Miei amati lettori, si
apre per me una stagione molto produttiva. Vi presento la mia seconda AU a
stampo storico, che vedrà protagonisti…ah, giusto, lo vedrete da soli!
Sarà strutturata più o
meno come la mia precedente storia “Sullo sfondo delle Rivoluzione” (della
quale sto per pubblicare sia un seguito che una spi-off), ovvero piuttosto
breve.
Ed ora a voi: buona
lettura a tutti, mi raccomando, fatemi sapere!
Un bacione grande,
Costanza.
Un jardin aprés la mousson...
Hinata Hyuuga era una
parigina dabbene rifugiatasi nel paesino di Sainte-Marie-Vierge, un antico
centro arroccato su di un altopiano uggioso e verdeggiante del litorale
settentrionale francese. Era nata d'inverno, con la neve che scendeva
dolcemente, causando con la straordinaria forza degli impeti del suo istinto di
sopravvivenza la morte di sua madre, che si era spenta nel giro di cinquanta
ore, in un lento ed esonerabile dissanguamento. prima di morire, però, aveva
avuto il tempo di constatare a voce alta, tenedo la creatura tra le braccia
gracili:"Sarà proprio come i fiocchi di neve. Delicata, gentile,
silenziosa.-dicendo ciò, scorse un luccichio conturbante in quei grandi occhi
color ghiaccio, che le ricordarono tanto i suoi, in tempi andati-Sarà una
creatura estremamente magnanima."
Si era trasferita lì a
causa della sua natura del tutto inadeguata ai precetti della società dabbene,
quali il civettare e, soprattutto, la triste ed umiliante omologazione alle sue
altre, insipide compagne. Appena terminati i suoi studi, raggiunta la maggiore
età, annunziò al padre, ormai insensibile alle bizzarrie di sua figlia
maggiore, che avrebbe lasciato la dimora familiare.
In capo a tre settimane
era già pronta ogni cosa: i bauli con i suoi effetti personali, le scatole con
i libri, la diligenza perfettamente attrezzata per il viaggio. Erano state
addirittura mandate due ragazze da Sainte-Marie-Vierge per far sì che Hinata
non soffrisse il distacco dalla casa in cui era stata cresciuta a quella che si
apprestava ad occupare.
Aveva solo richiesto che
avesse un giardino grande abbbastanza per essere ripartito in tre sezioni:una
dedicata agli ortaggi, una adibita alla funzione di serra e laboratorio, e
l'ultima per piantarvi delle rose scarlatte d'Alemagna.
Il genitore le consegnò
prima di partire un'ingente quantità di denaro, molto più di quanto potesse mai
sperare di spendere, ed in aggiunta la sua rimpinguata dote nuziale, con la
raccomandazione di avvertirlo laddove avesse mai deciso di rinsavire dal suo
progetto folle e tornare al tetto familiare. Tuttavia, quelle che sarebbero
potute sembrare riguardi e raccomandazioni dovute alla sincerità dell'affetto,
altro non erano che strategie gelide per poter salvare il nome della famiglia
dallo scandalo: era l'ennesima bravata che sua figlia gli giocava. Prima aveva
avuto il ghiribizzo dello studio ed aveva reclamato un precettore, che la aveva
istruita con la diligenza e il rigore con cui avrebbe fatto con un primogenito
maschio di famiglia notarile; poi la lettura, che le era costata fior di
quattrini guadagnati impartendo a sua volta lezioni private alle giovani di
famiglia nobile, causando tutto il disappunto del padre, interdetto a sapere
che sua figlia, più che a cercar marito e a intrattenersi nei salottini
raffinati, passava il suo tempo nella biblioteca allestitasi; poi l'amore per
la botanica ed in ultimo la totale alienazione da qualsivoglia forma di vita
mondana. Non perchè fosse incapace, ma perchè Hinata non aveva alcuna vocazione
per quelle conversazioni frivole e provocanti che era stata educata a
sostenere. Non le interessava catturare l'attenzione dei giovani conti
irriverenti che allungavano le loro mani insidiose per toccare con insistenza
luoghi fuori dalla loro competenza, o per lasciarle scivolare con nonchalanche
sulle curve del suo florido corpo, che gli si presentava come una foresta
vergine ed inesplorata, e si contendevano quell'appetibile preda, e
scommettevano su chi e quando avrebbe avuto il privilegio di innalzare la
propria bandiera con tanto di stemma familiare in quella landa infiorescente
che era la femminilità di mademoiselle Hinata.
