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Autore: CassandraGrace    26/09/2014    0 recensioni
"La notte del suo ritorno a casa della nonna Morgan non riuscì a dormire.
Continuò a fissare il soffitto, ripensando alle ultime cose che ricordava. L’acqua fredda e nera, il fuoco nei polmoni, e la mano che lo aveva afferrato bruscamente, stringendogli il braccio così forte da lasciargli il segno sulla pelle.
Solo quando il sole spuntò all'orizzonte Morgan cedette al sonno e alla stanchezza, avrebbe pensato poi.
La mano del suo sconosciuto salvatore venne a trovarlo anche nei sogni, come a volergli mandare un messaggio:
“Trovami.” "
Genere: Introspettivo, Mistero, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Hopeless Wanderer

Capitolo 1

 


Per un momento Morgan pensò che la vista e quel po’ di stanchezza che aveva accumulato durante la settimana gli avessero giocato un brutto scherzo.
 Gli era sembrato di vedere qualcosa affiorare a pelo dell’acqua, tra un’onda e l’altra mentre quelle si abbattevano sull’unico minuscolo tratto di spiaggia bianca. 
Gli era sembrato che quel qualcosa fosse ‘rotolato’ insieme all’ultima onda e per pura fortuna lui aveva potuto vedere un pezzettino di quell’essere.
Una pinna. Una grossa pinna di cui non avrebbe saputo descrivere il colore nemmeno se fosse stato un’artista.
Certo, l’aveva vista per un unico istante, ma gli era stato impossibile capire quale fosse il colore reale.
Verde acqua, forse azzurro o ancora blu, e poi ancora il verde nelle sue sfumature più tenui.
Il sole era oscurato da grosse nuvole che sembrava voler portare tempesta, il mare s’era fatto grosso e dall’odore prometteva anch’esso una notte poco quieta.
Morgan rimase lì sulla spiaggia, continuando a scrutare il mare nel punto in cui aveva visto la grossa pinna variopinta fare una leggiadra capriola.
Era a piedi nudi, le scarpe abbandonate poco prima del punto in cui si trovava lui.
La baia di Kearvaig era un minuscolo angolo di paradiso.
Una piccola lingua di spiaggia bianca nel mezzo delle famose scogliere delle Highlands, nella parte più a nord della Scozia.
Lì il tempo sembrava essersi fermato, la sensazione di essere in un’altra epoca era fortissima, l’aria era incontaminata e per chilometri intorno a quell’area non c’era quasi segno di vita se non per le pochissime fattorie solitarie.
Sua madre era venuta a salutare una vecchia amica d’infanzia che abitava alcuni chilometri più in là della baia, così lui aveva ben deciso di scappare alla solita routine dei saluti a persone di cui non sapeva nulla e che non aveva nemmeno intenzione di conoscere.
Era così che era arrivato alla baia; aveva salutato l’amica della madre, fatto i suoi migliori auguri alla famiglia (pareva che la donna fosse in attesa del suo terzo figlio) ed era uscito dalla casa quasi correndo.
Aveva poi corso davvero, fin quando non era rimasto senza fiato, coi polmoni che bruciavano per l’aria fredda.
Fu proprio quella meravigliosa aria fredda a riscuoterlo dai brutti pensieri degli ultimi tempi e correre l’aveva aiutato a lasciar andare tutta la malinconia che provava.
Quando avevo visto la sottile lingua di sabbia si era immediatamente tolto le scarpe ed era corso giù per avvicinarsi al mare.
Era raro potersi avvicinare al freddo mare, dal momento che praticamente un po’ ovunque c’erano solo scogliere altissime e lui di certo non voleva morire sfracellato solo per dare un’occhiata migliore al panorama.
Durness aveva anch’essa un tratto di spiaggia, ma durante la settimana non c’era andato per qualche motivo che non si spiegava; forse non ne aveva avuto voglia, forse non gli era passata l’idea per la mente o forse ancora in quei momenti il mare era puramente un elemento di sfondo che gli era passato inosservato.
Morgan era rimasto ipnotizzato dal movimento delle onde.
I suoi polmoni erano pieni dell’odore forte della salsedine, il viso bagnato da essa e dagli schizzi dell’acqua che si infrangevano sui suoi piedi nudi.
Nonostante l’estate fosse cominciata l’aria era ancora fredda e con essa anche l’acqua. Quella sarebbe stata un’estate fredda, come quella di due anni prima, in cui aveva passato un intero anno senza accorgersi di un concreto cambiamento climatico.
Ancora ansimante per la corsa, era rimasto lì in piedi per quella che gli era sembrata un’eternità.
Un’eternità piacevole però; si sentiva sfinito, accaldato, eppure totalmente vivo come non si era mai sentito davvero. La vita monotona che aveva vissuto fin da bambino gli era sembrata scontata e tuttavia giusta, il corso normale delle cose; venire lì, la costrizione, l’accettare di dover cambiare vita per un po’, la solitudine dei tre lunghi mesi che lo attendevano in un luogo che conosceva a malapena, che di rimando non conosceva lui e alle volte sembrava essere ostile.
Fu allora che vide il guizzo di quella coda.
Strinse gli occhi, respirando ancora non un po’ a  fatica e fece qualche passo in acqua; le onde gli avevano inzuppato i jeans fin sopra al ginocchio, ma a quel punto  gli importava assai poco.
