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Autore: VaVa_95    26/09/2014    3 recensioni
Quanto tempo ci vuole per realizzare, disperarsi e accettare la perdita di qualcuno? Chiunque risponderebbe che dipende dall'entità del lutto, e dalla persona che l'ha subito.
Brian invece è di altra opinione. Perché di fatto, per lui ci sono voluti rispettivamente sette giorni, sette mesi e sette anni.
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Synyster Gates, The Rev, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Seven

 
-- seven days --



4 gennaio 2010
Huntington Beach, California



James Owen Sullivan era quel ragazzino un po' più alto della media, dai capelli biondi e gli occhi azzurri. Era la persona che lui detestava di più in tutta la scuola, perché era l'unica che ogni volta che lo vedeva passare lungo i corridoi, o incrociava in mensa o in classe lo guardava dall'alto in basso, come se fosse nulla. Come se una persona come lui a stento meritasse di respirare.
James Owen Sullivan era la disgrazia dei professori, era il ragazzino che era costantemente in presidenza e che, spesso, veniva sospeso per il suo comportamento. 
James Owen Sullivan per lui era solo un estraneo, all'epoca.
Appunto, all'epoca.
Brian pensava che avrebbero fatto bene a rimanere estranei. Aveva desiderato, e per questo motivo si era odiato con tutto sé stesso, che quel giorno lui non avesse risposto all'ennesima provocazione. Aveva desiderato di non avergli tirato un pugno in pieno volto, di non aver cominciato una rissa e di non essere cacciato fuori dalla classe insieme a quel ragazzino impertinente. Aveva desiderato di non finire in punizione con lui quel pomeriggio e, soprattutto, di non ritrovarsi nell'aula di musica insieme a lui.
Perché di fatto, era lì che tutto era cominciato.
Era lì che James Owen Sullivan si era trasformato dalla persona più detestata alla persona più importante della sua vita. E tutto questo era successo in una sola giornata. 
E lì per lì lui si stava odiando.
Si stava odiando perché aveva pensato, anzi, aveva desiderato, di poter tornare indietro e di non rispondere. Di non tirare quel pugno. In quel modo, quel ragazzino sarebbe rimasto solo un estraneo. Probabilmente l'avrebbe odiato per tutto il resto della scuola media, e probabilmente anche per tutta la scuola superiore se sarebbero finiti, come sospettava, alla Huntington Beach High School. Poi avrebbero preso direzioni diverse, e i due si sarebbero persi.
Aveva desiderato tutto quello. E per quel motivo, Brian si odiava.


Erano passati sette giorni.
Jimmy era morto la settimana prima. Così. Senza come né perché. Semplicemente... morto. Puff. Andato.
Brian non era mai stato un tipo religioso. Lui non credeva in una strana entità superiore, non credeva nella vita dopo la morte... quando si moriva, si moriva e basta. Fine della storia.
E il suo Jimmy era morto.
E lui non poteva sopportare niente del genere.
Erano passati sette giorni.
Sette giorni in cui lui era rimasto seduto sul divano, senza muovere un muscolo, in una specie di stato catatonico. Si muoveva ad automastismi, aveva lo sguardo perso nel vuoto, non riusciva a parlare, a mangiare, a dormire. Ma soprattutto, cosa ancor peggiore, non riusciva a piangere.
Jimmy era morto. Avrebbe dovuto piangere, giusto? Invece lui no, non ci riusciva.
Perché di fatto, erano sette giorni in cui lui non provava niente.
Perché Jimmy era morto. E Brian con lui.


Qualche giorno dopo essersi conosciuti Jimmy l'aveva portato a casa sua. Gli aveva presentato i suoi genitori, le sue sorelle, poi l'aveva portato nel garage dove gli aveva mostrato la batteria. Gli aveva spiegato che aveva cominciato a studiare musica suonando il pianoforte, ma che la batteria era uno strumento che lo aveva sempre affascinato. Diceva che era il cuore di una band. Grazie alla batteria si trovava il ritmo per tutto. Era come il battito cardiaco.
Bum bum bum.
Bum bum bum.
Aveva preso in mano le bachette, che in realtà portava sempre in ogni dove, infilate nella tasca posteriore dei pantaloni. Si era seduto dietro la batteria e aveva cominciato a suonare.
Brian avrebbe potuto giurarlo: non aveva mai assistito a niente di simile. Quel ragazzino aveva talento da vendere. Ed era stato lì, se lo ricordava bene, era lì che si era reso conto di aver trovato la sua metà migliore.
E Jimmy aveva capito la stessa cosa.
Era bastato poco, e i due improvvisamente erano diventati inseparabili. La verità era che probabilmente dovevano solo incontrarsi, il resto era scritto già.


