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Autore: Aru_chan98    26/09/2014    1 recensioni
Quale prezzo si è disposti a pagare per diventare padre? Arthur è solo un giovane universitario che sogna di diventare padre in una società distopica in cui anche una cosa bella come un figlio è negata a chi non possiede un particolare DNA. Ma un incontro cambierà la sua vita e il suo destino per sempre.
Tratto dal testo:
"Adoravo le storie che tuo nonno raccontava sulla sua infanzia. Tutte quelle storie sul correre nei prati, giocare con gli animali e gli altri bambini. Per non parlare poi del poter avere una famiglia come e quando si voleva. Sarebbe stato bellissimo se tutto questo fosse durato fino ad oggi..." disse Francis, passando da un tono sognante ad uno che non tradiva una nota di amarezza. Ormai, nella loro società bisognava avere una dote speciale a livello genetico per avere una prole.
Genere: Science-fiction, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: America/Alfred F. Jones, Francia/Francis Bonnefoy, Giappone/Kiku Honda, Inghilterra/Arthur Kirkland
Note: AU | Avvertimenti: Gender Bender
Capitoli:
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Dopo essere arrivato a casa, Arthur si buttò a pancia in su sul letto e si mise a pensare: non si sentiva affatto bene. Continuava a pensare al contenuto di quella cartella e allo strano incontro con quella misteriosa ragazza. Non sembrava una cattiva persona, anche se era così piena di vita da dargli un po’ sui nervi, ma era comunque troppo curiosa per i suoi gusti. Durante il tragitto gli aveva fatto un sacco di domande a cui lui non aveva risposto, un po’ per via dello shock, un po’ perché non voleva risponderle. In compenso Amelia sembrava essere davvero preoccupata per lui, tanto che, prima di separarsi, lo aveva convinto a scambiarsi i numeri di telefono. Continuò a fissare il soffitto ancora per un po’ prima di rendersi conto di essere bagnato fradicio. Aveva anche bagnato le coperte del letto, così prima di fare la doccia si affrettò a cambiarle, ma ogni cosa che facesse sembrava la facesse in trance, perché la sua mente divagava ancora tra mille pensieri diversi. Dopo essersi cambiato si mise sotto le coperte e cercò di riposare, convinto che così l’incredibile mal di testa che gli era venuto sarebbe passato. Non volle nemmeno prepararsi la cena e fece fatica ad addormentarsi. Quella notte il solito sogno non si presentò, ma venne sostituito da un incubo in cui Arthur si trovava tutto solo al buio. Subito dopo rivisse la morte del nonno, per poi passare di nuovo nella stanza buia. Cercò un’uscita ma non c’era, così si sedette con le ginocchia al petto appoggiato ad uno dei muri di quella stanza buia. Poco dopo cominciò a sentire una voce, ma cominciò a prestarle attenzione solo quando sembrò riferirsi a lui per deriderlo: “Ma ehy, che ci vuoi fare? Questa società è questa società, quindi la mediocrità deve sparire. Certi individui è meglio che non inquinino la sottile linea di progresso umano. Il governo ha fatto bene a mettere questa selezione genetica, almeno così solo quelli con qualcosa da offrire all’umanità futura possono dare vita a dei figli. I mediocri è meglio che rimangano attaccati come vermi al passato”. “No, non è vero…” mormorò Arthur “Non è vero niente! Anche noi persone comuni abbiamo gli stessi diritti! Anche noi meritiamo affetto e libertà!” esclamò il ragazzo contro la voce che, mettendosi a ridere in modo inquietante, sembrò aggredirlo utilizzando le tenebre che avvolgevano il ragazzo.

