Anime & Manga > Capitan Harlock
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Autore: lovespace    26/09/2014    8 recensioni
- Dopo un duro combattimento Harlock si ritrova a dover portare sull’Arcadia un ufficiale medico. Una donna alla quale si sente misteriosamente legato. Perchè? Tra colpi di scena ed avventure il tempo svelerà la sua verità. - Come le onde del mare nel loro immutabile fluttuare a volte rendono ciò che hanno sottratto alla terra, in egual maniera le onde del destino, nel loro divenire dal passato al presente, talora restituiscono quello che un tempo ci hanno portato via. –
Genere: Avventura, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Harlock, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: Lime, Movieverse, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Come le onde del mare nel loro immutabile fluttuare a volte rendono ciò che hanno sottratto alla terra, in egual maniera le onde del destino, nel loro divenire dal passato al presente, talora restituiscono quello che un tempo ci hanno portato via. -

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L’ANGELO NERO.

 

- Fuori dagli appartamenti di Harlock Helèn camminava veloce, voleva tornare in camera sua; voleva  ordinare i suoi pensieri, voleva comprendere le emozioni, voleva e doveva capire. Ne sentiva forte l’esigenza, come il bere. Si sentiva stanca come dopo un duello ma ciò che le doleva non erano i muscoli, era il cuore. Un peso forte l’opprimeva, doveva andare il più lontano possibile da lì. Si trovò d’improvviso davanti  Meeme , eterea, impalpabile, inspiegabile, senza tempo. Meeme  come sempre la osservò piano, in profondità, poi spostò lo sguardo alla mano che teneva sul viso, chiuse un paio di volte le doppie palpebre dei grandi occhi. Comprese. E senza dir nulla si diresse da Harlock.

Lo trovò sprofondato su una delle grandi sedie, accanto alla scrivania. In mano un bicchiere colmo di vino, la sedia era in parte girata verso la grande vetrata, guardava lontano; era lontano.

 Il suo sguardo si spostò poi ad alcune gocce di vino che  lente ed irregolari cadevano dal tavolo al pavimento una dopo l’altra. La mano destra aperta sulla superficie del tavolo, Harlock aveva tolto il guanto e versato sulla pelle escoriata e livida del dorso un bicchiere di vino a mo’ di disinfettante.  Meeme si recò in bagno a prendere il necessario per la medicazione. Si avvicinò ma lui con un gesto del capo le fece di no. “Ma brucerà!”  Disse lei.  “Deve bruciare!” Rispose caustico lui.  Meeme dopo essersi versata da bere si acciambellò su di un’altra poltrona: “Che cosa è successo? ” Chiese dolcemente per conoscere ciò che in verità già sapeva. Bevve piano.

Helèn si chiuse in camera sua con il ‘code’ non lo aveva mai fatto prima. In bagno si sciacquò il viso più volte, bevve dalla mano, aveva un piccolo taglio all’interno del labbro inferiore a causa dell’urto della pelle sul dente. Non sanguinava più. Una sciocchezza per chiunque tranne che per lei. Restò col capo chino sul lavabo per alcuni attimi guardando le piccole gocce d’acqua scivolare via piano una dopo l’altra. Si mise istintivamente una mano sul viso; lì dove lui l’aveva colpita. Non capiva. Aveva intravisto per un istante il viso di lui e vi aveva trovato solo turbamento. Anzi, per un attimo aveva avuto come l’impressione che quel gesto avesse provocato in Harlock una sorta di dolore, quasi che fosse stata lei a causarlo.

 Harlock emerse piano dal suo silenzio come da una palude melmosa e densa. 

“L’ho schiaffeggiata Meeme ” disse con una voce che arrivava dal fondo tormentato della sua anima. Abbassò lievemente il capo di modo che i capelli scendessero a coprirgli in parte il viso. Non faceva che vedere la piccola ferita che le aveva inferto, gli occhi lucidi di Helèn mentre tentava con ogni fibra del suo corpo di mantenere i nervi saldi; in realtà si intuiva cosa avesse passato. Era per questo che aveva detto d’esser già morta. Era davvero come se lo fosse stata, aveva perso la sua casa, la sua famiglia, il suo pianeta e tutto per COLPA sua. Si portò il dorso della mano lacerata sulle labbra carnose per sentirne in parte l’acre sapore.

