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Autore: Kiki87    26/09/2014    4 recensioni
Sebastian e Kurt sono coinquilini da quasi un anno e la loro quotidianità è una piacevole routine a cui il primo non è tanto disposto a rinunciare. Soprattutto quando Kurt annuncia il suo inaspettato fidanzamento con Blaine.
Tra machiavellici tentativi di sabotaggio e sporadiche sbronze al solito pub, Sebastian si lascia andare ai ricordi della loro convivenza. Ma sarà disposto ad ammettere che i sentimenti di Kurt non siano i soli in gioco, prima che sia troppo tardi?
“Kurt si sposa”, si sentì dire, dopo aver rilasciato il respiro.
Non era stato volontario, ma bastò pronunciare quelle parole perché fluttuassero tra loro così perentorie. Dannatamente reali. E definitive.
Genere: Fluff, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Kurt Hummel, Sebastian Smythe
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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7
Il tramonto, chiudo gli occhi.
Fingo che vada tutto bene.
Affogando nella rabbia per tutte queste bugie.
Non posso fingere che vada tutto bene.
Per favore, non farmi cadere per sempre.
Puoi dirmi che è finita?

Mi affido a te, non ti lascerò mai andare.
Ho bisogno di averti con me, mentre entro nelle ombre.

Preso dall’oscurità, cammino cieco.
Ma puoi aiutarmi a trovare un’uscita?
Nessuno mi sente, il silenzio mi fa soffrire.
Puoi dirmi adesso che è finita ?1

(Shadows - Red)

Settembre
(meno sei mesi al matrimonio)

Capitolo 7


Quando schiuse gli occhi, molte ore dopo, sentì un dolore lancinante trapassargli le tempie. Emise un mugugno e desiderò soltanto poter morire o annullare tutto il resto. Ci sarebbe stato tempo per ricordare (ma forse era meglio di no) tutto ciò che era accaduto la sera precedente, ma poté subito appurare che la sensazione dominante (a parte la nausea) non era quel vuoto interiore che aveva provato nell'ultimo mese.
Fu quando sentì il materasso piegarsi sotto ad un altro peso e il profumo di vaniglia espandersi che cercò di fuoriuscire da quel torpore. Coraggiosamente, schiuse gli occhi per scorgere il profilo familiare di Kurt, avvolto nella vestaglia e coi capelli umidi, evidentemente reduce di una doccia.
Fu la più dolce conferma che tutto sarebbe andato bene, in un modo o nell'altro e a quell'ora del mattino, in cui persino da sobrio ricordare il suo nome di battesimo era ardua impresa, nulla poteva essere più auspicabile.
Il suo coinquilino gli sorrideva con la tipica supponenza di chi abituato a dire: « Te lo avevo detto », ma si limitò a porgergli un vassoio con una buona colazione e un bicchiere d'aspirina. Era persino più premuroso del solito: sbronzarsi sembrava avere qualche effetto benefico nelle sue relazioni sociali (quelle che contavano) dopotutto.
“Dubito sia un buongiorno, vero?”, gli chiese Kurt con un sospiro, premunendosi di mantenere la voce ad un livello di decibel desiderabile.
Sentì un sorriso increspargli le labbra, mentre si sollevava con il torso per osservarlo ad una minore distanza. “Oh, lo è invece: sei nudo e seduto sul mio letto con la colazione per me, come una brava moglie devota”, sussurrò in tono più languido.
Roteò gli occhi, Kurt. “Che potrebbe cantare Memory interamente in falsetto ”.
Emise una smorfia al solo pensiero e socchiuse gli occhi, cercando di ignorare gli spiacevoli movimenti dello stomaco, appoggiandosi alla testiera del letto con aria esausta.
“Mi prometti che ti controllerai maggiormente?”, lo incalzò Kurt con tono preoccupato. “O devo chiedere a quel povero barista di chiamarmi, quando bevi troppo?”.
Allora non era stato un incubo quello del dottorino che lo riportava a casa e approfittava del suo pessimo stato fisico per assestargli due scappellotti. Ovviamente l'avrebbe pagata cara.
“Non devi preoccuparti”, recuperò la sua aria più suadente per osservarlo con una buona dose di malizia che ne fece scintillare le iridi smeraldine. “Anche se lo trovo eccitante”.
Kurt sollevò gli occhi al cielo, ma si drizzò, come se per quel mattino avesse adempiuto ai suoi doveri del buon coinquilino. “Devo andare al lavoro”.
“Kurt”, lo richiamò, prima che potesse valicare la soglia della porta.
Si fermò e si voltò, il viso inclinato di un lato e l'espressione interrogativa.
C'erano tante cose che Sebastian avrebbe potuto dirgli: un « mi dispiace » per le riviste e il ricordo della madre, inevitabilmente compromesso, seppur non fosse mai stata sua intenzione.
Un « grazie » per tutto ciò che si prodigava a fare ogni giorno per lui. O un semplice « non andare » che il giorno prima, nel mezzo del delirio, era stato tanto semplice pronunciare. O ribadire un « non farlo » , come alla prima sbronza dopo la notizia del fidanzamento.
Lo osservò soltanto, il respiro più pesante e le immagini del loro anno insieme che si accavallavano a quelle degli ultimi mesi, alternando i momenti più struggenti a quelli più speciali.
“Stai bene?”, chiese Kurt, le sopracciglia inarcate in evidente attesa.
Scosse il capo, dopo un lungo istante, cercando un pretesto qualsiasi.
“Rientrerai a cena, stasera?”.
Parve sorpreso dalla domanda, ma un sorriso più ironico apparve sulle labbra nello scrutarlo come se quell'ultima sbronza avesse effetti duraturi sulla sua tipica condotta. “Hai intenzione di cucinare?”.
Emise un verso d’ironico divertimento. “Potrei ordinare qualcosa”.
Sorrise, Kurt, quasi altrettanto divertito prima che un pensiero ne facesse balenare lo sguardo ed assumere un'aria mortificata: “Oh, io e Blaine dovremmo-”.
Si scurì in volto, ma scrollò le spalle, prima che potesse terminare la frase: “Sarà per un'altra volta”, lo rassicurò con l'aria di chi voleva soltanto porre fine a quell'imbarazzante momento, a quello sciocco pretesto che aveva trovato per dissimulare nuovamente le sue emozioni.
“Ci sentiamo”, gli sorrise con quella curvatura più dolce delle labbra. “Chiamami, se hai bisogno di qualcosa”, aggiunse con un cenno della mano.
Ma Sebastian già lo sentì lontano, prima ancora che lo vedesse far capolino nella sua camera per vestirsi. Prima ancora che uscisse dal loft.
Si lasciò cadere sul materasso.
Si era promesso di non ferirlo più e di cercare di proteggerlo persino nell'azione più ignobile che avrebbe compiuto alle sue spalle, con la presunzione che il fine avrebbe giustificato i mezzi.
Ma il tempo scorreva fin troppo rapidamente e non stava compiendo alcun progresso e una parte di sé cominciava a temere di aver perso la battaglia fin dall'inizio e per la mancanza di una reale convinzione.

