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Autore: AccioIdee    29/09/2014    1 recensioni
'Erano avvinghiati l’uno all’altro quando la porta del camerino si spalancò e una figura si fermò alla soglia balbettando –L-Luke…- Michael spalancò gli occhi e Luke saltò giù dalle gambe del ragazzo per cadere a terra e fissare la figura alla porta –Non è come sembra…- ma Calum era già andato via correndo.'
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Qualcosa di accecante si sprigionò sul viso del ragazzo, che, con estrema fatica aprì gli occhi. La signora Clifford era sulla porta della camera di suo figlio, ancora rannicchiato tra le coperte, con un vassoio in mano e un'espressione dolce sul viso. Era veramente una gran rompiscatole, sapeva mettere il dito nella piaga quando voleva, sapeva colpire Michael con frecciatine e commenti provocatori se c'è n'era bisogno ma quando suo figlio stava male, per qualsiasi motivo, per lei il mondo non c'era più. Si avvicinò con passo felino al letto di Michael che sbuffando, si girò di spalle mormorando qualche parola sconnessa. Il vassoio si fece largo sul comodino accanto al cellulare del ragazzo che minacciava di spegnersi da un momento all'altro. La mamma si sedette al bordo del letto, passando una mano tra i capelli fini, e rossi quel mese, di suo figlio. Non appena percepita la presenza della madre, Michael si girò, e si rese conto che un altro giorno era arrivato. Andava avanti così da sette giorni dopo la rissa. Stava chiuso nella sua camera mentre leggeva i commenti che le fan postavano su Twitter, tutti che si chiedevano cosa facessero i 5 seconds of summer in quei momenti  di relax a casa. Ma nessuno di loro era dell'umore per postare qualcosa. La mamma gli portava il cibo tre volte al giorno, e lui lasciava la sua piccola reggia sicura solo per lo spuntino di mezzanotte. Gli sembrava di essere tornato ai tempi del liceo, quando non aveva nessuno,era solo lui contro il mondo. La mano della signora Clifford scivolò sulla guancia ancora leggermente arrossata di suo figlio. - hai passato di nuovo tutta la notte ad aspettarlo non è vero?- il ragazzo annuì piano, mentre sentì come un nodo formarglisi nella gola. - e non l'hai sentito neanche oggi.- quella della signora Clifford fu come una risposta alla sua stessa domanda, suonata come un dolce ma preoccupato sussurro. Un altro piccolo movimento del capo segnalò alla signora che ancora una volta aveva avuto ragione. Mich infatti aveva lasciato che il sonno lo travolgesse solo dopo il sorgere dell'alba, quando gli uccellini avevano iniziato a cantare. Lo aveva aspettato, un possibile messaggio, una chiamata o forse aveva aspettato proprio lui, che con le sue spalle larghe, i suoi capelli lucenti e gli occhi ghiacciati si presentasse alla porta della sua finestra e bussasse. Ma niente, niente di niente. Da sette giorni Luke era sparito, così come erano spariti Ashton e Calum. Aveva scritto a tutti e tre, ma ovviamente con scarsi risultati. Così invece di leggere un Twitter arrabbiato per la loro improvvisa scomparsa, si costrinse a scorrere il rullino fotografico del suo cellulare e le lacrime gli rigarono le guance. Poi aveva finalmente chiuso gli occhi, con le immagini ancora fresche della rissa impresse nella mente, rivedeva Ashton dallo sguardo furioso, che lottava contro Luke, e Calum, lo vedeva sulla sedia accanto al computer in lacrime. Rivedeva il viso sconvolto della signora Clifford, che minacciava di chiamare la polizia, e rivedeva suo padre fermare la scarica di pugni che Luke era intento a sferrare contro Ashton. Allora aveva riaperto gli occhi, velocemente, trovandosi nuovamente nel buio della sua stanza, come ogni notte dove cercava di addormentarsi. Non poteva rivivere quell'orrore ancora una volta, così, per una settima notte, aveva deciso di non dormire, finché il sonno non lo avesse travolto senza bisogno di pensare a nulla. - non credi sia il momento di chiamarlo?