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Autore: Colli58    28/09/2014    5 recensioni
Ryan sorrise e si voltò verso Esposito mormorando.
“Siamo patetici. Quasi mendichiamo per del cibo.”
Esposito non si fece abbindolare. “Ehi, siamo al lavoro da ore. Un amico se è tale porta cibo per tutti… non solo per…”
“Bada a come parli Espo.” Lo richiamò Kate sorridendo. Gli fece l’occhiolino divertita e finalmente sazia.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Javier Esposito, Kate Beckett, Kevin Ryan, Richard Castle, Victoria Gates | Coppie: Kate Beckett/Richard Castel
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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- Questa storia fa parte della serie 'Achab Story'
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“Acqua salata?” Chiese Esposito sorpreso mentre leggeva il referto di Lanie.
“Chi diavolo poteva avere voglia di far affogare un tizio in mare per poi buttarlo in un canale. Un grosso sasso bastava…” Aggiunse Ryan con un’espressione stupita. Castle scambiò con l’irlandese uno sguardo divertito.
“Beh, acqua salata, non è detto che sia di mare, appena arrivano gli esiti delle analisi lo sapremo con certezza.” Rispose Beckett segnando alcuni dati sulla lavagna. L’orario in cui aveva pagato l’ingresso a Suprema, alle ore 23 e 30, non era poi così prossimo all’ora della morte, che a causa di un rigor mortis accelerato dovuto dell’acqua fredda del canale in cui era stato buttato, poteva essere spostata in avanti oltre le tre.
Il raggio d’azione per un’eventuale spostamento comprendeva quindi tre ore e mezzo di tempo. Tradotti in chilometri ad una velocità pari a un 60 / 70 km orari, poteva dirsi un bel po’ di spazio e non si poteva escludere a priori che si fosse allontanato molto dalla zona. Ma il corpo era stato ritrovato a pochi isolati, portando a pensare che la morte fosse comunque avvenuta in quell’area.
“Il fidanzato è stato tutta sera a giocare online con amici come confermato dal suo compagno di stanza. I tabulati online del server di World of Warcraft confermano che il suo account è stato in linea dagli ip dell’università fino alle 4 e 21.”  Rimarcò Esposito guardando con curiosità i tabulati che Ryan gli aveva passato. “Qualcuno può aver usato il suo account?” Valutò Castle.
“Il compagno di stanza ha confermato che è stato li tutta la sera.” Rispose Ryan facendo un’espressione corrucciata. “Sempre se ci fidiamo di lui. E poi sulle telecamere non si rilevano movimenti di Robert alle porte dei dormitori.” Specificò.
“Com’è che stavano insieme ma Randall viveva con un altro compagno di stanza al dormitorio mentre Keeler aveva stanza propria da solo?” Chiese Esposito e Castle rise.
“Ovvio, sei ricco e te lo puoi permettere. Vivi solo e fai entrare chi vuoi…” Commentò divertito.
“E non è detto che sia sempre il tuo compagno…” aggiunse Beckett con malizia.
“Marito, è ora di indagare al Suprema.”
Castle fece una smorfia stringendo gli occhi. “Ok mia signora!”
“Mutande di ferro Castle” Esposito gli diede il cinque e Castle rispose. “Ci puoi giurare e poi lei sparerà a vista a chiunque attenterà alle mie virtù.”
“Parola di lupetto…” Finì Beckett alzando la mano. Sorrise facendogli cenno di andare.
“Noi continuiamo a scavare sul conto di Keeler. Se faceva davvero il prostituto come i suoi colleghi di università insinuano, magari alla buoncostume hanno qualcosa per noi.” Rispose Ryan annuendo. Osservò Castle aiutare Beckett a mettersi la giacca e seguirla con un sorriso compiaciuto e poi si voltò verso Esposito.
“Perché hai quell’aria da ebete?” Chiese l’amico vedendolo così assorto.
“Perché ho scoperto qualcosa di bello…” rispose Ryan lasciando Esposito a bocca aperta e senza ulteriore spiegazione.
“Cosa intendi?” Replicò Esposito ma Ryan se n’era già andato a dedicarsi alle sue ricerche.
“Ehi… cosa intendi?” lo richiamò dall’ufficio vicino. Lo raggiunse roso dalla curiosità.
Ryan sbuffò alle insistenze di Esposito. “Solo un sensazione ok? Ma è una cosa bella.”
L’ispanico lo guardò torvo. “Intendi tenerlo per te?”
“Per il momento sì. Ma presto credo che lo capirai anche tu.” Rispose calmo cercando un numero sull’elenco telefonico di New York via web.
“Bell’amico che sei. Ma riguarda mamma e papà?” Ryan annuì.