 Helèn indossata una comoda tuta se ne stava seduta sul letto, le braccia strette attorno alle gambe, la testa sulle ginocchia, i capelli liberi dove volevano. Respirava piano ed ascoltava il battito regolare del suo cuore e di lontano il rombo del suo animo. In fondo si sentiva meglio: condividere il suo segreto con Harlock la faceva sentire più leggera. Non erano molte le persone a sapere, e lui doveva essere uno di loro, lo aveva percepito dal primo momento in cui lo aveva visto, senza poterselo in alcun modo spiegare. Le aveva ispirato tanta fiducia quasi che il suo segreto, se mai possibile, con lui sarebbe stato ancora più al sicuro. “Il tuo viaggio è finito.” Le aveva detto Meeme, e forse era proprio così. Harlock era un uomo dal comportamento impetuoso a volte irrazionale, ma i suoi intenti erano nobili, era giusto con i giusti e spietato con gli iniqui e forse aveva voluto portarla all’estremo per metterla alla prova. Del resto su una nave del genere la lealtà per il Capitano era tutto. Reciproca e profonda fiducia, verità e trasparenza; tutte cose che lei non aveva fatto tacendo. Già il...‘Capitano’ Perché non riusciva a chiamarlo così? Perché lo sentiva tanto vicino a lei? L’aveva spaventata ma se lo era meritato, sarebbe dovuta andare lei da lui a vuotare il sacco. Ma era così difficile. Si ora era chiaro, lui l’aveva volontariamente portata al limite per ottenerne la confessione, l’aveva volontariamente  alleggerita di quel fardello, era un uomo altruista e generoso come diceva Kei, un uomo che meritava rispetto. Perché la Gaia lo dipingeva come un criminale? Il peggior terrorista di tutto l’universo. Solo perché si era impossessato delle 100 bombe a vibrazione dimensionale? C’era qualcosa che nonostante il suo ruolo nella Gaia Fleet le era stato taciuto. Alcune lacrime grandi e pesanti si formarono sugli occhi di Helèn ed iniziarono a percorrere libere le linee del suo volto. Non era stata corretta con Harlock e certo lui non aveva fatto ciò che aveva fatto a cuor leggero. No, non era diverso da come lei lo aveva percepito. Aveva sbagliato, con gli uomini sbagliava sempre, sempre! 

 “Ho sbagliato Meeme ma dovevo sapere.” Continuò Harlock. Meeme versò ad entrambi altro vino rosso, poi disse laconica: “Sei stato così tanto duro per allontanarla il più possibile da te… lo sai, ma se è qui, c’è un motivo. Nulla accade per caso Harlock.” Bevve. “Se l’hai voluta e la vuoi qui a tutti i costi c’è un perché... Chieditelo.”  Harlock fissando il bicchiere lo fece roteare lentamente provocando un’ onda del liquido rosso, creando così un piccolo vortice come quelli che da 100 anni squassavano impietosi il volto della terra e al cui formarsi aveva assistito impotente e dolorosamente inerme . “Sì ..certo. ” Rispose. ” Il motivo è avere sotto agli occhi tutti i giorni una delle MIE vittime." Disse amaro. Bevve d’un sorso l’intero contenuto del bicchiere. Una goccia rosso rubino gli scese lungo l’angolo delle labbra,la pulì quasi con rabbia con le dita della mano sinistra e guardandole disse: “Se è anche con questo che dovrò convivere per il resto dei miei giorni lo farò! Pagherò per tutto, per tutto,anche per questo.” “ Harlock… non è un’altra punizione da auto infliggersi per espiare!” Disse Meeme con tono accorato,comprendendo quanto dovesse esser atroce per lui ritrovarsi di fonte,viva e vera una delle persone a cui aveva sottratto per sempre la terra. Una persona del cui trite destino era stato involontariamente l’artefice. Come se il suo incubo ricorrente, il suo grande tormento avessero ora un volto ed un nome. Ma Harlock non l’ascoltava già più. Alzatosi e posato il bicchiere, con un solo gesto si sbarazzo del mantello, quasi che ora il peso fosse divenuto insostenibile. Presa una bottiglia, misero palliativo per il suo dolore, uscì. Ma quella sera lei sarebbe stata la sua sola compagna.