A Brian era stato strappato il cuore dal petto. 
Non poteva far altro che descriverla così, la morte del suo Jimmy. Appena aveva appreso, era come se qualcuno gli avesse strappato il cuore dal petto e, non contento, lo avesse calpestato, fino a sfracellarlo completamente. 
Sette giorni. Solo sette giorni.
Brian non mangiava, non dormiva, non piangeva.
Pensava, però. Era l'unica cosa che riusciva a fare. Pensava a tutto quello che aveva vissuto con Jimmy, pensava a tutto quello che avevano fatto insieme. E più esplorava ogni singolo angolo della sua mente, più si rendeva conto che momenti, fatti e luoghi che lui credeva di aver dimenticato in realtà erano tutti lì, nella sua testa. Erano sempre stati lì, semplicemente dovevano essere riportati alla luce.
E allora si era odiato anche in quella occasione. Perché insieme ai ricordi, ritornavano anche i dialoghi, e Brian si era reso conto che avrebbe potuto dire a Jimmy tante, tantissime cose, che in realtà non aveva mai detto, che dava per scontato perché ehi, erano giovani, avevano tutta una vita davanti, c'era tempo.
Già. Così pensava. In fondo, a ventotto anni doveva esserci, il tempo.
Invece no. Per Jimmy non c'era stato.
E lui si era odiato.


Ci era voluto poco, a Jimmy, per capire che Brian doveva essere costantemente seguito, guidato, protetto. Aveva capito che quel ragazzino malinconico aveva, come tutti, una storia. Ma una particolare. Ciò che, in sostanza, quel ragazzo aveva bisogno era qualcuno che era disposto ad ascoltarlo, anche quando diceva cose senza senso, e a capirlo. Aveva bisogno di una persona che lo abbracciasse e portasse via, improvvisamente, tutti i suoi dolori.
Jimmy l'aveva fatto.
Jimmy aveva fatto una promessa.
E, come sempre, l'aveva mantenuta, perché un Sullivan mantiene sempre la parola data. Aveva portato via tutti i suoi dolori.
Tranne uno.
Non poteva portarselo via, quel dolore. Non poteva abbracciarlo, dirgli che andava tutto bene, che lui sarebbe rimasto lì, sempre e comunque. Non poteva farlo ridere con qualche battutina e non poteva sollevarlo di peso dal divano e portarlo nello studio di musica a suonare.
Non poteva, perché era lui la causa di quel dolore.
Perché era morto.



Brian sentì un pizzicore agli occhi, cosa che gli fece sbattere le palpebre con velocità. Era come se una patina fosse calata su di essi, considerando che improvvisamente la vista gli si era appannata.
Aveva un groppo in gola.
Fece un respiro profondo, poi chiuse gli occhi. Quando lì aprì la vista era tornata come prima, perché un liquido lucido e caldo era colato sulle sue guance.
Lacrime.
Stava piangendo. Dopo sette giorni, finalmente, era riuscito a piangere.
Perché Jimmy era morto. E lui l'aveva appena capito.