- la voce della signora Clifford tornò ancora una volta all'orecchio del figlio, che prontamente scosse la testa. Non faceva altro che accennare movimenti con il capo o piccole alzate di spalle da ormai una settimana. La mamma annuì, continuando a passare le dita tra i capelli del figlio - dovrai farlo prima o poi Mikey.- lo sapeva, avrebbe dovuto farlo. Ma aveva paura, paura di essere travolto nuovamente dallo sguardo glaciale che Luke gli aveva lanciato uscendo dalla sua camera il giorno della rissa, paura però anche di non rivederlo più. Quel pensiero gli blocco il cuore per un secondo e lo sguardo gli si posò sul muro, come per nascondere alla mamma le grandi lacrime che iniziavano a rigargli le guance.  La signora Clifford sospirò leggermente nel vedere il luccichio del bagnato sulla pelle del figlio, e passò le dita nei punti in cui le lacrime erano più evidenti, per asciugarle. Tornò poi a parlare un'ultima volta - vado a fare la spesa, perché non esci un po' con me? magari starai meglio.- la voce della donna risuonò come un sussurro all'orecchio di Michael, che con gli occhi fissi sul muro, scosse ancora una volta la testa. Sconfitta, la mamma si alzò dal letto, e uscendo dalla stanza lasciò nuovamente suo figlio con i suoi pensieri. Un rumore fin troppo famigliare scosse Michael che si passo le dita sulle guance, per asciugare quel poco di pelle bagnata rimasta, e afferrò il cellulare che sul comodino continuava a tremare. La luce dello schermo lo investì improvvisamente, tanto da fargli socchiudere gli occhi. Non appena ripresa la sensibilità della vista, il cuore perse un altro battito. L'ultimo messaggio sullo schermo del suo cellulare proveniva da Luke. Le labbra gli si schiusero appena per la sorpresa e gli occhi vedevano tutto perfettamente. "Voglio vederti, sto venendo a casa tua. Assicurati che non ci sia nessuno questa volta." Le mani di Michael presero a tremare, e il telefono cadette sul letto. - cazzo - fu tutto quello che riuscì a dire, mentre si guardava intorno. Fogli a terra, vestiti sulla scrivania, cibo della notte buttato sul letto o sul comodino. Quella stanza era un vero disastro, per non parlare di lui, non si faceva una doccia da una settimana. Si alzò con un'agilità non sua, afferro tutti i vestiti che aveva sparsi per la stanza e li lanciò dentro l'armadio. Prese poi un cestino, dove invece ammucchiò tutti i rimasugli di cibo, e cartacce. Passò davanti allo specchio, le occhiaie erano evidenti e i capelli cadevano sporchi sul suo viso. Si avvicinò velocemente alla finestra, tirò su la tapparella. La luce invase la stanza e gli ci volle qualche secondo per abituarsi. Spalancò la portafinestra e mise il viso fuori per un momento cercando di prendere aria. Chiuse gli occhi, prima di rientrare in camera, e avviarsi al bagno, dove aprì l'acqua della doccia. I vestiti gli scivolarono via velocemente, uno dietro l'altro e con un movimento veloce si ritrovò sotto il getto caldo della doccia. Posò la fronte contro il muro e sospirò, godendosi quegli attimi di silenzio. Aveva ancora la mente scombussolata da tutto quello che era successo da quando erano tornati in Australia. Lui è Luke erano tornati insieme, Calum e Ashton, poi Cal che aveva provato a baciarlo. Un'improvvisa sensazione di paura lo percosse. Un piccolo tremolio, come un brivido gli passò sulla schiena, la sua mente aveva ricominciato a produrre pensieri malsani e la paura non lo aiutava. Non voleva che Luke lo lasciasse, non voleva non poterlo più guardare negli occhi, aveva bisogno di lui, delle sue braccia, delle sue labbra. Tra le gocce d'acqua, una lacrima si fece largo. Si passo la mano sulla guancia, prima di tornare alla realtà scosso dal rumore della porta della doccia che si apriva. Si girò, e ancora una volta, il ghiaccio si perse nello smeraldo. Si guardavano, nessuno dei due osava parlare, mentre il corpo perfetto di Luke si avvicinava a Michael. Due possenti braccia lo avvolsero, e lo tirarono verso il biondino che non staccava lo sguardo dal suo. Le dita di Michael passarono tra i capelli del ragazzo più alto, che posò la fronte sulla sua e chiuse gli occhi. - non voglio parlare ora, ok?