~


Ottobre
(meno cinque mesi al matrimonio)


Era incredibile come un mese tanto anonimo potesse scorrere così rapidamente: seppur mancassero ancora quattro settimane al Ringraziamento, già sentiva l'incombenza del Natale, della fine di quell'anno disastroso e l'inizio di un altro che avrebbe annunciato la più grande catastrofe dell'umanità.
I giorni si susseguivano gli uni agli altri in una lunga fase d’impasse che trovava intollerabile: seppur fosse stato lieto che lui e Kurt fossero riusciti a ristabilire una convivenza pacifica, era come se il giovane fosse completamente risucchiato nel suo universo, dalla frequentazione della Nyada, alle ore di tirocinio e di lavoro in caffetteria. Come ciò non bastasse, il suo “tempo libero” lo trascorreva disegnando modelli per Isabelle Wright e/o occupandosi dell'organizzazione del matrimonio. Si domandava fin troppo spesso che fine avesse fatto la proverbiale isteria di Kurt, conseguenza della sua smania di controllo. A parte il fatto che apparisse spesso con occhiaie visibili e persino più magro, non sembrava esservi nulla d’insolito.
Ostentava persino uno stato di serenità che gettava Sebastian nello sconforto più totale nel capire che, di fatto, era come se già la loro convivenza fosse finita da che, anche quando presente fisicamente, il ragazzo sembrava distante. E neppure sembrava rendersene conto.
Gli aveva persino raccontato entusiasticamente, mentre riordinava convulsamente la scrivania prima di uscire, del progetto del prossimo Ringraziamento: una cena a casa Anderson con il clan Hummel-Hudson per festeggiare i fidanzati.
L'unico modo in cui quella ricorrenza (assai inutile) avrebbe potuto giovargli, quell'anno, sarebbe stato quello di ricevere una notizia d’annullamento, magari proprio in seguito a quella cena familiare, sperando che Mr Hummel recuperasse il senno e costringesse il figlio a realizzare in quale dannato guaio si stesse cacciando.
Ma, dopotutto, se era il Natale il periodo dei “miracoli” (e solo con una sbronza poteva cedere all'illusione), era il momento di aiutare il fato affinché il suo piano si realizzasse.
Controllò l'orologio e sorrise alla vista del giovane in tenuta sportiva (canottiera e pantaloncini corti) malgrado il vento e il gelo che stava attanagliando New York come promessa di un rigido inverno.
Inarcò le sopracciglia, Hunter, alla vista del suo abbigliamento che contemplava un paio di jeans nuovi e un lungo cappotto.
“Non dovevamo andare a correre?”, chiese con aria evidentemente perplessa, le mani sui fianchi.
“A volte sembra quasi che tu non mi conosca”, scosse il capo con aria stoica, Sebastian. “Ho mentito al telefono: mi servi”.
“E perché non-”. Non finì la domanda: un lampo di comprensione ne fece sgranare gli occhi. “Oh, no!”, lo additò con aria sconvolta. “Di qualunque cosa si tratti, la risposta è no: ti saluto, andrò a correre da solo”.
Sollevò gli occhi al cielo, Sebastian: “Aspetta di sentire il mio piano geniale, almeno”, indicò il loft alle loro spalle.
“E' un covo segreto di disadattati a cui chiederai di occuparsi di Blaine, in cambio di soldi per le anfetamine? Perché non posso farmi espellere per aver rubato dalla farmacia universitaria per i tuoi intenti”.
Simulò un'espressione shockata, Sebastian. Però, in ultima istanza, correggere il caffè di quello schifoso barboncino umano con un cocktail di medicinali non era un'idea da scartare a priori.
Scosse il capo. Troppo banale.
“No, idiota, è la casa dei due piccioncini, ma al momento ci vive solo Mezza SegAnderson”.
Incrociò le braccia al petto, Hunter Clarington, l'aria di chi già si stava pentendo di aver risposto al telefono quel mattino. O di non aver cambiato numero, domicilio ed identità. “E me lo stai dicendo perché...?”. Lo fissò con aria clinica, già immaginando nefaste conseguenze.
“Che ne diresti di dare un'occhiatina in giro?”, domandò con un sorriso accattivante. “Scommetto che ha un cassetto di stupidi papillon”.
Il cipiglio sulla fronte del barista parve persino più esteso. “Il feticismo è un nuovo sintomo della tua dipendenza dall'alcool? Preferisco quando vaneggi, la maggior parte delle volte almeno”, le sue labbra si contorsero al ricordo dell'ultima storica sbronza che aveva ridotto ai minimi storici le sue possibilità di successo con la nuova ballerina del Penguin Pub.
“Quante storie, voglio solo controllare che non abbia altri amanti”, sospirò Sebastian, improvvisando uno sguardo più contrito e preoccupato, persino concentrandosi affinché il suo sguardo apparisse più lucido.
Sollevò gli occhi al cielo, Hunter: “Stai davvero cercando di far passare la tua idea per qualcosa di normale?”, gli chiese con aria evidentemente esasperata per la sua cinica e distorta visione del mondo e delle relazioni sociali. Dimostrando, inoltre, di conoscerlo abbastanza da sapere che non si sarebbe lasciato andare alla commozione di fronte a lui.
“Bene, resta qui fuori: Mezza SegAnderson è a lezione, se lo vedi, fammi uno squillo”.
“Sebastian”, si avvicinò all'altro con aria sgomenta, quando realizzò che stava davvero per entrare nel locale. “E' un'effrazione!”, sibilò, guardandosi nervosamente attorno.
“Tecnicamente no”, mostrò le chiavi con un sorriso soddisfatto. “L'agente immobiliare crede che io sia il fidanzato. Davvero una bella idea quella di accompagnare Kurt a visitare gli appartamenti. Mi è bastato inventare uno scippo tragico della mia valigia, mentre il mio fidanzato è all'estero”.
Sembrò senza parole, Hunter, suo malgrado colpito dalla lucidità del piano. Ma ancora non convinto, le sopracciglia inarcate: “Cosa mi nascondi? Anzi, no, non voglio saperlo”, sollevò le mani con aria pragmatica. “Se ci arresteranno, sembrerò meno colpevole, se non so davvero nulla”.
Sollevò gli occhi al cielo, Sebastian: “Bene, buona guardia. Fai un po' di stretching: sarai più credibile”. Si volse, insinuando la chiave nella toppa.
Gemette, il barista, le mani tra i capelli.
“Sebastian!”, boccheggiò. “Non lo starai facendo seriamente?!”.
Lo ignorò, un'occhiata casuale in giro e schiuse la porta per inoltrarsi con aria tranquilla e sinceramente incuriosita all'interno del loft.

