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Autore: _Trixie_    27/09/2014    8 recensioni
[Seguito di Quattro volte in cui Emma e Regina furono felici e la quinta in cui non lo furono e Quando un cuore si spezza.]
«Io e Regina abbiamo un figlio da proteggere. Pensavamo sarebbe stato meglio andarcene, tornare a Storybrooke, se questo fosse stato ciò che Henry desiderava. Dopo quello che abbiamo saputo non lo lasceremo in un mondo pericoloso come questo, senza di noi. Ma quando non ci sarà più motivo di temere della sua vita, sarà lui a decidere se ci vorrà accanto o meno» rispose Emma.
Regina sospirò e chiuse gli occhi. Emma aveva ragione, ma non c’era motivo di parlarne in quel momento.
«Ma questo è il tuo mondo, tesoro, è la tua casa» rispose Biancaneve con un filo di voce.
Emma scosse la testa.
In quel momento, il grido di una donna squarciò l’aria.
Genere: Angst, Generale, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, FemSlash | Personaggi: Altri, Emma Swan, Henry Mills, Regina Mills
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'This is your heart, can you feel it?'
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Capitolo II
Per tenere un segreto
 

 
David spalancò la porta con un calcio, seguito a ruota da Emma. Entrambi avevano sfoderato la spada.
Regina era dietro di loro, lingue di fuoco danzavano sui palmi delle sue mani. 
Dopo aver udito quel grido dalla biblioteca, si erano precipitati tutti nella direzione da cui era giunto: gli appartamenti di Frederick e Abigail.
La figlia di Mida stava singhiozzando a terra, tra le braccia di Frederick, ma nella stanza non sembrava ci fosse null’altro fuori posto.
Frederick, che brandiva la spada con una mano e stringeva Abigail dietro di lui con l’altra, lasciò cadere l’arma a terra.
«Ci hanno seguiti. Ci hanno seguiti» ripeteva tra i singhiozzi sua moglie e a tutti fu chiaro di chi stesse parlando.
David e Emma si disposero a destra e a sinistra dei due ospiti a terra, guardandosi intorno circospetti, mentre Regina soffiava piccole sfere di fuoco intorno alla stanza, illuminandone gli angoli più bui, quelle nicchie che potevano diventare un ottimo nascondiglio per qualsiasi malintenzionato.
«Cosa è successo?» domandò Biancaneve, inginocchiandosi accanto a Frederick e aiutandolo a sostenere Abigail. L’uomo scosse la testa, ma la principessa alzò lo sguardo verso Biancaneve.
«Aiutaci» disse solo, con un filo di voce, prima di perdere i sensi.
 
Fino a quel momento, Frederick non aveva saputo rispondere a nessuna delle domande che Biancaneve gli aveva rivolto.
Quando aveva sentito la moglie gridare si trovava appena fuori dalla stanza, a dare disposizioni a una delle guardie che lo avevano accompagnato dal suo regno perché controllasse gli appartamenti durante la notte.
Si era precipitato immediatamente in direzione della porta, che non sembrava essere in grado di aprire. Aiutato dalla guardia, aveva provato a sfondarla, più e più volte, ma solo dopo momenti interminabili questa aveva finalmente ceduto, rivelando Abigail accasciata a terra, tremante, con le mani strette al ventre.
«Frederick, tutto questo ha a che fare con la congiura a palazzo, non è vero?» domandò Biancaneve, seduta accanto a Abigail.
La principessa era stata adagiata nel suo letto, dopo un’accurata visita da parte del medico di corte, il quale aveva assicurato che la donna non aveva perso il bambino.
Frederick alzò gli occhi e un’espressione di confusione e colpa si dipinse sul suo volto. Era seduto dall’altro lato della moglie e le stringeva la mano. Il respiro di Abigail era leggero e debole, ma per qualche minuto fu tutto ciò che si udì nella stanza.
«Credo di sì» rispose infine l’uomo, tornando a guardare il volto pallido della moglie. «Come lo sapete?»
«Regina non ha perso il suo intuito per gli intrighi di corte» rispose semplicemente Biancaneve. «Avreste dovuto dircelo, vi avremmo accolti in ogni caso».
«Mida aveva troppa paura di un rifiuto per rivelare la verità. Abigail è la sua unica figlia, per lei farebbe di tutto» rispose piano Frederick. «E io ero d’accordo con lui. Abigail era l’unica che non avrebbe voluto tenere nascosta la verità. Non a David».
Biancaneve annuì, ma non aggiunse altro, interrotta dall’arrivo del marito in quel momento.
«Ho rafforzato le difese militari del castello. Regina ha formulato l’incantesimo di difesa e lo sta spiegando a Emma. Ha detto che non sarà un semplice scudo, ma che terrà all’esterno solo coloro che hanno cattive intenzioni».
 