- il sussurro di Luke strinse il cuore di Michael. Non lo aveva mai sentito così indifeso, così debole e abbattuto, così per la prima volta in una settimana le labbra di Michael si mossero - dovremmo farlo prima o poi Luke- sapeva che con quelle parole, il ragazzo si sarebbe allontanato. Ma non quella volta, Luke lo strinse con più forza e le dita di Michael i intrecciarono tra i suoi capelli.  - preferisco poi- un altro sussurro si insinuò nell'orecchio del più basso, che affondò il viso nell'incavo del suo collo. Luke passò le dita sulla schiena di Michael che alzò lo sguardo. Le loro labbra si sfiorarono, in un piccolo e veloce bacio. Poi il biondo si spostò e prese a mordicchiargli un lembo di pelle del collo. Un ansimo uscì dalle labbra di Michael che si rilassò completamente tra le braccia del suo ragazzo. Le loro braccia si stringevano, le loro labbra si sfioravano, tutto era perfetto. Michael era scosso da gemiti mentre Luke lo stuzzicava, lo spingeva contro il muro e giocava con la sua intimità. Tutto ora era al suo posto, niente poteva cambiare ciò che erano loro due in quel momento, ciò che si sussurravano. Luke lo tirò su, alzandolo per le cosce, che Michael legò prontamente al suo bacino. Si fermarono qualche istante a fissarsi negli occhi, non era solo un momento d'eccitazione reciproca, non era solo sesso, non era solo fisico. Loro due, con quello sguardo, in quel preciso momento, si stavano dicendo che si amavano. Michael posò la fronte su quella del suo ragazzo e sussurrò quasi senza farsi sentire - ora è tutto perfetto- le labbra di Luke si fiondarono su quelle del ragazzo di fronte a lui mentre con una spinta dolce e lenta, lo penetrava. Michael strinse improvvisamente le dita contro la pelle delle spalle di Luke, e strozzò un gemito sulle labbra del suo ragazzo. Erano passati mesi dall'ultima volta che avevano fatto l'amore, tutto era cambiato, tutto, ma non loro due, non in quei momenti di intimità, era tutto come lo ricordava, dolce, l'uno faceva parte dell'altro. Le spinte di Luke si facevano sempre più veloci, le loro pelli bagnate aderivano l'una all'altra, le loro labbra si sfioravano, ci volle poco prima che Michael si riversasse sull'addome di Luke, mentre lui continuava a spingersi nella sua carne, stringendolo, senza mai staccare le labbra da quelle di Mich. Un ultimo gemito strozzato e Luke si riversò in Michael, senza vergognarsi del piacere che provava in quel momento. Finalmente Michael aprì gli occhi e si beò del viso accaldato del biondo. Gli occhi azzurro ghiaccio erano appena più brillanti del solito, le guance rosee, le labbra appena gonfie per i numerosi baci, i capelli gli ricadevano bagnati sulla fronte alta. Era passato tutto, l'orrenda rissa di sette giorni prima svanita in un ricordo lontano, i loro occhi a determinare quanto si amassero. Le dita bagnate di Michael passarono veloci sulle braccia di Luke, che lo sorreggeva ancora. Era il momento, non l'aveva mai fatto, non aveva mai pronunciato quelle due parole, ma se non ora, quando? Avevano ritrovato i loro corpi stretti, avevano ritrovato le loro labbra e mai prima di ora, la leggera nebbia che si sprigionava attorno ai sentimenti di Michael era stata così nitida. Adesso lo sapeva, sapeva che lo amava. Aveva sempre temuto ciò che provava, aveva sempre represso quel sentimento perché troppo prematuro, ma ora non lo avrebbe più fatto, quello sarebbe stato il momento di dire a Luke che lo amava. E lo avrebbe fatto, se in quel momento il telefono di casa non avesse preso a squillare. Gli occhi ghiacciati finirono al cielo e il corpo caldo a cui Michael era rannicchiato si allontanò. Uscirono entrambi dalla doccia, Luke afferrò un asciugamano e se lo legò attorno alla vita, Michael invece, indossato un accappatoio velocemente corse a rispondere al telefono, si schiarì la voce prima di -pronto?- domandare. La voce dall'altro capo del telefono si identificò come quella di Ashton -Cliffy, che fai di bello?- il cuore gli saltò in gola, tremò leggermente. Il tono di voce di Ashton era alterato, e soprattuto pieno delle sue risatine da ubriaco. Erano appena le undici del mattino e lui era ubriaco, era successo qualcosa. -Ash dove sei?