 
-- seven months --
 


Luglio 2010
Huntington Beach, California


Se c'era una cosa che Jimmy amava di più della musica, quella erano i suoi amici.
O meglio, quattro persone in particolare. "Il mio cuore e la mia anima", li definiva, e lo intendeva davvero.
Con quei quattro amici aveva fondato, nell'ormai lontano 1999, una band. All'inizio era solo per divertimento, pensava che non avrebbe portato a nulla se non a riempire noiosi pomeriggi che altrimenti sarebbero andati completamente sprecati. Ma, più si andava avanti, più si capiva che quel progetto era destinato a ben altro. Il sogno del cassetto di cinque ragazzi barriccati in un garage per la maggior parte della giornata si era trasformato in un vero e proprio progetto da realizzare.
E così si erano rimboccati le maniche. Jimmy era sempre stato il più fiducioso di tutti. Lo sapeva lui, che ce l'avrebbero fatta. Sapeva che un giorno tutto il mondo li avrebbe amati e acclamati. Sapeva che avrebbero fatto sognare milioni di persone con la loro musica. Per questo, quando gli Avenged Sevenfold avevano sfondato, ma sfondato per davvero, lui era stato l'unico a non esserne sorpreso. Senza dubbio, però, rimaneva il più entusiasta di tutti.
Quando era morto avevano appena cominciato a lavorare ad un nuovo album. Brian aveva già tutto il materiale pronto, così come lo avevano Johnny, Zacky e Matt.
Il bassista era il più giovane di tutti, e per la musica, per quella band e per i suoi migliori amici aveva mollato tutto, persino la scuola. Non aveva niente in tasca, nemmeno un diploma. Non gli importava. Jimmy lo aveva chiamato e gli aveva chiesto se voleva entrare a far parte della band, e lui aveva acconsentito.
Il chitarrista ritmico li aveva fondati, gli Avenged Sevenfold. Aveva trovato lui il nome. Si erano messi a tavolino, lui e il batterista, avevano pensato e ripensato e, dopo essersi scervellati per settimane intere, erano riusciti a tirare fuori solo un nome. Era buffa quella storia, la raccontavano spesso: erano entrambi stesi sul pavimento del salotto di casa Sullivan, intenti a guardare il soffitto. Avevano passato l'intero pomeriggio a pensare ad un nome adatto per la band, non riuscendo a risolvere la questione. Così si erano semplicemente lasciati andare, esausti. Jimmy stava sonnecchiando, mentre Zacky stava ancora rimuginando. Pensava, pensava e pensava. Alla fine, preso da quello che sembrava un lampo di genio, si era messo a sedere e aveva strillato "AVENGED SEVENFOLD", facendo non solo spaventare il batterista, ma anche il padre di quest'ultimo, che era sobbalzato e aveva rovesciato il caffè. Si era preso insulti da tutte le parti, ma ne era valsa la pena, perché quello era il loro nome. L'avevano trovato, e allora avevano davvero potuto cominciare.
Il cantante aveva mantenuto sempre i piedi per terra. In fondo, Matt era così, lo era sempre stato. Non era realista come Brian, in fondo nel gruppo ne bastava uno, ma aveva sempre preso in considerazione la possibilità che avrebbero anche potuto non farcela. Per questo motivo era rimasto sorpreso dal vedere quanto la sua band fosse arrivata in alto, in pochissimo tempo. In fondo, dieci anni erano pochi, nel mondo della musica. Erano quasi arrivati alla vetta. Avevano cominciato appena diciottenni in un garage, suonando strumenti malandati. Dieci anni dopo, suonavano nelle grandi arene.
Avevano deciso di prendersi una pausa, circa a metà del 2009. Ne avevano bisogno. O almeno era quello che dicevano tutti gli altri, perché la verità era che loro non erano mai stati più carichi di così. Avevano la musica, avevano migliaia di fan e, soprattutto, avevano la loro amicizia. Che cosa avrebbe mai potuto fermarli?
Quindi, avevano preparato tutto. Avevano già fatto le prime sessioni di registrazione in studio, e avevano tutti dedotto che quell'album sarebbe stato un vero capolavoro. Jimmy aveva messo tutto il suo cuore, in quell'album, ne era soddisfatto al cento per cento.
Poi, la disgrazia.
"Che cosa può mai fermarci?", si chiedevano, scoppiando poi a ridere.
Quello.
Quello poteva fermarli.
E l'aveva fatto.



Poco dopo la morte di Jimmy erano tutti ridotti in uno stato a dir poco pietoso. Una parte della loro persona era completamente scivolata via, e loro erano solo quattro ragazzi con il cuore spezzato. Alla fine però avevano deciso di rimettersi insieme, di provare a rialzarsi, di andare avanti.
Per Jimmy.
Perché lui voleva che quell'album uscisse, voleva che i fan impazzizzero a sentire quelle canzoni, voleva girare ancora una volta tutto il mondo per concerti.
Così si erano rimboccati le maniche.
E, sette mesi dopo la morte di Jimmy, l'album era pronto all'uscita.
Avevano lavorato tanto. Avevano versato tutte le lacrime possibili e immaginabili, ma ce l'avevano fatta.
Si doveva solo partire. Quella volta senza Jimmy.


Quando aveva realizzato che il suo Jimmy se n'era andato e no, non sarebbe più tornato, Brian aveva cominciato a piangere sempre più spesso. All'inizio i ragazzi avevano pensato che fosse un bene, perché doveva sfogarsi in qualche modo. Loro erano lì per lui.
Ce l'avrebbero fatta insieme, come sempre.
Poi si erano resi conto che qualcosa non andava. La situazione aveva cominciato a precipitare in modo drastico.
Brian piangeva. Sempre.
Era come se in quei sette giorni avesse accumulato così tante lacrime da non riuscire più a comandarle. A volte succedeva senza preavviso. Erano tutti insieme, magari senza fare nulla di particolare, magari sonnecchiando. Brian si guardava intorno, realizzando che erano solo in quattro.
E poi scoppiava.
Inevitabilmente, gli altri lo seguivano.
Perché erano quattro ragazzi con il cuore spezzato. Niente di più, niente di meno.