Arthur spalancò gli occhi e il suo sguardo incontrò la parete a cui era accostato il letto. La sveglia segnava le 10 del mattino. Il ragazzo era nel panico più totale, col cuore che batteva per lo spavento e qualche lacrima che bagnava il cuscino per la rabbia. “Oh, give me a break” sospirò, chiedendosi perché fosse in grado di ricordare molto bene quell’incubo, ma non i sogni piacevoli che faceva. Cercò di alzarsi dal letto, ma il freddo che sentiva lo convinse a rintanarsi nelle coperte. In più, il suo mal di testa era peggiorato e non si sentiva bene. “Shit, non la febbre” pensò. Con un po’ di fatica, si alzò dal letto, raggiunse un cassetto della cassettiera e ne tirò fuori un termometro. Si misurò la febbre e risultò avere 38.4 di febbre. Emise un sospiro di esasperazione, perché l’influenza era l’ultima cosa che gli serviva, ma comunque aggiunse delle coperte più pesanti al suo letto e si preparò alcune fascette di stoffa fredde come il ghiaccio per cercare di abbassare la febbre. Prese anche qualche medicina per poi cercare di riposare ulteriormente. Per fortuna non si presentarono altri incubi, ma comunque Arthur si sentiva debole. Solo verso sera si costrinse a mangiare qualcosa, per poi avvertire il suo capo che aveva la febbre e che per un paio di giorni non sarebbe andato al lavoro. Prima di tornare a letto recuperò dal tavolino davanti al divano una scatola per il cucito. Una volta sotto le coperte, si sedette e si mise a ricamare, canticchiando una canzone che il nonno gli aveva insegnato da bambino: cucire lo metteva sempre di buon umore. Andò più o meno avanti così per altri due giorni, anche se la febbre non si decideva a scendere. L’unica cosa che cambiava era che si sforzava di fare almeno due pasti al giorno e prendere le medicine con regolarità, cercando di affaticarsi il meno possibile. Per tutto il tempo non sognò nemmeno una volta. Il pomeriggio del terzo giorno si svegliò sentendo qualcuno bussare alla porta. Non fece in tempo ad alzarsi che sentì la porta di casa aprirsi. “Bonjour mon ami, non si usa più accogliere gli amici che vengono a trovarti o chiamarli se si intende sparire?” lo rimproverò una voce di sua conoscenza con un marcato accento francese dal soggiorno. “Se si è a letto con la febbre credo sia concesso, stupid frog” gli rispose con un tono sarcastico l’inglese, che nel frattempo si era alzato e si era appoggiato allo stipite della porta della sua camera. I due stavano quasi per avere una delle loro litigate amichevoli quando l’attenzione di Arthur fu attirata da un altro particolare: Amelia era all’entrata di casa sua. L’inglese si congelò sul posto: che ci faceva lei lì? La ragazza entrò senza troppi complimenti dopo aver chiuso la porta alle sue spalle. “Carino il pigiamino con le stelline Artie” gli disse Amelia con un sorriso dispettoso rivolto al ragazzo, che divenne rosso per l’imbarazzo. Andava bene se era solo Francis perché erano amici d’infanzia, ma con un’estranea, donna soprattutto, la cosa era alquanto imbarazzante. “I-il m-mio nome è Arthur prima di tutto” Si affrettò a dire il biondo, ormai completamente rosso “Secondo, come cavolo hai fatto a sapere dove abito? Non ricordo di avertelo mai detto”. “olalà, penso sia colpa mia” disse di punto in bianco Francis. Arthur gli chiese di spiegare, mentre si assicurava che quella ragazza vestita solo con una maglietta, dei pantaloncini e scarpe da ginnastica non curiosasse in giro. “Beh, una così bella signorina non poteva passare inosservata agli occhi del fratellone ovviamente” cominciò il francese, beccandosi subito un’occhiataccia dall’amico “Soprattutto se parla tra sé e sé di un certo inglesino nei pressi della stazione del tram” aggiunse con calma Francis “Così mi sono avvicinato a questa incantevole signorina e le ho chiesto se le serviva aiuto perché sembrava alquanto contrariata. Non immagini che sorpresa quando mi ha detto che cercava di ricordare la fermata di un tale Arthur Kirkland. Non ho potuto non portarla con me” concluse facendogli un occhiolino. Arthur si chiese che cosa avesse in mente l’amico, anche se aveva una brutta sensazione a riguardo. Che fosse deciso a trovargli una compagna? In fondo, era da quando aveva conosciuto Jeanne che lo assillava con la storia che la vita era migliore con una compagna, ma la verità era che Arthur non aveva ancora incontrato quella giusta, quella che lo avrebbe catturato inesorabilmente. “Conoscendolo” si disse con una nota di rassegnazione “è la cosa più ovvia che ci si possa aspettare da lui”. “Aspettate un secondo che vado a cambiarmi” si affrettò a dire l’inglese, per poi tornare pochi minuti dopo, vestito con una maglietta verde scuro e dei jeans.