“Oh…” aggiunse Esposito tornando sui suoi passi. Forse Lanie sapeva qualcosa in più, era un buon momento per andare a trovarla? No, non lo era ma se Ryan si era cucito la bocca... Si fermò in mezzo al corridoio.
“Porc…” Disse pensando ai fattori in gioco. Realizzò che c’era una sola cosa che poteva destare così positivamente l’interesse di Ryan nella relazione tra i coniugi Castle: un piccolo Castle in arrivo.

La macchina si muoveva nel traffico ancora scorrevole del tardo pomeriggio. Non era l’orario di punta e il grosso del mondo lavorativo newyorkese si sarebbe riversato in strada solo nell’ora successiva. La luce del giorno era pallida, l’autunno stava avanzando e il fresco odore dell’umidità mista a quello meno piacevole delle foglie marcescenti invadeva l’aria del viale che stavano percorrendo, surclassando l’odore dei gas di scarico. Castle alzò il finestrino per evitare corrente d’aria. La temperatura all’interno della macchina si era abbassata ma non cera bisogno di ulteriore regolazione e così lui si accomodò meglio sul sedile.
Beckett era silenziosa e si mordicchiava le labbra guardando la strada.
“Sei preoccupata?” Chiese Castle ridestandola dai suoi pensieri.
Kate scosse il capo e alzò il mento. “Stavo pensando al caso e a dove poteva essere andato dopo il night. Insomma entra in un locale notturno prima di mezzanotte e per le tre viene pestato a morte… Dobbiamo sapere con chi si è intrattenuto, quando è uscito di lì e con chi.” Disse con sicurezza.
“Beh, in quei locali di solito si conoscono un po’ tutti se sono assidui frequentatori. Troveremo qualcosa.”
Kate espirò stringendo le mani sul volante.
“Riguardo a prima…” disse a bassa voce.
“Non devi giustificarti Kate, se sei gelosa per me è solo motivo di orgoglio.” Disse con dolcezza e sorridendole.  Lei negò con il capo. Non era solo la questione della gelosia.
“Non è solo per Gina.” Spiegò cercando di trovare le parole. “Riguarda lo stare lontani.”
Castle sospirò. Forse aveva capito a cosa si riferisse. Quel punto debole non era solo di Kate, anche lui ne era ancora coinvolto. Come poteva non esserlo.
“Pensi ancora a quel giorno?” Disse piano. Castle annuì lentamente.
“Cerco di non farmi trascinare da quel ricordo. Ma talvolta torna, soprattutto quando devo andare via.” Fu lei stavolta ad annuire. “Ogni tanto hai ancora qualche incubo…”
“Sempre più raramente ormai.” Rispose sereno.
“Non mi piace stare lontana da te.” Commentò stringendo poi le labbra. “E credo di volerne parlare.”
Castle allungò una mano e l’appoggiò su quella di lei.
Le sedute con il dottor Burke erano un ricordo lontano ma quel trauma che li aveva coinvolti di tanto in tanto affiorava riproponendo paure. Era tanto tempo che non affrontavano più quel discorso, l’unico modo vero di allontanare le paure era stato parlarne insieme. Discuterne, trovare il modo di darsi sicurezza a vicenda. Un lavoro di squadra, come ben sapevano fare.
“Saranno gli ormoni, non so…” Disse Kate a bassa voce. “Maledizione! Sei già stato lontano per lavoro in questi due anni, ma…” sbuffò un po’ in ansia e Castle percepì la sua irritazione.
Non amava sentirsi vulnerabile.
“Ma è difficile saperti lontano.” Alzò le spalle per minimizzare e poi si scostò i capelli dal viso con la mano libera.  Espirò e si voltò a guardarlo per pochi secondi.
“Vale anche per me, soprattutto adesso che siamo in tre. Ma non accadrà più nulla di male.” Disse Castle con forza. Strinse la propria mano su quella di lei.
“Anche perché abbiamo tante cose da fare, da pianificare… tipo… sistemare casa!”
Beckett rise sentendo la tensione abbandonarle le spalle.
“Tesoro, se hai bisogno che io resti, lo farò.” Sottolineò Castle con dolcezza cercando di tranquillizzarla. Lo avrebbe fatto anche se gli fosse costato, ne era sicura.
“Avrai dei guai con la casa editrice, non pensarci nemmeno.” Lei scosse nuovamente il capo mormorando: “Voglio vincerla questa maledetta insicurezza, non crogiolarmici…”
Castle fece scivolare la sua mano lungo il braccio di lei fino al collo, accarezzandole la nuca con lentezza.
Non era stato il solo a farsi del male quella volta e la terapia che insieme avevano affrontato li aveva avvicinati anche di più.
“Non voglio tornare ad avere quelle paure!” Sbottò Kate energica. Il gesto con la mano per allontanare quei pensieri bui lo fece sorridere.
