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Autore: Cyanide_Camelia    07/10/2008    4 recensioni
Hinata Hyuuga, una giovane parigina insoddisfatta dagli obblighi e dalla frivolezza della vita mondana, lascia PArigi con la sua dama di compagnia, TenTen, per trasferirsi con lei nella madrepatria della seconda...Ma i pettegolezzi, il vociare e, soprattutto, gli uomini di paese sanno essere altrettanto insidiosi di quelli che Hinata aveva lasciato a Parigi!
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Hinata Hyuuga, Hidan, Ino Yamanaka, Naruto Uzumaki, Tenten
Note: Alternate Universe (AU) | Avvertimenti: nessuno
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Miei amati lettori, si apre per me una stagione molto produttiva

Miei amati lettori, si apre per me una stagione molto produttiva. Vi presento la mia seconda AU a stampo storico, che vedrà protagonisti…ah, giusto, lo vedrete da soli!

Sarà strutturata più o meno come la mia precedente storia “Sullo sfondo delle Rivoluzione” (della quale sto per pubblicare sia un seguito che una spi-off), ovvero piuttosto breve.

Ed ora a voi: buona lettura a tutti, mi raccomando, fatemi sapere!

 

Un bacione grande, Costanza.

 

Un jardin aprés la mousson...

 

Hinata Hyuuga era una parigina dabbene rifugiatasi nel paesino di Sainte-Marie-Vierge, un antico centro arroccato su di un altopiano uggioso e verdeggiante del litorale settentrionale francese. Era nata d'inverno, con la neve che scendeva dolcemente, causando con la straordinaria forza degli impeti del suo istinto di sopravvivenza la morte di sua madre, che si era spenta nel giro di cinquanta ore, in un lento ed esonerabile dissanguamento. prima di morire, però, aveva avuto il tempo di constatare a voce alta, tenedo la creatura tra le braccia gracili:"Sarà proprio come i fiocchi di neve. Delicata, gentile, silenziosa.-dicendo ciò, scorse un luccichio conturbante in quei grandi occhi color ghiaccio, che le ricordarono tanto i suoi, in tempi andati-Sarà una creatura estremamente magnanima."

Si era trasferita lì a causa della sua natura del tutto inadeguata ai precetti della società dabbene, quali il civettare e, soprattutto, la triste ed umiliante omologazione alle sue altre, insipide compagne. Appena terminati i suoi studi, raggiunta la maggiore età, annunziò al padre, ormai insensibile alle bizzarrie di sua figlia maggiore, che avrebbe lasciato la dimora familiare.

In capo a tre settimane era già pronta ogni cosa: i bauli con i suoi effetti personali, le scatole con i libri, la diligenza perfettamente attrezzata per il viaggio. Erano state addirittura mandate due ragazze da Sainte-Marie-Vierge per far sì che Hinata non soffrisse il distacco dalla casa in cui era stata cresciuta a quella che si apprestava ad occupare.

Aveva solo richiesto che avesse un giardino grande abbbastanza per essere ripartito in tre sezioni:una dedicata agli ortaggi, una adibita alla funzione di serra e laboratorio, e l'ultima per piantarvi delle rose scarlatte d'Alemagna.

Il genitore le consegnò prima di partire un'ingente quantità di denaro, molto più di quanto potesse mai sperare di spendere, ed in aggiunta la sua rimpinguata dote nuziale, con la raccomandazione di avvertirlo laddove avesse mai deciso di rinsavire dal suo progetto folle e tornare al tetto familiare. Tuttavia, quelle che sarebbero potute sembrare riguardi e raccomandazioni dovute alla sincerità dell'affetto, altro non erano che strategie gelide per poter salvare il nome della famiglia dallo scandalo: era l'ennesima bravata che sua figlia gli giocava. Prima aveva avuto il ghiribizzo dello studio ed aveva reclamato un precettore, che la aveva istruita con la diligenza e il rigore con cui avrebbe fatto con un primogenito maschio di famiglia notarile; poi la lettura, che le era costata fior di quattrini guadagnati impartendo a sua volta lezioni private alle giovani di famiglia nobile, causando tutto il disappunto del padre, interdetto a sapere che sua figlia, più che a cercar marito e a intrattenersi nei salottini raffinati, passava il suo tempo nella biblioteca allestitasi; poi l'amore per la botanica ed in ultimo la totale alienazione da qualsivoglia forma di vita mondana. Non perchè fosse incapace, ma perchè Hinata non aveva alcuna vocazione per quelle conversazioni frivole e provocanti che era stata educata a sostenere. Non le interessava catturare l'attenzione dei giovani conti irriverenti che allungavano le loro mani insidiose per toccare con insistenza luoghi fuori dalla loro competenza, o per lasciarle scivolare con nonchalanche sulle curve del suo florido corpo, che gli si presentava come una foresta vergine ed inesplorata, e si contendevano quell'appetibile preda, e scommettevano su chi e quando avrebbe avuto il privilegio di innalzare la propria bandiera con tanto di stemma familiare in quella landa infiorescente che era la femminilità di mademoiselle Hinata.