 
Regina aveva uno sguardo confuso e disorientato. Si trovava nel cortile centrale del palazzo - quello che una volta aveva ospitato il suo albero di mele - con Emma e avevano appena iniziato a lanciare l’incantesimo di protezione.
Aveva usato la magia varie volte da quando erano arrivate nella Foresta Incantata e per quanto avesse percepito una nota differente nel suo potere, non vi aveva mai dato molta importanza. Dopotutto, il suo cuore non era più avvolto dalle tenebre e forse questo aveva avuto ripercussioni anche nella sua magia.
Ma quando aveva afferrato le mani di Emma l’aveva percepito chiaramente. Si era imposta di non pensarci mentre la sua voce e quella della ragazza pronunciavano l’incantesimo all’unisono, con una sincronia talmente perfetta che sembrava impossibile si trattasse di due voci diverse.
Dai loro piedi un tenue bagliore si era diffuso, come rampicanti di una verde edera, lungo ogni centimetro del castello, dalle sue fondamenta all’apice della torre più alta, impregnando ogni pietra con il suo potere.
Era servito qualche minuto per coprire l’intera superficie del castello, ma alla fine Regina era sicura che lei ed Emma avessero fatto un ottimo lavoro.
Quando il tenue bagliore era scomparso, entrambe avevano vacillato e Regina aveva registrato la sensazione che usare la magia in maniera così massiccia le aveva lasciato.
Quella che aveva usato era stata la sua magia, eppure non lo era. 
E quella che aveva sentito provenire da Emma era la magia della ragazza, eppure non lo era.
Emma non aveva la sensibilità di Regina, ma aveva comunque intuito che c’era qualcosa fuori posto in quel loro incantesimo combinato.
«Regina» sussurrò Emma, dopo alcuni secondi di silenzio. «Perché la mia magia era-».
«Non lo so» si affrettò a interromperla Regina. «E non parlarne con nessuno, non ora. Può essere pericoloso».
Emma annuì, dando una stretta alla mano dell’altra e avvicinandosi per darle un bacio leggero sulle labbra.
«Sai, credo che mi sarebbe piaciuto conoscerti quando governavi questo regno. Mi piace quest’aura di potere e regalità» disse, a pochi centimetri dal volto di Regina. Questa le lanciò uno sguardo confuso e scosse la testa.
«Ero un po’ diversa nei miei giorni da Regina Cattiva, Emma».
«E saresti stata ancora diversa, dalla donna che eri o che sei, se ci fossi stata io» rispose Emma, sicura di sé.
Regina le sorrise, baciandole la fronte. Non lo disse ad alta voce, ma sapeva che Emma aveva ragione. Chiuse gli occhi, per impedire a una lacrima di sfuggire ai suoi occhi. 
In quei giorni, i giorni da Regina Cattiva, quando non provava altro che rabbia e dolore, in cui si svegliava la mattina rendendosi conto che la sua vita era un incubo ben peggiore di quello che aveva vissuto nei suoi sogni più bui, in cui si guardava allo specchio e nei suoi occhi non vedeva altro che magia oscura, volute viola di potere che le invadevano il cuore, Regina sapeva che aveva solo bisogno di essere salvata.
Ed Emma era nata per essere la Salvatrice.
«Regina».
«Torniamo dentro, Emma» disse solo la donna, circondando con un braccio il fianco di Emma e lasciando che l’altra ragazza facesse lo stesso con lei.
Nessuna delle due si accorse di Henry che le osservava da  una finestra, quell’immagine che si sovrapponeva a un ricordo sepolto da tempo, di un ragazzino che spiava attraverso le tende della finestra le sue mamme in auto che si scambiavano un bacio e sorrideva nel vederle perché, finalmente, sentiva che ogni pezzo era andato al posto giusto e lui aveva trovato la sua famiglia.
 