“Abbiamo vinto Kate e nessuno ci può fermare.” Disse mimando una V con le dita. “Tu sei Achab, io sono la tua balena bianca, stiamo insieme e aspettiamo un fagiolino. E ogni cicatrice che ho sul corpo è un segno tangibile che mi ricorderà sempre che ho lottato per tornare da te. Abbiamo lottato e insieme abbiamo vinto.” Sottolineò con enfasi a ribadire il concetto. Non si sarebbe fatto intimorire di nuovo e neppure privare di quella libertà che si erano faticosamente guadagnati con le unghie e con i denti, sputando sangue. La sua espressione si fece seria, feroce e decisa.
Kate sbirciò i suoi occhi. Lo poteva vedere con chiarezza il suo Castle combattivo, forte nei sentimenti, quello tenace che l’aveva avuta vinta su di lei, sul suo passato e sulle sue paure.
Il Castle protettivo, pericoloso e reattivo.
Nella loro dualità di coppia avevano fragilità e forza in modo alterno, complementare. Kate amava la sua positività, anche se era stato ferito aveva rialzato la testa più sicuro che mai, ma era anche particolarmente sensibile di animo, dolce e comprensivo, il suo sognatore. E poi riusciva a vedere sempre il mondo più roseo contagiandola. Al suo fianco la forza sprigionata da Kate si era moltiplicata, per contro era riaffiorato il suo essere donna e non più un solo un automa. Era ritornata la Beckett romantica di quando era ragazzina, quella più fragile che aveva voluto nascondere, e che ora poteva vedere soltanto lui e in misura minore i loro cari. Castle amava quei suoi momenti di dolcezza e fragilità emotiva, se ne prendeva cura coccolandola e avvolgendola con il calore dei suoi sentimenti profondi e sinceri. Allo stesso tempo andava pazzo per il suo essere integerrima, forte e abile nel suo lavoro. Conosceva la sua resistenza e la sua forza nel perseverare. Ecco, forse in quello lei e Castle si assomigliavano: erano perseveranti, li aveva contraddistinti la tenacia per arrivare a quello che desideravano.
“Fagiolino…” Kate sorrise abbandonando quelle elucubrazioni sulla loro unione. “Non la smetterai mai vero?” La tensione scivolò via tra un sorriso di lei e la carezza che lui lasciò sul suo collo.
“Compiti a casa per quando non ci sarò… leggere libro dei nomi.” Si appuntò Castle con una cadenza d’automa.
“Vale anche per te.” Rispose lei. “E scordati Bean ok?” Lui annuì.
“Cosa dicevi prima… sulla questione di sistemare casa?” Chiese lei svoltando al segnale del navigatore. Una via con insegne gigantesche e colorate di locali notturni si aprì davanti a loro. Le insegne erano accese ma la loro luce era ancora stemperata da quella pallida della giornata autunnale.
Castle sorrise. Kate aveva superato il momento difficile.
“Avremo bisogno di spazio per il nostro… cucciolo… Una stanza, un posto per averlo accanto alla camera da letto e quindi avere anche il necessario per prenderci cura di lui. E poi se tu passerai di grado…” Disse voltandosi verso di lei con gli occhi divertiti, “e succederà presto” sottolineò con serietà, “avrai bisogno di un tuo spazio, un ufficio tutto tuo per lavorare da casa.”
Beckett aprì la bocca stupita. Deglutì quindi cercando il parcheggio e fermando l’auto.
“E quando hai pensato a questa cosa?”
 Il discorso di Castle non faceva una piega, se non fosse che lei non era così certa di poter passare di grado nei tempi che Castle aveva paventato, ma l’idea di cambiare le cose per trovare il giusto spazio per il loro bambino era una cosa a cui avrebbero dovuto pensare in due. Lui ci era già arrivato, forse dall’alto della sua esperienza, probabilmente stava già architettando qualcosa.
“Oggi, mentre cucinavo e…” Si mise una mano sulla bocca sgranando gli occhi. 
“Ora mi sono ricordato che… ho lasciato la cucina in un vero caos. Pensavo di tornare per sistemare… ma sono rimasto qui…”
Uscirono dall’auto e guardarono la grande insegna dove un vistoso occhio di Ra osservava i passanti con luci intermittenti su una superficie di metallo volutamente ossidata.
Indicò a Kate di aspettare un minuto, tolse il cellulare di tasca e fece una telefonata alla loro colf, chiedendole di fare ordine in cucina. Sì scusò dello scarso preavviso e ringraziò della risposta positiva che gli veniva data.
“Risolto.” Rispose telegrafico mentre Kate aspettava appoggiata allo sportello dell’auto.
“Oggi mentre cucinavi…” Ripeté lei per riallacciare il discorso.