~

Maledettissimo Sebastian.
Come aveva potuto essere così incredibilmente stupido e ingenuo? Avrebbe dovuto capire, fin dall'intonazione troppo gagliarda di quel mattino, che stava tramando qualcosa.
Soltanto in caso di promessa di un rave party con tanto d’orge come premio, sarebbe stato capace di proporgli coscientemente qualche ora di jogging.
Fissò la porta chiusa con la fronte imperlata di sudore, per poi guardarsi nervosamente attorno: persino i cani che passeggiavano con i loro padroni sembravano fiutarlo con aria circospetta, evidentemente riconoscendo un odore estraneo. O forse riuscivano a percepire la paura di essere colto sul fatto?
Forse dopotutto fare qualche esercizio di riscaldamento poteva essere una buona idea. Un modo di apparire perfettamente normale e poter distendere i nervi, nell'attesa che quell'idiota mostrasse nuovamente la faccia.
Decisamente molto meglio, constatò tra sé e sé, già sentendo i benefici di qualche esercizio.
Nessuno avrebbe sospettato di un amante dello jogging. Non che ciò giustificasse quello stronzo.
Gettò un'occhiata speranzosa alla porta d'ingresso e si apprestò ad allungarsi con il busto verso le punte dei piedi.
Quasi trasalì, quando scorse un viso femminile a pochi centimetri di distanza, mentre in ginocchio recuperava il suo mazzo di chiavi, reso incredibilmente pesante dalle chincaglierie con cui era stato ornato.
“Brittany!”, esclamò, la voce strozzata prima di prendere un respiro profondo. Inclinò il viso di un lato, improvvisando la sua migliore espressione flirtante, dopo essersi rimesso in posizione eretta. Si schiarì la gola così che la sua voce apparisse più profonda e suadente. “Ciao, che bella sorpresa”.
Aveva creduto che il tempo gli avrebbe fatto smarrire rapidamente il ricordo di quel bel paio di gambe, quegli occhioni azzurri e quell'espressione infantile. Ormai rassegnato alla pessima reputazione che si era costruito per grazia di Sebastian, aveva accettato quasi con sollievo il licenziamento del mese precedente, per aver abbandonato il suo posto di lavoro per riaccompagnare l'ubriacone a casa. Aveva quindi lasciato l'incarico a Stillman che era stato coinvolto in una rissa da bar (ancora era da chiarirsi come fosse accaduto, considerando la sua esile stazza, rispetto a quella del buttafuori intervenuto in sua difesa) che aveva causato non pochi danni al locale e fatto infuriare il proprietario. Non avendolo mai avuto in particolare simpatia (come non aveva mancato di dirgli esplicitamente) lo aveva identificato come responsabile principale e accusato di negligenza.
Fino a quando una buona parte dello staff (doveva ancora capire che cosa stesse tramando Santana Lopez le cui espressioni erano diaboliche quanto quelle di Sebastian) non aveva protestato e preteso la sua riassunzione, minacciando persino rassegnazioni di dimissioni collettive. Il suo cuore si era fermato in petto, quando la latina aveva commentato che anche la biondina si era risentita della sua mancanza e dell'assenza degli ombrellini rosa che le elargiva generosamente nei suoi frullati di fragola.
Ancora più soddisfacente era stato vederla venirgli incontro e saltargli al collo al suo ritorno dietro il bancone, prima che Sebastian palesasse la sua presenza, mandando alle ortiche ogni possibilità di nuovo approccio. Tanto più che la giovane si premuniva di allontanarsi, alla vista di Ciuffo Disney, con aria complice.
Anche Brittany sembrava lieta di quel fortuito incontro e soltanto in quel momento notò l'abnorme felino che teneva sollevato e che socchiudeva pigramente gli occhi al tocco della sua mano. Aveva un'aria parecchio imbronciata e si domandò distrattamente come riuscisse a tenere tra le braccia qualcosa il cui peso sembrava superare la metà del proprio.
“Ciao, Hunter”, ne ricambiò il sorriso e ne baciò affettuosamente la guancia (e il cervello del ragazzo si spense per un lungo istante) per poi sgranare gli occhi azzurri con aria sorpresa. “Abiti qua?”, indicò il loft alle sue spalle.
“Eh? Oh, no, no”, si affrettò a distogliere lo sguardo dalla porta, quasi timoroso che il solo osservarla potesse compromettere il suo alibi. “Sto aspettando Sebastian, ci siamo dati appuntamento qui”.
“Oh”, sorrise persino più allegramente. “Certo, andate a fare una passeggiata romantica?”, chiese con tono più complice, ammiccandogli con aria confidenziale.
Sbatté le palpebre, Hunter, sentendo uno sgradevole calore salirgli lungo il volto ed ebbe la conferma che la giovane era ancora seriamente convinta che avesse stretto una relazione con l'altro ragazzo.
Scosse il capo e si grattò la nuca, quasi a stimolare le sue sinapsi per trovare una valida giustificazione.
Sorrise con aria impacciata. “Temo che ci sia stato un equivoco”, esordì con la stessa cautela con cui avrebbe illustrato alla professoressa più intransigente tutti i meccanismi alla base dell'omeostasi, per dimostrarle una buona preparazione in merito.
“Siete una bellissima coppia”, cantilenò ancora, Brittany, senza neppure ascoltarlo.
“Io non sono gay!”, si sentì dire con voce strozzata. “E poi Sebastian è innamorato di qualcun altro, te lo assicuro”.
“Oh”, lo scrutò con aria mortificata e Hunter notò come esprimeva le sue emozioni con una semplice sillaba, accompagnandola ad un'espressione di compiacimento o di rammarico, a seconda del contesto. “Mi dispiace molto”, e lo sembrava realmente, elemento che rendeva quella bizzarra conversazione ancora più esasperante. “Ma sono sicura che anche tu troverai qualcuno”.
Difficile capire se si stesse riferendo ad un uomo o una donna, ma probabilmente non era il momento consono per indagare. Avrebbe soltanto dovuto evitare Sebastian nel prossimo secolo, il più possibile in sua presenza. Meglio svicolare.
“E tu?”, le domandò con un sorriso. “Abiti da queste parti?”.
“No, no”, scosse il capo, facendo ondeggiare i capelli sciolti. “Devo portare il mio gatto dal veterinario: saluta Lord Tubbington”.
Aveva allungato la mano verso il micione per poi ritrarla con uno scatto fulmineo, quando quest'ultimo soffiò minacciosamente e sguainò gli artigli dove pochi secondi prima vi era il suo volto proteso.
Trasalì, Brittany, che prese a cullarlo come una madre con un bambino in preda ai capricci dopo il risveglio. “Scusalo”, gli rivolse uno sguardo contrito. “E' sempre nervoso, quando inizia la nuova dieta, specie da quando ha smesso di fumare”, aggiunse in un sussurro, quasi preoccupata che il gatto potesse capire che stavano parlando di lui. E in termini poco lusinghieri.
Sbatté le palpebre, Hunter, indeciso se ridere di fronte a quella battuta (?), per poi optare per una dignitosa accondiscendenza. “Certo, non è facile liberarsi dei vizi”, roteò gli occhi pensando a qualcun altro.
“Non fare l'antipatico”, si rivolse di nuovo al micio. “Hunter è sempre gentile con me, te l'ho detto”.
“Gli hai parlato di me?”, si vergognò lui stesso di quel tono speranzoso e dovette ringraziare che Sebastian e Santana Lopez non fossero a tiro d'orecchio. Si schiarì la gola, improvvisando nuovamente quel sorriso più sicuro di sé. “Sono lusingato”.
“Oh, io gli parlo sempre di tutti, specialmente i miei amici”, sembrò sminuire con uno scrollo di spalle, neppure rendendosi conto di quanto quella precisazione potesse risultare offensiva. Con un'ingenuità che ben si combinava alla sincerità sfacciata di un bambino e a quei lineamenti angelici.
Friendzonato. Di nuovo. E in modo anche pesante.
“Spero non sia geloso, quando esci con qualcuno”, si sentì dire, cercando di trarre vantaggio da quello spirito d’iniziativa. “Magari potremmo-”.
“Ha già perso due etti, ti faccio vedere le foto dello scorso mese: secondo il veterinario sarebbe dovuto morire almeno tre anni fa”, spiegò in tono allegro.
“Ti dispiace tenerlo un attimo?”, gli mise il gatto tra le braccia, prima che potesse sbattere le palpebre e prese a cercare convulsamente il telefono. “Ma dove l'ho messo?”.
Osservò il felino che aveva gonfiato il pelo e ne schivò per un soffio l'ennesimo attacco, tenendolo ad una distanza di sicurezza dal volto, mentre Brittany continuava a cercare.
Sorrise con aria trionfante nell'estrarre un mini-album che cominciò a sfogliare, compiacendosi di fotografie nel quale il gatto alternava un'espressione stizzita (somigliava ad una versione tigrata del famigerato grumphy cat) ad una da suicida, specie in quella nella quale sembrava rimirare mestamente il paesaggio, appoggiato alla finestra della camera.2 In pochi istanti, si ritrovò completamente sommerso nel fiume di parole che la ragazza lasciò sgorgare nel raccontare l'ennesimo aneddoto, il tutto mentre era costretto ad evitare gli artigli e alternare sorrisi e frequenti cenni con il capo perché capisse che la stava ascoltando.
Distolse appena lo sguardo, quando scorse una figura familiare e le labbra si contrassero in una smorfia incredula, mentre il suo respiro rallentava e il puro panico n’annebbiava la mente.
La sagoma che aveva scorto in lontananza stava assumendo una fisionomia sempre più familiare e fu con sgomento che si accorse che si trattava proprio dell'ultima persona che avrebbe voluto scorgere in quel momento (e considerando la pessima performance da corteggiatore ancora miserabilmente in atto, era tutto un dire).
“Oh, no”, gemette con aria sofferta.
“Infatti!”, annuì Brittany, sorridendogli con aria compiaciuta. “E' quello che ho detto anche io: non potevo credere che il mio Tubby avesse-”.
Il suo cicalare si spense in un angolo remoto della sua mente, quando i lineamenti di Blaine Anderson parvero più nitidi. La stessa espressione allegra che esibiva nella fotografia che aveva visto nel loft di Sebastian e di Kurt.
Sebastian che era ancora chiuso nella casa alle loro spalle a fare chissà cosa.
Avrebbe voluto estrarre il cellulare per contattarlo, un peccato che quel gatto malefico gli avesse appena piantato le unghie nell'avambraccio, cercando di scorticarlo, probabilmente premunendosi di rintracciare una vena con accuratezza chirurgica.
“Ed ecco la mia foto preferita!”, esultò Brittany, allungando l'album l'ennesima volta verso il suo volto.
“Brittany”, gemette e cercò di ricacciare le lacrime di dolore, tendendole il gatto che si abbarbicò sulla spalla della padrona con un miagolio placido. “Scusami ma adesso non ho davvero tempo”, sancì con tono deciso.
Friendzonamenti a parte, Brittany Pierce doveva cominciare a vedere in lui una persona degna di rispetto e non soltanto un comune conoscente, utile per qualche drink con ombrellino rosa annesso o un amante dei gatti a cui raccontare la biografia del proprio adorato piccolo mostro.
Se ne pentì subito dopo. Sembrò averla schiaffeggiata: la giovane boccheggiò, gli occhi azzurri erano sgranati, persino lucidi per la mortificazione e il viso pallido.
L'attimo dopo serrò le labbra in un'espressione che fin troppo spesso Hunter aveva colto sul viso di una donna, seppur, in questo caso, il broncio aveva molto di teatralmente infantile.
“Scusa se ti ho disturbato”, pronunciò con voce insolitamente seria e formale che tanto stonava con il suo timbro naturale, molto più tintinnante e vezzoso.3 “Lo capisco, sai, quando non sono gradita”.
Sentì il cuore fermarsi, Hunter e la mascella rischiò di slogarsi per come schiuse la bocca con aria incredula. Deglutì a fatica. “Non è assolutamente così, Brittany”, annaspò, cercando di trattenerla. “Anzi, è da quando sei venuta a lavorare che-”.
“Credevo fossi diverso!”, lo additò con aria altrettanto grave, la voce che diveniva più stridula e autoritaria.
Un ultimo sguardo tra il deluso, il risentito e l'offeso e si volse, prendendo a camminare impettita (malgrado il tacco le si fosse impigliato in un tombino e avesse dovuto strattonare la gamba per liberarsi), la borsa che le pendeva di un fianco. E il felino che pareva osservarlo, da sopra la sua spalla, con aria soddisfatta.
Merda.