Abigail si era svegliata solo la mattina seguente.
Aveva sbattuto le palpebre un paio di volte, prima di individuare Frederick, seduto a qualche metro di distanza a un tavolo circolare. La sedia di fronte a lui era occupata da David, mentre Emma era appoggiata al tavolo con entrambe le mani, in piedi in mezzo a loro, ascoltando il padre con attenzione.
Stavano discutendo di strategia militari e del modo migliore per stanare i congiurati nel palazzo di Mida: le sue conoscenze da cacciatrice di taglie potevano tornare utili.
Guardandosi intorno, Abigail individuò anche Biancaneve e Regina, sedute su un divano, in compagnia di Henry e Ethel.
Il ragazzo era addormentato e aveva la testa appoggiata sulla spalla di Biancaneve, la quale a sua volta aveva abbandonato la propria su quella del ragazzo, una braccio a circondare le spalle forti del nipote. Il piccolo corpo di Ethel invece era steso sopra quello degli altri tre, con i piedi su una delle gambe di Henry e il corpo, quasi completamente reclinato, sostenuto e stretto a sé da Regina, l’unica vigile e attenta, gli occhi puntati sui tre che discutevano attorno al tavolo circolare.
Durante la cena, aveva sentito la bambina chiamare la donna zia Regina e le era sembrata affezionata alla donna, allo stesso modo in cui si era affezionata alla sorella appena ritrovata, Emma.
Abigail respirò a fondo, chiedendosi perché si trovassero tutti nella sua stanza.
E poi ricordò.
Ricordo la finestra spalancarsi con un colpo secco, le tende scosse con tanta forza da sibilare nell’aria, le candele spegnersi all’improvviso e una figura, nera e furtiva, che si aggirava intorno a lei, chiamandola.
«Abigail, Abigail, Abigail»
«Chi sei?» aveva chiesto la donna, la voce acuta e colma di terrore, stringendosi il ventre.  
«Non sarai mai al sicuro, Abigail, non puoi scappare da noi».
L’ombra continuava a spostarsi intorno a lei.
«Nessuno di chi ami sarà al sicuro, Abigail. Cadranno uno ad uno per te, Abigail. E rimarrai sola. Abigail, Abigail, Abigail».
E poi l’ombra, l’essere, qualsiasi cosa fosse, era passato attraverso il suo corpo.
E Abigail aveva urlato.
Aveva sentito un freddo intenso, un dolore dilaniante, e aveva solo pensato al suo bambino. Doveva proteggerlo, in ogni modo, ma non aveva idea di come fare.
Aveva continuato a urlare, si era accasciata a terra, singhiozzando e ricordandosi di respirare solo quando aveva sentito le braccia di Frederick attorno al suo corpo minuto. E l’ombra era scomparsa.
«Frederick» chiamò Abigail, tornando al presente. Voleva averlo accanto, aveva bisogno di averlo accanto e sentirsi dire che era tutto quanto un incubo e che lei stava bene, che il bambino stava bene.
Perché altrimenti, Abigail lo sapeva, sarebbe impazzita.
La sua voce era roca e bassa e per un secondo temette di non essere stata udita e non sapeva se avrebbe avuto le forze di ripetere il nome del marito, ma poi il viso di Frederick si voltò verso di lei, un’espressione di sollievo si dipinse nel suo sguardo. L’uomo si alzò con una furia tale da far cadere la sedia su cui era seduto.
Il tonfo fece sussultare e svegliare Henry e Biancaneve, mentre la piccola Ethel si limitò ad agitarsi tra le braccia di Regina e mugugnare qualcosa nel sonno. Aveva cinque anni e il sonno profondo almeno tanto quello di Emma.
«Abigail, tesoro, Abigail» sussurrò Frederick, fiondandosi al fianco della moglie. Le baciò la fronte, poi le labbra.  
«Il… Il bambino… Frederick».
«Sta bene, tesoro, il medico ha detto che sta bene. Come ti senti? Hai sete? Fame?»
«Acqua» rispose la donna, chiudendo gli occhi.
«Faccio io» disse Biancaneve, prontamente, alzando le gambe della figlia e appoggiandole di nuovo sul divano.
Henry lanciò uno sguardo a Regina, che scostò un ciuffo di capelli dal volto di Ethel.  
Un punta di dolore gli trafisse il cuore e un’ombra passò nei suoi occhi. Emma la colse chiaramente e si trattenne a stento dall’attraversare la stanza e abbracciare il figlio.
Abigail bevve a piccoli sorsi l’acqua che Biancaneve le porse.
Quando ebbe finito, le sue guance sembrarono acquistare un po’ di colore e Biancaneve si scusò, uscendo dalla stanza per ordinare a un valletto di portare qualcosa da mangiare.
Quando tornò, Frederick e David si scambiarono un’occhiata.
«Tesoro, ti ricordi cosa è successo?» domandò il principe.
Abigail rimase a lungo in silenzio, prima di annuire.
Poi iniziò a raccontare.
 