Castle si mise le mani nelle tasche della giacca tornando ad affiancarla. “Insomma non potrai rispondere al telefono e dare ordini a squadre di poliziotti mentre io cambio il nostro… bambino che ha il pannolino sporco e piange perché ha fame.” Disse con un’ovvietà tale che si meritò una spallata da Kate. Lei non disse nulla limitandosi a sorridere. Il quadro era perfetto, visivamente nitido, studiato nei dettagli come la sua mente laboriosa sapeva fare.
“Hai anche chiamato l’arredatore?” Disse Kate mentre a passo lento si avviavano verso la porta di servizio del locale.
“No, questo lo dobbiamo vedere insieme. Ovvio…” Rispose lui. Il silenzio di Kate lo fece fermare sui due piedi.
“Credo che potremmo anche studiare qualcosa magari riconvertendo la sala cinema al mezzanino.” Disse con perplessità.
“Mi piace l’idea creare un posto adatto, ma la sala cinema è una delle tue preferite… e anche a me piace stare spaparanzata su quel divano a mangiare popcorn e a vedermi un film come si deve in santa pace. Sei davvero sicuro di questa scelta?” Kate era dubbiosa. Posto sì ma quello era speciale per entrambi, almeno quanto la loro stanza da letto. Non voleva farlo diventare il proprio studio. “E poi il tuo studio è… abbastanza per noi.” Disse con un sorriso. Lui si avvicinò. “Vedremo, erano solo idee…”
“Ottime per altro.” Sottolineò lei.
“Sei d’accordo?” Chiese Castle prima di entrare dalla porta. Si era riproposto nel passato che nulla doveva diventare scontato tra loro. Considerare scontata la sua relazione con lei l’aveva messa in pericolo ed era stato vicino al perderla per una sciocchezza. Quindi anche quel genere di cose andavano discusse, vissute insieme perché andare avanti da solo era sbagliato. Con lei voleva discutere, confrontarsi sempre. Aveva più tempo per pianificare cose ma nulla aveva senso se lei non era con lui a parlarne. Voleva ardentemente che quella nuova fase della vita fosse vissuta in due anche più del passato. Un figlio aveva bisogno di entrambi i genitori e lui stesso, in cuore suo, conosceva bene il perché.
La guardò annuire sorridendo.
“Come potrei non esserlo Castle...” Replicò Kate. Aprì la porta ed entrò decisa estraendo il proprio distintivo dalla giacca.

“Signori è chiuso e qui non siamo in cerca di nuovo personale…” Li avvertì una voce gracchiante dal bancone appena fecero il loro ingresso nel locale. L’uomo che aveva parlato squadrò sia Beckett che Castle con uno sguardo indagatore.
“Non siamo qui per cercare un lavoro, ma risposte…” replicò Beckett che venne investita da un miasma di profumi maschili mischiati a essenze vagamente tropicali. Ebbe un leggero capogiro.
“Non so che risposte voglia, ma se in cambio mi lascia quel bel bocconcino da un metro e novanta con cui si accompagna le dirò ciò che vuole.” Ridacchiò scioccamente muovendosi per raggiungerli. Castle tossì.
Kate alzò il distintivo e lo mostrò al suo interlocutore, un uomo sulla cinquantina, brizzolato e vestito con una giacca a colori vivaci su un completo nero. Si mosse in modo lento, con le mani alzate e un atteggiamento un po’ teatrale che a Castle ricordò la propria madre. “Se avesse un foulard sgargiante sarebbe identico a mamma, ma senza la sua amata borsa di Gucci.” Commentò e Kate trattenne un sorriso.
Il locale rispecchiava un po’ quel vezzo di avanspettacolo che il proprietario aveva, grandi palchi per i privee davano su una grande sala da ballo circondata da tavoli, una scalea con led colorati a gradino saliva verso il palco e c’erano drappeggi un po’ ovunque. Il tema vagamente egiziano dell’occhio di Ra era riportato sopra il palco e in misura più contenuta sui parapetti dei palchi laterali. Un piccolo teatro all’interno di un capannone.
L’uomo si avvicinò per scrutare meglio il distintivo e Beckett annuì guardandosi in giro.
“NYPD, sono il detective Beckett della omicidi e lui è il sig. Castle. Dovremo fare alcune domande su Frederick Keeler…” Iniziò a dire. Per fortuna il suo olfatto si abituò velocemente a quelle zaffate di colonia e la testa smise di girare.
L’uomo corrugò la fronte. “Freddy? Oh certo… sono il proprietario del club, Mason Whittaca…” Si presentò quindi indicandogli di proseguire verso un tavolo.
“Ma è successo qualcosa a Freddy?” Chiese indicandogli di accomodarsi per poi fare un cenno al DJ di abbassare la musica e poter parlare in una tonalità meno stordente.