~

Aveva lasciato che lo sguardo verde vagasse sugli arredi e fu facile riconoscere l'orrido gusto di Kurt: dai colori in tinta unita per le tende, di una sfumatura pastello non troppo invadente, fino alla proverbiale e pessima scelta delle suppellettili (dai quadri appesi alle pareti fino alla lampada dalla forma non ben identificata sulla scrivania).
Era come entrare in un reparto della mente di Kurt che gli era stato volontariamente precluso. Un pensiero che gli fece aggrottare le sopracciglia, ma si costrinse a riscuotersi.
Aveva dedicato un'occhiata distratta alla cucina e aveva presto abbandonato il salotto: tutte le foto che lo ritraevano con Blaine (persino dell'Accademia che avevano frequentato insieme, il luogo dove si erano conosciuti) gli avevano solo fatto accrescere l'insofferenza.
Nulla di rilevante. Non vi erano molti oggetti di Kurt e ciò lo fece rilassare: dopotutto il centro della sua quotidianità era il loro loft. In quell'ambiente sembrava essere solo un ospite arredatore.
Scrutò il letto a baldacchino con le sopracciglia inarcate: un'altra romantica fantasia di Kurt, probabilmente indotta dai film in costume per cui aveva una (non tanto) segreta passione. Tanto per non pensare alle notti in cui si coricavano insieme in quella stanza, si avvicinò al comodino accanto al letto e ne aprì i cassetti.
Emise un verso gutturale tra il divertito e l'esasperato, quando scorse un intero reparto dedicato ai papillon. Sollevò gli occhi al cielo, prendendone alcuni con aria disgustata, fino a quando non scorse un cofanetto blu che gli fece fermare il cuore in petto.
Lo sollevò e, con un gesto brusco, lo schiuse a rivelare l'anello nuziale.
Aggrottò le sopracciglia, quasi deluso: un banale striscia dorata. Lo sollevò per rimirarne l'incisione: courage.
“Bel coraggio a sposarti, Mezza SegAnderson”, commentò tra sé e sé.
Studiò ancora l'anello, le sopracciglia aggrottate di fronte all'ulteriore prova che, pur avendo avuto una relazione per anni, non lo conoscesse davvero. Non in ciò che era davvero importante.


La vista del temporale lo aveva scoraggiato dall'uscire quel Venerdì sera. Aveva scrutato la finestra con un cipiglio stizzito, soprattutto quando, per l'ennesima volta, la corrente saltò.
Sbuffò, camminando a tentoni per raggiungere il corridoio: avrebbe dovuto premunirsi di avere il cellulare in tasca per farsi luce con il display.
Temo che sia un blackout”, convenne Kurt con insolito tono tranquillo per chi era capace di strillare alla vista di un ragno più grande di un granello di polvere.
Al contrario, sembrava quasi compiaciuto, alla luce del lume che teneva in mano e soltanto allora Sebastian notò che si era già preparato il giaciglio sul divano e aveva disposto delle candele dall'essenza di vaniglia sul tavolino di legno. Evidentemente si era organizzato per un'eventuale serata senza luce elettrica.
Inarcò le sopracciglia, Sebastian, un sorriso suadente: “Se stai pensando di allestire un set da film porno, potrei lasciarmi tentare”, commentò con uno schiocco di lingua sul palato.
Sollevò gli occhi al cielo, Kurt: “Ti piacerebbe”.
Vuoi sentirmelo dire in modo esplicito?”, gli chiese alle sue spalle.
Sorrise quando lo sentì trasalire e la pelle della nuca sembrò intirizzirsi alla pressione del suo respiro. Era tentato di indugiare su quella porzione di cute e poi spostarsi sul collo, magari togliendogli quel foulard con cui si ostinava a coprirsi.
Io sto organizzando la mia serata dei ricordi: vino, lasagne, album fotografici e coperta”, spiegò Kurt con aria compiaciuta di sé e della propria organizzazione impeccabile.
Perché ogni cosa che ti riguarda fa tanto cliché gay o donna in sindrome pre-mestruale?”, chiese con aria divertita.
Ti sto guardando male perché tu lo sappia”, fu la polemica risposta.
Si era diretto in cucina e Sebastian, le mani conficcate nelle tasche dei pantaloni, si avvicinò al divano. Aveva pensato di sbirciare tra qualcuno di quegli album, prima che tornasse, ma quando ne sentì i passi, si affrettò ad accomodarsi, le braccia strette al petto.
Lasagne e vino: potrei accontentarmi”, pronunciò con l'aria di chi gli stava concedendo l'enorme privilegio della sua compagnia, persino in modo spontaneo.
Sorrise con aria soddisfatta, Kurt: “Lo immaginavo”. Si era seduto al suo fianco, appoggiando la coperta sulle gambe e aveva aperto il primo album: non c'era voluto molto perché Sebastian gli si avvicinasse e non soltanto per godere lui stesso del tepore della coperta.
Tra bocconi, sorsi di vino, avevano cominciato a sfogliare i libricini e Sebastian si era dimostrato non poco divertito alla sua versione più paffuta e con il taglio a caschetto e la frangetta sulla fronte.
Grazie pubertà”, sospirò Kurt, ma Sebastian scrutò a lungo la fotografia.
Un vago sorriso sul volto, dopo una lunga contemplazione silenziosa.“Non eri così male”.
L'espressione così poco sicura di sé e più infantile ne sottolineava la purezza e la sincerità dei sentimenti. Appariva più fragile, inesperto, ma non per questo meno appetibile ai suoi occhi, nonostante il fondoschiena non avesse ancora quella fisionomia tanto lodata. E nonostante quel taglio non ne valorizzasse il viso diafano, tanto meno i lineamenti elfici ma meno fini e cesellati di come apparissero attualmente. Nonostante la frangetta ne nascondesse l'incredibile colore delle iridi. Ma riusciva ancora a scorgere il Kurt con cui aveva iniziato quella convivenza e una parte di sé non poté non domandarsi come sarebbe stato conoscerlo allora, prima di Blaine. Essere il primo ad entrare nella sua vita.
Sentì lo sguardo del giovane addosso, le sopracciglia inarcate: “Tutto qua? Nessuna battuta perfida o ricatto?”.
Sogghignò, ma si strinse nelle spalle. “Sono di buon umore, anche se il tuo culo adesso è molto più sodo”.
Kurt borbottò qualcosa, evidentemente cercando di nascondere l'imbarazzo
Fu lieto che avesse omesso le fotografie del liceo con Blaine, ma si divertì a scorgere il bambino che indossava camicie di seta, foulard e improvvisava un the all'aperto. Rise dell'espressione del padre di Kurt. “Doveva amarti molto”.
Non voleva che sentissi troppo la mancanza di mia madre: era lei che giocava con me”, spiegò e notò come la voce apparisse attutita. Come se tuttora soffrisse di quel distacco che ne aveva turbato l'infanzia, probabilmente costringendolo a maturare anzitempo e dover contare sulle proprie forze.
Ne contemplò le foto, Sebastian, con un sorriso sincero: riusciva a scorgere lo stesso sguardo del ragazzo che aveva di fronte, il candore della sua pelle, nonché la delicatezza dei lineamenti. “Era bellissima”, disse senza alcuna esitazione.
Sorrise, Kurt, fiero di quel commento: “Secondo mio padre ne sono l'essenza”.
Solitamente non si sarebbe lasciato sfuggire quell'occasione per una battuta che ne rimarcasse il suo lato femmineo. Ma non in quel momento: non credeva di averlo mai sentito così disposto ad aprirsi a qualche confidenza così intima.
Sembravano molto diversi i tuoi”, indicò la fotografia del loro matrimonio.
Annuì, Kurt, il sorriso intenerito “Lo erano: lei elegante e sognatrice, lui burbero e grossolano, ma erano anime gemelle. Mia madre sognava un incontro da film e di certo non avrebbe mai immaginato di sposare il meccanico apprendista che le aveva riparato l'auto”.
Sfogliò le fotografie della celebrazione, fino al primo piano dell'anello nuziale: una banda in oro bianco con un delicato bocciolo al centro di un bell'azzurro intenso.
Ho sempre amato il suo anello”, sospirò, Kurt, con aria sognante. “Mio padre aveva messo da parte i risparmi per anni perché fosse perfetto: voleva che gli ricordasse i suoi occhi. Lo zaffiro rappresenta la purezza e la fedeltà e sembrava adatto a lei”.
E a te, fu il pensiero inconscio di Sebastian. Si era sorpreso di quella spontaneità d'associazione per poi dirsi che fosse naturale, poiché tutti scorgevano in lui l'essenza della donna, come aveva detto lui stesso pochi istanti prima.
Lo lasciò parlare a lungo, ma quando finirono di conversare, il temporale sembrava divenuto un piacevole sottofondo. Lo aveva avvolto nella coperta, Kurt, e Sebastian aveva sorriso impercettibilmente, alludendo scherzosamente ad un tentativo di sedurlo.
Ma fu lui ad osservarlo cadere nel sonno, il capo appoggiato contro la propria spalla. Lo attirò maggiormente a sé, facendo meglio scivolare la coperta su entrambi, cedendo presto al torpore, cullato dal suo calore e dal profumo di vaniglia.


