita a muoversi, s’incamminò, seguita a ruota dall’altra. L’ampio atrio dalle colonne in marmo e il soffitto a volta era vuoto. Alla fine Irina ce l’aveva fatta ad arrivare in ritardo.
- Mi dispiace che non abbiamo avuto tempo di parlare. Se vuoi, possiamo trovarci all’ingresso al termine delle lezioni e andare da qualche parte a chiacchierare. – suggerì Irina alla rossa, quando giunsero al pianerottolo del primo piano, dove dovevano salutarsi.
- Sì, ne sarei felice. Io finisco alle tre.
- Io alle cinque, invece. Forse è il caso di fare un altro giorno. – rifletté la bionda. I loro orari erano completamente diversi: si sarebbe sentita in colpa se avrebbe costretto Hannah a restare in facoltà o di farla andare a casa, magari abitava lontano dall’ateneo, per poi ritornare in facoltà.
- No, nessun problema. Abito in un dormitorio qui vicino, quindi non faccio fatica a venire. Allora ci troviamo giù nell’atrio alle cinque, va bene? Ci vediamo dopo! – Hannah confermò l’appuntamento e scappò via, in mezzo al corridoio, raggiante di felicità. Dopo anni di solitudine, finalmente anche lei aveva trovato un po’ di compagnia.
Irina si fermò un paio di secondi a guardare l’amica dirigersi verso la classe, poi riprese le scale e salì al piano successivo. Non le importava se il suo passo era lento: ormai la ramanzina se la sarebbe beccata comunque.

   
 
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