Beckett fece un sorriso teso di circostanza. “Purtroppo il signor Keeler è stato ucciso questa notte.” Non era mai bello dare l’annuncio della morte di qualcuno, soprattutto non sapendo in che relazione fosse l’interlocutore con la vittima.
Il signor Whittaca impallidì.
“Freddy morto?” Chiese stupito e con le lacrime agli occhi. “E chi è stato?” Boccheggiò sgomento.
“E’ quello che vogliamo scoprire.” Rispose Beckett.
Nella mezz’ora che seguì, il signor Whittaca, amico e mentore di una versione molto più vivace di Freddy Keeler, quella che Beckett e Castle supposero essere più veritiera, rispose a tutte le domande che gli furono poste. Fu molto disponibile a raccontare loro dell’amore del ragazzo per lo spettacolo, per il mondo dell’operetta e di come in quel locale venisse quasi ogni settimana per assistere a spettacoli o parteciparvi lui stesso. Castle obbiettò subito sul perché Keeler, se era di casa, pagava il biglietto di ingresso.
Il loro ospite spiegò nel dettaglio che le gelosie erano un impiccio molto comune e che quando non era lì per lavoro, insisteva per pagare l’ingresso per non inimicarsi nessuno. Poi le consumazioni erano gratuite per lui. Qualche nemico però se l’era anche fatto visto com’era finito. Il riferimento alla sua morte colpì molto Whittaca, che rimase inorridito. Non era da Kate eccedere in dettagli, ma aveva dato in pasto all’uomo solo quanto gli era necessario per fargli capire che cercava proprio quel genere di inimicizie.
Per come la vedeva il padrone del Suprema, Freddy era un’anima ingabbiata. Stava alla larga da suo padre ossessionato dalla politica e dall’immagine ma era uno spirito libero e difficilmente restava coinvolto in storie che duravano più di sei mesi. Secondo lui aveva un patto con il padre, non rendere pubblica la sua vita per non danneggiarlo in politica. Questo atteggiamento però continuava a ledere la sua libertà e se voleva diventare famoso nell’avanspettacolo doveva farsi un nome, cosa che andava in conflitto con gli interessi di potere della famiglia.
Whittaca tenne anche a precisare che quelle fossero solo sue speculazioni. Evidentemente il potere del vecchio Keeler lo spaventava e non voleva rischiare delle fastidiose querele. Inoltre non era al corrente che Freddy avesse un compagno fisso, raccontò con dovizia di particolari che il ragazzo aveva frequentato negli ultimi due anni prima un ballerino di danza classica che poi si era trasferito a San Diego, un fantastico suonatore di bonghi giamaicano che gli aveva spezzato il cuore sposando una ricca ereditiera e infine si ricordava di un ragazzone di colore di nome Saul che aveva frequentato per qualche tempo il locale. Di Saul sapeva solo che stava cercando un lavoro da buttafuori o da bodyguard ma non aveva idea di che fine avesse fatto. Sapeva però che Freddy non era uscito bene da quella rottura.
Negò la sua complicità in affari di prostituzione maschile, secondo il suo parere le compagnie poco raccomandabili che erano state descritte dai compagni di università del ragazzo si riferivano alle frequentazioni presso locali come il suo e come altri in città: certa gente non capiva il loro lavoro. Il suprema non era il solo locale a fare quel tipo di spettacolo. Whittaca però non conosceva le sue amicizie. Cercava solo di tenerlo con sé al Suprema perché lo considerava un tipo dotato e sperava di farne una sua star. Non aveva idea se avesse dei nemici così acerrimi da portarlo alla morte, o se si fosse cacciato in qualche guaio, ma se ne avesse parlato con lui lo avrebbe certamente aiutato.
Dalle sue informazioni e da quelle del buttafuori, un gigante glabro di nome Gerard, avevano saputo che Keeler aveva abbandonato il locale solo dopo aver ricevuto una telefonata. Se n’era andato a metà dello spettacolo dei portatori di fuoco, cosa di cui Castle chiese con curiosità dettagli in merito, appena passata la mezza. Quindi era rimasto nel locale poco più di un’ora.
Il buttafuori, anche lui affranto da quella perdita, riportò che gli aveva chiamato un taxi. Ma non sapeva la destinazione. Essendo un frequentatore assiduo e ogni tanto parte dello staff, aveva molte conoscenze tra i clienti. Il proprietario diede loro alcuni nomi da contattare, erano le persone con cui Frederick si intratteneva. Per il resto, della sua vita fuori dal club sembravano sapere solo ciò che era legato alla famiglia.
Il ragazzo aveva tenuto i mondi separati fino a che aveva potuto. Forse per comodo, forse per necessità. La cosa andava chiarita. Beckett immaginò che il ragazzo si trovasse in un empasse di quella doppia vita.
Ma arrivare ad aggredirlo così violentemente sembrava un affare personale più che di immagine.