Trascorsero alcuni giorni in cui Harlock evitò accuratamente Helèn. Rimase per la gran parte del tempo nei suoi alloggi, ne usciva solo a notte fonda e pareva più in pena del solito, quasi che un potente maremoto avesse distrutto gli argini delle sue certezze ed ora dovesse faticosamente ricostruirle. Una cosa gli era chiara; lui ed Helèn avevano pressappoco la stessa età, ma questa scoperta se mai, lo portava a star peggio. Doveva pensare, rielaborare il tutto, resettare per ricominciare, da solo. Helèn invece si sentiva sola aveva un gran bisogno di stare in compagnia così ne approfittò per imparare a conoscere gli altri membri dell’equipaggio. Trascorse del tempo con Kei che le narrò come era entrata a far parte dell’Arcadia; con Yattaran che le mostrò una gran quantità di modellini, il suo grande hobby; con Shou imparò tutto sui tatuaggi, lui stesso si era fatto un enorme jolly roger tra  la fronte ed il cranio pelato. Aki amava lavorare il cuoio e le regalò una quantità di teschi da cucire ovunque; con Eichiro invece imparò molte cose sui motori  e le armi in dotazione all’Arcadia. Ogni tanto con la coda dell’occhio le sembrava di vedere il mantello di Harlock o di sentirne i passi in lontananza ma ogni volta lui non c’era. Avrebbe voluto parlargli ma pensava  fosse più giusto rispettare il suo allontanamento.

 “Capitano…Capitano!” La voce di Kei proveniva forte dall’interfono sulla scrivania di Harlock: “Parla Kei.” “C’è un ricognitore a poca distanza da noi, l’aspettiamo in plancia Capitano.” A grandi passi Harlock raggiunse il ponte di comando non gli pareva vero di poter sfogare un po’ della sua frustrazione. Senza esitare ordinò di attaccare. Helèn era lì con tutti gli altri e finalmente si videro. Helèn gli sorrise e quel sorriso per Harlock ebbe l’effetto di cento pugnalate, le rispose con uno sguardo enigmatico,intenso che lei non capì.

L’Arcadia correva agile per i sentieri dell’universo che innumerevoli volte aveva battuto, quasi avvertisse che LUI era al comando. Harlock si avventò letteralmente al timone, urlava ordini a tutti, sembrava impazzito; Yattaran e Kei si guardarono più volte perplessi. La velocità era impressionante, il grosso ricognitore sempre più vicino, Harlock fatto ruotare il timone con entrambe le mani per stabilire la rotta ed il grado esatto di inclinazione della nave, senza bisogno di altro, velocissimo, con l’ausilio della sola mano destra impresse una rotazione totale dello stesso portando in questo modo l’Arcadia a speronare con violenta precisione l’altra nave.

L’urto fu squassante. Vi erano pezzi di metallo dell’altra nave che iniziarono a vagare lenti per l’universo. Helèn ne rimase affascinata. Ecco, si disse. “Questo è il leggendario Capitan Harlock! ” Torreggiava dall’ alto del suo timone, letale alla guida della sua nave, condottiero senza timori né esitazioni,timoniere ardito e devastante,noncurante di tutto il resto, perché qualunque fosse stato il ‘resto’ l’avrebbe affrontato.

Gli uomini intanto si prepararono rapidi all’assalto. ”Vorrei andare con loro Signore” chiese Helèn. Sarebbe stata la prima volta che lasciava l’Arcadia. Harlock per non dirle di no, acconsentì con un lieve cenno del capo. Andò a sedersi sul suo trono per tornare padrone di se. L’assalto durò poco, gli uomini riferivano via radio a Kei rimasta a bordo dell’Arcadia. Ma quando la prima navicella da ricognizione fece ritorno, uno strano clima aleggiava; un’ansia mista a triste sconfitta. Raccontarono sommariamente che uno di loro aveva avuto problemi e che Hèlen era tornata indietro a prenderlo...ma vi era stata un’ esplosione. Harlock corse giù all’hangar attese il ritorno della seconda navicella. Ne uscì Yattaran completamente annerito dal fumo, reggeva un pirata ferito. Scuoteva la testa facendo segno di no. Harlock si irrigidì, guardò Yattaran e poi rivolto all’uomo ferito: “Che cosa è successo?” “Capitano…” L’uomo stentava a parlare, a trovare le parole: “Mentre…mentre rientravo…verso l’uscita… ecco c’è stata un’ esplosione, sono rimasto ferito, poi ho visto Helèn e con il suo aiuto sono riuscito a tornare verso la navetta…ma... mentre correvamo lei, lei era davvero pochi passi dietro di me, c’è stata un’altra violentissima esplosione, l’ho sentita gridare… mi sono voltato ma era scomparsa tra le fiamme, ho provato a tornare indietro ma il calore era insopportabile...” L’uomo abbassò il capo in senso di sconfitta. “E’ vero capitano!” Intervenne Yattaran, eravamo già tutti fuori quando Helèn si è accorta che mancava Hiroaki. Le esplosioni si succedevano, le ho detto che non c’era più nulla da fare per lui ma mi ha risposto che mai sarebbe tornata con un uomo in meno e si è rituffata tra le fiamme. Poco dopo Hiroaki ne è uscito ma lei non c’era… Sono tornato indietro, l’ho cercata, l’ho cercata Capitano; l’ho chiamata a lungo, a lungo, ma…ma non ho mai ottenuto risposta… mi…mi dispiace Capitano” Yattaran abbassò lo sguardo sconsolato.