Quello che lei voleva era
essere libera del peso dell'autorità del padre e dell'opinione pubblica,
sposarsi con un brav'uomo che la amasse e metter su famiglia e vivere nel
riserbo, dedicandosi magari ancora all'educazione delle fanciulline e al suo
giardino. Se ne partì in un bel giorno di ottobre, quando le foglie
imporporavano le strade umide di Parigi con la loro danza lugubre. L'unica che
la seguì nel suo esodo fu la sua dama di compagnia, la stessa che aveva
proposto il paesino di Sainte-Marie-Vierge: da lì infatti originava sua madre,
e lì era tornata alla morte del padre, lasciando la figlia in casa Hyuuga. Lei
ed Hinata erano diventate subito amiche.
La ragazza si chiamava
Madeleine-Thérese, ma la avevano sempre chiamata Tenten, perché lei stessa
disse che quello era il suo nome, e non volle mai essere chiamata altrimenti.
Le due paesane erano
arrivate la sera prima della partenza, e si erano distinte per il forte odore
di fieno e terra bagnata che emanavano, nonostante gli svariati sacchetti di
lavanda che portavano nascosti sotto gli indumenti inamidati e scoloriti.
Pur avendo l'età di
Hinata, indossavano entrambe delle sottili fedi d'oro giallo.
Una era più graziosa, e
si vedeva che conosceva una manciata di cose del mondo e sapeva tenere amabili
conversazioni, guastate tuttavia dalla sua risata sguaiata e dai suoi commenti
dozzinali tratti dai luoghi comuni più squallidi che distribuiva come
prezzemolo laddove non sapeva che dire e ai quali si appigliava per intessere
nuovi discorsi.
Aveva un senso della moda
licenzioso, e si specchiava spesso, sputando in un palmo che poi sfregava
vigorosamente sulle più vistose macchie di sporco, dopodiché si pizzicava senza
pietà le gote per garantirne il colorito rosato della buona salute, smentita
dalle profonde occhiaie viola. Si chiamava Ino Yamanaka in Akimichi, e mandava
avanti il grande negozio di fiori di suo padre, che tuttavia non concludeva
grandi affari in quel periodo, perciò aveva piazzato nel retrobottega grandi
pezzi di sapone, pali e fili, ed utilizzava le grandi vasche che un tempo
servivano a ravvivare i fiori per improvvisarsi lavandaia, professione
risultata alquanto più remunerativa.
L'altra era la giovane
Sakura Haruno in Uchiha, la mogliettina del medico del villaggio, che
nascondeva una sfrenata passione per il cognato. Aveva modi spicci, parlava lo
stretto necessario, eppure sembrava avere una saggezza triste che contrastava
violentemente con il suo aspetto di ragazzina. Aveva splendidi occhi verdi ed
aveva studiato sui libri di suo marito nelle notti insonni, tanto che oramai
esercitava anche lei il mestiere di medico, o perlomeno come tale era
riconosciuta dalle donnicciole del paese.
Hinata le aveva ricevute
con dolcezza educata e si era apprestata a complimentarsi per la bellezza
sfacciata di Ino e per l'alterigia raffinata di Sakura.
Le due erano rimaste
meravigliate che una signorina tanto a modo, beneducata, piena di charme ed
intelligente come lei si fosse decisa ad allontanarsi dal mondo dorato al quale
tutte le altre avrebbero sognato di accedere.
Scesero dalla carrozza in fila dopo un
viaggio interminabile che le aveva provate tutte quante.
L'allegria di Tenten si
era spenta lentamente, scivolando via come una biscia per far capolino solo in
rare occasioni.
Il viso della malaticcia
Ino aveva assunto un color avorio dal quale trasparivano i capillari bluastri,
e le occhiaie andavano via via incupendosi sotto le sue pupille iridescenti.
Gli occhi di Sakura erano
velati da una patina di sonno e le sue mani nodose si contorcevano dal freddo,
in un malsano colorito porpora, gonfie di infezioni.
Hinata si faceva sempre
più pensierosa, sebbene non avesse alcun dubbio di aver fatto la scelta giusta,
e si abbandonava a sudori ghiacciati e sonni febbrili.
Una volta arrivate, tutte
si erano adoperate, con l'aiuto dei paesani curiosi i cui volti rubizzi si
accalcavano attorno alla diligenza, per sistemare casa di mademoiselle Hyuuga,
prima di tornare ciascuna al suo nido.
Tenten aveva trovato
immediatamente sua madre, o meglio, non era ben chiaro chi avesse trovato chi,
fatto sta che l'anziana signora, di nome Madeleine, aveva riconosciuto sua
figlia appena le si era parata davanti sulla porta di casa, ed era caduta in
ginocchio,piangente, ringraziando Sainte Therese e Sainte Marie Madeleine che,
a suo dire, le avevano annunciato in sogno la riconciliazione con sua figlia.