Castle osservò come la prostrazione dei due uomini per la scomparsa di Keeler sembrasse genuina e i dati raccolti erano informazioni preziose. Il telefono del ragazzo non era stato trovato con lui, chiunque lo aveva chiamato quella sera poteva essere stato l’assassino e l’aveva volutamente fatto sparire.
Entrambi erano d’accordo su un chiaro dettaglio: non era stata rapina, il portafogli e orologio erano rimasti dov’erano ma mancava un telefono da 300 dollari, telefono su cui probabilmente la vittima aveva risposto all’assassino in quella che poteva essere stata la sua ultima chiamata.
Era imperativo leggere dettagliatamente i tabulati telefonici. Si alzarono e accettarono di visionare i video della sorveglianza in cui si vedeva chiaramente Keeler uscire trafelato con il telefono all’orecchio prendere il taxi appena sopraggiunto. Anche la targa del taxi era di utilità, fortunatamente ben visibile a schermo. Avrebbero rintracciato i suoi spostamenti attraverso la società dei taxi. Si fecero consegnare il nastro della sorveglianza da aggiungere alle prove nonostante non avessero un mandato, ma Whittaca sembrava desideroso di essere utile.
Beckett lo informò che avrebbe mandato alcuni agenti a fare domande ai clienti e prendere le loro deposizioni firmate. L’uomo sembrò capire e non si oppose.
Uscirono ringraziando per la collaborazione. Nonostante la prostrazione per la scomparsa dell’amico, Whittaca fece l’occhiolino a Castle.
“Torni a trovarci scrittore.” Disse infine con la voce suadente. “Ho capito solo ora chi siete voi... Achab e la balena bianca…” Disse indicandoli con il dito. 
“Abbonato del ledjer?” Replicò Castle con un sorriso divertito mentre veniva trascinato via da Kate leggermente imbarazzata. “Certo, rigorosamente alla pagina 6…” Rispose l’uomo salutandoli.
Uscirono in strada. Kate respirò a lungo cercando i svuotare le meningi da quel miasma di profumi che si era installato nel suo naso e nella sua testa.
“Beh, siamo famosi…” Disse Castle divertito e lei gli diede uno schiaffo sul braccio.
“Andiamo, non lo trovi divertente?”
“No!” Replicò lei ma non riuscì a contenere una risata.
“Chiamo Esposito per i tabulati telefonici e per la targa. Dobbiamo capire chi lo ha chiamato facendolo uscire di corsa. Se ha abbandonato lo spettacolo era importante.”
Castle prese a camminare accanto a lei per raggiungere la macchina. “Oppure lo spettacolo era brutto e quella era una buona scusa.” I suoi occhi divertiti erano contagiosi. Si accorse al chiaro che Kate era pallida.
“Stai bene? Sei impallidita…” Disse avvicinandola e prendendola per le spalle.
“Quell’odore pungente mi stava trivellando le cervella.” Sbottò e Castle sorride.
“Pazzesco vero? Litri e litri di colonia da uomo impregna persino il legno delle travi!”
“L’occhio di Ra mi piaceva però…” aggiunse e Kate gli restituì uno sguardo torvo.
“Non… ci… provare…” Scandì prima che questi potesse mettere in fila un improbabile nome col proprio cognome. Le labbra di Castle si strinsero. Strabuzzò gli occhi e alzò le spalle.
“No.” Replicò ancora sinteticamente, avviando poi la chiamata dal proprio telefono. Lo trattenne sulla mano attivando il vivavoce e dall’altro capo Esposito rispose.
“Beckett ho i risultati dell’acqua salata. Non è di mare, pare venga da un acquario.”
I due si guardarono. “Un acquario? Questo allarga di molto le indagini.” Rispose Beckett. “Devi farmi sapere chi ha chiamato Keeler sul cellulare alle 12 e mezza circa. E’ stato qui fino a quell’ora e poi è uscito a seguito di una telefonata ricevuta. Potrebbe essere il nostro assassino. Ti mando anche una targa di un taxi, sai cosa fare. Ho anche una lista di persone, manda una squadra a fare domande qui più tardi. Il ragazzo era di casa, lo conoscevano tutti e magari possono dirci qualcosa in più sui suoi spostamenti.”
“Ok. Comunque tornando ai conti di Keeler, è confermato che frequentava spesso quel posto. Una o due volte a settimana. Pagava sempre con carta.” Replicò Esposito e Kate lo salutò prima che riattaccasse.
Castle aprì la bocca e poi indicò la porta del locale. “Forse c’è qualcosa che ci può aiutare…” Disse correndo verso l’ingresso principale e guardando tra i volantini pubblicitari lasciati nell’apposita bacheca.
Ne staccò uno e tornò da Kate.
“Ho notato questo entrando…” Il volantino mostrava un paio di ragazzi in una piscina truccati in viso e vestiti da sirenetti.