“Spero di non disturbare” s’intromise Amelia “Ma non hai risposto al telefono nemmeno una volta, così ho cominciato a preoccuparmi, anche perché l’altro giorno avevi un’aria davvero così abbattuta che mi ha fatto temere per il peggio” l’inglese si pietrificò sul posto al realizzarsi di uno dei suoi timori: la ragazza era davvero riuscita a leggere la sua cartella. “Mais, di che stai parlando Amélie?” chiese Francis. Il volto di Arthur si rabbuiò all’istante. Le parole che non volevano uscirgli dalle labbra sembravano depositarsi pesantemente nella sua pancia, rendendo le sue gambe sempre meno in grado di sostenerlo. Si sedette sul divanetto posto quasi al centro della stanza e, con lo sguardo basso per nascondere gli occhi lucidi, disse “Non… non sono stato ritenuto idoneo”. “Quoi?!” esclamò Francis, che non credeva alle parole dell’amico: era il primo dell’università, com’era possibile che non fosse stato accettato? “E già” cominciò Arthur con un sorriso senza allegria “Hanno stabilito che sono solo una persona ordinaria. Non ho nessuna dote speciale a livello genetico…” “Ma… perché non me lo hai detto, se non subito, il giorno dopo?” gli chiese l’amico, rattristandosi molto nel vedere l’amico in quelle condizioni. “Ho avuto la febbre alta per due giorni, solo oggi sembra essersi abbassata, anche se di poco. Probabilmente mi sono dimenticato di mettere il telefono sotto carica. Ma comunque, non volevo darti altri dispiaceri. Ne hai già troppi. I’m so sorry, my friend” gli rispose Arthur. Francis si girò verso la ragazza per chiederle di lasciarli soli, ma quello che vide lo sorprese: La ragazza aveva i pugni serrati così strettamente che le nocche le si erano sbiancate e aveva un’ espressione che esprimeva sia rabbia che dispiacere. “Amélie…” Cominciò il francese, ma subito la ragazza esclamò “Non dovresti dire così! Quello che dicono gli altri non è importante se non gli dai peso. Troveremo sicuramente una soluzione al problema!”. Dopodiché prese Arthur per un braccio e lo trascino fuori dalla porta diretta chissà-dove e il ragazzo, nonostante le proteste e la resistenza posta (che venne vanificata dalla prepotenza della ragazza), riuscì a malapena ad afferrare le converse appoggiate vicino all’ingresso, prima di sparire dietro all’irruenta Amelia. Francis all’inizio rimase basito, per poi rilassarsi e sospirare un “ahhhh, i giovani innamorati d’oggi” con fare sarcastico. Rimase a pensare alle parole dell’amico ancora per qualche minuto prima di decidere di usare qualche sua conoscenza per far luce sulla questione, chiudendo a chiave l’appartamento per poi andare via.

Piccolo Angolo dell'Autrice:
Eccomi di nuovo con un nuovo capitolo di questa strana storia. Questa volta la mia fantasia non voleva lasciarmi stare e continuava a fornirmi nuovi elementi, tanto che mi sono pure ritrovata a scrivere senza capire dove volevo andare a parare ahahaha Spero sia buono come il precedente :)

 
   
 
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