Mike era stata una vera e propria benedizione. Quando avevano cominciato a lavorare al nuovo album, solo e unicamente per il volere di Jimmy, si era presentato subito il problema di trovare un nuovo batterista.
L'idea di avere Mike Portnoy, batterista preferito di Jimmy, nella loro squadra almeno per un po' era parsa una buona idea. E lui non se l'era fatto ripetere due volte, aveva accettato subito. E lui era stato il primo a dare loro un aiuto concreto. Non era tipo di parole dolci e confortanti, ma non era nemmeno la persona che si limitava a porgere le condoglianze, no. Mike era semplicemente Mike, ed era riuscito a far capire loro quanto la musica valesse per una persona come Jimmy.
Era stata la prima persona che li aveva convinti a tornare sulle scene per davvero.
Stavano per iniziare il tour con lui. Sapevano che Mike non era una sistemazione fissa, ma avevano bisogno della sua presenza, almeno ai primi tempi. Salire sul palco senza Jimmy sarebbe stato traumatico per tutti. E lui lo sapeva, per questo non si era fatto troppi problemi: si era limitato ad annuire, dicendo che non dovevano preoccuparsi, che ci avrebbe pensato lui.
E loro si fidavano.


Brian non migliorava, però. Aveva l'umore a terra e non riusciva a sorridere neanche per sbaglio. Non di spontanea volontà, almeno.
I ragazzi lo capivano. Erano i suoi fratelli, lo capivano sempre. Avevano perso tutti quanti una parte di loro, con Jimmy.
E lui aveva perso la sua persona. Perché il batterista non era altro che quello: la sua persona. La sua metà migliore. L'altra faccia della medaglia.
Senza di lui non era completo.
E quindi piangeva. All'inizio non aveva pianto. Persino al funerale aveva trattenuto le lacrime, fino all'ultimo, per poi scoppiare in un pianto dirotto. Ma, a differenza degli altri, ce l'aveva fatta, resistendo fino alla fine. Aveva però scoperto che piangere non era poi una cosa così brutta: lo aiutava a sfogarsi. Quando piangeva si sentiva meglio. Per qualcosa come dieci minuti almeno, poi tornava tutto ad essere uno schifo, e lui tornava apatico, completamente.
Si trovava nel salotto di casa Sanders, insieme a tutti gli altri. Era accoccolato sul divano, seduto poco lontano da Matt e Johnny che giocavano a chissà quale gioco di guerra alla play-station. Zacky li guardava sorridendo, facendo a tratti il tipo. Li osservò tutti quanti, cercando di capire come la perdita di Jimmy li avesse segnati. Non che non lo sapesse, erano i suoi fratelli, lui sapeva esattamente cosa passava loro per la testa. Ma lì per lì aveva deciso di osservare, di esaminare il tutto nel modo più oggettivo possibile.
Johnny aveva superato la morte di Jimmy qualche mese prima. L'aveva accettata. Aveva detto che, secondo lui, era davvero troppo strano per vivere... e certo, troppo raro per morire, ma questo purtroppo a Dio o a chissà chi altro non interessava. Quando quel qualcuno decideva di portare via una persona così preziosa come Jimmy c'era sempre un motivo. "Jimmy aveva finito", aveva detto il bassista. Il problema era che non riusciva a capacitarsi: non riusciva a capire perché. Non era giusto. La morte non era giusta. E non lo era neanche la vita. Non dovevano portargli via uno dei suoi migliori amici. Di recente aveva fatto un tatuaggio sul petto, un enorme Revbat che lo copriva completamente. Aveva detto che era il suo tatuaggio migliore. E lo sarebbe sempre stato. Era un modo per avere Jimmy sulla pelle, costantemente.
Come lui aveva fatto Matt. Sulla mano destra si poteva vedere un Revbat. Il cantante aveva reagito con rabbia. Era sicuro che Dio li odiasse. Altrimenti, non avrebbe portato via da loro una persona come il batterista. Perché era unico, speciale, una persona fantastica. E non doveva succedere. Alla fine però aveva capito che piangersi addosso non era giusto. Aveva capito che Jimmy non avrebbe voluto che reagisse così. Probabilmente l'avrebbe preso per le spalle e scosso un paio di volte, urlandogli nelle orecchie di svegliarsi e di prendere la situazione in mano. E così aveva fatto. Era ancora distrutto, come tutti gli altri. Ma almeno ci stava provando.
Lo sguardo del chitarrista si spostò su Zacky, che aveva gli occhi semichiusi. Sembrava che si stesse per addormentare, il che sarebbe stato meglio, dato che non riusciva a dormire nel modo appropriato da tempo. Gli incubi erano cominciati poco dopo il funerale di Jimmy e non se ne erano più andati. Probabilmente sarebbero rimasti lì per tanto, forse troppo tempo. Era terrorizzato da quei sogni distorti e oscuri, di conseguenza cercava di dormire il meno possibile, sempre con un occhio aperto. Questo aveva fatto sì che i suoi occhi fossero contornati da grandi occhiaie. Era sempre stanco. Arrancava, ma sopravviveva. Perché questo doveva fare, per Jimmy. Perché avrebbe voluto così.
E allora toccava a lui farsi un esame di coscienza. Toccava a lui prendere la situazione in mano e decidere di andare avanti. Di smettere di piangere, di crescere esattamente come avevano fatto tutti gli altri. Di imparare a convivere con quel dolore che non se ne sarebbe mai andato.
Basta lacrime.
Basta permettere al dolore di prendere il sopravvento.
Ce l'avrebbe fatta anche lui.