Si riscosse alla vibrazione del proprio cellulare e si affrettò ad estrarlo dalla tasca: vi era un messaggio da parte di Hunter.

[SMS] [ (Sfig)Hunter]
Esci subito, sta tornando!!

Osservò il cofanetto e decise in un battito di ciglia.


~


Si era costretto a mettere da parte il pensiero della biondina (facilitato dal fatto che fosse completamente scomparsa dalla sua vista, senza mai voltarsi) e osservò il proprio cellulare con ansia crescente, aspettando una qualche risposta e sperando che Sebastian fosse abbastanza abile da trovare un'uscita secondaria. Era tuttavia evidente che avrebbe dovuto temporeggiare e cercare di allontanare il proprietario del loft il più a lungo possibile.
Maledetto Sebastian, perché mi trovo sempre nel mezzo? Non vale la pena rischiare la galera per scrivere una tesi sperimentale sulla sua dipendenza dall'alcol.
Cercò di riflettere rapidamente e, all'avvicinarsi di Blaine Anderson, gli si parò di fronte per evitare che procedesse, assumendo un'aria austera e seria, facilitato (e compiaciuto) dalla differenza d'altezza.
“Blaine Anderson, giusto?”, lo chiamò con aria professionale.
“Sì?”, rispose il giovane, guardandolo curiosamente, le sopracciglia inarcate, mentre giocherellava con il proprio mazzo di chiavi.
“Lei abita nel loft alle mie spalle, vero?”.
Aggrottò le sopracciglia, Blaine, ma annuì. “Lei chi è?”.
Si schiarì la gola, Hunter, mentre un'idea prendeva forma nella sua mente, sorprendendosi lui stesso di essere riuscito a restare lucido.
“Sono un impiegato della ditta del gas: ho ricevuto l'ordine di far evacuare la zona. Dovremmo fare un controllo in seguito ad una segnalazione anonima: molto probabilmente uno scherzo di cattivo gusto”, si affrettò a dire con un sorriso accattivante, “ma non possiamo correre rischi”.
Sbatté le palpebre, Blaine, evidentemente incredulo. “La ringrazio della premura, ma sono sicuro che non ci sia pericolo, non ho riscontrato nessun problema nell'impianto, da quando ci vivo e-”.
Non dovette fingere un'aria di stoica impazienza. Sospirò, Hunter. “Con tutto il rispetto, Signor Anderson, non credo che lei possa definirsi un esperto” gettò una rapida occhiata all'ingresso, quasi aspettandosi che Sebastian uscisse da un momento all'altro.
Ne cinse le spalle con fare cameratesco, cercando di allontanarlo, con un sorriso accattivante: dopotutto se era vero che secondo Sebastian aveva un fascino equivoco per il proprio sesso, tanto valeva approfittarne in una situazione d'emergenza come quella presente.
“Mi rendo conto che si tratta di un increscioso disturbo e mi dispiace molto: le assicuro che io e il mio collega saremo molto rapidi. Perché nel frattempo non va a fare una passeggiata? Mai fatto il tour in battello fino a Liberty Island?”, continuò con un sorriso amichevole.
Sembrava quasi persuaso, Blaine (o probabilmente si stava trastullando di quel contatto ravvicinato: oddio, lo stava davvero pensando?), ma fu alla vista della sua vicina, che usciva dalla propria abitazione senza alcuna evidente preoccupazione, che lo fissò con aria accigliata.
Si scostò, le braccia incrociate al petto, quasi a volerlo fronteggiare con evidente stizza, malgrado fosse l'altro a torreggiarlo. “Credevo che l'esperto”, sottolineò con voce ironica, “dovesse far evacuare l'intera zona”.
Continuò a sorridere, Hunter, ignorando la dolorosa contrazione della mandibola: “La signora sta giusto lasciando l'edificio”, rispose in tono serafico. “Le ho concesso di entrare soltanto per prendere-”.
“Quel ragazzo è appena entrato!”, additò un'altra casa sulla stessa fila.
“Signor Anderson”, assunse un'espressione di stoico rimprovero, senza neppure voltarsi, ma incrociando le braccia al petto. “Lei sta compromettendo il mio lavoro”.
“Quale impiegato non si presenta con la sua uniforme?”, indicò i suoi pantaloncini corti con espressione sdegnata. “E non vedo alcun furgone della fantomatica ditta del gas”.
Strinse i pugni, Hunter, tentato di imitare la classica reazione di un film d'azione nel momento in cui l'infiltrato si vede vicino all'essere colto sul fatto. Sarebbe stato più semplice colpirlo con un pugno per tramortirlo (dopotutto l'aggressione sarebbe stata una buona aggiunta all'accusa di complicità nella violazione di domicilio e qualunque altro reato si stesse consumando tra quelle mura ad opera di Sebastian) e poi darsela a gambe e magari cambiare davvero città e identità. Dovette trattenersi, seppur il pulsare della vena sulla tempia cominciasse a rivelarle l'evidente stizza.
“Le sto solo chiedendo di tornare tra cinque minuti”, si schiarì la voce con tono mortalmente pacato. “Mi lasci fare il mio lavoro”.
“Bene”, lasciò cadere le braccia sui fianchi, Blaine. “Attenderò”, gli sorrise con la stessa aria ironica, restando immobile di fronte a lui.
Si passò una mano tra i capelli, Hunter, asciugando anche il sudore freddo che ne imperlava la fronte. “Quale sillaba del verbo « evacuare » le risulta incomprensibile?”.
“Per quale ditta ha detto di lavorare?”, chiese in risposta, Blaine, estraendo il cellulare con aria minacciosa.
Per la prima volta, Hunter Clarington, sentì l'occhio pulsare per quel tic nervoso di cui era affetto nei momenti di particolare stress (che coincidevano comunemente con la presenza di Sebastian nel locale), ma l'incombenza di trovare una risposta gli fu risparmiata dalla vibrazione del cellulare.