Harlock era una statua di pietra, nessuno avrebbe potuto capire cosa stesse pensando o provando. Senza aggiungere altro salì su una delle navette appena rientrate. “Capitano è inutile, è morta Capitano!” Urlò Yattaran, a cui il suo Capitano stava a cuore più di ogni altra cosa al mondo. “Se questo è vero, riporterò il suo corpo ” rispose secco Harlock. Partì.

Raggiunto lo squarcio creatosi attraverso l’impatto con l’Arcadia, Harlock, mascherina nera sul volto, iniziò a camminare lentamente, doveva vedere ma soprattutto sentire. Ogni tanto la nave era scossa da violente vibrazioni causate da esplosioni lontane; vi era fumo denso ovunque, una gran quantità di cavi elettrici sospesi si muovevano come dotati di vita propria, e come serpenti lanciavano faville dalle fauci luminose. Una esplosione vicina. Harlock barcollò. La temperatura era altissima, le tempie pulsavano e la sua mente pensava “Helèn dannazione dove sei?” La situazione era critica, vi erano macerie e lamiera fusa ovunque. Non poteva essere morta, non poteva averla persa. Tolta la mascherina, iniziò a chiamarla a gran voce: “Helèn…Helèn mi senti? ”

Sull’Arcadia la tensione era al culmine. Tutti erano attaccati alle postazioni in attesa di un messaggio di Harlock. “Tra poco quella maledetta nave collasserà! ” Disse Yattaran rivolto a Kei. La preoccupazione era chiara sul suo volto, non faceva che andare avanti e indietro passandosi una mano sulla testa; anche Kei era un fascio di nervi, aveva paura per Harlock ma anche per Helèn.

Harlock procedeva, voltando lentamente il capo da destra a sinistra non tralasciando nulla, noncurante dell’elevata temperatura, solo alcuni rivoletti di sudore sulla fronte tradivano il suo sentire: la sua attenzione era rivolta solo alla ricerca. Le  fiamme danzavano intorno e per lui. A volte alcune lingue di fuoco come braccia femminili bramose lo lambivano,sorridendo sardoniche. “Helèn mi senti? ”

Helèn a seguito dell’esplosione era stata sbalzata violentemente contro una parete di metallo che poi le era crollata addosso e la ricopriva quasi interamente. Aveva perso i sensi, solo l’armatura blindata aveva impedito il peggio. Sentì una voce lontana. Alzò faticosamente il capo. Caldo, fumo, fuoco. Sentiva dolore, il che era buon segno pensò; ma vedeva solo fiamme. Il pavimento caldo vibrava sotto di lei. Non riusciva a vedere bene: “Sto morendo.” Pensava. Immagini del passato, del presente, presero a rincorrersi nella sua mente; frasi, parole, volti, emozioni, sentimenti, Harlock. Faceva fatica a respirare per il peso del metallo sul corpo, la testa le ronzava. Si sentì nuovamente chiamare. “È giunta la mia ora!” Pensò. “Sono pronta...”

Poi d’improvviso un grande angelo nero si materializzò in lontananza, impalpabile  nell’aria tremula, dispiegando con le mani le grandi ali nere, i capelli castani, alto, longilineo, camminava lento e maestoso tra le fiamme, solenne, avvolto da una luce spettrale,  bellissimo. Aveva una benda su un occhio: “Harlock!” Pensò Helèn. Sorrise amara: “Sto davvero morendo perché lo vedo.” ”Helèn dove sei? Mi senti Helèn?” non era una allucinazione, era davvero Harlock!

 Gridò con quanto fiato avesse in gola. Ma non emise suono. Ci riprovò, la gola le bruciava, raccolse le forze per gridare solo un nome, un nome solo: HARLOCK.  “Harlock… ”gridò con quanto fiato aveva. Il miraggio dell’angelo dalle ali nere  la sentì ed iniziò a correre verso di lei, il mantello si gonfiò, simile ad ali spiegate, i capelli ondeggiarono, la figura snella e scattante, fu da lei. Un ginocchio a terra, sollevata la pesante lastra di metallo la tirò via con facilità. E lì per terra la strinse a sé.