Sakura era tornata dal
marito, lo era andato a salutare nello studio. Gli aveva porto le mani, per poi
ritrarle immediatamente. Lui, Itachi, aveva studiato quel gesto ed aveva
immediatamente capito che la moglie aveva di nuovo quell'infezione purulenta,
ed aveva chiamato dall'altra stanza suo fratello, che distribuiva i farmaci ed
assistiva i malati che si presentavano da suo fratello. Era impegnato, al
momento, a somministrare una dose di chinino ad un vecchio spossato dalla
tubercolosi. "Sasuke, vuoi sbrigarti? C'è mia moglie che aspetta!" a
quelle parole il giovanotto, molto somigliante nei colori al fratello, era accorso.
"Madame" aveva
detto, reclinando la testa in cenno di saluto verso la ragazza, che era
arrossita e tremava. Si amavano quei due. Ma erano costretti a mantenere
quell'atteggiamento formale e distaccato, tanto che chiunque della famiglia
pensava si detestassero, perché non riuscivano a scambiarsi due parole in croce
che non fossero intervallate da quei silenzi glaciali tipici dell'imbarazzo di
Sakura e della facciata di Sasuke.
Ma appena avevano la
possibilità, per qualunque pretesto, di restare soli, tutto cambiava. Lui si
trasformava in un amante irruente e premuroso, e lei si sollazzava nel piacere
e nell'ebbrezza della libertà sfrenata. Perché quando aveva detto a sua madre
che avrebbe sposato monsieur Uchiha, quella aveva parlato con il padre ed avevano
accondisceso a farla sposare...solo che per un quiproquo si erano accordati col
monsieur sbagliato. E così il sogno d'amore dei due si era infranto.
Ma d'altra parte, forse
era meglio così: in questo modo, Sakura aveva sposato un brav'uomo, con un reddito
di tutto rispetto, che la rispettava, avevano fatto tre figli. Itachi non
sapeva che tutti e tre erano in realtà di suo fratello. Si chiamavano Stephane,
Marie e Victor.
I signori Haruno avevano
barattato il matrimonio più felice e pieno d'amore del paese con quello più
conveniente. E tutti erano stati contenti. Tranne Sakura e Sasuke.
Sakura si era allontanata
nell'altra stanza con Sasuke, che aveva preparato dei bagnoli bollenti di
alcool e antisettico,aveva intriso delle bende di lino di camomilla, ed aveva
preparato in una ciotola della pomata di arnica ed ambra, che andava rimestando
con una spatola di legno.
Prima le aveva messo le
mani in una bacinella fumante, dove le
aveva ordinato di rigirarle ogni dieci minuti per un'ora.
Dopo le aveva inciso le
piaghe infette con un temperino rovente ed aveva drenato la sostanza di pus
misto a sangue e sebo in un catino di latta, quindi aveva preso l'altra
bacinella e le aveva fatto ripetere l'operazione.
Finalmente, mentre Sakura
stringeva coi denti il fazzoletto che le aveva messo in bocca il suo amante,
questo le aveva applicato la pomata sui dorsi e sui palmi, entrando in
profondità nella carne rossa e infetta con la spatola di legno, e lasciandone
in abbondanza, tanta da coprire interamente gli arti per mezzo centimetro
buono, le aveva fasciato le mani con le bende imbevute di camomilla e sopra le
aveva fatto indossare prima un paio di guanti di cotone, e poi dei guanti di
lana.
"Ti fanno molto
male?" aveva chiesto prima di baciarla con impeto.
"No -aveva sussurrato
lei- non più."
Ino era tornata a casa da
sola. La aspettavano i suoi due pargoli, Lilianne e Marc, che stavano
ruzzolando allegramente nel salotto. Sua madre si era addormentata sulla
poltrona, al solito. La giovane aveva sospirato sulla soglia, poi aveva baciato
sveltamente i bambini, era corsa nella camera da letto e si era liberata in men
che non si dica del vestito di seta lilla, il vestito buono, quello della
domenica, quello di tutte le feste. Era ormai liso e mangiucchiato dalle tarme,
e il colore stava pian piano sfumando verso il grigiastro. "Ci farò un
abitino per Lilianne -pensò- Quando avrò tempo!",aveva tolto la sottoveste
smerlettata, poi si era infilata uno dei suoi tanti camicioni di lana
grezza(aveva immediatamente rimpianto il cotone soffice, che non le urticava la
pelle e non pizzicava, ma che fare?) e sopra a quello un vestito giallo
paglierino. Una volta accantonate le splendide scarpette in tono con l'abito
era tornata alle scarpe lise di pelle, con le suole rammendate e rinforzate col
sughero. per ultima cosa si era raccolta la chioma dorata in una vecchia cuffietta bianca, quindi
aveva iniziato a sistemare tutta la casa messa a soqquadro, prendendosela prima
con sua madre "Guardala, non fa che dormire!Le ho chiesto un aiuto, per
una volta, ed eccola qua!", con suo marito "Quello lì...io lo sapevo
che era un buono a nulla! Ma almeno mi porta i soldi a casa, con quella
locanda. Però se qua morissi io...sarebbero tutti persi!" e con chi le
capitasse, mentre rassettava i letti, lavava i pavimenti energicamente,
riordinava la cucina, spostava i bambini da una parte all'altra affinché non le
fossero d'impaccio a seconda del posto che stava sistemando. Alla fine, in capo
a due ore la casa era linda e pinta come l'aveva lasciata.