[SMS] [Sebastard]
Sono uscito dal retro. Smettila di improvvisare, cazzone.

Maledetto bastardo, ringhiò tra sé e sé nel vedere l'epiteto, ma non era mai stato così lieto di ricevere una sua notizia. O di saperlo vivo.
“Molto bene”, lasciò cadere le braccia lungo i fianchi. “Sa cosa le dico?”, si rivolse a Blaine, additandolo con aria di sfida. “Rientri pure nella sua bellissima casa: le auguro una splendida giornata e se dovesse bruciare per una perdita di gas nel vicinato, non chiami la mia ditta e non dica che non l'avevo avvertita”, concluse con voce corrotta dalla rabbia, quasi isterica.
Ignorando lo sguardo interdetto e sbigottito del moretto (probabilmente domandandosi se non dovesse rivolgersi alla polizia) si affrettò ad allontanarsi, sollevando il cappuccio della felpa che aveva indossato, nella speranza che il suo volto non fosse visibile a troppe persone.
Contrasse la mascella nello scorgere Sebastian appoggiato ad un albero, la sigaretta accesa e il sorriso suadente, indicando la strada da cui si era appena allontanato.
“Impiegato del gas?”, lo apostrofò con evidente ironia.
Lo ignorò, deciso ad andarsene prima che quel formicolio alle mani diventasse irresistibile e non si volse neppure quando cominciò a camminare al suo fianco.
“Ho trovato il cassetto dei papillon”, lo informò con voce intrisa d’evidente divertimento e soddisfazione.
“Fantastico”, ringhiò in risposta.
“E non solo quello”, giocherellò con il cofanetto e fu allora che Hunter ruppe il suo dignitoso sciopero della comunicazione.
Sgranò gli occhi e boccheggiò. “Sei impazzito?!”, pronunciò con voce stridula, premunendosi di abbassare la voce. “Avevi detto che avresti solo curiosato”, additò la scatolina come se si fosse trattato di un ordigno esplosivo che l'altro stava maneggiando con troppa superficialità.
“Non era premeditato”, gli concesse Sebastian, scrollando le spalle. “Ma sono un mago dell'improvvisazione”.
“IO MI SONO ESPOSTO!”, gridò Hunter con voce quasi rauca per lo sforzo eccessivo di parlare con una tonalità più alta del suo naturale timbro. “Chi pensi che sarà il primo sospettato, quando si accorgerà che è scomparso?!”.
“Rilassati e prendi un bel respiro”, gli suggerì con aria clinica, sollevando le mani. “Non ci sono segni d’effrazione e non ha motivo di rimirare il suo anello ogni sera”, scrollò le spalle. “E riguardo alla tua pessima improvvisazione avrà pensato che tu fossi un gay disperato che ha usato una scusa banale per abbordare. Basterà che m’inventi qualcosa e lo dica a Kurt: con ogni probabilità gli racconta anche il numero di volte in cui è in bagno”, aggiunse roteando gli occhi.
“E se si rivolgesse all'agenzia immobiliare?!”, lo incalzò l'altro e Sebastian notò come la vena sulla fronte stesse pulsando sempre più rapidamente. “Quanto ci metterebbero a collegare il furto al tuo scambio d’identità?”.
“Perché mai dovrebbe farlo?”, gli chiese Sebastian con irritante tranquillità. “Sa che tutte le pratiche sono state svolte da Kurt e se provasse ad accusarmi per pregiudizio”, lo sottolineò con aria beffarda, “gli dirò che ero a lezione: pagherò qualcuno perché mi copra, semplice”.
“L'agente immobiliare-”.
“Non ha mai visto la Mezza SegAnderson, crede che io sia il ragazzo di Kurt dall'inizio: non c'è nulla di strano nel fatto che le abbia chiesto una copia delle chiavi, dopo averle dato una scusa credibile”, concluse con aria ancora più soddisfatta della sua proverbiale abilità di creare piani controversi ma, in qualche modo, lineari.
Non sembrò trovare altra replica, Hunter, non in quel momento. Nessuna falla evidente, ma non gli concesse di mostrarsi sollevato (e se Blaine avesse avuto qualche strana abitudine feticista di indossare la fede ogni sera o avesse voluto mostrarla a Kurt alla fine di una serata romantica?), ma si limitò a fissarlo con aria risentita.
“Lieto che almeno una persona ci possa credere”, fu la replica asciutta.
Serrò la mascella, Sebastian, non tanto per l'impatto di quella frecciatina il cui livello di perfidia era davvero notevole, quanto la consapevolezza che doveva esserci un motivo radicato per simile astio. “Qual è il tuo problema?”, gli chiese infatti.
Quasi rise istericamente, Hunter e si fermò da quella marcia rapida.
“Fammi pensare”, si portò una mano sul mento con aria fintamente meditabonda. “Sono in bolletta, sono stato rimandato per la terza volta ad un esame, devo lavorare ogni sera per un dittatore che mi sfrutta con la scusa degli straordinari che ho saltato per il mio licenziamento (ancora grazie a proposito, già che c'eri potevi cambiare pub, anziché farmi riassumere!) e in un locale in rovina la cui clientela e staff è convinta che io sia gay e innamorato di te, come se non potessi avere gusti migliori in quel caso”.
“Hey”, borbottò Sebastian in risposta, quasi quel giudizio fosse l'unica parte degna della sua attenzione.
“E tra il personale c'è anche Brittany il cui gatto ha cercato di recidermi l'arteria branchiale: non solo mi ha friendzonato con tanta grazia, ma adesso mi crede anche uno stronzo insensibile che l'ha cacciata in malo modo, giusto per pararti il culo e impedire che Blaine ti scoprisse, mentre rubavi l'anello nuziale!”, continuò Hunter, gesticolando con aria evidentemente agitata e la voce che diveniva sempre più stridula, in corrispondenza dello sgranare gli occhi in maniera folle.
In effetti era quasi divertente vederlo lontano dal bancone del bar e con quella stessa aria da sfigato cronico e disperato di femmine.
Scrollò le spalle, Sebastian, per nulla impressionato. “E tu regalale un pacchetto di colori a cera: il suo cervello pesa quanto le sue tette, si dimenticherà tutto in tre minuti”.
Non parve averlo udito, Hunter, che sembrava adesso ansioso di rigettare tutta la frustrazione e la rabbia accumulate da che aveva conosciuto Sebastian.
“E come se tutto questo non bastasse, quando si accorgerà del furto sarò il primo sospettato. E ti assicuro che se non ci penserà Kurt a collegare le cose, quando mi riconoscerà dalla descrizione, ti trascinerò io nel baratro con me”, ringhiò additandolo.
“Hai finito?”.
“Non so”, proclamò con aria ironica, allargando le braccia. “Se mi gettassi dal ponte di Brooklyn, forse riusciresti ad allontanare Kurt da Blaine per cinque minuti”, continuò con voce ancora più grondante di acidulo sarcasmo.
Sbatté le palpebre, Sebastian, il viso inclinato di un lato e l'espressione vagamente incuriosita. Di una curiosità clinica e scientifica. “Da quanto non fai sesso?”.
Sbatté le palpebre, Hunter, e serrò i pugni, ma parve doversi controllare per non mettergli le mani addosso.
“Cazzo, Sebastian!”, esplose con aria esasperata. “Per una volta nella tua vita, sii uomo”, parve supplicarlo. “E ammetti che tutti questi stratagemmi sono solo una copertura per paura di essere ferito”.
Sollevò gli occhi al cielo, la mascella serrata con aria evidentemente infastidita. Più per quelle ultime parole che per tutto lo sfogo a cui aveva passivamente preso parte.
“Parlerò con Tontittany, ma adesso sta' zitto”, borbottò con voce stizzita. “Mi stai facendo venire l'emicrania”.
“Non si tratta di Brittany o di me o di Blaine”, continuò Hunter che parve tornato in sé, dopo la sfuriata e assunse nuovamente quel tono più composto. “Come se poi te ne importasse qualcosa in quel caso”, aggiunse tra sé e sé con aria polemica, prima di riprendere il filo del discorso più serio.
“Si tratta soltanto di te e del modo in cui pretendi di manipolare le persone e i loro sentimenti. Sai bene che hai una sola possibilità con Kurt e che tu riesca o fallisca a fargli capire cosa provi, dipenderà soltanto da te”.
Serrò la mascella, Sebastian: non era soltanto l'ennesima predica non richiesta, ma il modo in cui riusciva a far sembrare le sue parole dotate di senso, fino a ridicolizzare tutto ciò che stava brillantemente orchestrando. E la cosa peggiore era che una parte di sé, quella costantemente soffocata dall'alcol e dall'ironia, gli dava ragione.
“Esattamente quanto credi che un tuo consiglio possa essere credibile, dopo che persino quella ti ha dato il benservito?”, domandò con un sorriso beffardo.
Sorrise, Hunter, l'aria esasperata e abbassò le mani. Quella risposta ironica fu un evidente segnale che sarebbe stato inutile perseverare in quel folle tentativo di persuaderlo, almeno fino a quando non fosse stato anche solo disposto a considerare l'idea di star sbagliando approccio. O ammetterlo soltanto a sé stesso.
“Libero di continuare ad insultarmi. Io almeno ci provo a buttarmi”, scrollò le spalle, per poi osservare l'orologio e sbuffare. “Devo andare a cambiarmi, ho lezione tra un'ora”, un vago cenno del capo e si allontanò rapidamente, lasciando Sebastian immobile ad osservare il punto da cui era scomparso.
Il cofanetto che teneva nella tasca del soprabito parve improvvisamente pesare come un macigno.