“Atlantis…” Replicò Beckett curiosa.
“Va di moda la mitologia!” Valutò lo scrittore. Era incuriosito da quelle insegne, non certo sobrie ma meno volgari dei locali di lap dance e spogliarello femminile. I simboli fallici erano rari, non del tutto assenti, ma rari.
“Beh qui non hanno tette da mostrare.” Replicò con ironia Kate.
Salirono in macchina e Castle impostò sul navigatore la via del locale. Una visitina in quel posto non poteva guastare.
“E se Keeler avesse voluto fare il sirenetto?” Chiese Castle rimuginando.
“Non è escluso, mi domando il perché il suo ragazzo non sappia nulla di questa sua passione. O ci sta nascondendo qualcosa oppure questi due non si conoscevano per niente.” Rispose Kate.
Castle mosse la testa piegandola verso di lei. “Magari nascondeva la sua doppia vita, semplicemente per comodo, anche al suo ragazzo. Però non è annegato perché non sapeva nuotare.” Kate annuì.
“Sembra che nessuno lo conoscesse a fondo…” Mormorò Castle pensieroso. Kate ci rifletté con attenzione. Probabilmente era una scelta di vita. Sapeva cosa implicava tenere tutto per sé, il desiderio di vivere in pienezza ma senza coinvolgimenti non era possibile e prima o poi avrebbe cercato una valvola di sfogo. Forse l’aveva ma loro non ne erano al corrente. Lei tornò a guardare la sua adorabile valvola di sfogo. Castle seguiva la strada e di tanto in tanto si voltava verso di lei.
“Sei assorta oggi, Kate.” Convenne lui mentre la osservava di rimando.
Kate appoggiò la testa al sedile. “Pensavo solo che qualcuno che lo conosceva veramente ci deve essere. Prima di conoscerti io avevo Lanie con cui mi confidavo, quando non ce la facevo più c’era lei e un bicchiere di birra gigante... Poi sei arrivato tu e… ho smesso di tenermi tutto dentro.” Chiarì.
Castle espirò rumorosamente. “Io ho sempre avuto mia madre…” Inclinò il capo. Detto così era un po’ infantile ma Kate conosceva il suo profondo rapporto con la madre e non replicò facendo alcuna battuta.
Una nuova chiamata arrivò sul telefono di Kate che lo diede a Castle e lui rispose.
Ryan comunicò loro che i conti di Robert Randall avevano qualcosa di sospetto. Veniva regolarmente pagato una volta al mese attraverso un giroconto la cui provenienza era una società del padre di Frederick.
“Forse Keeler senior pagava Robert per passargli informazioni sul figlio e tenerlo sotto controllo.” Aggiunse speculando. Kate si morse un labbro.
“Richiamate il signor Randall in ufficio, deve darci qualche spiegazione. Intanto noi andiamo in un locale, poco distante, si chiama Atlantis.”
“E guarda un po’…” aggiunse Castle. “Hanno un acquario gigante dove nuotano sirenetti umani!” Disse divertito. Ryan rise. “Ti stai divertendo troppo Castle.” Riattaccò lasciando un sorriso sul viso di entrambi.
“Ha ragione Ryan, forse perché ti fanno apprezzamenti, ami essere adulato…” Commento Kate punzecchiandolo.
“Non direi, ho sposato te che… ammettiamolo, non mi hai mai adulato…” Lo sguardo di finto sconforto di Castle era adorabile. Kate allungò una mano e accarezzò il suo broncio.
“Già…” Disse senza dargli un minimo di soddisfazione. Ma tra loro era così. Erano solo parole che nascondevano altro, tutta la verità la raccontavano gli occhi: orgoglio, passione, amore e dolcezza, ma anche a humor e voglia di giocare. Castle baciò la sua mano prima che la ritirasse.
Kate si prese un lungo sospiro.
Era stanca e la sensazione di affaticamento della mattinata si stava riproponendo. Si chiese quanto avesse potuto durare senza il pasto che Rick le aveva portato. Capiva che il suo corpo cambiava velocemente e doveva trovare l’equilibrio necessario per stare bene e lavorare senza problemi.
“Non vedo l’ora che questa giornata finisca.” Mormorò ad alta voce. Castle si voltò verso di lei. Era pallida e probabilmente stanca, ma non l’avrebbe mai ammesso. Quella sua uscita lo stupì, andando a rendere veritiere le sue speculazioni su di lei. “Finiamo queste indagini e poi torniamo in centrale. Quel che possiamo fare oggi non è infinito.” Valutò lui con serietà. “Stasera a casa ti preparo un bel bagno rilassante, che ne dici?” Aggiunse con più enfasi.
“Un massaggio alle caviglie?” Contrattò lei.