 
-- seven years --



Settembre 2016
Huntington Beach, California



- Cos'è questa storia che stai finendo le birre?! - strillò Johnny, uscendo dalla porta-finestra e sbucando nel grande giardino di casa Haner, porgendo le ultime birre che aveva trovato in frigorifero ai compagni di band e di vita, seduti sul portico di casa.
Brian si limitò a ridacchiare, prendendo la sua birra e alzando il medio all'amico, che ricambiò con una linguaccia.
Era una bella giornata. Il cielo era limpido, il sole splendeva e faceva fin troppo caldo per essere settembre. Era anche vero che si trovavano in California e la temperatura nei mesi più freddi non scendeva mai sotto i quindici gradi, ma quelli erano dettagli.
Dopo un tour europeo piuttosto lungo, avevano deciso di prendersi un periodo di pausa, in modo da ricominciare a gennaio con delle date americane. Ultimamente la loro agenda era sempre più piena, ma a loro andava bene: era il prezzo da pagare per la notorietà.
E gli Avenged Sevenfold erano arrivati in alto, davvero in alto. Avevano davvero raggiunto la vetta. E nessuno sarebbe riuscito a toglierli da lì. Ne erano felici.
Anzi, in generale, loro erano felici.
Dopo tanto tempo.
- James, smettila di tirare i capelli a tuo zio, non è un giocattolo - strillò Brian in direzione del figlio, mentre quest'ultimo stava esaminando con tutta l'attenzione tipica di un bambino di undici mesi i capelli ricciuti di Arin, seduto sull'erba. Stava giocando con i bambini, non faceva altro da tutto il pomeriggio.
- Non ti sente, e anche se fosse non ti obbedirebbe - esclamò Matt, ridacchiando e prendendo un sorso di birra.
Zacky rideva. Una risata sonora e spontanea. 
Il chitarrista alzò gli occhi al cielo, mentre il batterista da lontano gli faceva cenno che andava tutto bene.
Arin Ilejay era entrato nelle loro vite come un uragano. Verso la fine del 2010 si era posto il problema di trovare un altro batterista, in quanto sapevano che Mike non sarebbe stata una sistemazione permanente. Così avevano provato a chiedere in giro, ad amici e conoscenti. Chi era venuto incontro non era altro che Mike Fasano, il drum-tech di Jimmy quando erano in studio. Aveva parlato loro di un giovane batterista originario di Ventura, California, che aveva conosciuto a Los Angeles qualche tempo prima. Era giovane, ma sapeva il fatto suo. Aveva salvato il suo numero e, se i ragazzi volevano, avrebbe provato a dargli un colpo di telefono, per vedere se era disponibile. La verità era che l'uomo ci stava già pensando da un pezzo, ad Arin, infatti sapeva perfettamente che la band in cui suonava, i Confide, si erano sciolti un anno prima e da allora lavorava ad ingaggi, il che non era poi così conveniente. L'aveva chiamato, dicendo che aveva un lavoro per lui. E in men che non si dica, i componenti degli Avenged Sevenfold si erano trovati davanti un ragazzo di appena ventidue anni, con grinta e talento da vendere. Era entusiasta di quella opportunità ed era onorato di conoscerli, in quanto ascoltava la band da quando era un ragazzino, e Jimmy era la sua più grande ispirazione. Era bastato poco, ai quattro, per capire che Arin non solo era una forza della natura, ma anche che avrebbero fatto bene a tenerselo stretto, perché ci avrebbero guadagnato qualcosa.
E così era stato.
Più imparavano a conoscersi più capivano che persona meravigliosa era. In più, era stato l'unico a capire davvero qualcosa sull'enorme perdita che avevano subito. Così aveva deciso di prendere la situazione in mano: si era armato di colla e nastro adesivo, e piano piano aveva cominciato a ricomporre tutti i pezzi. Non aveva ancora finito, ma ci stava lavorando, e tutti sapevano che prima o poi li avrebbe rimessi insieme, tutti e quattro. Un po' rattoppati, ma in fondo chi non lo era? Erano esseri umani.
Gli erano infinitamente grati. E il ragazzo faceva parte della famiglia. Era come... era come se l'avesse mandato Jimmy. Era davvero una benedizione.
Erano passati sette anni.
E, stranamente, andava tutto bene.
Ci era voluto tanto per capire, soprattutto a Brian. Ci era voluto tempo per realizzare, ci era voluto tempo per decidere di andare avanti.
Ma alla fine ce l'aveva fatta anche lui.
Brian aveva realizzato che la cosa fondamentale era ricominciare a vivere. E lui l'aveva fatto.
Erano passati sette anni.
La mancanza del suo Jimmy si faceva sentire ogni giorno. Non c'era un momento in cui non volesse averlo lì con lui, con loro.
Ma in sette anni aveva capito anche che, di fatto, la loro vita era sempre andata avanti, nonostante tutto, perché Jimmy non li aveva mai lasciati. Non l'avrebbe mai fatto.
E lì per lì, Brian si era reso conto che la promessa che aveva fatto l'aveva mantenuta. Jimmy aveva alleviato anche quell'ultimo dolore.
In un modo o nell'altro. E andava bene così.