All’interno della sua armatura Helèn piangeva: “Sei venuto qui, per me, per me… Allora non mi odi? Perdonami, perdonami se non ti ho detto tutto subito,ma avevo paura.” Harlock non rispose. Si alzarono. Poi le chiese: “Stai bene?” Helèn fece cenno di sì. “Ascoltami; dobbiamo allontanarci il più in fretta possibile. Ora lancerò una piccola bomba. L’esplosione consumerà tutto l’ossigeno rimasto; per pochi istanti le fiamme si ritireranno e si creerà un varco, avremo così  la possibilità di passare, ma saranno solo pochi istanti, dopo… tutto crollerà. Pensi di farcela? ” Helèn fece cenno di sì col capo. Harlock messa la mascherina, lanciò la bomba proteggendo Helèn. Le fiamme si ritrassero di colpo come fiere colpite dalla frusta del domatore: Harlock ed Helèn corsero in quel breve corridoio temporale tenendosi per mano. Helèn sentiva quella presa salda e forte e Harlock non la lasciò mai. Continuarono a correre fino alla navetta.  E poi... di colpo TUTTO esplose.

Sull’Arcadia il panico serpeggiò rapido dagli occhi ai volti di tutti. Kei, la bocca semiaperta incapace di parlare, Yattaran entrambe le mani sulla testa disse disperato, pensando al peggio e dando voce al pensiero di tutti: “ Noo! Capitano che faremo ora noi senza di te! ” In quell’istante una voce nota a tutti comunicò via radio che tornava...Tornava con Helèn. Un coro di urla e risa si levò simultaneamente dalla plancia:  Kei e Yattaran si guardarono grati, alcuni saltarono dalla gioia e per il sollievo lanciando in aria le bandane. Harlock ordinò la partenza immediata dell’Arcadia subito dopo il loro attracco.

Helèn non si era seduta accanto ad Harlock, era rimasta nella parte posteriore del velivolo, poggiata ad una parete. Si era tolta, non senza difficoltà, la pesante armatura blindata. Arrivati nell’hangar dell’Arcadia Harlock lasciò i comandi e la raggiunse. I capelli sciolti Helèn se ne stava quasi abbandonata contro la parete con il braccio destro che teneva innaturalmente il sinistro. Sudava, stava soffrendo.

Harlock la guardò preoccupato: “Helen?” Disse con aria interrogativa. “Ho una clavicola lussata, devi a…iutarmi ti prego… non ce la faccio più.” Il dolore doveva essere insopportabile, il labbro inferiore le tremava leggermente per lo sforzo. Harlock la spostò delicatamente mettendosi lui spalle alla parete per avere un supporto: “Tieniti con l’altro braccio a me.” Le disse. Si guardavano, non distolsero mai lo sguardo l’uno dall’altra. Helèn gli passò il braccio destro intorno al collo. “Pronta?” Lei fece cenno di sì col capo. Soffriva molto. Harlock con una mano tirò su delicatamente lateralmente il braccio sinistro di Helèn; con l’altra si preparò ad esercitare con un colpo netto, una forte e decisa pressione all’altezza della clavicola per risistemarla: doveva essere una manovra secca e corretta o avrebbe potuto lacerare i legamenti.

Fu un istante. Helèn si strinse a lui, gridò e svenne per il dolore lancinante. Harlock la sostenne. Un braccio intorno alla vita, l’altro intorno alle spalle.  La sostenne… e… la strinse, la strinse forte a sé. Soli. Volle tenere quella donna inerme un lungo momento tra le sue braccia. La strinse forte percependone il tepore, affondando il viso nei suoi capelli aspirandone il profumo. Ma che gli stava succedendo? Chi era quella donna che teneva tra le braccia e che non avrebbe mai voluto lasciare? Fu solo un momento, prima che la sollevasse tra le braccia per uscire dalla navetta.

 

 

 

Note :

Grazie alla mia Beta Erika Buon compleanno cara :-*

E grazie di cuore a tutte le meravigliose fanciulle che hanno voluto commentare o farmi sapere privatamente cosa pensano del racconto,dello stile e delle idee. Lo apprezzo molto siete fonte di riflessione e di ispirazione sempre. Grazie.

E grazie ancora a chi ha voluto inserire la storia tra le seguite, ricordate o preferite. Lego i vostri nomi ed avverto il vostro sguardo benevolo. Grazie.

  
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