«Henry non avrebbe mai dovuto sentire nulla di tutta quella storia» sbottò Regina, sbattendo la porta della loro camera dietro alle spalle.
«Che cosa hanno nella testa i tuoi genitori? Potranno anche averlo cresciuto come un principe, mandandolo a caccia e regalandogli spade per i compleanni, ma è troppo giovane per essere coinvolto».
Emma si lasciò cadere sul letto a pancia in giù, rimbalzando debolmente.
Aveva passato l’intera notte sveglia a parlare con David e cercare il modo migliore per risolvere la situazione alla corte di Mida, mentre domande riguardo la sua, lo loro, magia, le affollavano la testa.
Dopo l’episodio di Abigail, avevano deciso di rimanere uniti e avevano improvvisato un quartiere generale nella stanza della donna. Ethel si era addormentata in fretta, cullata dalle parole di Regina e Biancaneve che le raccontavano antiche favole della Foresta Incantata, aggiungendo dettagli che l’altra aveva dimenticato e così David, conoscendo il sonno pesante della figlia, aveva iniziato a discutere del modo migliore per agire.
Regina aveva storto visibilmente il naso.
E Emma aveva capito che si trattava di Henry, del fatto che gli fosse concesso di presenziare a quella che aveva tutta l’aria di essere una riunione militare, ma nessuna delle due aveva osato dire nulla.
Biancaneve aveva stretto la mano di Regina per un attimo.
Fortunatamente, nel giro di poche ore, anche Henry e sua nonna si erano addormentati.
«Gli manchi» disse Emma, ignorando le parole dell’altra.
«Cosa?»
Regina si stava togliendo l’abito appena sgualcito, evidentemente intenzionata a seguire il consiglio di David di riposare almeno per qualche ora, ma si bloccò a metà schiena, i lacci in parte liberi.
«A Henry» rispose Emma, rotolando sulla schiena con fatica per poterla osservare e sorriderle. «L’ho osservato. E gli manchi, Regina, gli manca la sua mamma».
La donna rimase qualche secondo in silenzio.
«Sono sicura che gli manchi anche tu» disse infine, accennando un sorriso timido e avvicinandosi al letto.
Emma scosse la testa, mentre Regina si sedeva accanto a lei, e adagiò la testa sul grembo dell’altra.
«Emma».
La ragazza scosse la testa con più forza, calde lacrime che scivolavano lungo le sue guance.
«Sono solo stanca» disse infine, singhiozzando, con le mani di Regina che le accarezzavano i capelli biondi.
«Emma…».
La ragazza si mise a sedere guardando Regina con un sorriso triste e asciugandosi le lacrime con un mano. Si spostò alle spalle dell’altra e prese a slacciarle il vestito.
«Dormiamo e basta» disse con un filo di voce. «Ti va? Ti va di stringermi e dormire con me, Regina? Per favore».
Le mani di Emma accarezzarono la schiena dell’altra per tutta la sua lunghezza. Regina chiuse gli occhi, prima di torcere il busto e guardarla.
«Sì, Emma».
 