Ci erano voluti sette giorni per realizzare.
Ci erano voluti sette mesi per smettere di piangere.
E ci erano voluti sette anni interi per ammettere che in quei primi sette giorni si aveva già ricominciato a vivere.







Note dell'autrice:
Già, sono ancora qui. Della serie "quando ci libereremo di questa qui?".
Anyway. 
Non so bene che cosa dire di questa OS, anche perché l'ispirazione è venuta per caso. Infatti, proprio a questo proposito, ringrazio la splendida Silvia che mi ha lasciato usare la sua frase (insomma, le vanno i credits, se vogliamo metterla così), quella che ho messo alla fine della ff. Senza di lei non ci sarebbe stata questa OS, di conseguenza grazie infinite. Un giorno riuscirò a farmi perdonare per tutti questi scleri, spero.
Comunque, tornando alla ff.
Sette giorni.
Sette mesi.
Sette anni (e su questa ho giocato moooolto di immaginazione, quindi chiedo venia, ehm).
Alla fine quando si perde qualcuno è impossibile che il dolore vada via. Soprattutto quando si tratta di qualcuno di così importante. Si può solo imparare a fare i conti con la sofferenza e, di fatto, accettarla. Perché no, non si supera la morte o, per essere meno tragici, la perdita di qualcuno se prima non la si accetta. E su questo spetta a noi fare i conti. Questo purtroppo lo so bene. E proprio perché lo so bene ho deciso di scriverci qualcosa su.
Il titolo si riferisce al tatuaggio che hanno Brian e Jimmy dietro l'orecchio, il "VII". Sette. Come, per l'appunto, i sette mesi, i sette giorni e i sette anni. Era un bel collegamento da fare a mio parere.
Quindi... niente, ecco qui.
Spero che questa piccola OS sia piaciuta anche a voi. E se vi è piaciuta, lascereste un commentino per farmelo sapere? Sarebbe tanto carino  *^* (sì questi sono occhi da cucciolo che vi implorano, ehm).
Okay, mi ritiro nel mio angolino buio.
Alla prossima!
Kisses
Vava_95


P.S. in caso, potete contattarmi anche su twitter: @SayaEchelon95
P.P.S. la long tornerà prima o poi, davvero. Ci sto ancora lavorando.
  
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