Quello che lei voleva era essere libera del peso dell'autorità del padre e dell'opinione pubblica, sposarsi con un brav'uomo che la amasse e metter su famiglia e vivere nel riserbo, dedicandosi magari ancora all'educazione delle fanciulline e al suo giardino. Se ne partì in un bel giorno di ottobre, quando le foglie imporporavano le strade umide di Parigi con la loro danza lugubre. L'unica che la seguì nel suo esodo fu la sua dama di compagnia, la stessa che aveva proposto il paesino di Sainte-Marie-Vierge: da lì infatti originava sua madre, e lì era tornata alla morte del padre, lasciando la figlia in casa Hyuuga. Lei ed Hinata erano diventate subito amiche.

La ragazza si chiamava Madeleine-Thérese, ma la avevano sempre chiamata Tenten, perché lei stessa disse che quello era il suo nome, e non volle mai essere chiamata altrimenti.

Le due paesane erano arrivate la sera prima della partenza, e si erano distinte per il forte odore di fieno e terra bagnata che emanavano, nonostante gli svariati sacchetti di lavanda che portavano nascosti sotto gli indumenti inamidati e scoloriti.

Pur avendo l'età di Hinata, indossavano entrambe delle sottili fedi d'oro giallo.

Una era più graziosa, e si vedeva che conosceva una manciata di cose del mondo e sapeva tenere amabili conversazioni, guastate tuttavia dalla sua risata sguaiata e dai suoi commenti dozzinali tratti dai luoghi comuni più squallidi che distribuiva come prezzemolo laddove non sapeva che dire e ai quali si appigliava per intessere nuovi discorsi.

Aveva un senso della moda licenzioso, e si specchiava spesso, sputando in un palmo che poi sfregava vigorosamente sulle più vistose macchie di sporco, dopodiché si pizzicava senza pietà le gote per garantirne il colorito rosato della buona salute, smentita dalle profonde occhiaie viola. Si chiamava Ino Yamanaka in Akimichi, e mandava avanti il grande negozio di fiori di suo padre, che tuttavia non concludeva grandi affari in quel periodo, perciò aveva piazzato nel retrobottega grandi pezzi di sapone, pali e fili, ed utilizzava le grandi vasche che un tempo servivano a ravvivare i fiori per improvvisarsi lavandaia, professione risultata alquanto più remunerativa.

L'altra era la giovane Sakura Haruno in Uchiha, la mogliettina del medico del villaggio, che nascondeva una sfrenata passione per il cognato. Aveva modi spicci, parlava lo stretto necessario, eppure sembrava avere una saggezza triste che contrastava violentemente con il suo aspetto di ragazzina. Aveva splendidi occhi verdi ed aveva studiato sui libri di suo marito nelle notti insonni, tanto che oramai esercitava anche lei il mestiere di medico, o perlomeno come tale era riconosciuta dalle donnicciole del paese.

Hinata le aveva ricevute con dolcezza educata e si era apprestata a complimentarsi per la bellezza sfacciata di Ino e per l'alterigia raffinata di Sakura.

Le due erano rimaste meravigliate che una signorina tanto a modo, beneducata, piena di charme ed intelligente come lei si fosse decisa ad allontanarsi dal mondo dorato al quale tutte le altre avrebbero sognato di accedere.

 

 Scesero dalla carrozza in fila dopo un viaggio interminabile che le aveva provate tutte quante.

L'allegria di Tenten si era spenta lentamente, scivolando via come una biscia per far capolino solo in rare occasioni.

Il viso della malaticcia Ino aveva assunto un color avorio dal quale trasparivano i capillari bluastri, e le occhiaie andavano via via incupendosi sotto le sue pupille iridescenti.

Gli occhi di Sakura erano velati da una patina di sonno e le sue mani nodose si contorcevano dal freddo, in un malsano colorito porpora, gonfie di infezioni.

Hinata si faceva sempre più pensierosa, sebbene non avesse alcun dubbio di aver fatto la scelta giusta, e si abbandonava a sudori ghiacciati e sonni febbrili.

Una volta arrivate, tutte si erano adoperate, con l'aiuto dei paesani curiosi i cui volti rubizzi si accalcavano attorno alla diligenza, per sistemare casa di mademoiselle Hyuuga, prima di tornare ciascuna al suo nido.