Il suo sguardo era fisso sul punto in cui aveva visto quello sprazzo di colore anomalo.
Non aveva mai sentito di grossi pesci colorati nel nord, nemmeno una mezza volta.
Il vento si era alzato, facendogli sentire ancora più freddo per via dei vestiti bagnati.
Eppure non riusciva a muoversi da lì, sperava di rivedere qualcosa, un segno della creatura che aveva avvistato poco prima del largo. Aspettò per quella che sembrava un’eternità.
Si sentiva stupido a star lì ad aspettare, ma quell’unico piccolo avvenimento diverso rappresentava qualcosa su cui concentrarsi, qualcosa a cui pensare per evitare di farsi fottere il cervello da qualsiasi altro pensiero.
Che poi, che diavolo mai poteva essere? Un grosso pesce? Probabilmente sì.
Nelle sue conoscenze, anche se piuttosto scarse in fatto di fauna marina, non aveva mai sentito di grossi pesci multicolore nei mari del nord Europa.
Sapeva che quel tipo di colori sgargianti appartenevano ai pesci tropicali o comunque a pesci che generalmente di trovavano in acque decisamente più calde di quella in cui era lui.
A proposito di acqua, le sue gambe cominciavano a non rispondere più, le sentiva completamente congelate e cominciava a tremare lui stesso.
Un tuono scosse d’improvviso l’aria, che venne squarciata subito dopo da un lampo che illuminò il cielo in modo spettrale.
Morgan scosse la testa, dando un’ultima occhiata al mare. Non voleva muoversi, voleva rimanere lì, ma era sicuro che la tempesta l’avrebbe colto molto poco di sorpresa di lì a pochissimo e lui era a piedi.
Sua madre sarebbe morta di paura se non fosse tornato in fretta indietro.
Anzi, probabilmente lo stava già cercando e quando lo avrebbe trovato zuppo e infangato gli avrebbe fatto una strigliata infinita.
Morgan non era per niente contento della cosa, ovviamente, e non aveva nessuna voglia di subire un rimprovero.
Si mosse per uscire dall’acqua e fu allora che la vide di nuovo.
Una coda che sembrava enorme guizzò fuori dall’acqua.
Morgan rimase impietrito lì dov’era, con gli occhi spalancati per la sorpresa.
Senza che se ne accorgesse la sua bocca si aprì, facendogli assumere un’espressione sorpresa e sciocca allo stesso tempo.  Non si aspettava certo che di lì a un secondo il proprietario di quella splendida coda sarebbe saltato fuori dall’acqua in un salto spettacolare, come in un scena d’un quadro o d’un film fantasy.
Se quella che aveva provato vedendo solo la coda della creatura era stata un’emozione intensa, quella che provò nel riuscire a scorgerne il gioioso proprietario fu pura adrenalina.
Dovette coprirsi la bocca con una mano per evitare di gridare in preda all’eccitazione.
Il suo cuore cominciò a battere all’impazzata, capendo di trovarsi di fronte a qualcosa di eccezionale.
“Pazzesco…” mormorò a sé stesso, gli occhi spalancati e pieni di meraviglia.
Non riusciva a realizzare cosa appena visto.
Qualcosa era emerso dall’acqua agitata, aveva saltato con grazia e si era rituffata.
Le onde gli avevano impedito di vedere con chiarezza, ma aveva visto certamente di più delle due volte precedenti.
Una grossa coda di pesce, il cui colore era indefinito perché pareva cambiare sotto ogni minima fonte di luce.
Quella che doveva essere la testa dell’animale non gli era chiara.
Aveva visto una massa scura, strana, ma probabilmente aveva visto male, ipnotizzato com’era da quella coda magnifica.
Fu incapace di muoversi o respirare normalmente per un paio di minuti.
Continuava a respirare velocemente e sorridere come un’idiota, le mani tra i capelli.
Era incredulo.
Come poteva mai esserci un pesce di quel genere in un mare così freddo?
Era ancora lì a scrutare il mare quando sentì le prime gocce di pioggia e subito dopo la voce di sua madre, stridula per la rabbia.
“MORGAN MACLEAN, SE NON ESCI IMMEDIATAMENTE DALL’ACQUA VENGO AD AFFOGARTICI IO STESSA!”
Non si poteva dire che sua madre fosse una che girasse troppo intorno ai concetti.
Si voltò a guardare sua madre, che teneva le braccia sui fianchi e sembrava indispettiva.
Indossava un impermeabile blu e non sembrava affatto contenta di vederlo in acqua e, ormai, sotto la pioggia battente come se fosse un pazzo fuggito da una casa di cura o peggio, un suicida.
Morgan sospirò.
Era riluttante ad andarsene adesso che era finalmente riuscito a vedere qualcosa di concreto.
E se non gli fosse più capitata quella fortuna? E se non avesse più visto quella creatura?
Si maledisse mentalmente per non essersi portato dietro il cellulare e non aver almeno fatto un video.
Si sentiva come quei poveracci che stavano giorni e giorni appostati per vedere il mostro di Loch Ness.
“Arrivo!” gridò alla madre e si voltò, uscendo dall’acqua.
I suoi piedi per poco non si rifiutarono di rispondere ai comandi, tanto erano congelati e irrigiditi dal freddo pungente. Recuperò le scarpe che aveva buttato sulla sabbia e si drizzò, dando un ultimo sguardo al mare, che ormai era in tempesta.