~

Stava ancora imprecando contro SfinterHunter, quando valicò la soglia di casa, ma fu sorpreso nel sentire la familiare voce di Kurt, mentre canticchiava con aria rilassata. Inarcò le sopracciglia, ma si affrettò a riporre il cappotto e nascondere l'anello nel cassetto della biancheria.
Soltanto dopo aver chiuso la porta della propria camera, lo raggiunse in cucina, osservandolo con le mani immerse nell'impasto e il grembiule a coprire la camicia e il foulard abbinato.
“Ciao”, lo accolse con aria allegra.
Continuò ad osservarlo, Sebastian, cercando di non apparire glicemico ai propri occhi nel costatare che, dopo quella notte a Parigi e quell'ultimo periodo surreale, sembrava un sogno vederlo di nuovo cucinare per entrambi. Quasi timoroso che si potesse trattare di un'allucinazione (ma non era neppure ubriaco!) e persino guardingo per timore dell'ennesima delusione.
“Non sapevo che saresti tornato per cena”, commentò con voce asciutta.
“E' stata una decisione improvvisa: mi mancava cucinare”, spiegò Kurt con la stessa allegria.
Suo malgrado un sorriso ne sfiorò le labbra, ma si affrettò a chiedere, con aria sospettosa: “Tutto bene?”.
Inarcò le sopracciglia, Kurt, evidentemente sorpreso della domanda. “Certo”.
Allo sguardo prolungato di Sebastian, parve arrendersi e capitolare.
“Mi sono accorto che in questo mese sono stato quasi sempre assente, non ricordo neppure l'ultima volta che abbiamo cenato insieme”, ammise con tale semplicità e sincerità che l'altro non poté non sorridere nuovamente.
Se quello era un segnale dell'universo, allora avrebbe dovuto far rimangiare al barista tutte le stronzate che gli aveva gettato addosso. Evidentemente quella era la strada giusta, considerò tra sé, mentre uno scintillio compiaciuto ne faceva scintillare le iridi.
“Sapevo di esserti mancato”, sussurrò, quasi stesse affermando che era stato lui, Kurt, a percepire quel vuoto interiore.
“Da morire”, replicò con tono enfatico. “E ora vieni ad aiutarmi: vedremo se questa pizza in casa batterà tutte le schifezze che compri, quando sei solo”, lo incoraggiò con un cenno del mento.
“Che moglie devota”, lo sussurrò al suo orecchio, dopo essersi mosso silenziosamente come un predatore notturno. Sorrise nel sentirlo trasalire, ma si era scostato, Kurt, e dovette simulare indifferenza a quel gesto.
Ma non aveva smesso di sorridere, Kurt, e lo esortò con un cenno del capo: “Vediamo se hai davvero le mani d'oro, ma conoscendoti sarà meglio che tu prima le lavi”.
“Posso mostrartelo”, sorrise Sebastian, ponendole al di sotto del lavello ma senza smettere di osservarlo con aria maliziosa.
“Ora sì che sono intrigato”, fu la sferzante replica.
Sorrise, Sebastian, suo malgrado: “Devo davvero... toccarla?”, indicò l'ammasso informe che sembrava in attesa di essere maneggiato.
Curioso come la sola presenza di Kurt e quell'espediente così insolito gli avessero completamente estraniato la mente da pensieri ben più gravosi.
Roteò gli occhi, Kurt: “Non ti accuserà di molestie”.
Sogghignò, ma aveva assunto un'espressione dubbiosa, prima di allungare le mani e immergerle nell'impasto: era qualcosa d’umidiccio e flaccido ma, superata quella prima sensazione di appiccicaticcio, era quasi rilassante rigirarvi le dita e cercare di comporre una forma solida.
“Così”, sentì le mani di Kurt sfiorare le proprie ad aiutarlo, fino a guidarlo nel giusto movimento che coinvolgeva anche il torso, inducendolo a sporgersi verso la propria schiena e sfiorarla. Seppur fosse qualcosa di assolutamente casuale ed innocente, si ritrovò a socchiudere gli occhi, quasi volendo fissare quegli sporadici istanti.
Si era voltato ad osservarlo, oltre la propria spalla, un sorriso beffardo: “Hai una macchia”.
“Dove?!”.
Rise del modo in cui appariva allarmato, ma levò la mano a sfiorarne lo zigomo, lasciandogli una striscia di farina sulla faccia. Ne osservò le gote tingersi di un delicato rossore, prima che sbattesse le palpebre: “Sebastian!”.
“E' un lifting naturale”, replicò e rise del suo tentativo di scostarlo da sé e indietreggiare, fin quando non si ritrovò premuto contro il lavello al cui interno vi erano ancora le stoviglie sporche della colazione e del pranzo.
“Sei mio”, sussurrò con aria minacciosa.
Cercò di non pensare che fosse così semplice pronunciare, ad una maniera così arrogante, quella frase, quando quotidianamente non avrebbe potuto ardire simile pretesa. Cercò di non soffermarsi su quanto fosse meraviglioso poter giocare con lui ad una maniera così sciocca e infantile, quanto persino quelle schermaglie fossero parte di una quotidianità la cui mancanza gli aveva spezzato il fiato.
“Non senza combattere”, precisò l'altro, tastando il bancone alle proprie spalle, cercando la salsa di pomodoro.
“Lo scontro mi eccita sempre”, sussurrò al suo orecchio, indugiando nel ricercarne quel profumo intenso e delicato, quasi desiderò serbarne una traccia, anche in quel momento, che gli fosse sufficiente a sentirlo vicino, anche quando sembrava distante come non mai.
Ma non pareva ascoltarlo, Kurt: lo stava osservando con aria curiosa e concentrata, quasi quegli occhi riuscissero a scavare nel suo inconscio. Più di una volta Sebastian si era domandato se non fossero davvero in grado di percepire i suoi pensieri e se di proposito volesse ignorare le sue reali intenzioni, per restare aggrappato a Blaine.
“Mi sei mancato davvero in questi ultimi mesi”, sussurrò con voce più flebile e l'aria di chi doveva dirlo senza troppo rifletterci, prima che le remore glielo impedissero. Consapevole che lui stesso avesse percepito uno strappo nel loro rapporto e convivenza, da quando gli aveva dato notizia del fidanzamento. Che non si trattava soltanto della spaccatura dopo la vacanza parigina, ma di come la loro quotidianità si fosse trasformata in sporadici incontri nei quali la distanza tra loro non faceva che alimentarsi di parole in sospeso, pensieri segreti e un reciproco lasciare che l'altro si allontanasse. Ma era sorprendente che lo stesse ammettendo con tanta semplicità.
La mano sollevata per disegnare sul suo volto ne ancorò il fianco a trattenerlo, quasi volendo sopperire a parole che non avrebbe pronunciato o non lo avrebbe fatto con la giusta intensità.
Scosse il capo, Sebastian, un sorriso amaro sulle labbra perché ciò che stava per dire, non fosse percepite come un'accusa, ma un mero dato di fatto.
“Non sono io ad essermene andato”.
Parve volergli ricordare la promessa di vivere quegli ultimi mesi di convivenza e di non rinunciare al loro rapporto, neppure di fronte ad un matrimonio che non avrebbe mai accettato.
“Una parte di te, sì”, replicò Kurt con medesima tranquillità e una traccia d’amarezza. “E mi dispiace pensare che sia a causa mia”.
“Tua?”, lo incalzò Sebastian, la voce a tradirne quel rimescolio interiore, ma aveva distolto lo sguardo. Avrebbe dovuto cogliere quel momento per cercare di strappare a Kurt altre verità sopite, per cercare di comprendere ciò che stava loro accadendo in quel momento.
“E di Blaine”, sussurrò Kurt.
Si era irrigidito, Sebastian. “Ti assicuro che Blaine non è nei miei pensieri”.
“Non farlo di nuovo”, sussurrò con aria quasi angosciata che costrinse Sebastian a tornare ad osservarlo in viso, malgrado lo ferisse constatare quanto Blaine fosse presente anche in quel momento, sospeso tra loro.
“Insultarlo?”.
“Non chiudermi fuori”, sembrò pregarlo e quella consapevolezza spezzò il fiato a Sebastian.
Sarebbe bastato un solo attimo e probabilmente avrebbe dovuto smettere di ingannare se stesso e realizzare che qualsiasi istante potesse essere decisivo. Che quello stupido anello non avrebbe potuto fare la differenza, non quanto i sentimenti che premevano per uscire.
“Kurt”, ne cercò il viso, trattenendone lo sguardo e sfiorandone il volto e l'altro parve indifferente all'umidità e alla vischiosità insolite del contatto.
“Sono qui, devi solo parlarmi”, sembrava che fosse Kurt, in quel momento, a doverlo rassicurare, a cercare di fargli comprendere che poteva ancora fidarsi di lui ed esserne un sostegno.
Si domandò se potesse avere la benché minima idea di come quell'invito avrebbe potuto effettivamente cambiare le cose, ma in un modo che, a cinque mesi dal matrimonio, non avrebbe mai contemplato.
Lo sentì affondare contro il suo petto, aggrappandosi alla sua camicia, a dimostrazione di quanto quel bisogno era reciproco e ugualmente sentito.
“Ho bisogno di te: ho bisogno della tua ironia, che tu finga di non ascoltarmi mai, ma sappia esattamente di cosa ho bisogno. Voglio restare con te in questi ultimi mesi, perché so che mi mancheranno da morire”, pronunciò quelle parole con voce sussurrata e melodiosa, come una dolce nenia alla quale abbandonarsi. Come una promessa e una struggente richiesta di perdono. Come un dolce dolore cui non avrebbe rinunciato, in nome di ciò che avevano condiviso in quell'anno.
Sentì la dolorosa contrazione all'altezza del petto, ma rafforzò la pressione del contatto, affondando contro la sua spalla esile, respirandone il profumo e socchiudendo gli occhi.
A prescindere da quanto era accaduto e da quanto sarebbe potuto accadere in futuro, quel momento era soltanto lì per lui e nessuno glielo avrebbe strappato. Non fino a quando non avrebbe rovinato tutto di nuovo.
“Sarai sempre importante per me”, pareva essere sincero nel modo in cui ne sfiorò la gota e lo guardò con gli occhi lucidi e le labbra tremanti.
Non abbastanza, fu il repentino pensiero.
“Sebastian”, sussurrò di nuovo, quasi un silenzioso rimprovero alle parole che non aveva pronunciato, quasi un'ulteriore preghiera per indurlo a lasciarsi andare.
“Mi sei mancato”, sussurrò in risposta prima che le sue labbra si contrassero. “Ma questo non cambia le cose e non lo farà mai”.
Vi era pacata rassegnazione nella propria voce, il tentativo di dissipare le prediche di Hunter, la consapevolezza che non sarebbe mai stato la ragione per cui Kurt sarebbe rimasto.
Si era divincolato, la mano di Kurt ancora salda sulla sua. Sembrava la promessa di ciò che sarebbe accaduto, ciò che non avrebbe potuto evitare, anche desiderandolo con tutto se stesso. Perché provarci allora?
“Sebastian, ti prego”.
Si voltò, un sorriso mesto, ma coprì nuovamente le distanze, tracciando una linea di farina lungo lo zigomo dell'altro, seguendo la scia delle efelidi.
Lo sentì trattenere il fiato e lo vide teso e febbrile.
Ne baciò la gota: “Finiamo la nostra pizza”.
Attimi soltanto loro, si disse, quelli glieli doveva. Almeno quelli sarebbero rimasti nella propria memoria e probabilmente sarebbero stati sufficienti, come ogni tentativo possibile perché non si allontanasse. Non troppo.
Perché non avrebbe saputo mai davvero trattenerlo e quella sarebbe sempre e solo stata una sua colpa.