 

Tenten aveva trovato immediatamente sua madre, o meglio, non era ben chiaro chi avesse trovato chi, fatto sta che l'anziana signora, di nome Madeleine, aveva riconosciuto sua figlia appena le si era parata davanti sulla porta di casa, ed era caduta in ginocchio,piangente, ringraziando Sainte Therese e Sainte Marie Madeleine che, a suo dire, le avevano annunciato in sogno la riconciliazione con sua figlia.

 

Sakura era tornata dal marito, lo era andato a salutare nello studio. Gli aveva porto le mani, per poi ritrarle immediatamente. Lui, Itachi, aveva studiato quel gesto ed aveva immediatamente capito che la moglie aveva di nuovo quell'infezione purulenta, ed aveva chiamato dall'altra stanza suo fratello, che distribuiva i farmaci ed assistiva i malati che si presentavano da suo fratello. Era impegnato, al momento, a somministrare una dose di chinino ad un vecchio spossato dalla tubercolosi. "Sasuke, vuoi sbrigarti? C'è mia moglie che aspetta!" a quelle parole il giovanotto, molto somigliante nei colori al fratello, era accorso.

"Madame" aveva detto, reclinando la testa in cenno di saluto verso la ragazza, che era arrossita e tremava. Si amavano quei due. Ma erano costretti a mantenere quell'atteggiamento formale e distaccato, tanto che chiunque della famiglia pensava si detestassero, perché non riuscivano a scambiarsi due parole in croce che non fossero intervallate da quei silenzi glaciali tipici dell'imbarazzo di Sakura e della facciata di Sasuke.

Ma appena avevano la possibilità, per qualunque pretesto, di restare soli, tutto cambiava. Lui si trasformava in un amante irruente e premuroso, e lei si sollazzava nel piacere e nell'ebbrezza della libertà sfrenata. Perché quando aveva detto a sua madre che avrebbe sposato monsieur Uchiha, quella aveva parlato con il padre ed avevano accondisceso a farla sposare...solo che per un quiproquo si erano accordati col monsieur sbagliato. E così il sogno d'amore dei due si era infranto.

Ma d'altra parte, forse era meglio così: in questo modo, Sakura aveva sposato un brav'uomo, con un reddito di tutto rispetto, che la rispettava, avevano fatto tre figli. Itachi non sapeva che tutti e tre erano in realtà di suo fratello. Si chiamavano Stephane, Marie e Victor.

I signori Haruno avevano barattato il matrimonio più felice e pieno d'amore del paese con quello più conveniente. E tutti erano stati contenti. Tranne Sakura e Sasuke.

Sakura si era allontanata nell'altra stanza con Sasuke, che aveva preparato dei bagnoli bollenti di alcool e antisettico,aveva intriso delle bende di lino di camomilla, ed aveva preparato in una ciotola della pomata di arnica ed ambra, che andava rimestando con una spatola di legno.

Prima le aveva messo le mani in una  bacinella fumante, dove le aveva ordinato di rigirarle ogni dieci minuti per un'ora.

Dopo le aveva inciso le piaghe infette con un temperino rovente ed aveva drenato la sostanza di pus misto a sangue e sebo in un catino di latta, quindi aveva preso l'altra bacinella e le aveva fatto ripetere l'operazione.

Finalmente, mentre Sakura stringeva coi denti il fazzoletto che le aveva messo in bocca il suo amante, questo le aveva applicato la pomata sui dorsi e sui palmi, entrando in profondità nella carne rossa e infetta con la spatola di legno, e lasciandone in abbondanza, tanta da coprire interamente gli arti per mezzo centimetro buono, le aveva fasciato le mani con le bende imbevute di camomilla e sopra le aveva fatto indossare prima un paio di guanti di cotone, e poi dei guanti di lana.

"Ti fanno molto male?" aveva chiesto prima di baciarla con impeto.

"No -aveva sussurrato lei- non più."

 

Ino era tornata a casa da sola. La aspettavano i suoi due pargoli, Lilianne e Marc, che stavano ruzzolando allegramente nel salotto. Sua madre si era addormentata sulla poltrona, al solito. La giovane aveva sospirato sulla soglia, poi aveva baciato sveltamente i bambini, era corsa nella camera da letto e si era liberata in men che non si dica del vestito di seta lilla, il vestito buono, quello della domenica, quello di tutte le feste. Era ormai liso e mangiucchiato dalle tarme, e il colore stava pian piano sfumando verso il grigiastro. "Ci farò un abitino per Lilianne -pensò- Quando avrò tempo!",aveva tolto la sottoveste smerlettata, poi si era infilata uno dei suoi tanti camicioni di lana grezza(aveva immediatamente rimpianto il cotone soffice, che non le urticava la pelle e non pizzicava, ma che fare?) e sopra a quello un vestito giallo paglierino. Una volta accantonate le splendide scarpette in tono con l'abito era tornata alle scarpe lise di pelle, con le suole rammendate e rinforzate col sughero. per ultima cosa si era raccolta la chioma dorata  in una vecchia cuffietta bianca, quindi aveva iniziato a sistemare tutta la casa messa a soqquadro, prendendosela prima con sua madre "Guardala, non fa che dormire!Le ho chiesto un aiuto, per una volta, ed eccola qua!", con suo marito "Quello lì...io lo sapevo che era un buono a nulla! Ma almeno mi porta i soldi a casa, con quella locanda. Però se qua morissi io...sarebbero tutti persi!" e con chi le capitasse, mentre rassettava i letti, lavava i pavimenti energicamente, riordinava la cucina, spostava i bambini da una parte all'altra affinché non le fossero d'impaccio a seconda del posto che stava sistemando. Alla fine, in capo a due ore la casa era linda e pinta come l'aveva lasciata.