Quel che vide gli fece drizzare i capelli biondi sulla nuca.
Si dimenticò dei piedi doloranti e congelati, si dimenticò della pioggia battente e del vento che gli schiaffeggiavano la faccia, si dimenticò di sua madre che lo stava fissando e che diventava sempre più furiosa col suo stupido figlio sconsiderato.
Una testa.
C’era una testa umana in acqua, in mezzo alle onde che avevano cominciato ad infuriare.

Appariva e spariva sotto il pelo dell’acqua.

Vide la pelle pallida di un paio di spalle, e le braccia.
Esili braccia bianche, il tronco d’un uomo nudo e sì, una testa.
C’era indubbiamente una persona in quel mare in tempesta.
“MAMMA!” Morgan guardò verso la madre e vide che anche lei aveva visto qualcosa in mare e il terrore le aveva dipinto il volto. Morgan non aspettò nemmeno che lei dicesse qualcosa.
Corse immediatamente verso il mare, ignorando le urla di sua madre, che nel frattempo gli era corsa dietro, inciampando nella sabbia bagnata.
Lanciò di nuovo le scarpe sulla sabbia e si ributtò in acqua.
Morgan aveva imparato a nuotare quando era bambino, piccolissimo, aveva sempre amato l’acqua e ogni estate continuava a frequentare assiduamente la piscina comunale.
L’acqua subito lo sopraffece e gli mozzò il fiato non appena finì sotto.
Sapeva perfettamente che era una pessima idea buttarsi in acqua quando il mare era agitato e in tempesta, eppure non aveva saputo dare retta alla ragione.
Fu immediatamente sballottato dalle onde, che feroci lo aggredivano non appena metteva la testa fuori per prendere aria.
Ingoiò una bella boccata d’acqua salata, ma in qualche modo riuscì a non andare sotto di nuovo.
Cominciò a nuotare con bracciate potenti, ma la corrente pareva spingerlo nuovamente a riva.
Gli sembrava di avanzare di un metro e di tornare indietro di due subito dopo.
Vedeva ancora la persona in mare.
La sua testa affiorava e spariva sul pelo dell’acqua e sembrava avvicinarsi a lui.
O forse era Morgan ad avvicinarsi?
Poco gli importava. Quella persona aveva bisogno d’aiuto e lui avrebbe almeno fatto un tentativo.
Un’onda più alta delle precedenti lo fece andare giù, disorientandolo.
Batté le braccia e le gambe con vigore, ma il freddo cominciava a intorpidirlo e a fagli mancare il fiato.
Riemerse  dopo quella che gli sembrò un’infinità, cercò di respirare a pieni polmoni ma un’altra onda si abbatté su di lui con forza devastante e lo ricacciò sott’acqua.
Intontito e disorientato, Morgan smise di nuotate. Sentiva il sangue andargli al cervello e il battito del proprio cuore rimbombargli nelle orecchie, insieme al ruggito delle onde che lo trascinavano via.
La testa gli faceva male e i polmoni sembravano essergli andati a fuoco, tanto bruciavano per la mancanza d’ossigeno.
Pensò che stava annegando.
Pensò che quella era proprio una sensazione orribile, con la testa che sembrava poter scoppiare da un momento all’altro e i polmoni in rivolta per un briciolo d’aria pura.
Cercò di aprire gli occhi, ma davanti a sé vide solo un turbinio di bollicine e il buio che si faceva avanti.
Probabilmente stava sprofondando, perché tutto intorno a lui si faceva più scuro e se possibile ancora più freddo.
Morgan non aveva ancora perso conoscenza, il suo cervello funzionava ancora ed era in grado di pensare, per sua sfortuna.
Era cosciente di aver fatto una sciocchezza, che non si sarebbe dovuto tuffare in acqua in modo così sconsiderato.
Avrebbe dovuto accertarsi di quel che credeva d’aver visto e avrebbe dovuto chiamare aiuto.
Che sciocco era stato, che sciocco.
Non ce la faceva più. Voleva respirare, voleva respirare disperatamente.
Fece in tempo a vedere una mano che gli afferrava il braccio attraverso quella miriade di bolle e spuma bianca; aprì la bocca e lasciò che l’acqua gliela riempisse, che arrivasse ai polmoni.
Sentì una fitta dolorosa, poi i suoi muscoli si rilassarono.
La testa smise di fargli male e Morgan perse conoscenza.
 