Emma si svegliò sbadigliando.
Una mano leggera e fresca le scostò il capelli dal volto e il sorriso di Regina entrò nel suo campo visivo.
«Ehi» disse la donna, continuando ad accarezzare le guance di Emma. «Stavo per svegliarti».
«È successo qualcosa?» domandò immediatamente Emma, cercando di uscire completamente dal torpore del sonno. Sfortunatamente, le carezze di Regina sortivano l’effetto opposto.
«No, non preoccuparti. Biancaneve è passata a chiederci di fare colazione in giardino» rispose Regina, storcendo il naso. «Più che altro ha richiesto espressamente la nostra presenza».
«Cosa? Dopo quello che è successo mia madre ha il tempo di pensare alla colazione?»
«Credo che lo faccia per Abigail. Il medico ha raccomandato di mantenere un’atmosfera il più possibile tranquilla e quotidiana».
«E perché noi dobbiamo andarci?» domandò Emma, mettendosi a sedere e lasciando che Regina le circondasse le spalle con un braccio. «Sarebbe più utile cercare di nuovo tracce nella sua camera, interrogare i servitori, perlustrare il perimetro del castello, chiedere di avvenimenti strani o cose del genere. Insomma, qualcuno ha aggredito Abigail nelle sue stanze, presidiate da guardie più o meno fidate, e ancora non ne sappiamo nulla. Non credi sia pericoloso condurla all’esterno?»
«Non sappiamo contro chi o cosa abbiamo a che fare Emma. Per quanto ne sappiamo potrebbe risiedere nei muri del castello o spostarsi per mezzo del fuoco o chissà che altro. Con la magia in gioco, ci sono infinite possibilità. In ogni caso, il giardino di cui parla tua madre è una grande terrazza sul lato est del castello. Venne fatta costruire in onore di tua nonna Eva. Non mi era espressamente vietato di andarci, ma…» Regina lasciò la frase in sospesa, ammiccando tristemente. «In ogni caso, la nostra presenza è richiesta per quello che hai detto l’altra sera, Emma».
«Riguardo a cosa?»
«Riguardo al voler lasciare la Foresta Incantata» rispose Regina.
 
Quando Emma e Regina raggiunsero mano nella mano la terrazza per la colazione, furono sorprese dal trovarci solo Biancaneve e il Principe, che stava sfruttando la posizione sopraelevata della terrazza per spiegare a Henry la collocazione di alcuni possedimenti del regno. Ethel, poco distante, osservava incuriosita una farfalla, mentre sua madre dava indicazioni alle cameriere.
L’irrealtà della situazione, accentuata dalla vegetazione rigogliosa e dai rampicanti sul gazebo sotto il quale era stata allestita la colazione fecero dubitare a Emma di essere effettivamente sveglia, tanto da spingerla a pizzicarsi violentemente il braccio quando Regina fece gentilmente notare a sua madre che aveva dato disposizioni errate riguardo le posate.
Biancaneve le rivolse uno sguardo riconoscente, venato dall’esasperazione di doversi occupare dell’allestimento della tavola.
«È l’unica regola del galateo che non è mai riuscita a imparare» commentò Regina, facendo un cenno al Principe per salutarlo. «All’inizio, tutti noi provammo a correggere l’errore, ma con gli anni Biancaneve sembrava non voler imparare, così pian piano le persone smisero di farglielo notare».
«Tranne Regina» aggiunse Biancaneve, che si era avvinata. «Regina mi faceva apparecchiare appositamente la tavola perché imparassi. Era molto più paziente degli altri, con me. Poi…»
Regina abbassò lo sguardo verso terra.
«Poi la magia prese il soppravvento» concluse la donna, con un sorriso triste.
Emma le mise una mano alla base della schiena con fare protettivo, ma in quel momento un piccolo uragano di tulle e nastrini investì Emma e Regina, che si ritrovarono Ethel abbracciata a una gamba di ciascuna delle due.
«Ehi, principessa» la salutò subito Regina, accarezzandole capelli e abbassandosi alla sua altezza. «Hai dormito bene?»
Ethel annuì, i boccoli castano chiaro accompagnarono il movimento e Regina si chiese se anche Emma, da bambina, fosse altrettanto adorabile.
«Forse ha alcune foto dell’altro mondo» disse la bambina, stringendosi nelle spalle.
«Cosa?» domandò Regina, sistemando una piccola piega dell’abito di Ethel.
Anche lei, da bambina, aveva indossato abiti simili. A Biancaneve non importava che questi si rovinassero nei giochi sfrenati di Ethel. Cora, invece, aveva sempre preteso che la piccola Regina fosse impeccabile.
Emma nel frattempo si era allontanata e stava studiando incuriosita il tavolo della colazione, chiedendo a sua madre perché ad ogni pasto fosse necessario tanta argenteria. Biancaneve ignorò la domanda, ma spiegò di nuovo ad Emma il corretto uso di ogni piatto, forchetta, cucchiaio, coltello, contenitore e bicchiere.
Regina era convinta si trattasse una battaglia persa e che l’unica soluzione fosse suggerire alla ragazza come comportarsi a tavola in modo appropriato a seconda delle situazioni che si presentavano.
«Emma. Puoi chiederle se ha alcune foto di quando era come me» spiegò Ethel.
«Come fai a sapere cosa ho pensato?» domandò Regina, attenta e incuriosita dalla bambina.
Ethel le mise le braccia intorno al collo, chiaro segno che voleva essere presa in braccio. Quando Regina la accontentò, la bambina mise le mani a coppa attorno all’orecchio della donna e bisbigliò poche parole, che fecero preoccupare non poco Regina.
 