Dopo aver svegliato sua madre con la raccomandazione di badare ai bambini, era andata alla locanda di suo marito e si era fatta dare un po' di cibo per la cena.

Tornata a casa, aveva depositato in un cassone di legno adibito a ghiacciaia quattro granchi, grossi e grassi, e sul tavolo aveva lasciato un paniere con porri, aneto, rape e erba cipollina, ed un bricco di latte.

Era uscita di nuovo, stavolta diretta al negozio. Una volta lì, aveva preso i fiori dallo stanzino ed aveva buttato quelli passiti, poi aveva cambiato l'acqua agli altri ed aveva versato in ogni vaso un cucchiaio di bicarbonato di sodio, aveva innaffiato le piante interrate ed aveva spazzato per bene il pavimento.

Era tornata a casa ed aveva preso una grande pentola, dove aveva messo a bollire i granchi, in una bella pirofila aveva messo il latte con mezzo panetto di burro a preparare la panna per la zuppa.

Aveva agguantato un tagliere ed un coltello ed aveva sminuzzato l'erba cipollina ed i porri, che erano finiti in parte a soffriggere in una padella unta d'olio, in parte nell'acqua dei granchi.

Il ramoscello d'aneto invece era andato ad insaporire la panna, insieme a due mestoli d'acqua di cottura dei crostacei.

Ino era affaccendata, accaldata, correva dai fornelli alla dispensa, dalla dispensa al tavolo, dal tavolo al lavabo e dal lavabo di nuovo ai fornelli, mentre nell'altea stanza sentiva i bambini chiamarla e litigare, e lei urlava di tanto in tanto un distratto "Buoni bambini!" o "Adesso sono impegnata, vengo tra poco!", e continuava a mescolare la zuppa, buttava in una pentola l'acqua dei granchi e metteva i crostacei nella padella del soffritto, dove versava abbondantemente vino bianco, che evaporava di colpo.

Per le otto, al rientro di suo marito Choji, la tavola era imbandita, sua madre era tornata a casa sua, i ragazzi erano stati già sottoposti ad una vigorosa scozzonata nella tinozza, con acqua bollente e sapone di Marsiglia, ed erano lindi e pinti, abbigliati di tutto punto.

Anche Ino era riuscita a lavarsi, finalmente, quello sporco che compariva a macchie brunite e antracite sulla sua pelle bianca, e per l'occasione anche i capelli, che ora splendevano magnifici alla luce dei candelabri.

"Bentornato, padre." dissero i bambini con una riverenza, prima di gettarsi tra le braccia dell'amorevole Choji.

"Via, via, stasera si festeggia il rientro della mamma!" rispose lui, allungando ad Ino un bel pacco rettangolare...grande, estremamente grande, tanto da farle salire le lacrime agli occhi. "Oh, caro!" esclamò lei, aprendolo. Era un sontuoso abito di mussola rosa pesca e seta viola, con tanto di sottoveste bianca, di lana morbida, robusta. Capì immediatamente che il vestito era per poche occasioni, ma che la sottoveste era stata pensata per farle smettere quella grezza e pruriginosa, per evitarle l'inevitabile sofferenza che provava ogni qualvolta si vestisse.

Ino pensò di non aver mai amato Choji come quel giorno.

 

 

Quando Hinata arrivò alla sua villa, si fermò sul vialetto, attonita, a fissare il contrasto stridente dell’erba verde vivido con il cielo plumbeo, e sorrise: aveva davvero tutto quel che aveva sempre desiderato.

Mon jardin après la mousson !

 

Si era voltata verso il cancello, sentendo dei passi veloci.

 

“Bonjour, Madame, mi chiamo Naruto Uzumaki, e sono il sindaco di Sainte-Marie-Vierge.”

 

L’uomo biondo le aveva stretto la mano, ed il cuore di Hinata aveva mancato un battito.

  
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