- un sospiro simile a uno sbuffo dall'altra parte del telefono, un'altra risatina -io e CalCal siamo al parco, ho preso una birra ma forse era qualcosa di più non ne ho idea, perché poi il mio Cal ha portato un po' d'erba e ora è steso sul prato da venti minuti, e non si alza, fa finta di dormire- risate, ancora. Le labbra di Michael si socchiusero, gli occhi si spalancarono e il nodo alla gola sempre più forte -Ash ti prego non muoverti di li, arrivo - il telefono si posò velocemente al suo posto - che succede? - Luke si era avvicinato, aveva passato le dita tra i capelli di Michael e poi lo aveva guardato aspettando una risposta. Il più basso però si soffermo per qualche istante a fissare il vuoto, era colpa sua se Calum stava così, colpa sua se Ashton lo odiava, colpa sua se Luke aveva picchiato Ash, tutta colpa sua -Mikey? Che succede? - la voce preoccupata del biondo scosse Michael che alzò gli occhi e incontro i suoi - andiamo al parco, adesso. Ashton è ubriaco, e Calum è svenuto, dobbiamo portarlo all'ospedale -  il viso del più alto fece una piccola smorfia preoccupata, poi si allontanò. Presero a vestirsi senza parlare, velocemente, si guardarono prima di uscire di casa, le mani intrecciate, il viso sconvolto. Le loro labbra si sfiorarono un'ultima volta prima di uscire, come per rafforzarsi l'un l'altro.

Caldo, era questo ciò che si sentiva nel parchetto vicino a casa di Calum, sempre, costantemente, caldo. Era uno dei pochi posti non utilizzati di Sydney, sporco, pieno di sterpaglie, una o due panchine e qualche alberello. Calum era steso proprio sotto uno di quegli alberelli con Ashton accanto che lo schiaffeggiava ridendo - dai Hood, svegliati, devi girarmene un'altra, lo sai che non sono capace, voglio fumare!- un'altra risata. Michael e Luke invece erano fermi, immobili davanti a quella scena. Nessuno dei due riusciva a muovere un muscolo. Ashton si stese a terra e li guardò con fare interrogativo -uhuh Cliffy, tu e il tuo trombamico siete qui! Volete sballarvi? Credo che dobbiate chiedere a Calum però, anche perché è lui che vuole scoparvi entrambi- la mano di Michael si serrò a quella di Luke, voleva assicurarsi che il suo ragazzo non sarebbe saltato addosso ad Ashton, voleva tenerlo stretto perché quelle parole gli avevano ricordato che Luke gli aveva fatto del male, ma anche che lui stesso aveva fatto del male a tutti e quattro. Luke sciolse la mano da quella di Mich, che ebbe un leggero tuffo al cuore, forse per paura che il ragazzo potesse saltare al collo di Ashton. Invece il biondo prese in braccio Calum, diede un bacio sulla fronte di Michael e gli sussurrò - fai calmare questo ritardato, lunedì abbiamo un concerto e se tutti e due non si riprendono, faccio un casino.- poi si allontanò. Mich sapeva che a Luke non importava del concerto, sapeva che lui voleva solo il bene dei suoi amici, ma voleva sembrare diverso da ciò che era, per questo fumava, per questo non parlava mai dei suoi sentimenti a Michael, per questo lo aveva lasciato mesi prima. Vedendo il biondo allontanarsi con Calum in braccio Ashton si alzò di botto, e urlò nella sua direzione - NON MI PORTERAI VIA IL MIO CALUM! - Michael gli tappò la bocca con una mano e lo portò a sedersi tra le sue gambe, passò le dita tra i suoi capelli, li accarezzò lentamente finché Ash non smise di dimenarsi, si rilassò tra le braccia di Michael, che pian piano lo vide addormentarsi. Rimasero lì tutto il giorno, gli occhi chiusi di Ashton e quelli attenti e vigili di Michael. Solo verso le sei, il telefono del ragazzo dai capelli rossi squillò, Una grande foto di Luke appariva sullo schermo - Luke? - si affrettò a rispondere Michael. - venite all'ospedale, si è svegliato, sta meglio, dice che vuole vederti Mich, dice che deve parlarti che ha fatto qualcosa di tremendamente stupido e deve parlarne con te. - attaccò il cellulare, il tono di voce leggermente irritato del ragazzo era ancora impresso nella mente di Michael. Quelle parole gli gironzolavano in testa lasciandolo a stringere protettivamente Ashton, in un parco, alle sei e mezza di sera. 
   
 
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