Quando si risvegliò era in un letto d’ospedale, probabilmente quella più vicino a Durness. Sua madre era seduta di fianco al suo letto, la testa piegata in avanti. Sembrava addormentata, il suo petto si alzava lentamente, aveva gli occhi chiusi e il viso segnato dalla stanchezza.
La testa di Morgan doleva, così come gli facevano male il petto e il braccio, su cui c’era un enorme livido. Respirare era una tortura.
In seguito gli avrebbero detto che aveva rischiato grosso, che un marinaio lo aveva trovato sulla spiaggia di Durness più morto che vivo e che lo aveva portato immediatamente in ospedale.
Era stato incosciente per un giorno, ma aspettavano il suo risveglio per accertarsi di eventuali danni cerebrali causati dalla prolungata mancanza d’ossigeno.
Come fosse finito sulla spiaggia di Durness proprio non lo sapeva. Il marinaio che lo aveva soccorso sosteneva di non averlo tirato fuori dall’acqua ma di averlo trovato steso sul bagnasciuga in principio di ipotermia, cianotico.
Fu dimesso la sera stessa, dopo i dovuti controlli. A parte un bel raffreddore e un grosso spavento per la famiglia, Morgan sembrava non aver riscontrato alcun problema e i medici gli dissero che era proprio un ragazzo fortunato.
Janine, la madre di Morgan, si limitò a piangere silenziosamente quando lo vide sveglio e in buone condizioni.
Probabilmente in cuor suo aveva già temuto di dover andare ad un altro funerale e questo doveva averla spaventata a morte e messa a dura prova.
D’altronde Morgan non sapeva cosa voleva dire avere figli, non poteva capire a pieno come si fosse sentita sua madre mentre lo vegliava e pregava che si risvegliasse.
Non poteva capirlo, ma lo immaginava. Non appena tornarono a casa si preparò all’eventuale sgridata, ma quella tardò ad arrivare.
Sapeva che sarebbe arrivata, prima o poi, nel frattempo avrebbe avuto tempo per pensare a cosa fosse successo.
Sperò in cuor suo che quello non fosse stato tutto un sogno. Sperò che quell’ incidente scuotesse in modo positivo la sua vita, che gli desse una ragione per non morire di noia in quel posto sperduto e dimenticato da Dio, ammesso che un Dio esistesse.
La notte del suo ritorno a casa della nonna Morgan non riuscì a dormire.
Continuò a fissare il soffitto, ripensando alle ultime cose che ricordava. L’acqua fredda e nera, il fuoco nei polmoni, e la mano che lo aveva afferrato bruscamente, stringendogli il braccio così forte da lasciargli il segno sulla pelle.
Solo quando il sole spuntò all’orizzonte Morgan cedette al sonno e alla stanchezza, avrebbe pensato poi.
La mano del suo sconosciuto salvatore venne a trovarlo anche nei sogni, come a volergli mandare un messaggio:
“Trovami.”

   
 
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