Dopo aver svegliato sua
madre con la raccomandazione di badare ai bambini, era andata alla locanda di
suo marito e si era fatta dare un po' di cibo per la cena.
Tornata a casa, aveva
depositato in un cassone di legno adibito a ghiacciaia quattro granchi, grossi
e grassi, e sul tavolo aveva lasciato un paniere con porri, aneto, rape e erba
cipollina, ed un bricco di latte.
Era uscita di nuovo,
stavolta diretta al negozio. Una volta lì, aveva preso i fiori dallo stanzino
ed aveva buttato quelli passiti, poi aveva cambiato l'acqua agli altri ed aveva
versato in ogni vaso un cucchiaio di bicarbonato di sodio, aveva innaffiato le
piante interrate ed aveva spazzato per bene il pavimento.
Era tornata a casa ed
aveva preso una grande pentola, dove aveva messo a bollire i granchi, in una
bella pirofila aveva messo il latte con mezzo panetto di burro a preparare la
panna per la zuppa.
Aveva agguantato un
tagliere ed un coltello ed aveva sminuzzato l'erba cipollina ed i porri, che
erano finiti in parte a soffriggere in una padella unta d'olio, in parte
nell'acqua dei granchi.
Il ramoscello d'aneto
invece era andato ad insaporire la panna, insieme a due mestoli d'acqua di
cottura dei crostacei.
Ino era affaccendata,
accaldata, correva dai fornelli alla dispensa, dalla dispensa al tavolo, dal
tavolo al lavabo e dal lavabo di nuovo ai fornelli, mentre nell'altea stanza
sentiva i bambini chiamarla e litigare, e lei urlava di tanto in tanto un
distratto "Buoni bambini!" o "Adesso sono impegnata, vengo tra
poco!", e continuava a mescolare la zuppa, buttava in una pentola l'acqua
dei granchi e metteva i crostacei nella padella del soffritto, dove versava
abbondantemente vino bianco, che evaporava di colpo.
Per le otto, al rientro
di suo marito Choji, la tavola era imbandita, sua madre era tornata a casa sua,
i ragazzi erano stati già sottoposti ad una vigorosa scozzonata nella tinozza,
con acqua bollente e sapone di Marsiglia, ed erano lindi e pinti, abbigliati di
tutto punto.
Anche Ino era riuscita a
lavarsi, finalmente, quello sporco che compariva a macchie brunite e antracite
sulla sua pelle bianca, e per l'occasione anche i capelli, che ora splendevano
magnifici alla luce dei candelabri.
"Bentornato,
padre." dissero i bambini con una riverenza, prima di gettarsi tra le
braccia dell'amorevole Choji.
"Via, via, stasera
si festeggia il rientro della mamma!" rispose lui, allungando ad Ino un
bel pacco rettangolare...grande, estremamente grande, tanto da farle salire le
lacrime agli occhi. "Oh, caro!" esclamò lei, aprendolo. Era un sontuoso
abito di mussola rosa pesca e seta viola, con tanto di sottoveste bianca, di
lana morbida, robusta. Capì immediatamente che il vestito era per poche
occasioni, ma che la sottoveste era stata pensata per farle smettere quella
grezza e pruriginosa, per evitarle l'inevitabile sofferenza che provava ogni
qualvolta si vestisse.
Ino pensò di non aver mai
amato Choji come quel giorno.
Quando Hinata arrivò alla
sua villa, si fermò sul vialetto, attonita, a fissare il contrasto stridente
dell’erba verde vivido con il cielo plumbeo, e sorrise: aveva davvero tutto
quel che aveva sempre desiderato.
“Mon jardin
après la mousson ! “
Si era voltata verso il
cancello, sentendo dei passi veloci.
“Bonjour, Madame, mi
chiamo Naruto Uzumaki, e sono il sindaco di Sainte-Marie-Vierge.”
L’uomo biondo le aveva
stretto la mano, ed il cuore di Hinata aveva mancato un battito.