“Solo se fai la doccia con me. Mi piace toglierti la schiuma dalla corpo…”
Kate rise pensando a come poteva finire tutto quello: poteva trasformarsi in una serata rovente oppure potevano limitarsi a raggiungere il letto esausti e addormentarsi al volo. “Ok!”
“Andata.” Rispose lui allegro.

La loro destinazione era un grande capannone completamente dipinto di sfumature blu ed azzurro.
Lasciarono l’auto nel parcheggio del locale che era stranamente vuoto. Le luci erano spente, forse il locale era chiuso, ma un andirivieni di uomini in tuta da lavoro suggerì loro che una ristrutturazione era in coso.
Si avvicinarono alla porta chiedendo del proprietario. Il distintivo di Kate riuscì a farli entrare senza problemi.
Il proprietario non c’era, non si occupava direttamente del locale che era lasciato in gestione al direttore della società affittuaria, James Viera, un latino sui 35 anni con occhiali da vista e un atteggiamento infastidito.
Li accolse con freddezza e guardò la fotografia di Keeler che Kate gli mostrò senza troppa attenzione.
“Non so... Se è un cliente non me lo ricordo” Disse con aria di sufficienza.
“Siete chiusi da molto?” Chiese Kate mentre Castle si aggirava per curiosare verso la famosa piscina dei sirenetti.
L’uomo sbuffo. “Ehi, stia attento, se si fa male qui non rispondiamo ok?”
Castle annuì ma continuò a guardarsi attorno. La vasca era coperta ma ancora piena perché in realtà molte tipologie di pesci di vari colori e dimensioni ci stavano tranquillamente nuotando. Era un vero acquario gigante, non solo un mezzo per fare show. Si ricordò di un dettaglio che Lanie gli aveva detto in passato. Ogni bacino d’acqua ha una traccia univoca, una peculiare particolarità che permette alle acque di essere confrontate per verificarne la provenienza.
Si guardò in giro e vide una bottiglietta di acqua vuota. Aveva il tappo e pensò facesse al caso suo, non aveva una filetta sterile con sé. La prese e tornò ad avvicinarsi alla vasca con nonchalance.
Kate riuscì a distrarre il direttore, cercando di farlo voltare e parlare con lei. Riuscì a farsi dire che erano chiusi da due settimane a causa di problemi di infiltrazione dal pavimento che avevano generato danni elettrici.
L’umidità non proveniva dalla vasca quindi stavano scavando per capire da dove arrivasse però, dal cattivo odore, Kate non ci mise molto a intuire che si trattava di acque fognarie. Vecchi impianti probabilmente.
Sorrise tra sé vedendo Castle sporgersi e raccogliere dell’acqua con una bottiglia e poi tappandola velocemente se la nascose sul fianco sotto la giacca.
Kate chiese la profondità della vasca e visto che l’altezza era intorno al metro e quaranta immaginò che se Keeler fosse stato ucciso in quel posto, il suo annegamento in realtà era stato causato dall’impossibilità di muoversi o dal fatto che fosse privo di sensi.
Kate chiese di poter controllare la vasca e il signor Viera accettò con riluttanza. Interferire con la polizia poteva costargli altri giorni di chiusura.
Mentre si allontanava sbottò con un tipo da poco sopraggiunto, inveendo contro di lui per aver fatto entrare personale estraneo nel locale. Il ragazzo di colore gesticolò indicandogli l’ingresso e scuotendo il capo con un’espressione scura in viso. Viera indicò i due intorno alla vasca e Kate si affrettò a raggiugere Castle. Il tempo a loro disposizione senza un mandato stava per scadere.
“Se c’era del sangue di qualcuno qui…” Valutò guardando le superfici sporche di terra per il passaggio degli operai, “possiamo scoprirlo solo con strumenti di rilevazione ottica.”
Castle annuì. “Ho un campione d’acqua.” Disse con un mezzo sorriso.
“Ho visto.” Replicò Kate.
“L’assassino di Keeler doveva avere accesso a questo posto se lo ha trascinato qui.”
Kate scosse il capo. “Fino a che non analizziamo il campione d’acqua, sono solo speculazioni Castle.” Replicò espirando. “Non abbiamo alcuna prova che ci conduca qui.”
Si avviarono a passo svelto verso l’ingresso salutando con una mano il poco disponibile direttore, il quale fu felice di vederli allontanarsi. Il ragazzo di colore li stava osservando con sguardo torvo.
Un ultima frase che sentirono li fece trasalire.
“Saul, chiudi quella dannata porta!” Sbottò Viera nei confronti del suo uomo.
Si guardarono in viso. “Saul?” Esclamarono all’unisono.
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Ci siamo, Castle sta per tornare...
Qui invece le indagini vanno avanti e i nostri due si confrontano.
Grazie a tutti quelli che mi seguono qui!

 

  
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