Biancaneve si era lentamente allontanata dal tavolo della colazione mentre spiegava a Emma per quale motivo era consigliabile non usare la stessa posata per portate diverse e aveva costretto la ragazza a seguirla. Quando furono abbastanza lontane da non poter essere ascoltate, Biancaneve prese la mani di Emma.
«Ti piace il castello, tesoro?» le chiese con un sorriso speranzoso. «E questa terrazza? Sembra un vero giardino, non credi?»
«Sì, è tutto molto… fiabesco» rispose Emma, guardandosi intorno con fare circospetto.
«Ed è tuo, Emma, è casa tua» disse Biancaneve, indicando con un ampio gesto del braccio le torri e le mura del palazzo.
«Regina mi aveva avvertita. Era proprio brava in tutta questa faccenda della diplomazia e delle relazione politiche, non è vero?» domandò Emma, con un sospiro e un sorriso appena accennato.
«Regina era molte cose. Comunque, Emma, non puoi tornare a Storybrooke. Tu sei nata in questo castello, queste terre ti appartengono di diritto, sei l’erede al trono» provò ad insistere Biancaneve, stringendo più forte le mani di Emma. «Sei tornata a casa… Perché vuoi andartene di nuovo?».
«È casa mia e continuerà ad esserlo fino a quando ci saranno Regina e Henry. Ma se Henry non ci vuole tra i piedi… »
«Emma, per favore».
«Non è il momento di parlarne. Abbiamo un’emergenza e non sappiamo esattamente quanto sia pericolosa questa congiura che ha preso di mira Abigail, Frederick e la loro famiglia. Affrontiamo un problema alla volta, d’accordo? Quando tutto questo sarà finito, ne parleremo tutti insieme e a Henry toccherà la decisione finale» le disse Emma, risoluta.
Biancaneve annuì, aggrappandosi alla possibilità che sua figlia rimanesse, per Henry.
Anche se faceva male sapere che Emma si sentiva più a casa accanto a Regina, che non a lei.
 
 


NdA
Buon sabato a tutti!
Non so voi, ma io sono particolarmente agitata per la puntata di domani notte ** Spoiler (e Twitter mi stanno letteralmente uccidendo). Il colpo di grazia poi lo da quella beta di evelyn_cla con i suoi commenti, ma soprattutto con i suoi capitoli.
Ho bisogno di una Emma che mi salvi.
Comunque, spero che il capitolo vi sia piaciuto e.... a presto,
Trixie :D
Facebook | Dopey&Tucky
   
 
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