To be continued...


Buon Venerdì a tutti,
è il primo capitolo che posto dopo la ripresa delle lezioni universitarie e sono felice, da amante delle buone abitudini, di non aver dovuto cambiare il giorno della pubblicazione ;)
E' stato un capitolo un po' sofferto in fase di revisione, soprattutto per la tempistica che ho cambiata rispetto alla bozza iniziale, ma sono riuscita a giungere ad un compromesso con me stessa (e non è stato facile u_u Fate conto che in me c'è un po' di Kurt, un po' di Sebastian e un po' del “dottorino”, quindi potete immaginare le lotte interiori).

Spero che il capitolo vi sia piaciuto, il countdown al matrimonio è sempre più esiguo e credo sia ormai evidente che, sabotaggi più o meno riusciti, la vera lotta di Sebastian è contro se stesso, piuttosto che contro i due piccioncini. Mi rendo conto di quanto può apparire contraddittorio nel suo agire, sempre vicino al momento risolutivo, eppure sempre a ritrarsi. Ma cercherò di delineare nel miglior modo possibile il suo inconscio, a poco a poco, per quanto lui lo conceda, essendo molto meno “kurteggiante” persino con se stesso :)

Ma diamo una sbirciatina al prossimo capitolo:


“Si prospetta un gran bell'anno di merda” “Già, almeno lo scorso Natale non eravamo qui”. “Se stai per rievocare l'ennesimo flashback in bianco e nero su di te e Jenna” […].
“Vuoi smetterla di parlare? Voglio vedere il tuo culo rimbalzare sul ghiaccio” “Sfortunatamente per te, sono un buon pattinatore” “Tanto meglio, mi insegnerai tu”.
“Non so se dovrei lasciarti partire. A meno che al tuo ritorno tu non annunci un altro fidanzamento, o non ti sia trasformato in una Kate, o-”. […]


Come sempre grazie alle meravigliose persone che continuano a seguirmi, è sempre una gioia e un grande piacere leggere i vostri commenti ed osservazioni. Sono sempre disponibile anche per chiarire dubbi o perplessità :)
Non mi resta che augurarvi un buon weekend,
un abbraccio a tutti,
Kiki87



1 Per ascoltare il brano e vederne il testo originale:  qui
2 Mi sono imbattuta per caso in questa foto e non posso non condividerla, mi diverte ed intenerisce insieme e non ho resistito a spacciarlo per il famigerato Lord Tubbington XD gatto
3Quando provo ad immaginare Brittany in simili scene, mi piace associarle un'altra doppiatrice, rispetto a quella di Glee. Gemma Donati, che alcuni di voi conosceranno come doppiatrice di Bernadette di “Bing Bag Theory” o Hannah Marin di Pretty Little Liars. Ma è stata anche la doppiatrice (tra le molte altre cose!) di Ashley Tisdale e di Candace del cartone “Phineas and Ferb”. Adoro le inflessioni diverse con cui arricchisce i personaggi più comici (come Sharpay di HSM o Bernadette) da quella più autoritaria e civettuola, fino al lato più tenero, isterico e puerile :) Per farvi un’idea del tono che sta usando, ecco una piccola clip inserita da una ragazza che ha provato a doppiare Brenda Song, ma la doppiatrice di Ashley è l'originale. Saltate pure al 50° secondo per sentirla arrabbiata, purtroppo non ho trovato di meglio. Gemma Donati doppia Ashley Tisdale
   
 
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